RETE PACE PER IL CONGO (Parma)
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Il 1° ottobre 2010, l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani pubblicava il “Rapporto Mapping” sui gravi crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo (R.D.Congo) dal 1993 al 2003, cioè negli ultimi anni del potere di Mobutu e durante le due guerre del 1996-1997 e del 1998-2002.
Il contesto
Presentata all’opinione internazionale come una ribellione dei Banyamulenge, cioè i Tutsi congolesi ruandofoni che abitano nell’est del Paese, esplosa contro il regime di Mobutu per motivi di nazionalità e di discriminazione etnica, la prima guerra fu chiamata “guerra di liberazione” e portò, il 17 maggio 1997, alla presa del potere a Kinshasa da parte dell’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL), il movimento politico armato dei “Banyamulenge”, guidato da un congolese, Laurent Désiré Kabila, originario del Katanga e storico oppositore di Mobutu.
La guerra iniziò nell’ottobre 1996 con l’attacco ai campi dei rifugiati hutu rwandesi fuggiti dal Ruanda dopo il genocidio di aprile–giugno 1994 e la presa del potere, a Kigali, da parte del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), guidato da Paul Kagame, l’attuale presidente. In realtà, la ribellione dell’AFDL era semplicemente la copertura congolese dell’invasione del territorio congolese da parte delle truppe dell’Esercito Patriottico Ruandese (APR) lanciate alla caccia dei rifugiati Hutu ruandesi considerati globalmente come genocidari e, quindi, come una minaccia per la sicurezza del Ruanda. Ma l’obiettivo finale del nuovo regime ruandese, appoggiato dall’Uganda, dal Burundi e, soprattutto, da Stati Uniti e Gran Bretagna, era certamente la conquista dell’intero Zaire per sottrarlo all’egemonia francese ed accedere alle sue risorse minerarie (oro, cassiterite, coltan, diamanti, petrolio, legname pregiato, …), soprattutto nel Kivu, una provincia ambita dal Ruanda anche per trasferirvi la sua eccedenza di popolazione.
Divenuto Presidente della R.D.Congo, ben presto Laurent Désiré Kabila capì di essere una semplice pedina nelle mani di coloro che l’avevano portato al potere e invitò i diversi Paesi a ritirare le loro truppe. Dopo essersi parzialmente ritirate, le truppe ruandesi decisero di riprendersi la rivincita.
Il 2 agosto 1998, l’esercito ruandese partì da Goma, all’est e raggiunse, via aerea, la base militare di Kitona, all’ovest, con l’obiettivo di tornare a Kinshasa. Iniziò così la seconda guerra, detta di “occupazione”. Era stata pensata come un’azione militare fulminea, ma l’intervento di truppe dell’Angola, dello Zimbabwe, della Namibia, del Sudan e del Tchad a fianco di Kinshasa, mise in difficoltà le truppe ruandesi e i loro alleati ugandesi e burundesi e la guerra si protrasse per quattro lunghi anni. Anche stavolta, le truppe ruandesi agirono sotto copertura di un nuovo movimento politico armato congolese creato e appoggiato da Kigali: il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD), il cui braccio armato era l’Esercito Nazionale Congolese (ANC).
Un lungo elenco di crimini
In 581 pagine, il rapporto presenta oltre 600 casi di massacri commessi contro i rifugiati Hutu ruandesi e la popolazione civile congolese. Particolarmente drammatico è il racconto degli attacchi ai campi dei rifugiati Hutu ruandesi durante la prima guerra. Il rapporto rivela massacri di massa in cui venivano barbaramente uccise, per fucilazione, all’arma bianca o a colpi di zappe sulla testa, centinaia di civili per volta, compresi donne, bambini, anziani e malati.
Nell’interminabile lista dei massacri commessi, se ne possono citare alcuni:
«- Il 21 ottobre 1996, elementi dell’AFDL/APR hanno attaccato il campo dei rifugiati di Luberizi (Sud Kivu), uccidendo circa 370 rifugiati. I militari hanno gettato i corpi delle vittime nelle latrine.
– Il 22 ottobre 1996, elementi dell’AFDL/APR hanno ucciso nella valle di Rushima, tra Bwegera e Luberizi (Sud Kivu), un gruppo di circa 550 rifugiati hutu ruandesi che erano fuggiti dai campi di Luberizi e Rwenena.
– Tra il 27 ottobre e il 1° novembre 1996, con il pretesto di rimpatriarli in Ruanda, elementi dell’AFDL/APR hanno condotto un altro numero indeterminato di rifugiati nella valle di Rushima e li hanno uccisi.
– Il 22 novembre 1996, elementi dell’AFDL/APR hanno ucciso varie centinaia di rifugiati nel campo di Chimanga, situato a 71 chilometri a ovest di Bukavu. Al loro arrivo nel campo, i militari hanno chiesto ai rifugiati di radunarsi per assistere a una riunione. I militari hanno promesso loro di uccidere una mucca e di dar loro la carne, affinché potessero riprendere le forze e rientrare in Ruanda in buone condizioni. Hanno poi cominciato a registrare i rifugiati, raggruppandoli per prefettura di origine. A un certo momento, si è sentito un colpo di fischietto e i militari posizionati intorno al campo hanno aperto il fuoco sui rifugiati. Secondo le diverse fonti, sono stati così uccisi tra 500 e 800 rifugiati».
La stessa tattica è stata usata dalle truppe dell’APR/ANC durante la seconda guerra:
«- Il 24 agosto 1998, dei militari dell’APR/ANC hanno massacrato più di un migliaio di civili nei villaggi di Kilungutwe, Kalama et Kasika, nel territorio di Mwenga (Sud Kivu).
– Dal 30 dicembre 1998 al 2 gennaio 1999, dei militari dell’APR/ANC hanno ucciso oltre 800 persone nei villaggi di Makobola II, Bangwe, Katuta, Mikunga et Kashekezi, nel territorio di Fizi (Sud Kivu).
– In novembre 1999, a Mwenga (Sud Kivu), militari dell’APR/ANC hanno sepolto vive 15 donne originarie dei villaggi di Bulinzi, Ilinda, Mungombe et Ngando. Le vittime erano state dapprima torturate, violentate e sottomesse a degradanti e crudeli maltrattamenti, come l’introduzione di peperoncini negli organi genitali».
Quanti i morti di questo sanguinoso decennio? L’ong statunitense IRC ha valutato che tra il 2 agosto 1998 e l’aprile 2004 circa cinque milioni e quattrocentomila persone sono morte in Congo a causa della guerra, per violenze e stenti.
Una conclusione: elementi inequivocabili di un possibile genocidio
Dopo aver ascoltato e raccolto le testimonianze dei superstiti, il rapporto arriva a concludere:
«La vastità dei crimini, il numero delle vittime, l’ampio uso di armi bianche (per lo più machete e martelli) e il massacro sistematico dei sopravvissuti, tra cui donne e bambini, dopo aver attaccato i campi di accoglienza sono elementi che dimostrano che i molti morti non possono essere attribuiti alle conseguenze della guerra o considerati come danni collaterali. Gli attacchi sistematici e generalizzati, che hanno colpito un gran numero di rifugiati hutu ruandesi e membri della popolazione civile hutu e che hanno causato la loro morte, rivelano una serie di elementi inequivocabili che, se confermati davanti a un tribunale competente, potrebbero essere qualificati di genocidio».
Una soluzione: la creazione di tribunali specializzati misti
Secondo il Rapporto, è necessario che i mandanti e gli esecutori dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di genocidio rendano conto dei loro atti davanti alla giustizia.
L’istituzione di un Tribunale Penale Internazionale per il Congo viene considerata troppo costosa e poco efficace, in quanto potrebbe affrontare un numero limitato di casi. Pertanto, il Rapporto propone la creazione di tribunali specializzati misti (con la presenza temporanea di personale internazionale) in seno al sistema giudiziario congolese. Questa seconda possibilità avrebbe il vantaggio di usufruire di strutture già esistenti e contribuirebbe alla riforma e al miglioramento del sistema giudiziario congolese. In questa linea, nel mese di agosto, il Ministro congolese della Giustizia, Emmanuel Luzolo Bambi, ha presentato in Parlamento un disegno di legge sulla creazione di “Tribunali Speciali”, per esaminare tutti i casi relativi ai crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dal 1990.
Un impegno per la Comunità Internazionale
Andando oltre i propri interessi economici e facendosi attenta alla sofferenza delle persone, la Comunità internazionale deve trovare le modalità più opportune per accompagnare e sostenere il popolo congolese nella ricerca della verità su quanto è successo nel passato e su ciò che continua ad accadere ancora oggi. Non si tratta solo di fare giustizia dei crimini commessi, ma anche di rivedere la politica internazionale. Non si possono continuare ad appoggiare regimi violenti e destabilizzatori, come se quanto denunciato in questo Rapporto non fosse esistito. Esistono i diritti umani, esistono i diritti dei popoli ed essi hanno la priorità su ogni progetto economico o geopolitico. Il popolo congolese ha diritto alla pace nella giustizia.
Parma, 27 settembre 2011