SOMMARIO:
EDITORIALE
1. KIVU
– News
– I minerali del sangue
– La questione del ritorno dei rifugiati
– L’afflusso di clandestini armati
– L’operazione militare Amani Leo
EDITORIALE
Due questioni stanno entrando nel vivo del dibattito sul Kivu: il prossimo ritorno dei rifugiati congolesi che vivono in Rwanda e, paradossalmente, la constatazione di un’entrata illegale di clandestini armati.
Per quanto riguarda la prima questione, in una conferenza aperta al pubblico, il cui obiettivo era quello di informare sugli accordi firmati ultimamente a tale proposito da Rwanda, RDCongo e HCR, il governatore della provincia del Nord Kivu, Julien Paluku, ne ha indicato chiaramente le condizioni e le modalità. Sembra che si tratti di un progetto serio.
D’altra parte, secondo alcune informazioni, si sta assistendo a un’entrata irregolare di clandestini armati che, provenienti dal Rwanda e dall’Uganda, stanno occupando le zone abbandonate dagli sfollati interni. Sembra di essere in presenza di un doppio gioco: da una parte il discorso ufficiale delle autorità e degli accordi e, dall’altra, la realtà, con le sue contraddizioni e ambiguità.
Ciò che è importante in questo momento è mantenere alto il livello di guardia, per poter prevenire e impedire una nuova e silenziosa occupazione di fatto delle due province del Nord e Sud Kivu da parte dei Paesi limitrofi.
A queste due questioni, si può aggiungere una terza: la liberalizzazione dei movimenti di persone, beni e capitali tra i quattro Paesi che costituiscono la Comunità Economica dei Paesi dei Gandi Laghi – CEPGL (Burundi, Rdcongo, Rwanda e Uganda). Se tale misura può essere un cammino di pace e contribuire allo sviluppo economico dei quattro Paesi, bisognerà vegliare a che non diventi una scappatoia per “legalizzare” ufficialmente l’attuale sfruttamento “illegale” delle risorse minerarie della RDCongo, che è alla base del conflitto e della tragedia congolese.
1. KIVU
News
L’1 febbraio, una persona è stata uccisa, 7 altre sequestrate e 50 case saccheggiate , durante un attacco attribuito alle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR) nel villaggio Kakenge, territorio di Kabare, a 25 chilometri a nord di Bukavu, nel parco di Kahuzi Biega (Sud Kivu). Il presidente della società civile di Kabare Nord, Ibrahim Kahirho, indica che i fatti si sono svolti ad un centinaio dei metri delle posizioni delle FARDC e non lontano dalla base dei caschi blu della Monuc a Kavumu.
Secondo le statistiche fornite dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Assistenza della popolazione (FNUAP), nel 2009 circa 11.000 donne sono state violentate nell’est della RDCongo. Solo per le due province del Kivu, il numero delle vittime degli stupri è esattamente di 8.333. Le cifre si avvicinano agli 11.000 casi includendo anche la Provincia Orientale, il Katanga e il Maniema.
L’8 febbraio, secondo il capo del settore di Babira Bakwame, in un attacco alla miniera “D 25”, in località Nkumwa (Kindu, Maniema), alcuni combattenti delle FDLR e dei Mai-Mai Sheka del Nord Kivu hanno ucciso due militari delle FARDC, sequestrato 50 persone, fra cui una decina di donne e rubato circa una tonnellata di cassiterite.
Il 12 febbraio, 7 donne sono state uccise a Kisembe, nel raggruppamento di Mulombozi, territorio di Mwenga, da ribelli delle FDLR. L’attacco operato dalle FDLR è stata una risposta contro le FARDC che avevano preso in ostaggio otto loro familiari in occasione degli ultimi combattimenti. I familiari delle FDLR erano stati consegnati alla Monuc che, a sua volta, li aveva consegnati all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in vista del loro rimpatrio.
I ribelli hutu ruandesi delle FDLR sono ancora attivi sugli altopiani di Uvira (Sud Kivu). Si registrano ancora degli attacchi contro gli abitanti del posto e i loro beni, soprattutto nelle località in cui le FARDC sono assenti.
Il 22 febbraio, un veicolo dell’organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM) è stato attaccato sul ponte Kigulube, al limite tra il territorio di Nindja – Kabare e il territorio di Shabunda. Il bilancio è stato di 3 persone uccise (1 civile e 2 militari) e 5 feriti, fra cui un agente della polizia. Secondo le testimonianze raccolte presso i superstiti, alcuni militari si sono avvicinati al luogo, hanno sparato a bruciapelo, uccidendo un noto operatore economico della regione e hanno ferito altre 5 persone che si trovavano nel veicolo. Un poliziotto a bordo del veicolo ha estratto la sua pistola e ha sparato su due militari assalitori che sono morti sul momento. I superstiti identificano i due militari uccisi come elementi FARDC che, impegnati nell’operazione Amani Léo, tentavano di svaligiare e saccheggiare il veicolo.
Il 22 febbraio, il presidente del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), Philippe Gafishi, ha affermato a Goma (Nord Kivu) che la mancanza di rappresentanti di questo partito nel governo recentemente rimaneggiato dal Capo dello Stato costituisce una violazione degli accordi di pace firmati il 23 marzo 2009 a Goma stesso, dal governo e l’ex-movimento armato. Il CNDP ritiene che la sua partecipazione alle istituzioni del paese sia uno dei punti di questi accordi. Il vice segretario esecutivo dell’AMP (Alleanza della maggioranza presidenziale), Koyagialo Gbase te Gerengbo, ha dichiarato che “bisogna passare attraverso le elezioni. Il CNDP può prepararsi alle elezioni del 2011 e prendere il potere mediante le urne, invece di tentare di farlo attraverso le armi”. Secondo alcuni osservatori, malgrado la non partecipazione al governo centrale, il CNDP ha tuttavia ottenuto:
– Il controllo militare del Nord-Kivu, del Sud – Kivu e della Provincia Orientale.
– La sua entrata nel Governo Provinciale del Nord-Kivu
– L’apertura delle frontiere congolesi ai suoi alleati militari ruandesi e ugandesi che attualmente entrano in R.D.Congo a tempo e a contrattempo, fino ad occupare varie località del Kivu (Kamango, Lulimbi) e della Provincia Orientale (Boga),
– L’accordo per il ritorno ufficiale dei famosi rifugiati congolesi dal Ruanda e dall’Uganda.
Il 24 febbraio, i villaggi Kabushwa, Chibimbi e Chigoma del raggruppamento di Katana, in territorio di Kabare, a più di 60 chilometri a nord di Bukavu (Sud Kivu), sono stati successivamente attaccati nella notte da uomini armati e in uniforme militare non identificati. Bilancio: una persona uccisa, due ferite e dei furti. Gli abitanti sospettano i militari dell’operazione “Amani Léo” membri del 33 settore come autori di questi atti.
Il 24 febbraio, il Centro di controllo degli spostamenti interni (IDMC) della popolazione ha affermato, in un rapporto, che migliaia di persone fuggite a causa del conflitto dei Kivu, nell’est del RDCongo, sono oggi rientrati nei loro villaggi, ma non hanno la vita facile.
Il rapporto rivela che “il ritorno non sempre è stato duraturo, perché ciò che ha spinto le persone a ritornare è la diminuzione delle razioni alimentari distribuite nei campi [degli sfollati interni] e l’arrivo della stagione delle semine, piuttosto che un miglioramento della sicurezza. Ritornando ai loro villaggi, molte persone hanno trovato le loro terre occupate da altri, mentre nuovi scontri nelle zone di ritorno hanno costretto gli abitanti a fuggire di nuovo poco dopo il loro ritorno. La grande maggioranza delle persone sfollate interne e delle persone ritornate non hanno accesso ai centri di sanità e alle scuole e non dispongono di acqua potabile, sementi, attrezzi o materiali di costruzione”. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), il Nord e il Sud Kivu registrano ancora 1,36 milioni di sfollati.
Il 27 febbraio, nove ribelli FDLR, fra cui un capitano, sono stati uccisi nella notte durante le operazioni condotte contro le FDLR dalle FARDC nella località di Ngenge, nella zona di Kimua, in territorio di Walikale. Altre operazioni sono state condotte simultaneamente nel settore di Vurondo, in territorio di Lubero. Sono stati catturati una decina di elementi Maï-Maï del generale Lafontaine.
Il 28 febbraio, il generale Maï-Maï Kakule Sikuli, conosciuto con il nome di Lafontaine e comandante del gruppo Pareco-Fap, si è arreso alle Forze armate della RDCongo, le FARDC e ha deciso di integrare l’esercito regolare. Rimaste ancora nella foresta, le sue truppe seguiranno in seguito.
L’1 marzo, Human Rights Watch (HRW) e una cinquantina di ONG congolesi chiedono la sospensione del tenente-colonnello Innocent Zimurinda, ufficiale delle FARDC e l’apertura di un’inchiesta giudiziaria nei suoi confronti. L’accusano di numerose violazioni dei diritti dell’uomo commesse nell’est della RDCongo sin dal 2007, fra cui:
• il massacro di 129 profughi ruandesi a Shalio, a Masisi, nel 2009,
• quello di Kiwanja nel novembre 2008,
• e quello di Bohamba a Rusthuru.
Sembra che a Goma la guerra sia finita, che la capitale del Nord Kivu sia entrata oramai in un periodo qualificato come di “post conflitto”. E’ ciò che le autorità della provincia, civili e militari, non cessano di ripetere. Tuttavia, nel campo profughi di Mugunga, Jacques Kayumba, originario del nord della provincia, non esita a contraddire questa verità ufficiale: mentre stava preparandosi per ritornare al suo villaggio di Mukana, gli sono giunti alcuni messaggi: “se ritornate, sarete uccisi….”. Da allora, questo agricoltore, un Hutu congolese, ha appreso che le sue terre sono occupate da altri, da membri della sua stessa famiglia che gli portavano invidia e da allevatori desiderosi di estendere i loro pascoli…
Anche se ufficialmente dichiarata finita, nel Kivu la guerra non si è ancora conclusa: nella regione si è installata una vera economia di crisi e troppi sono gli interessi in gioco che ostacolano una rapida normalizzazione.
Il prezzo dei terreni edificabili è passato da 2500 a 50.000 e addirittura a 150.000 dollari e di numerose ville con bella vista sono occupate dalle grandi ONG locali e dagli uffici dell’ONU. “Il circuito è ben rodato” ci spiego Hakiza: “nel caso dell’aiuto di emergenza, i cui bilanci non sono controllati, il 30% degli importi sono trattenuti alla fonte per spese di gestione e rimunerazioni. Quando si concede un appalto a delle ONG locali, queste trattengono un altro 20% supplementare. Il sistema agisce come un imbuto in cui solo alcune gocce finiscono ai veri destinatari… “.
Numerosi sono i congolesi che beneficiano del circuito della crisi: deputati dell’assemblea provinciale, addirittura ministri, alleati di Kinshasa e soprattutto alti graduati dell’esercito si sono fatti costruire delle ville hollywoodiane lungo il lago e questi hotel di lusso, questi guest house, queste comode case accolgono gli espatriati delle agenzie internazionali pronte a pagare affitti esorbitanti. E’ proprio in riva al lago che i principali ufficiali delle operazioni militari Umoja Wetu (la nostra unione), Kymia II (tranquillità II) e Amani Léo (La pace subito) hanno investito una parte dei salati destinati ai loro militari. Questo denaro che sfugge ad ogni controllo alimenta il boom dell’immobiliare, permette la moltiplicazione degli hotel, dei negozi di alimentazione o dell’abbigliamento usato, rende frenetica l’atmosfera di Goma, dove i tshukudus, le bici di legno, sono praticamente scomparsi a vantaggio dei taxi-moto e delle auto di ogni calibro…
Inoltre, è verso il Ruanda, sempre ostile ad ogni forma di negoziato con le FDLR, che si dirigono le esportazioni dei minerali, mentre il makala (carbone), che contribuisce a disboscare il parco dei Virunga, si vende dall’altro lato della frontiera, da quando il presidente Kagame ha vietato di tagliare gli alberi sul territorio ruandese… “Perché vorreste allora che la guerra finisca?”.
I minerali del sangue
Il 9 febbraio, rivolgendosi a tutte le autorità del suo paese, particolarmente ai sindaci, governatori, autorità territoriali, ministro delle Finanze, ministro dell’agricoltura, Paul Kagame, presidente del Ruanda, ha chiesto loro “di facilitare il flusso dei movimenti delle persone e dei beni alla frontiera con la RDCongo ” e, in modo particolare, di ridurre le restrizioni per accordare il visa a tutte le persone che desiderano entrare in Ruanda per esercitarvi un’attività commerciale. “Se i commercianti del Kivu portano denaro e minerali, non c’è nessuna ragione per rifiutare”, ha egli detto. Istruzioni formali sono state date al ministro delle Finanze e al ministro dell’Agricoltura e Infrastrutture per facilitate le attività commerciali tra i due Paesi. Secondo informazioni concordanti provenienti da Kigali, questa dichiarazione è consecutiva all’apertura di una “borsa delle materie prime” proprio a Kigali stesso.
La dichiarazione ha sorpreso numerosi osservatori. Dopo questa decisione di Kigali, le FDLR potrebbero vendere ormai “ufficialmente” in Rwanda quei minerali che esse sfruttano illegalmente in RDC. La seconda sorpresa è che, non essendo il Ruanda un Paese produttore di materie prime, quale motivo e quale obiettivo hanno spinto il Ruanda ad installare una “borsa delle materie prime” a Kigali? Per comprendere i fatti, è importante notare che dal 2008, il Ruanda dovrebbe diventare “una zona franca”, un tipo di “Svizzera dell’Africa”, dove potrebbero installarsi parecchie banche, per permettere delle transazioni bancarie tra Africa e il resto del mondo. Per questo, il Ruanda deve presentare una buona immagine di se stesso, diversa da quella di uno “Stato bellicoso”, deve dimostrare di essere uno Stato “stabile, sicuro”, capace di attirare gli investitori del settore bancario.
La decisione del presidente ruandese è stata resa pubblica a poche settimane dal prossimo vertice dei Capi di Stato e di Governo della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) in cui di dovranno prendere delle decisioni importanti sul processo di autenticazione delle risorse naturali, cioè dei “minerali del sangue”. Allusione fatta al coltan, cassiterite, oro e presto il nickel. Secondo le statistiche, il Ruanda avrebbe esportato il quintuplo della cassiterite prodotta localmente.
Del resto, appare chiaramente anche che i gruppi armati del Kivu e dell’Ituri, compreso le FDLR, hanno sostenuto le trafile ruandesi e ugandesi dell’esportazione fraudolenta dell’oro, della cassiterite e del coltan. Spetta dunque al governo di Kinshasa di essere vigilante nei confronti di questo atteggiamento di Kigali e di Kampala. Se si sta tentando semplicemente di “ufficializzare lo sfruttamento illegale dei minerali della RDC”, allora diventa necessario denunciare tale manovra maliziosa.
Il 15 febbraio, in una dichiarazione fatta a Barcellona (Spagna) in occasione dell’apertura del congresso mondiale della telefonia, l’ONG britannica Global Witness ha affermato che è lo sfruttamento illegale e illecito dei minerali provenienti dall’est della RDC e utilizzati nella fabbricazione dei telefoni mobili, dei computer e di altri apparecchi elettronici che finanzia i conflitti in questa parte del territorio congolese.
Lo stagno, il tantalio e altri minerali sfruttati illegalmente nell’est della RDCongo sono la causa dei conflitti che hanno occasionato milioni di morti in questa parte del territorio congolese, stima Global Witness. Del resto, anche le Nazioni Unite hanno pubblicato in passato una serie di rapporti sul legame tra i minerali del sangue e la persistenza dei conflitti nell’est della RDC, ricorda l’organizzazione. E’ dunque tempo, raccomanda Global Witness, che le imprese del settore dell’elettronica, consumatrici di questi minerali, tengano conto di questa situazione ed eliminino dalle loro importazioni questi minerali di cui la vendita può contribuire a finanziare dei gruppi armati. Tali imprese dovranno adottare un sistema di tracciabilità dell’origine dei metalli che utilizzano nelle fabbricazioni dei loro apparecchi, per eliminare della catena di approvvigionamento i minerali del sangue e isolare così i gruppi armati, autori di atrocità commesse contro le popolazioni civili dell’est della RDC.
L’obiettivo del prossimo vertice regionale dei Capi di Stato e di Governo dei paesi membri della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) è quello di prendere le disposizioni necessarie per frenare lo sfruttamento illegale e criminale dei minerali e controllare la trafila della loro esportazione. Questa preoccupazione è n sintonia con lo spirito e la lettera del “Patto sulla sicurezza, la stabilità e lo sviluppo nella regione dei Grandi Laghi”, firmato il 15 dicembre 2006 a Nairobi e, in modo particolare, con l’articolo 9 di tale Patto, relativo al “Protocollo per la lotta contro lo sfruttamento illegale delle risorse naturali”: “Conformemente al Protocollo per la lotta contro lo sfruttamento illegale delle risorse naturali, gli Stati membri convengono di istituire delle regole e meccanismi regionali per lottare contro lo sfruttamento illegale delle risorse naturali che costituisce una violazione del diritto di sovranità permanente degli Stati sulle loro rispettive risorse naturali e che rappresenta una grave fonte di insicurezza, di instabilità, di tensione e di conflitti e in particolare decidono:
– di vegliare a che ogni attività relativa alle risorse naturali rispetti scrupolosamente la sovranità permanente di ogni Stato sulle sue risorse naturali e sia conforme alle legislazioni nazionali e ai principi di trasparenza, di responsabilità, di equità e di rispetto dell’ambiente naturale e delle popolazioni umane;
– di mettere fine, attraverso le vie giudiziarie nazionali e internazionali, all’impunità di cui godono le persone fisiche e morali implicate nello sfruttamento illegale delle risorse naturali;
– di istituire un meccanismo regionale di certificazione di origine, di valutazione e di controllo delle risorse naturali nella regione dei Grandi Laghi”.
La riunione prevista dovrà affrontare la questione di fondo: l’identificazione di tutte le persone, gli Stati, le società multinazionali o private che hanno partecipato allo sfruttamento illegale e criminale dei minerali di guerra, affinché siano giudicati da una Corte penale internazionale.
Per quanto riguarda il governo congolese, esso dovrà cominciare col rompere le catene dell’impunità e fare altrettanto nei confronti dei suoi cittadini.
La questione del ritorno dei rifugiati
L’arrivo forzato dei famosi rifugiati nei villaggi in cui non sono mai vissuti prima è preceduto da una recrudescenza dei massacri, degli incendi dei villaggi, dei saccheggi, degli stupri delle donne, delle distruzioni dei raccolti agricoli.
Per dare solamente alcuni esempi:
Il 13 febbraio, il villaggio di IVUNGU, situato a 41 km all’ovest della città di Lubero è stato sistematicamente saccheggiato da uomini pesantemente armati. Al loro passaggio, hanno rubato tutto: animali, capre, pecore, galline e vari altri beni di grande valore. Per il trasporto di questi beni spogliati, i clandestini armati hanno sequestrato 15 persone.
Il 16 febbraio, la località di TODA, a 9 km a Nord-Est della città di Beni, è stata saccheggiata da uomini in armi. Non è stata risparmiata nemmeno la chiesa Cattolica del villaggio.
Il 17 febbraio, uomini armati di fucili e di machete hanno barricato la strada Butembo-Manguredjipa a 40 km ad ovest della città di Butembo. Tutti i passeggeri incappati in questo agguato sono stati sistematicamente saccheggiati di tutte le loro merci, incluso quelle minerarie.
Vari osservatori temono che le Fardc-ruandesi possano arrivare ad uccidere alcuni loro compatrioti, per provocare un casus belli che giustifichi il genocidio o i massacri finora commessi sui congolesi.
Il 16 e 17 febbraio, si è tenuta a Kigali la prima riunione della Commissione composta da rappresentanti del Ruanda, della RDCongo e della Commissione delle Nazione-Unite per i rifugiati in vista di accordi relativi al rimpatrio volontario dei rifugiati congolesi che vivono in Ruanda e dei rifugiati ruandesi che vivono in RDCongo.
Le tre delegazioni hanno, fra l’altro, convenuto ciò che segue:
1. il rafforzamento delle campagne di sensibilizzazione rivolte ai rifugiati ruandesi in RDCongo per promuovere il loro rimpatrio volontario;
2. il delineamento del profilo dei rifugiati congolesi in Rwanda e la raccolta di informazioni sui luoghi di origine, di ultima residenza e di ritorno;
3. il delineamento del profilo dei “recycleurs” (pendolari?), per potere determinare le ragioni dei loro spostamenti irregolari;
4. la tenuta di una riunione della commissione tripartitica nel mese di maggio 2010 in RDCongo, in vista delle modalità pratiche del rimpatrio volontario dei rifugiati dei due paesi;
Secondo il HCR, circa 53.000 rifugiati congolesi vivono in Ruanda.
L’organizzazione non ha fornito la cifra dei rifugiati ruandesi in RDCongo, perché “non vivono in campi” ma “nella foresta”, ha spiegato un portavoce del HCR in RDC. Kigali stima a più di 20.000 i ruandesi si rifugiati in RDC. Secondo fonti prossime al governatore della provincia del Nord-Kivu (nell’Est del Paese, alla frontiera con il Ruanda), sarebbero più di 76.000. Altre fonti parlano di circa 89.000 rifugiati ruandesi in RDCongo.
Il 19 febbraio, durante una conferenza stampa, il governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, ha spiegato che, a proposito dei rifugiati congolesi che vivono sul suolo ruandese, la commissione ha dibattuto a lungo sui seguenti punti:
• le questioni relative alle cifre;
• le regioni d’origine;
• la logistica del ritorno dei rifugiati.
Il governatore Paluku ha affermato che in Rwanda ci sono 53 632 rifugiati congolesi raggruppati in circa 10 000 famiglie. Vivono in 3 campi. Durante il dibattito, vari leader di opinione hanno sollevato alcune osservazioni, fra cui:
• la problematica della gestione degli spazi nelle regioni di origine
• il ritorno clandestino di certi profughi
• altre preoccupazioni della comunità.
Il Governatore Julien Paluku ha precisato che tra le condizioni preliminari, i rifugiati che ritorneranno, devono essere debitamente registrati dall’Alto Commissariato per i Rifugiati (HCR) e le liste di registrazione devono essere confermate dalle Autorità congolesi attraverso i Capi Tradizionali. Prima di ogni rimpatrio, ci si deve rassicurare dell’identità dei rifugiati congolesi che desiderano ritornare e delle loro zone di origine, di partenza e di ritorno. Un’altra precisione fatta dal Governatore è che il Hcr non può permettersi di definire le zone di ritorno e che appartiene dunque al Governo congolese farlo. Sono dei rifugiati congolesi che ritornano e non dei ruandesi che arrivano. Una cosa importante da tenere in conto è che tutti questi rifugiati non sono solo delle province del Nord e del Sud Kivu, ma sono compresi anche quelli originari di altre province della Rdcongo. Si auspica che questi rifugiati non siano condotti in campi profughi allestiti secondo concertazioni, ma nei loro veri villaggi di origine e che non abbiano seconde intenzioni. I capi tradizionali del Nord e Sud Kivu hanno espresso il loro desiderio di essere associati a tutte le tappe di questo processo fino alla sua conclusione. Secondo i partecipanti, il governo dovrà gestire la questione dei rifugiati con molta prudenza.
Il 19 febbraio, Refugees International afferma, in un comunicato, che il problema dello statuto delle persone ritornate deve essere ancora risolto, dato che vari sono ruandesi. Sono necessari dei meccanismi di controllo per regolare i futuri movimenti di popolazione. Refugees International ha affermato che la popolazione locale ha parlato di una zona all’interno del parco nazionale dei Virunga, chiamata la “Collina Banyarwanda” (“la collina di quelli che vengono dal Ruanda”), in cui si suppone non dovrebbero esserci. Un altro grande gruppo di Ruandesi recentemente arrivati si è stabilito illegalmente a Bwiza, in un sito allestito all’interno del parco nazionale. A Matanda, dei pastori armati avrebbero occupato delle terre con la forza. Queste tensioni sono notate soprattutto nelle zone controllate dal CNDP, ex gruppo ribelle che protegge chiaramente questi ruandesi.
L’afflusso di clandestini armati
Informazioni provenienti dai due territori di Beni e di Lubero riferiscono di un afflusso di clandestini armati, fra cui alcuni portano già l’uniforme dell’esercito congolese. Uccidono tutti coloro che oppongono una resistenza, riducono in schiavitù il resto della popolazione congolese locale. Ciò che è scandaloso è che i discorsi ufficiali del governo di Kinshasa e della Monuc non fanno menzione di questa nuova presenza militare che minaccia seriamente l’integrità del territorio nazionale congolese.
Al Nord e al Nord-est di Beni-Lubero, più precisamente nelle località di Biakato, Kisiki, Kainama, Eringeti e Kamango, varie fonti concordanti constatano un afflusso quotidiano di uomini fortemente armati provenienti dall’Uganda, via Boga e Tundu in Ituri. A Kamango, gli occupanti occupano delle case abbandonate dagli sfollati congolesi o si impossessano dei campi che li interessano.
All’ovest di Beni-Lubero, particolarmente nella località mineraria di Bandulu, dei clandestini che provengono dal Ruanda ma che si presentano come militari delle Fardc si dedicano allo sfruttamento dell’oro, del coltan e della cassiterite.
Il 13 febbraio, dei ribelli non diversamente identificati hanno ricominciato ad attaccare la regione di Boga, in Ituri. Sono stati attaccati 8 villaggi, 108 case saccheggiate e bruciate e il numero di morti è molto elevato. Parecchi giovani sono stati catturati e sequestrati e 56 bambini sono stati ritrovati completamente nudi, essendo stati derubati dei loro vestiti dagli assalitori”.
I clandestini armati provenienti dal Ruanda e dall’Uganda non sono dei rifugiati congolesi che ritornano dal Ruanda e dall’Uganda, ma degli occupanti che si preparano a colonizzare la regione al servizio di multinazionali.
Per fare fallire questa ultima invasione del Congo, le autorità locali dovrebbero concertarsi con i capi tradizionali, i responsabili delle confessioni religiose, la società civile, i deputati provinciali che non hanno ancora venduto la loro anima al diavolo, per organizzare una tavola rotonda per salvare il paese dall’invasione in corso. I parlamentari e senatori dovrebbero trovare in questa causa di pubblico interesse la materia per formulare una mozione urgente di informazione o, addirittura, di sfiducia nei confronti del Governo.
Dopo i “rifugiati”, la Commissione dell’Onu per i rifugiati (HCR) vuole reinstallare anche gli “Ex combattenti”. La grande incognita in tutto questo è il contenuto che il HCR dà ai termini “rifugiati” e “Ex combattenti”. Se fra gli ex combattenti si includono anche i Maï Maï, essi sono del posto, conoscono i loro villaggi e i loro familiari e non hanno bisogno di essere “reinstallati”.
La maggior parte delle zone dette di ritorno sono già sovrappopolate, a tal punto che i loro abitanti già si battono tra loro per la terra coltivabile. Che accadrà dopo l’arrivo di altre persone in questi villaggi?
Le mappe del HCR in vista della reinstallazione suscitano vari interrogativi, tanto più che quasi tutti i villaggi identificati come zone di ritorno o di reinstallazione sono quelli che sono già occupati o regolarmente attaccati dai clandestini armati (Kamango, Vurondo, Muhangi, ecc.) o quelli i cui i capi tradizionali e la cui popolazione civile sono stati assassinati da uomini armti e in uniforme militare (Katanda-Isale, Kyondo, Masereka, Kipese, Miriki, eccetera). Gli attacchi contro la popolazione congolese che vive nelle zone cosiddette di ritorno o di reinstallazione sono un segno premonitore di un arrivo violento di coloro che il HCR chiama “rifugiati” e “ex-combattenti”.
L’operazione militare Amani Leo
Il 10 febbraio, la forza dell’ONU in RDCongo (Monuc) ha condizionato il suo sostegno all’esercito di Kinshasa nella nuova operazione militare, la Amani Leo, contro i ribelli hutu delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (FDLR), al ritiro di alcuni ufficiali congolesi sospettati di violazioni dei diritti dell’uomo. La richiesta della Monuc riguarda particolarmente tre comandanti delle FARDC. La Monuc ha affermato di non potere “collaborare con” questi ufficiali, nel corso dell’operazione “Amani Léo” che avrebbe dovuto cominciare inizio gennaio. Il portavoce militare della Monuc, il tenente-colonnello Jean-Paul Dietrich, ha spiegato che, “in questa nuova operazione, l’appoggio alle FARDC è legato a certe condizioni. Si devono identificare i battaglioni e i comandanti (FARDC) implicati, ci deve essere una pianificazione congiunta tra le FARDC e la Monuc e un ordine congiunto firmato dalle due parti. Infine, sono le istanze civili e militari della Monuc che devono approvare il sostegno alle FARDC”. Nel nuovo mandato della Monuc, rinnovato alla fine del 2009 fino al 31 maggio prossimo, il Consiglio di sicurezza aveva precisato che il sostegno alle operazioni delle FARDC doveva essere “rigorosamente condizionato al rispetto del diritto umanitario internazionale e dei diritti dell’uomo”.
Il 17 febbraio, in occasione di una conferenza stampa, il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha smentito che la Missione dell’ONU in RDCongo (Monuc) abbia condizionato il suo sostegno all’esercito nella nuova operazione militare contro i ribelli hutu, Amani leo, al ritiro di certi ufficiali congolesi sospettati di violazioni dei diritti dell’uomo. Mende ha annunciato l’apertura di un’inchiesta “per identificare le persone, congolesi o straniere, autrici di tali elucubrazioni, affinché ne rispondono davanti alla giustizia”. Anche la Monuc ha affermato di non avere mai inoltrato una simile richiesta”.
Il 26 febbraio, è iniziata l’operazione “Amani Léo” (la pace adesso, in swahili) contro i ribelli hutu delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR). Annunciata fine gennaio, è condotta intorno a Kimwa e Kinge, nella regione al sud di Kashebere, nella provincia del Nord-Kivu. “È un’operazione che è stata pianificata congiuntamente dalla Monuc e dalle FARDC, le Forze Armate della RDC”, ha affermato a Kinshasa il portavoce della Missione dell’ONU in RDC (Monuc), Madnodje Mounoubai. “Amani Léo” si svolge anche nel Sud-Kivu, sugli altopiani della regione di Uvira, non lontano dal Lago Tanganyika che separa la RDCongo dal Burundi. Secondo una fonte militare occidentale, l’operazione riguarda una cinquantina di bersagli, particolarmente dei posti di comando e delle zone minerarie dei FDLR. L’operazione comporta tre fasi: “pulire, tenere e costruire” e il suo obiettivo principale sarebbe la protezione dei civili.
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“La pace sarà suggellata con inni mai sentiti
Terra e cielo riconciliati
Perché ogni crepuscolo ha la promessa di un’alba
Ogni diluvio ha il suo ramoscello d’ulivo
Ed il suo arcobaleno
Nuova era di fratellanza
Arcobaleno del Sudafrica dai mille colori”
(Abdoulaye Diawara)
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