SOMMARIO:
A. LE RESPONABILITÀ DEL FPR SONO EVIDENTI
– La dichiarazione dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario (Stati Uniti)
– Un militare del FPR arrestato a Washington
– Il TPIR verso la fine del suo mandato: un bilancio mediocre
B. RUANDA: L’ACCECAMENTO DEGLI ATTIVISTI DEL FPR
I. La differenza di natura tra i massacri dei Tutsi e i massacri degli Hutu.
1. Solo i massacri dei Tutsi devono essere considerati come un genocidio
2. I massacri dei rifugiati Hutu in RDCongo non erano intenzionali
3. Il numero delle vittime in RDCongo e in Ruanda è stravagante
II. Il FPR non ha fatto che esercitare il suo diritto di “legittima difesa”.
1. L’ONU non ha rispettato le regole internazionale in materia di rifugiati
2. I campi dei rifugiati erano controllati dai genocidari
3. Gli ex-FAR e gli Interahamwe avevano intenzione di invadere il Ruanda
A. LE RESPONABILITÀ DEL FPR SONO EVIDENTI
La dichiarazione dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario (Stati Uniti)
Il 5 maggio, l’istituto Internazionale di Diritto Umanitario (Stati Uniti) ha pubblicato un comunicato a proposito di una dichiarazione del 2 maggio [AP] rilasciata dal Procuratore ruandese, Martin Ngoga, nella quale ha rinnovato le false accuse di “negazionismo” del genocidio ruandese contro il Direttore dell’Istituto stesso, il Professor Peter Erlinder, in seguito a sue pubblicazioni accademiche, basate su delle testimonianze e dei documenti del TPIR (Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda).
L’Istituto è autorizzato a fare la seguente dichiarazione:
– Il Professor Erlinder ha dichiarato pubblicamente, a numerose riprese, che non contesta il fatto che decine di migliaia di Tutsi ruandesi siano stati uccisi tra aprile e luglio 1994, in circostanze che coincidono con la definizione del genocidio data dalla Convenzione sul Genocidio, ma sostiene che anche decine di migliaia di Hutu sono stati vittime nell’aprile-luglio 1994 e nel periodo seguente.
– I professori Stam, dell’università di Michigan, e Davenport, dell’Università Notre-Dame, due ex inquirenti del TPIR, dopo avere analizzato tutti i rapporti del governo ruandese, quelli delle ONG e dell’ONU, sono arrivati alla conclusione che tra aprile e luglio 1994, il numero di Hutu che sono stati uccisi è due volte superiore al numero di Tutsi.
– Il processo Militari-1 presso il TPIR (sentenza dell’8 febbraio 2009) non ha trovato prove sufficienti per riconoscere gli ex ufficiali militari colpevoli di una cospirazione pianificata da lungo tempo in vista di commettere il genocidio contro i Tutsi.
– L’ambasciatore degli Stati Uniti e documenti americani del 1994, resi pubblici, affermano che le cause reali del genocidio in Ruanda sono: a) la fuga di 1 milione e mezzo di Ruandesi a causa dell’aggressione militare del FPR all’inizio del 1993 e b) l’assassinio dei presidenti del Ruanda e Burundi da parte del FPR nell’aprile 1994. Nel novembre 1993, l’ambasciatore americano in Ruanda aveva personalmente riferito a Kagame che, nel caso in cui riprendesse la guerra, sarebbe stato considerato responsabile dei massacri che ne fossero conseguiti. Questo è stato confermato anche dalle comunicazioni del Dipartimento di stato del 7 aprile 1994;
– Documenti dell’ONU dimostrano che il FPR era militarmente superiore a partire da febbraio 1993 e, secondo i messaggi del generale Dallaire inviati all’ONU tra aprile e giugno 1994, Kagame non ha voluto mettere fine alla violenza perché era sicuro di vincere;
– Nelle sue memorie del 2009, l’ex procuratore del TPIR, Carla Del Ponte, ha scritto che è la responsabilità del Generale Kagame nell’assassinio dei presidenti del Ruanda e del Burundi che ha scatenato il genocidio ruandese; gli atti di accusa emessi dal giudice spagnolo Merelles e dal giudice francese Bruguière indicano la stessa cosa.
– L’atto di accusa del giudice spagnolo descrive – prefettura per prefettura – i 325.000 omicidi di Hutu e Tutsi di cui Kagame e il FPR sono responsabili, senza contare i massacri in Ruanda e nel Congo dopo il 1994;
– L’ONU ha pubblicato un rapporto di 600 pagine, “Mapping Report” che documenta i crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra commisi dal FPR dal 1993 al 2003. I rapporti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU documentano come il FPR si sia impossessato delle risorse naturali del Congo nel 2001, 2002, 2003 e 2008 per un valore di almeno 250 milioni di dollari per anno, causando da 6 a 7 milioni di morti.
Un militare del FPR arrestato a Washington
La polizia nord americana ha arrestato a Washington uno dei quaranta militari accusati dal giudice spagnolo Fernando Andreu. Il militare ruandese Justus Majyambere era detenuto per “immigrazione illegale”, ma gli allarmi sono scattati quando il computer di Interpol ha riconosciuto che era ricercato da un tribunale dell’Audiencia Nacional basato a Madrid.
Tre anni fa, il giudice Fernando Andreu Merelles aveva infatti emesso un mandato di arresto internazionale contro quaranta alti militari del FPR, mettendo in causa anche il presidente attuale, accusandoli di genocidio, di crimini contro l’umanità e di terrorismo. Sono considerati come responsabili della morte di oltre quattro milioni di Ruandesi e Congolesi e dei nove Spagnoli, sei missionari e tre civili, crimini commessi negli anni novanta.
Justus Majyambere, maggiore dell’esercito ruandese, è implicato nell’aggressione di varie popolazioni e nell’attacco contro il centro di Medici del Mondo dove lavoravano i volontari spagnoli, assassinati il 18 Gennaio 1997. Questi erano stati testimoni di vari crimini commessi dal FPR.
Fernando Andreu Merelles ha mandato a Washington la conferma dell’identità del detenuto, affinché sia mantenuto in detenzione e possa essere estradato verso la Spagna. Tuttavia, secondo informazioni di ultimo minuto che circolano sulle reti sociali, questa persona sarebbe già stata rilasciata.
In effetti, un diplomatico ruandese con sede a New-York, senza precisare se Justus Majyambere fosse stato arrestato e poi rilasciato o espulso verso il Ruanda, ha fatto sapere che l’interessato era già arrivato a Kigali il 22 maggio, in provenienza dagli Stati Uniti, dove era arrivato il 13 maggio per uno stage… durato dunque meno di 7 giorni. E’ detto tutto. Il maggiore Majyambere, oggetto di un mandato di arresto emesso dalla giustizia spagnola era un ospite indesiderato degli Stati Uniti che, tuttavia, per il loro sostegno incondizionato al regime ruandese, invece di consegnarlo alla giustizia internazionale, l’ha rimandato in Ruanda.
L’atto di accusa affermava che gli imputati avevano preso il potere con la forza e che avevano imposto un regime di “terrore”, “commesso dei crimini odiosi” contro i civili, la maggior parte dei quali erano dei rifugiati hutu ruandesi e contro la popolazione congolese.
Secondo il giudice, questi massacri sono stati commessi “con il pretesto di ragioni di sicurezza” ma, in realtà, in vista dell’invasione e la conquista del Congo. Tra altri crimini, il giudice spagnolo cita l’assassinio di sei preti spagnoli e di tre membri di Medici del Mondo e i massacri compiuti tra il 1994 e il 2000 nei campi profughi in cui essi lavoravano.
Fu il caso del Padre Joaquin VALLMAJÓ, arrestato dall’Esercito Patriottico Ruandese (APR) e il cui corpo non è stato ancora ritrovato, che aveva denunciato i massacri e le persecuzioni contro gli Hutu da parte del FPR. Inoltre, quattro missionari maristi furono assassinati nel Novembre 1996, dieci giorni dopo che uno di loro, il Padre Servando, avesse chiesto un aiuto per i profughi attraverso la COPE. I tre membri di Medici del Mondo che lavoravano nel campo localizzato a Mugunga e che erano stati testimoni di parecchi omicidi, sono stati assassinati il 18 Gennaio 1997.
Molti massacri sono stati commessi durante il genocidio ruandese. C’è, per citarne solamente uno, il massacro commesso nello stadio di Byumba, il 23 aprile 1994. Quel giorno, 2.500 persone sono state convocate nello stadio e poi uccise con granate lanciate dall’esterno. I loro corpi sono stati poi sepolti nel Parco Nazionale dell’Akagera.
Il TPIR verso la fine del suo mandato: un bilancio mediocre
È previsto che il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR) finisca i processi di prima istanza alla fine di questo anno e quelli in appello nel 2003.
Il bilancio è mediocre. Il tribunale doveva lottare contro l’impunità dei crimini di guerra e di genocidio commessi in Ruanda. È ciò che è stipulato nei suoi testi fondatori. La sua missione era quella di processare i responsabili dei crimini e violazioni dei diritti dell’uomo commessi in Ruanda tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 1994.
Mentre erano due le parti in conflitto, il TPIR non ha processato che persone appartenenti al campo dei vinti, assicurando l’impunità ai vincitori.
Tuttavia, dalla sua fondazione nel 1994, il TPIR aveva creato una sezione per inchieste speciali, la cui missione era quella di indagare sui crimini commessi dai membri del Fronte Patriottico Ruandese. Sono state raccolte numerose testimonianze e prove materiali, ma sono rimaste sono sotto sigillo. Perché non sono state utilizzate? Perché le accuse contro i criminali del FPR non sono mai state formalizzate? La risposta è data da Florence Hartmann, portavoce del Procuratore Carla Del Ponte. Nel suo libro Pace e Castigo pubblicato nel 2007, ella spiega come, su pressione degli Stati Uniti, le inchieste speciali sugli indiziati dell’Esercito Patriottico Ruandese (APR) sono state archiviate e chiuse in un cassetto [Agence Hirondelle: 7/9/2007].
Il tribunale ha fatto ostruzione affinché non si indagasse sull’attentato contro l’aereo del presidente Habyarimana, considerato come l’elemento detonatore del genocidio ruandese. Il primo Procuratore del TPIR, il sud-africano Richard Goldstone (1994-1996) si era detto favorevole, ma dovette partire e lasciò tutta la documentazione agli inquirenti. Tra questi, l’avvocato australiano Michael Hourigan. Egli aveva ricevuto delle testimonianze secondo cui il FPR era l’autore dell’atto terroristico contro l’aereo presidenziale e di altri grandi massacri della popolazione civile. Ma il successore di Richard Goldstone, la canadese Louise Arbour, rifiutò il rapporto, con il pretesto che ciò non rientrava nel mandato del Tribunale. Il rapporto Hourigan fu messo sotto embargo. Louise Arbour sarà sostituita dalla svizzera Carla Del Ponte che si è vista ostacolata quando ha voluto riaprire il dossier. Nell’agosto 2003, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU la dimise rapidamente dal suo incarico in seno al TPIR, per occuparsi solamente dell’ex-Iugoslavia.
Carla Del Ponte sarà sostituita dal gambiano Hassan Bubacar Jallow. In quel momento, Pierre Richard Prosper, procuratore americano al TPIR fino al 1998 e diventato, nel 2001, ambasciatore americano per i crimini di guerra, ha rassicurato il presidente Kagame della sua impunità. Questa promessa è stata concretizzata da Hassan Bubacar Jallow che ha confermato la promessa degli Stati Uniti alle autorità ruandesi circa l’abbandono, da parte del TPIR, di ogni procedura giudiziaria contro i militari tutsi [Agence Hirondelle: 7/9/2007].
B. RUANDA: L’ACCECAMENTO DEGLI ATTIVISTI DEL FPR
Jean Charles Murego
Un rapporto dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti dell’uomo sulle gravi violazioni dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario in Repubblica Democratica del Congo (RDC), chiamato comunemente Rapporto Mapping, pubblicato il 1° ottobre 2010, accusa sette paesi, fra cui l’Uganda, il Burundi e il Ruanda, di avere perpetrato in questo immenso paese, tra il 1993 e il 2003, numerosi crimini contro i civili congolesi e i rifugiati ruandesi e rievoca la possibilità di definirli come atti di genocidio.
Gli attivisti del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) respingono l’accusa di atti di genocidio e, addirittura, quella di crimini di guerra formulata nei confronti di certi dei membri dell’Esercito Patriottico Ruandese (APR). Come Aldo Ajello, già inviato speciale dell’Unione Europea nella Regione dei Grandi Laghi Africani, essi organizzano la difesa del FPR intorno a due perni principali: da una parte, la differenza di natura tra i massacri dei Tutsi e quelli degli Hutu e, d’altra parte, la legittimità dell’attacco dei campi dei rifugiati. Questa argomentazione, confezionata dalle autorità ruandesi e ripresa dai loro sostenitori, sembra molto fragile, come lo dimostra l’analisi degli elementi avanzati per sostenere le due tesi.
I. La differenza di natura tra i massacri dei Tutsi e i massacri degli Hutu.
1. Solo i massacri dei Tutsi devono essere considerati come un genocidio, perché sono stati pianificati.
Il FPR e i suoi attivisti fondano essenzialmente la tesi della pianificazione dei massacri dei Tutsi su due prove pretese tali: a) un fax che il Generale Roméo Dallaire, ex comandante dei caschi blu in Ruanda, avrebbe trasmesso l’11 gennaio 1994 alla Segreteria Generale dell’ONU e b) l’assassinio del presidente Habyarimana da parte di estremisti hutu. Ora, trattandosi di questo omicidio, tre inchieste indipendenti, la prima condotta da un perito del TPIR, Michael Hourigan, la seconda condotta da un giudice spagnolo, Fernando Andreu Merelles e la terza portata avanti da un giudice anti-terrorista francese, Jean-Louis Bruguière, designano il presidente Kagame come il mandante di questo atto terroristico. Nessuna altra inchiesta, a parte quella delle autorità ruandesi che sono giudici e parte, è riuscita a dimostrare l’implicazione dei cosiddetti estremisti hutu.
Per quanto riguarda il fax dell’11 gennaio 1994, esso è stato redatto secondo la testimonianza di Jean-Pierre Turantsinze, la cui credibilità è stata messa in dubbio anche dal TPIR. Nel giudizio reso nel caso “Bagosora e consorti”, la Camera di prima Istanza del TPIR ha stimato che l’esistenza di un piano pre concepito e le informazioni fornite da Jean-Pierre suscitavano delle riserve.
Essa ha concluso che il Procuratore non è riuscito a stabilire, al di là di un dubbio ragionevole, che i quattro accusati si siano intesi, tra loro o con altri, per commettere il genocidio. Nella misura in cui colui che era considerato come il cervello del genocidio è stato discolpato dall’accusa di intesa in vista di commettere un genocidio, la tesi della pianificazione dei massacri dei Tutsi non tiene più.
Il problema è che gli attivisti del FPR non tengono conto dell’evoluzione, avvenuta nel corso degli anni, a proposito delle nuove informazioni su ciò che è accaduto realmente in Ruanda, durante la guerra in cui si sono affrontati il FPR e le autorità ruandesi da ottobre 1990 a luglio 1994.
Rievocando la tesi dell’assassinio del presidente Habyarimana da parte degli estremisti hutu, che varie inchieste indipendenti hanno smentito, e la testimonianza di Jean-Pierre, su cui il TPIR ha espresso delle riserve, gli “amici” del FPR, come Aldo Ajello, cercano di dimostrare che solo i massacri dei Tutsi meritano la qualifica di genocidio, contrariamente a quelli degli Hutu che, secondo loro, non erano stati intenzionali. Qual’è il fondamento di questa affermazione?
2. I massacri dei rifugiati Hutu in RDCongo non erano intenzionali.
Secondo i “Kagamisti” come Aldo Ajello, l’APR non ha mai avuto l’intenzione di massacrare i rifugiati hutu ruandesi nell’ex-Zaire. Secondo loro, la prova è che le autorità ruandesi hanno organizzato un corridoio umanitario per lasciar passare gli Hutu che “volevano” ritornare in Ruanda. Certo, dice Ajello, ci sono stati dei morti tra i rifugiati ruandesi che non hanno voluto ritornare, ma sono imputabili alla malattia, ai combattimenti e agli ex-FAR e Interahamwe che se ne sono serviti come scudi umani.
Questa argomentazione non corrisponde alla realtà ed è poco convincente. Innanzitutto, davanti alle cineprese dei media internazionali, i militari dell’APR non avrebbero potuto sparare sui rifugiati rimpatriati con la forza, quando la loro propaganda consisteva proprio nel dire che avevano portato la guerra nell’ex-Zaire per liberare gli Hutu buoni tenuti in ostaggio dagli Hutu estremisti. Per di più, il genocidio non consiste solamente in volere eliminare la totalità di una popolazione, ma anche solo una parte di essa, ciò che è più probabile quando si tratta della componente che rappresenta l’85% di una popolazione di circa 8.000.000 di abitanti.
Sull’intenzione di sterminare i rifugiati hutu sfuggiti al rimpatrio forzato non c’è nessun dubbio. I militari del FPR li hanno attaccati e perseguiti attraverso tutto il territorio della RDC, fino a più di 2.000 Km (Wendji e Mbandaka) dalla frontiera ruandese. Secondo diverse testimonianze raccolte dagli esperti dell’ONU, quando li raggiungevano, li raggruppavano e sparavano su di loro in modo indiscriminato o li uccidevano a colpi di martelli e zappe. Questa caccia ai rifugiati hutu su distanze così lunghe, la loro dispersione forzata in zone inospitali e inaccessibili agli umanitari e i massacri commessi deliberatamente contro di loro sono elementi che rivelano chiaramente la precisa intenzione di liquidarli perché erano Hutu, tanto più che la maggior parte delle vittime, valutate tra duecentomila (200.000) e trecentomila (300.000) Hutu, erano bambini, donne, malati e anziani. Il fatto che i massacri siano stati commessi anche lontano dalla frontiera con il Ruanda e in un ambiente disabitato rende poco credibile l’idea secondo cui la loro morte sarebbe stata solo una semplice conseguenza della guerra.
I massacri di questi 300.000 rifugiati hutu e di varie altre migliaia di Hutu all’interno del Ruanda rivelano la deliberata intenzione dell’APR di sterminare una parte di un gruppo etnico. Per quanto concerne l’utilizzazione dei rifugiati come scudi umani da parte degli ex-FAR, i racconti dei superstiti contraddicono tale affermazione. Gli ex – FAR hanno piuttosto protetto, per quanto possibile, i rifugiati stessi, aiutandoli ad attraversare i fiumi e le foreste congolesi e posizionandosi tra loro e i militari del FPR, per permettere loro di fuggire in anticipo.
Infine, trattandosi del contesto di guerra, è vero che gli esperti avrebbero dovuto contestualizzare maggiormente i massacri, per una migliore comprensione delle tragedie che tormentano il Ruanda e la RDCongo da ottobre 1990. Ma il problema è che i rapporti relativi ai massacri commessi in Ruanda nel 1994 non hanno descritto le condizioni di guerra in cui i massacri si sono svolti e, peggio ancora, l’ONU ha decretato che c’è stato un genocidio ruandese, senza tuttavia ricorrere all’intervento di un’istanza giudiziaria, come propone il Rapporto Mapping. Perché due pesi e due misure?
In ogni modo, se il contesto di guerra fosse preso in considerazione nel caso del Ruanda e della RDCongo, è poco probabile che esso costituisca una circostanza attenuante per il FPR, nella misura in cui è lui che ha scatenato, a partire da ottobre 1990, tutte le guerre in Ruanda e nell’ex-Zaire e che ha rifiutato ogni intervento delle forze straniere e ogni soluzione pacifica, con il solo obiettivo di imporre la sua egemonia nella regione dei Grandi Laghi e di arricchire i suoi dignitari e i suoi sponsor, mediante il saccheggio delle risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo.
Peraltro, il contesto di guerra non giustifica né i crimini di guerra, né i crimini contro l’umanità.
3. Il numero delle vittime in RDCongo e in Ruanda è stravagante.
La difficoltà nello stimare il numero delle vittime non è un caso particolare della RDCongo, ma anche del Ruanda.
Il calcolo delle vittime del genocidio fatto dal governo FPR non ha permesso di risolvere la questione. Il numero di 1.074.000 vittime del genocidio a cui il governo ruandese è arrivato solleva molti interrogativi.
Secondo il suddetto censimento, le vittime tutsi sarebbero 1.066.000 e gli Hutu moderati 8.000. Partendo dal numero di 7.157.551 ruandesi, come risulta dal censimento della popolazione organizzato nel 1991, fra cui 590.900 Tutsi (l’8,4%) e applicando un tasso di crescita del 3%, come calcolato in quel periodo, la popolazione ruandese può essere valutata, nell’aprile 1994, a 7.826.853 . Se si ammette che i Tutsi rappresentassero l’8.4% della popolazione, come nel 1991, nel 1994 essi sarebbero stati 657.456. Secondo l’ipotesi che i Tutsi rappresentassero il 15% della popolazione, come affermato da altri, nl 1994 i Tutsi sarebbero stati 1.174.027 circa. Nella prima ipotesi, gli estremisti hutu avrebbero ucciso più Tutsi di quelli che esistevano. Nella seconda ipotesi, non ci sarebbero stati che 108.027 sopravvissuti tutsi. Quale è la realtà? Nessuno lo sa, almeno ufficialmente, perché le autorità ruandesi non hanno mai reso pubblico alcun dato sull’identità completa (nomi, genitori, luogo e data di nascita e di decesso) delle vittime e dei superstiti. Perché dunque si prende questa lacuna come pretesto per mettere in dubbio solo il numero delle vittime congolesi e hutu ruandesi?
La questione della valutazione continuerà a porsi fino a quando la stima del numero delle vittime non si baserà su un censimento esauriente effettuato da periti indipendenti e competenti, sostenuto dai rappresentanti di tutte le etnie o di altri gruppi politici e sociali interessati. Ma il disaccordo sul numero totale delle vittime non significa che non ce ne sono o che non sono molte. È molto probabile che, in RDCongo, si contino in milioni, anche se fossero meno di sei milioni. È inimmaginabile che i periti citino una cifra così elevata, se si trattasse solamente di alcune migliaia. Comunque sia, tutte le vittime, qualunque sia il loro numero, hanno diritto ad una giustizia. Sarebbe incomprensibile che fosse diversamente, quando massacri meno importanti commessi in Bosnia e in Sierra Léone, addirittura l’assassinio di una sola persona, il primo ministro libanese, Rafi Hariri, hanno spinto l’ONU a creare dei tribunali speciali per giudicarne i responsabili.
Nessuno dei tre argomenti avanzati dagli attivisti del FPR per giustificare la differenza di qualificazione dei crimini commessi contro i Tutsi e di quelli perpetrati contro gli Hutu sono di natura tale da mettere in causa il diritto delle vittime civili congolesi, ruandesi e burundesi di ottenere giustizia. Ugualmente per gli elementi presentati dai difensori dell’attuale regime ruandese per legittimare l’attacco dei campi dei rifugiati ruandesi in RDCongo.
II. Il FPR non ha fatto che esercitare il suo diritto di “legittima difesa”.
Questa pretesa legittima difesa si fonda su ragionamenti, fatti e interpretazioni non pertinenti e in contraddizione con la realtà.
1. L’ONU non ha rispettato le regole internazionale in materia di rifugiati e le autorità congolesi si sono dimostrate compiacenti nei confronti degli ex-FAR.
È vero che i campi rifugiati ruandesi sono stati installati, come in Tanzania e in Burundi, troppo vicino alla frontiera tra RDCongo e Ruanda. Ma, in realtà, né il FPR e i suoi sostenitori, né le autorità congolesi volevano lo spostamento dei rifugiati hutu verso l’interno del paese.
L’allontanamento di circa due milioni di rifugiati hutu dalla frontiera non avrebbe permesso al regime di Paul Kagame di rimpatriarli, con la forza, per assicurare il suo consolidamento interno, né di farne un pretesto per invadere lo Zaire. Anche se i rifugiati fossero stati installati lontano dalla frontiera con il Ruanda, avrebbero comunque continuato ad esercitare una forte pressione sul potere ruandese per costringerlo a negoziare. Una soluzione pacifica del problema dei rifugiati era incompatibile con la volontà di dominio del FPR e con il piano di invasione della RDCongo concepito da quelli che lo stavano strumentalizzando. E’ dunque la volontà, del FPR e dei suoi sostenitori internazionali, di eliminare qualsiasi opposizione alle nuove autorità ruandesi e di intronizzare in RDCongo un potere favorevole ai loro interessi, che spiega l’attacco dei campi dei rifugiati e il perseguimento, a migliaia di chilometri dal Ruanda, di quelli che avevano potuto sfuggire al rimpatrio forzato.
La posizione delle autorità zaïresi, comprensibile e ragionevole considerati i danni ambientalisti ed economici causati da un numero così consistente di rifugiati, era che questi ritornassero in patria il più presto possibile. Perciò si erano attivamente impegnate nella ricerca di una soluzione negoziata, purtroppo senza successo, perché il FPR e i suoi sostenitori internazionali si opponevano ad ogni trattativa con i rifugiati.
L’accusa secondo cui le autorità zaïresi avrebbero portato un loro appoggio agli ex-FAR, in vista di riorganizzare l’esercito, fornendo loro armi e munizioni, affinché potessero costringere il regime del FPR a negoziare per il ritorno dei rifugiati al loro paese o preparare un attacco armato contro il Ruanda, sembra poco credibile. L’esercito congolese in decadenza, mal pagato, mal organizzato, mal attrezzato non era certo in grado di fornire un qualsiasi aiuto agli ex-FAR.
Il fallimento di una soluzione pacifica al problema dei rifugiati hutu nel 1996 e l’impotenza dell’ONU di fronte ai diversi massacri dei civili nella regione dei Grandi Laghi Africani sono da imputare al FPR e ai suoi alleati internazionali che hanno fpreso la decisione di sacrificare milioni di Ruandesi, Burundesi e Congolesi ai loro interessi politici, economici e finanziari. Infatti, se in Ruanda nell’aprile-luglio 1994 e in RDCongo nel 1996-1997 e nel 1998-2003, l’ONU ha mancato al suo dovere di assistenza a persone in pericolo, è perché il FPR, l’AFDL, il RCD, il MLC e i loro finanziatori anglosassoni si sono sempre opposti ad ogni intervento di una forza internazionale di interposizione o di imposizione della pace.
Nell’aprile 1994, l’esercito ruandese ha proposto un cessate il fuoco e l’intervento di una forza di interposizione, ma il FPR ha respinto tali proposte. Il 9 e il 10 aprile 1994, il FPR ha addirittura intimato a tutti gli stranieri di lasciare il Ruanda entro le venti quattro ore e ha continuato la guerra, benché fosse al corrente che ciò avrebbe aumentato la violenza. Di più, la tesi molto diffusa, secondo la quale Paul Kagame ha salvato i Tutsi dal genocidio, è contraddetta dal suo comportamento durante la guerra. Egli non ha tenuto conto dell’avvertimento emesso da una delegazione di Tutsi dell’interno, condotta da Charles Shamukiga, che gli faceva notare il rischio di morte che faceva loro correre qualora tentasse qualcosa contro il presidente Habyarimana, di etnia hutu. Ordinando l’attentato contro di lui, Kagame ha deciso consapevolmente di sacrificare i suoi simili, per accedere al potere e alle ricchezze della RDCongo. Inoltre, dopo avere scatenato i massacri contro i Tutsi, non si è mai preoccupato di soccorrerli, come risulta dalle dichiarazioni del tenente Abdul Ruzibiza, e ha sempre rifiutato anche ogni proposta di cessate il fuoco e ogni intervento di una forza internazionale.
Nel 1996-1997, quando l’ONU stava programmando un’operazione di soccorso per i rifugiati ruandesi nell’ex Zaire, una “certa comunità internazionale” in complicità con il FPR, ha falsamente affermato che non c’erano più rifugiati ruandesi in Zaire, proprio quando venivano attaccati e uccisi come selvaggina in tutto il territorio zairese. La loro priorità era quella di impedire ogni intervento internazionale e assicurare, in tal modo, la vittoria del FPR e del suo alleato, l’AFDL, anche a costo di molte vite umane.
Evidentemente, né la vicinanza dei campi dei rifugiati alla frontiera ruandese, né la eventuale complicità delle autorità zaïresi con gli ex-FAR, né l’aiuto che avrebbero fornito agli ex-FAR potevano, in alcun modo, legittimare gli attacchi ai campi dei rifugiati e i massacri di coloro che erano riusciti a fuggire dal rimpatrio forzato. L’affermazione secondo cui i campi dei rifugiati erano controllati dai genocidari, non poteva giustificare la distruzione dei campi stessi mediante l’intervento dell’artiglieria. La logica secondo la quale sarebbe permesso massacrare degli innocenti per potere uccidere quelli che si ritiene colpevoli è assurda e pericolosa.
2. I campi dei rifugiati erano controllati dai genocidari che impedivano alla maggior parte dei rifugiati di ritornare al loro paese e massacravano quelli che manifestavano la volontà di ritornare.
Il FPR avrebbe attaccato i campi per liberare gli hutu bravi dagli hutu estremisti genocidari che li trattenevano con la forza. Pensare che gli Hutu abbiano preso la strada dell’esilio, nel 1994, davanti all’avanzata del FPR e che, dopo la sua vittoria, non abbiano voluto tornare al loro paese perché erano presi in ostaggio dai genocidari, è dimenticare che, a partire dall’ottobre 1990, nel nord del Ruanda, essi sono stati massacrati o cacciati dalle loro terre, a tal punto che, inizio 1994, un milione di loro erano già fuggiti davanti all’avanzata del FPR e avevano vissuto, privati dei loro beni e dei loro diritti, in una situazione di estrema miseria e di promiscuità indicibile. Alla ripresa della guerra, nell’aprile 1994, sono ancora fuggiti davanti ai soldati del FPR che sparavano indistintamente su di loro e il 22 aprile 1995, 8000 hutu erano stati massacrati a Kibeho sotto gli occhi della MINUAR II. I ricordi ancorati nella memoria collettiva e i fatti recenti erano più che sufficienti per persuaderli di non ritornare in patria. Che le autorità del regime ruandese precedente, civili e militari, qualificate abusivamente tutte di genocidari, abbiano potuto consigliar loro di non ritornare in patria senza condizioni non era che normale. In ogni caso, nessuno rifugiato aveva chiamato il FPR in suo soccorso.
Ciò che è successo in seguito ha dimostrato che avevano ragione di non voler tornare in Ruanda senza previa applicazione dell’accordo di Arusha che aveva definito i principi fondamentali del sistema politico da instaurare in Ruanda e la ripartizione dei posti chiave nell’esercito, nell’assemblea legislativa e nel governo durante il periodo di transizione. Il rimpatrio forzato dei rifugiati hutu ha sepolto definitivamente lo spirito dell’accordo di Arusha e ha permesso al FPR di sottomettere la popolazione ruandese al suo potere e di trattarla come cittadini di seconda classe. La discriminazione di cui la popolazione hutu è oggetto è tale che i Tutsi, che rappresentano meno del 20% della popolazione ruandese, occupano più del 80% dei posti in vari settori, in modo particolare nell’amministrazione, nell’economia e nell’esercito. Gli oppositori, reali o presunti, di etnia hutu sono ancora oggi accusati ingiustamente di genocidio, di ideologia genocidaria e di divisionismo e incarcerati arbitrariamente, se non addirittura eliminati. Il regime del presidente Kagame, cosciente della sua fragilità a causa del suo carattere minoritario e dittatoriale, è assillato dall’idea di un’opposizione della maggioranza hutu. Questa ossessione lo spinge a minacciare anche gli Hutu che vivono in esilio, perché li considera tutti come oppositori, se non reali almeno potenziali. Per minare questa opposizione esterna che non può imbavagliare come quella interna, usa vari mezzi. Dapprima, tenta di accusare di genocidio gli oppositori più influenti. Parallelamente, procede ad una politica di seduzione della diaspora, in vista di un ritorno al Paese. Il terzo metodo consiste nel tentare di convincere le autorità di certi paesi, in particolare africani, di espellere gli Hutu ai quali hanno accordato asilo.
3. Gli ex-FAR e gli Interahamwe avevano intenzione di invadere il Ruanda per continuare il loro lavoro di sterminio dei Tutsi.
Il FPR e i suoi attivisti giustificano tutte le sue guerre nella regione dei Grandi Laghi Africani per una sola ragione principale: proteggere i Tutsi dai genocidari hutu.
Il FPR afferma che tutti gli ex-FAR e tutti gli Interahamwe, assimilati alla maggioranza degli Hutu, volevano ritornare in Ruanda per massacrare i superstiti del genocidio dei Tutsi. Questa tesi, di cui si servono anche Aldo Ajello e altri attivisti per legittimare l’attacco dei campi dei rifugiati in RDCongo, non è un argomento più fondato dei due precedenti.
Pretendere che il FPR abbia attaccato i campi dei rifugiati ruandesi nell’ex-Zaire nel 1996 per evitare la ripresa del genocidio dei Tutsi in Ruanda, è pura speculazione.
Finora, non è stata portata nessuna prova sulla pretesa intenzione degli ex-FAR “di aver voluto portare a termine il genocidio”. Questa affermazione sembra del tutto infondata, tanto più che la tesi della pianificazione dei massacri dei Tutsi da parte degli estremisti Hutu, tra cui sono abusivamente collocati tutti gli ex-FAR, non è mai stata stabilita dal TPIR. Lo stesso regime del FPR non sembra crederci, visto che non esita ad integrare nelle sue file quelli che considerava ieri come pianificatori del genocidio o hutu estremisti, qualora accettino di servirlo in modo leale e cieco. La guerra che il FPR ha condotto contro i rifugiati ruandesi in RDCongo non ha nulla a che vedere con la protezione dei Tutsi.
La teoria della guerra preventiva alla Bush che il FPR e i suoi attivisti cercano di legittimare mira solo ad attenuare le atrocità perpetrate dall’APR in RDCongo e a giustificare i continui attacchi contro gli oppositori hutu che il regime criminale e autocratico di Kigali ama qualificare come genocidari o estremisti che devono essere combattuti per, così dire, prevenire ogni rischio di un nuovo genocidio dei Tutsi. L’idea della guerra preventiva è molto pericolosa, perché la guerra non è più considerata come una misura estrema e ciò non può che moltiplicare i conflitti. La prova è che questi conflitti si stanno succedendo gli uni agli altri dall’ottobre 1990 (per esempio: la 1°e la 2° guerra del Congo, quella di Laurent Nkunda e le operazione Umoja Wetu, Kimya ed Amani Léo, in cui le autorità ruandesi attuali hanno svolto un ruolo molto nefasto). Tutti questi conflitti non hanno fatto che destabilizzare, in modo permanente, tutta la regione dei Grandi Laghi in generale e la regione del Kivu in particolare.
Nessun ricorso alla forza potrà garantire una protezione definitiva a qualunque gruppo sociale esso sia e non apporterà alcuna soluzione a lungo termine ai problemi di partecipazione al potere o di coesistenza pacifica tra i popoli della regione. Solo il dibattito nel quadro di una commissione Verità e Riconciliazione alla sud-africana permetterebbe di trovare delle soluzioni adeguate alla lotta per il potere da parte dei diversi protagonisti. In caso contrario, un giorno o l’altro, i popoli non avranno altra scelta che ribellarsi contro i loro oppressori per conquistare la loro libertà, un diritto inalienabile per ogni essere umano, ciò che porterà la regione in un altro ciclo di conflitti armati.
La soluzione definitiva dei conflitti nella regione dei Grandi Laghi passerà obbligatoriamente attraverso il riconoscimento della verità su ciò che è successo e la giustizia per tutte le vittime.
Il solo modo di mettere fine ai conflitti è quello di lottare contro l’impunità, qualunque sia l’etnia o la tribù a cui appartengono gli autori dei crimini e di accettare la cultura della verità e del pluralismo, secondo cui i Ruandesi affrontano, il più obiettivamente possibile, tutta la loro storia, l’assumono coraggiosamente e trovano un modus vivendi nella loro diversità.