SOMMARIO
EDITORIALE
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
1. ASSASSINATO FLORIBERT CHEBEYA, DIFENSORE DEI DIRITTI UMANI
– Le prime versioni
– Le reazioni
– L’inchiesta
– Possibili moventi
– Verso le esequie
REPUBBLICA DEL RWANDA
1. L’ARRESTO DI PETER ERLINDER
EDITORIALE
Due avvenimenti hanno attratto l’attenzione dei media in queste ultime settimane: l’assassinio di Floribert Chebeya, un attivista per la difesa dei diritti umani, il 1° giugno a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo – RDCongo) e l’arresto di Peter Erlinder, un avvocato americano difensore nel processo contro Victoire Ingabire, membro dell’opposizione, il 28 maggio a Kigali (Repubblica del Rwanda).
Entrambi i casi sono successi alla vigilia di due importanti scadenze: l’assassinio di Chebeya è avvenuto alla vigilia delle celebrazioni del 50° anniversario dell’indipendenza della RDCongo, il 30 giugno e l’arresto di Erlinder, alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali in Rwanda, il 10 agosto.
Appassionati difensori dei diritti dell’uomo e della verità, entrambi erano a conoscenza di questioni estremamente sensibili nella regione dei Grandi Laghi: violazioni dei diritti umani, repressioni, accordi militari e politici, guerra e genocidio, processi giudiziari.
Assassinando il primo e arrestando il secondo, il potere ha voluto e cercato di impedire loro di rendere pubbliche certe rivelazioni troppo imbarazzanti e compromettenti, ma invano, perché i loro nomi, le loro idee, le loro convinzioni e le loro attività sono state riportate alla ribalta da molte istituzioni politiche, ong e mezzi di comunicazione, sia a livello nazionale che internazionale.
In entrambi i casi, il potere ha manifestato la sua vigliaccheria, la sua menzogna e le sue contraddizioni: per deviare le inchieste su un evidente massacro, il potere ha cercato di presentarlo come un crimine passionale e per discreditare l’immagine di una persona scomoda, il potere non esita a presentarla all’opinione pubblica come una persona depressa che tenta il suicidio. In realtà, sono solo scorciatoie che contribuiscono a far cadere la maschera e a rivelare la vera natura di certe frange del potere, quella della dittatura e della violenza.
Anche se casuale, la vicinanza delle date, il 28 maggio e il 1° giugno, può rivelare l’esistenza di un piano eversivo comune di destabilizzazione della RDCongo e il Rwanda, in particolare e dell’intera regione dei Grandi Laghi, in generale. Floribert Chebeya e Peter Erlinder stavano probabilmente individuandone gli ideatori, i pianificatori e gli esecutori.
Per fare memoria di Floribert Chebeya e manifestare solidarietà a Victoire Ingabire e Peter Erlinder, non resta che continuare la loro lotta e ripercorrere il loro proprio cammino, quello di esigere la verità e la giustizia, denunciando con coraggio la menzogna, gli intrighi di potere, la lunga serie di soprusi e violazioni dei diritti umani. Solo la verità e la giustizia possono mettere fine a quel sistema di impunità di cui approfittano i signori della guerra e i dittatori per coprire i loro crimini di guerra e contro l’umanità. Solo la verità e la giustizia possono riportare la pace e la riconciliazione e ripristinare lo Stato di diritto e la democrazia.
Nelle ultime ore è stata diffusa la notizia della liberazione di Peter Erlinder, ufficialmente per “motivi di salute”. Tale motivazione pone di manifesto la più totale inconsistenza e arroganza delle dichiarazioni della ministro rwandese degli Affari Esteri, rilasciate in occasione di una precedente decisione di non concedere la liberazione richiesta da più istanze. Il ministro si era così espresso: “Il governo rwandese non ha nessun interesse per il deterioramento della salute di Peter Erlinder… Egli usufruirà di ogni tipo di assistenza medica… La sua famiglia può essere sicura che egli è detenuto in condizioni umane e sicure…”. In realtà, la motivazione cela l’inconsistenza delle accuse formulate contro Erlinder e la capitolazione del regime rwandese di fronte all’intensa ed unanime pressione della Comunità Internazionale. Il rilascio di Erlinder dimostra che la pressione può mettere in ginocchio anche la dittatura più severa. Occorre ora continuare la pressione, affinché anche Victoire Ingabire, accusata di negazionismo, divisionismo e collaborazione con un’organizzazione terrorista e sottoposta, quindi, a un regime di libertà vigilata, possa riacquistare la sua piena libertà. La stessa pressione va esercitata sul governo congolese, affinché possa accettare l’apertura di un’inchiesta internazionale e indipendente sull’asassinio di Floribert Chebeya, con la partecipazione di giuristi stranieri e di membri della società civile congolese.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
1. ASSASSINATO FLORIBERT CHEBEYA, DIFENSORE DEI DIRITTI DELL’UOMO
Il 2 giugno, Floribert Chebeya Bahizire, 47 anni, uno dei militanti dei diritti umani più rispettati in RDCongo, presidente dell’ONG congolese dei diritti dell’uomo “la Voce dei Senza-Voce” (VSV), è stato ritrovato morto nella sua auto, alla periferia di Kinshasa.
Le prime versioni
Il venerdì 28 maggio, secondo l’organizzazione “la Voce dei Senza-Voce”, “un denominato Michel, non diversamente identificato e presentandosi come un inviato dell’ispezione generale della polizia”, si era recato presso la sede di VSV per consegnare a Chebeya un documento che attestava la ricevuta di una lettera dell’ONG stessa, in cui si chiedeva all’ispezione il “suo intervento per l’umanizzazione delle condizioni carcerarie” in RDCongo. In assenza del responsabile, il visitatore è ripartito, ma Chebeya gli ha telefonato per farlo ritornare e consegnare la posta ad un altro membro della VSV, ciò che è stato fatto.
Il lunedì 31 maggio, Floribert Chebeya aveva ricevuto una convocazione in cui gli si chiedeva di recarsi all’ispezione generale della polizia per incontrare il generale Numbi, ispettore generale della polizia congolese.
Il martedì 1 giugno, verso le 17h, egli si reca all’ispezione generale della polizia (IGP). Parla al telefono con la moglie e le dice che l’appuntamento è fissato per le 17h30. Un poco più tardi, inquieta, la moglie gli manda un messaggio per sapere se è stato ricevuto. Floribert le risponde che non ha potuto incontrare l’ispettore generale e che ha deciso di recarsi all’UPN, l’università pedagogica nazionale. Intervistata da Okapi, la radio dell’ONU, la moglie afferma: “So che mio marito non agisce così e che non aveva programmato di recarsi all’UPN”. A partire dalle 21h00 del martedì 1 giugno, Floribert Chebeya e il suo autista non rispondono più sui loro cellulari.
Il mercoledì 2 giugno, fine mattinata, la polizia ritrova il corpo di Floribert Chebeya senza vita, nella sua auto e lo trasporta all’obitorio verso le 12h30.
Il generale Jean de Dieu Oleko, ispettore provinciale della polizia per la città di Kinshasa, dichiara che Floribert Chebeya, è stato ritrovato “senza vita, allungato sul sedile posteriore della sua auto, apparentemente senza traccia visibile di violenza”. Anche Fidèle Bazana, membro di VSV, l’autista che conduceva l’auto di Chebeya, non è ancora stato ritrovato, ha aggiunto l’ispettore di polizia. Secondo una versione posteriore della polizia, Floribert Chebeya era stato ritrovato con le mani legate dietro la schiena, i pantaloni e gli indumenti intimi abbassati sulle ginocchia. Sempre secondo la versione della polizia, accanto a lui c’erano una scatola di stimolanti afrodisiaci, dei frammenti di unghie femminili, una ciocca di capelli e dei preservativi.
Per le associazioni congolesi e internazionali per la difesa dei diritti dell’uomo, questa morte è perlomeno sospetta, soprattutto quando si sa che Floribert Chebeya si sentiva minacciato.
Sin dal primo momento, vari difensori dei diritti dell’uomo notano che, dal luogo della scomparsa a quello della scoperta del corpo, il legame è la polizia. E’ per questo che sospettano che essa sia implicata nella morte di Floribert Chebeya”.
Il giovedì 3 giugno, dopo un primo rifiuto, due membri della famiglia di Floribert Chebeya, tre responsabili dell’Onu e due membri di VSV hanno finalmente potuto vedere il suo corpo depositato presso l’obitorio principale di Kinshasa. Tuttavia, hanno potuto vedere solo il viso, essendo il resto del cadavere coperto da un lenzuolo che si è vietato loro di sollevare. Dolly Ibefo, vice direttore esecutivo della Voce dei Senza Voce, ha indicato che “sulla bocca, nelle narici e negli orecchi del defunto c’era del sangue. Il collo era leggermente gonfio e si notava un bernoccolo sotto l’occhio destro”. La famiglia e i colleghi aspettano ormai l’autopsia. Contrariamente alla versione dei fatti riportata dalla polizia, il corpo di Floribert Chebeya mostrerebbe, in realtà, dei segni di violenza che sembrano indicare che è stato vittima di un assassinio.
Le reazioni
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon ha chiesto al governo congolese di aprire un’inchiesta approfondita, trasparente e indipendente sulla morte di Floribert Chebeya e ha proposto anche l’aiuto della Missione delle Nazioni Unite per condurre tali investigazioni, se le autorità congolesi ne fanno richiesta.
Nel suo discorso al consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu a Ginevra, Philip Alston, relatore speciale dell’Onu sulle esecuzioni extragiudiziali, non ha esitato ad affermare che le circostanze in cui Floribert Chebeya è stato ucciso lasciano pensare ad una responsabilità ufficiale. “La partecipazione” delle autorità congolesi nell’assassinio di Floribert Chebeya, appare “verosimile”, ha stimato Philip Alston.
L’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito, il Belgio, la Svizzera e numerose ONG, fra cui Human Rights Watch, Global Witness, Amnesty International, Protection International, la Rete delle ONG europee per l’Africa Centrale-Eurac e molte altre hanno richiesto alle autorità congolesi una “inchiesta internazionale e indipendente”, “imparziale e trasparente”.
L’inchiesta
Secondo le prime dichiarazioni di Christophe Mukalay Mulongo, consigliere di John Numbi, Floribert Chebeya non ha potuto incontrare John Numbi. La “sua agenda di impegni è molto piena”, egli spiega, assicurando che “Floribert Chebeya non è stato ricevuto dall’ispettore generale della polizia, John Numbi. Il giorno in cui Chebeya è scomparso, il generale Numbi era in riunione col ministro degli Interni, fuori città, per preparare le manifestazioni del 30 giugno. Non ha dunque potuto riceverlo”. Inoltre, secondo Mukalay, Chebeya “non è mai stato convocato da Numbi”.
Il 5 giugno, l’inchiesta sull’assassinio di Floribert Chebeya si è accelerata. Vari agenti della polizia congolese sono stati interrogati nei locali del Consiglio Nazionale di Sicurezza. Alcuni avrebbero addirittura confessato l’omicidio di Floribert Chebeya. Secondo fonti della Sicurezza congolese, gli indiziati sono tutti ufficiali e agenti della direzione dei servizi di informazione e dei servizi speciali della polizia nazionale. Sarebbero sette, diretti dal colonnello Daniel Mukalayi. Secondo le stesse fonti della sicurezza, sono loro che avevano incontrato, mercoledì 2 giugno, l’attivista dei diritti dell’uomo, al suo arrivo all’ispezione generale della polizia.
Secondo alcuni interrogati, Floribert Chebeya era sospettato di condurre una campagna presso le ONG di difesa dei diritti dell’uomo per impedire la venuta del re del Belgio in RDCongo, in occasione del 50° anniversario dell’indipendenza. Le autorità volevano impedirgli di continuare la sua azione. Su richiesta della gerarchia della polizia, bisognava dissuaderlo, anche per mezzo di torture, ma è andata male. “Non c’era nessuna intenzione di ucciderlo”, avrebbe dichiarato il principale sospettato, il colonnello Daniel Mukalayi.
Ma secondo molti collaboratori di “La Voce dei Senza Voce”, questa tesi non terrebbe. Alcuni di loro affermano che Chebeya stava lavorando su dei dossier molto più sensibili, come i massacri perpetrati in Bas-Congo all’inizio del 2007 e una lunga serie di arresti arbitrari e di persone scomparse. Il nome del colonnello Mukalay apparirebbe parecchie volte nelle inchieste di Floribert Chebeya.
Il 6 giugno, in un messaggio letto alla televisione nazionale, il ministro degli Interni Adolphe Lumanu ha annunciato che “il consiglio superiore della difesa ha deciso la sospensione, a titolo conservatorio, dell’ispettore generale della polizia, John Numbi, affinché la giustizia congolese possa condurre un’inchiesta in tutta serenità” e ha aggiunto che “i primi elementi di inchiesta hanno portato all’interpellanza e all’arresto di certi ufficiali della polizia”, senza precisarne il numero.
Secondo una fonte dei servizi della sicurezza, il consiglio superiore della Difesa avrebbe sospeso il generale John Numbi, perché sospettato di essere implicato nell’omicidio. Secondo la stessa fonte, vari altri indiziati sarebbero stati arrestati. Secondo una fonte prossima alla presidenza, il colonnello Daniel Mukalay, capo dei servizi speciali della polizia, avrebbe confessato e messo in causa” il generale Numbi. Il colonnello Mukalay ha rivelato che lui non aveva nessuno interesse in questo affare, che egli non era che un esecutore e che l’altro (il generale Numbi, ndlr) voleva proteggersi contro la rivelazione di cose molto compromettenti”, ha aggiunto la fonte prossima alla presidenza, senza dare altre precisazioni.
Il vice ispettore divisionale, Charles Bisengimana, è stato designato ispettore generale della Polizia nazionale congolese ad interim.
La Rete nazionale delle ONG dei diritti dell’uomo in RDCongo (Renadhoc) si dichiara soddisfatta per la decisione del Consiglio superiore della difesa di sospendere, a titolo conservatorio, l’ispettore generale della Polizia nazionale, ma esige ancor più: che John Numbi sia piuttosto oggetto di un arresto preventivo e che il capo dello stato, Joseph Kabila, autorizzi immediatamente un’inchiesta internazionale sulla morte di Floribert Chebeya.
Il presidente dell’ONG Gli Amici di Nelson Mandela, Robert Ilunga Numbi, ha affermato che il ministro della Giustizia e Diritti umani, Luzolo Bambi, ha manifestato il suo accordo, affinché dei medici legali americani e olandesi siano coinvolti nel quadro di un’inchiesta internazionale indipendente. Tuttavia, Flory Kabange Numbi, procuratore generale della RDCongo, ha dichiarato: “non accetteremo un’inchiesta congiunta, poiché si tratta di un’inchiesta sovrana”.
Il 7 giugno, sotto pressione della comunità internazionale per condurre una “inchiesta indipendente”, il governo ha accettato la venuta di medici ed esperti legali dai Paesi Bassi, per partecipare all’autopsia del corpo di Chebeya.
Il ministro congolese degli Interni Adolphe Lumanu ha dato il suo accordo alla venuta di quattro periti olandesi, fra cui un medico legale e il suo assistente.
“Gli esperti olandesi, diretti dal Dr Franklin Van di Groot, arriveranno la sera del 10 giugno, per praticare l’autopsia nella giornata dell’11 giugno e ripartiranno in serata. Faranno dei prelievi, ma le analisi si svolgeranno in Olanda”, ha indicato una fonte dell’ambasciata dei Paesi Bassi.
Secondo una fonte del ministero dell’interno, gli Stati Uniti hanno sollecitato l’invio di periti della FBI, ma questa richiesta dovrà “essere esaminata” dalle autorità congolesi.
Jacob Balushi, presidente dell’osservatorio congolese dei diritti umani, ha richiesto “la creazione di una commissione di inchiesta mista per garantire “l’indipendenza, la trasparenza e l’imparzialità” delle investigazioni.
Il 10 giugno, circa la morte di Floribert Chebeya, il procuratore generale della Repubblica (PGR), Flory Kabange Numbi, attesta la tesi dell’omicidio, pur precisando che il caso di assassinio presuppone la premeditazione.
Jean-Claude Ndjakanyi, avvocato della Ong Voce dei Senza Voce a Bruxelles, afferma che “tutto indica che Floribert è caduto in una trappola accuratamente preparata. Era sorvegliato dai servizi speciali da alcune settimane ed è stato convocato nei locali del capo della polizia. Se il generale Numbi, come si è detto, non era nel suo ufficio il pomeriggio dell’1 giugno, perché i suoi servizi non hanno informato Floribert che l’appuntamento era annullato? Si è tentato di presentare il suo omicidio come un crimine passionale e il corpo del suo autista risulta ancora scomparso… Tutti questi indizi fanno pensare che l’assassinio è stato premeditato. La venuta in RDCongo degli esperti legali dei Paesi Bassi, per partecipare all’autopsia del corpo di Chebeya, è un primo passo in avanti, dal momento in cui nessun ospedale di Kinshasa è attrezzato per realizzare correttamente l’autopsia e fare i prelievi necessari. Tuttavia, i medici legali olandesi rischiano di lavorare sotto un’intensa pressione. Ho tentato di fare trasferire le spoglie in Olanda, ma invano. Nessuno sa, inoltre, in quali condizioni é stato conservato il corpo di Floribert. Nessuno ha avuto più accesso all’obitorio, sorvegliato dalla guardia presidenziale di Kabila.
L’11 giugno, dopo l’autopsia realizzata da un’equipe di medici legali congolesi e olandesi,, l’ambasciata dei Paesi Bassi in RDCongo afferma, in un comunicato, che “nessuna causa della morte non è ancora stata stabilita in modo certo. Pur non escludendo l’uso della violenza, l’autopsia non indica, finora, nessun segno di violenza eccessiva” sul corpo. L’equipe olandese era condotta dal dottore Frank van de Goot coadiuvato da un assistente e da un fotografo. La parte congolese era rappresentata dal dottore Tshomba Honda, Internista esperto medico-legale.
L’ambasciata olandese annuncia la continuazione di ricerche complementari approfondite in istituti dei Paesi Bassi. Si attende il rapporto finale sulle conclusioni dell’autopsia entro 3 o 5 settimane.
Il rapporto sarà dapprima comunicato al procuratore generale della Repubblica per le necessità dell’inchiesta. I risultati del rapporto saranno trasmessi alla famiglia del defunto alla fine delle investigazioni condotte dalla Procura della Repubblica.
“Siamo convinti e sicuri che l’inchiesta arriverà alla conclusione che Floribert Chebeya è stato torturato nei locali della polizia e ne è morto per le conseguenze”, ha affermato un portavoce delle ONG congolesi, André-Marie Kayembe.
Floribert Chebeya, considerato ormai dalle ONG locali per la difesa dei diritti dell’uomo come “un martire”, sarà inumato a Kinshasa, nel cimitero di Gombe, il 30 giugno, data della commemorazione del Cinquantenario dell’indipendenza dell’ex-Congo belga, ha aggiunto Kayembe.
Il capo della polizia di Kinshasa, Jean di Dieu Oleko, è stato posto in residenza vigilata per “avere alterato” le piste di ricerca all’inizio dell’inchiesta sulla morte di Floribert Chebeya. Il 2 giugno, il giorno in cui Chebeya era stato trovato morto nella sua auto, egli aveva dichiarato che la vittima era “apparentemente senza traccia visibile di violenza”. Ma i risultati preliminari dell’autopsia hanno indicato che, nella morte di Chebeya, l’uso della violenza non è escluso. Anche un militante dell’ONG la Voce dei Senza Voce (VSV) aveva potuto vedere il suo corpo depositato presso l’obitorio e aveva potuto constatare “sangue sulla bocca, nel naso e negli orecchi e un gonfiore a livello della fronte e del collo”.
Il 14 giugno, nel corso di una conferenza stampa presso il centro Matonge, situato nel Quartiere Matonge di Bruxelles, l’avvocato della VSV, Jean-Claude Ndjakanyi, ha affermato che Chebeya è stato attirato in un “trabocchetto” orchestrato dall’ispettore generale della Polizia nazionale John Numbi Banza Tambo. Chebeya è stato dunque ucciso all’interno dell’ispezione generale della polizia, per la semplice ragione che nessuno l’ha rivisto in vita dopo questo appuntamento.
Secondo alcune fonti nella capitale congolese, un misterioso ufficiale della polizia nazionale congolese, attivo in seno al dipartimento delle informazioni generali, ha mandato, per posta elettronica, un messaggio di “confessione” ad alcuni diplomatici residenti a Kinshasa. Secondo questo ufficiale non diversamente identificato, “il giorno dell’assassinio” erano presenti una decina di funzionari. Nel messaggio citato, egli scrive: “Abbiamo ricevuto una telefonata dell’ispettore generale della polizia nazionale congolese, John Numbi, che ha dato ordine al colonnello Mukalay di eliminare Chebeya Floribert. Per quanto riguarda l’autista, il suo corpo è stato gettato nel fiume verso Kinsuka”. Il misterioso ufficiale di polizia conclude: “Io, ho eseguito gli ordini dati dal mio capo, il colonnello Daniel e il colonnello Daniel ha ricevuto l’ordine dal capo dell’l’IG, John Numbi”.
Secondo alcuni osservatori, le perplessità aumentano se si dovesse constatare una relazione tra la chiamata di John Numbi al colonnello Daniel Mukalay e la presenza di John Numbi, in quello stesso giorno, presso la residenza presidenziale di Kingakati, in periferia di Kinshasa.
Possibili moventi
Alcune domande restano ancora senza risposte. Chi l’aveva convocato all’ufficio dell’ispettore generale (IG) della polizia nazionale? Chi è il funzionario di polizia che l’ha ricevuto quel martedì 1 giugno alle 16h30 all’IG? Chi era presente? Chi l’ha ucciso? Perché? Chi ha trasportato il suo corpo fino al quartiere di Mitendi? Chi ha depositato i preservativi, le ciocche di capelli, le unghie artificiali e il Viagra trovati nell’auto del defunto? Chi è l’agente di polizia che ha ritrovato il cadavere? In quali circostanze? Perché l’incarico di fare le prime indagini è stato confidato alla polizia e non ai magistrati istruttori del tribunale? Chi ha ordinato questo assassinio? Che fine ha fatto il corpo di Fidèle Bazana Edadi, autista e membro del “VSV” e ritenuto ancora scomparso?
Secondo certe dichiarazioni dei suoi collaboratori, negli ultimi giorni, nel quadro delle celebrazioni del cinquantenario dell’indipendenza della RDCongo, previste il 30 giugno 2010, Floribert Chebeya aveva fatto fabbricare degli striscioni e dei cartelli in cui si esigeva un’amnistia per i 51 detenuti politici condannati per l’assassinio di Laurent-Désiré Kabila, il padre dell’attuale presidente Joseph Kabila, ucciso a Kinshasa il 16 gennaio 2001. Questi prigionieri sono sempre stati esclusi dalle leggi relative all’amnistia.
Infatti, il 16 gennaio 2010, anniversario dell’assassinio di Laurent-Désiré Kabila, la Voce dei Senza-Voce (VSV), l’associazione di Floribert Chebeya, aveva chiesto, in un comunicato, al Parlamento congolese “una legge di amnistia imparziale”, di cui potrebbero usufruire i condannati, e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “l’organizzazione di un’inchiesta internazionale” simile a quella che è stata istituita dopo l’assassinio del Primo ministro libanese Rafic Hariri. Un mese più tardi, nel febbraio 2010, Chebeya scriveva a John Numbi, capo della polizia e uomo di fiducia del presidente congolese, per chiedergli il miglioramento delle condizioni di detenzione dei prigionieri.
Come risposta, il 31 maggio scorso, Chebeya ricevette la visita di un certo comandante Michel che l’invitava ad incontrare Numbi fin dall’indomani. Tale invito era contenuto in un documento di ricevuta, da parte del generale Numbi, di “una lettera datata del mese di febbraio, in cui Chebeya stesso chiedeva condizioni più umane per i detenuti della prigione centrale di Kinshasa”, spiega il responsabile di VSV.
Molti sono i moventi che potrebbero essere alla base dell’assassinio di Floribert Chebeya. Egli aveva intenzione di depositare un’inchiesta e di costituirsi parte civile a proposito della repressione condotta nel 2007 dalla polizia nazionale, contro il movimento politico religioso Bundu dia Kongo, nel Bas Congo. A proposito dell’est del paese, Chebeya aveva criticato molto vivamente le operazioni militari condotte congiuntamente con l’esercito rwandese contro i ribelli hutu rwandesi delle Fdlr nel 2009, operazioni concordate direttamente da John Numbi e l’attuale ministro della Difesa ruandese James Kabarebe. In occasione del 30 giugno, si stava preparando un’iniziativa per richiedere l’amnistia di 51 detenuti, condannati a morte per essere stato giudicati colpevoli dell’assassinio di Laurent Désiré Kabila. Altri dossier erano in preparazione… Fu John Numbi che, tra i due turni delle elezioni presidenziali del 2006, condusse le operazioni militari contro la residenza di Jean-Pierre Bemba e fu ancora lui che, alcuni mesi più tardi, cacciò dalla capitale le milizie di Bemba che avevano rifiutato di deporre le armi, utilizzando, in piena città, armi pesanti e razzi. Il generale Numbi è sempre stato considerato come uno dei collaboratori più stretti del capo dello stato, membro potente del clan dei Katangesi e molto rispettato dall’attuale regime rwandese.
Verso le esequie
La famiglia di Floribert Chebeya informa, in un comunicato firmato da Flory Nyamwoga Bayengeha, membro della famiglia, che in seguito ad una decisione del Procuratore generale della Repubblica, presa dopo la realizzazione dell’autopsia, il corpo di Floribert è stato messo a sua disposizione.
Un membro della “Voce dei Senza Voce”, che ha detto di detenere l’informazione da una fonte familiare, ha affermato che le esequie di Floribert Chebeya avranno luogo il 25 e 26 giugno 2010. Il prelevamento del corpo dall’obitorio dell’ospedale Generale di Riferimento di Kinshasa, ex-Mama Yemo, sarebbe annunciato per il venerdì 25 giugno e l’inumazione prevista per il 26 giugno 2010 a Kinshasa.
Circa il programma dettagliato del funerale, esso dovrebbe essere oggetto di una concertazione tra la famiglia biologica del defunto e la sua famiglia associativa. Apparentemente, le date precedentemente annunciate dal collettivo delle organizzazioni non governative di difesa dei diritti dell’uomo a proposito delle esequie, il 28 giugno per il prelevamento della salma dall’obitorio e il 30 giugno per il funerale, sono state cambiate. Certe fonti pensano che la famiglia biologica di Chebeya avrebbe subito delle pressioni da parte delle autorità, per non disturbare i festeggiamenti commemorativi del 50° anniversario dell’indipendenza del paese.
REPUBBLICA DEL RWANDA
1. L’ARRESTO DI PETER ERLINDER
Il 27 maggio, il governo americano ha rimproverato alle autorità rwandesi di intraprendere una serie di azioni inquietanti che costituiscono un tentativo di restringere la libertà di espressione proprio all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 9 agosto. E’ ciò che afferma il vice segretario di stato agli Affari africani, Johnnie Carson sul sito internet del dipartimento di stato. Il sito precisa riprendere le dichiarazioni fatte davanti ad una commissione parlamentare a Washington.
Il diplomatico rileva che “in pochi mesi, il governo rwandese ha sospeso due giornali, annullato il permesso di lavoro e rifiutato il visa ad una ricercatrice di Human Rights Watch, arrestato e poi liberato, sotto condizione, la dirigente dell’opposizione Victoire Ingabire”. “Inoltre, due partiti politici – il Partito dei Verdi e le FDU (Forze democratiche unificate) – non hanno ancora potuto farsi registrare e, in seno al partito al potere, il Fronte Patriottico Rwandese (FPR) sono in corso grandi dissensi.
“Abbiamo chiesto alle autorità rwandesi di rispettare le libertà di espressione, di stampa, di associazione e di assembramento”, aggiunge Carson. “Abbiamo esortato il governo rwandese e tutti i partner, regionali e internazionali, a lavorare insieme per garantire delle elezioni libere, eque e trasparenti”, precisa e conclude: “Nel contesto dell’avvenimento più tragico della storia recente – il genocidio – il bisogno di sicurezza, di stabilità e di riconciliazione è cruciale, ma la stabilità a lungo termine richiede un modo di governare democratico e il rispetto dei diritti umani”.
Il 28 maggio, la polizia rwandese ha arrestato uno dei difensori dell’oppositrice Victoire Ingabire, l’avvocato americano Peter Erlinder, accusato per “negazione ed occultazione del genocidio” dei Tutsi del 1994. “Nega il genocidio nei suoi scritti e i suoi discorsi. E’ diventato un coordinatore dei negazionisti”, ha dichiarato il procuratore generale del Rwanda, Martin Ngoga. “Se il negazionismo (del genocidio dei Tutsi) non è punibile nel suo paese, lo è in Ruanda. E venendo qui, lo sapeva bene”, ha egli aggiunto. In virtù di una legge votata nel 2003, il delitto di negazionismo è passibile di una pena da 10 a 20 anni di prigione.
Presidente dell’associazione degli avvocati della difesa presso il Tribunale Penale Internazionale per lil Rwanda (TPIR), Erlinder era arrivato in Rwanda per partecipare alla difesa della Ingabire, accusata anch’essa di negare il genocidio. Peter Erlinder avrebbe potuto difenderla e farla assolvere.
Professore di diritto in un’università dell’Oklahoma, Peter Erlinder aveva accusato Paul Kagamé e il Fronte Patriottico Rwandese (FPR) di avere orchestrato l’attentato del 6 aprile 1994 contro l’aereo che trasportava i presidenti ruandese e burundese. Alla fine del mese di aprile 2010, in nome delle vedove dei due presidenti rimasti uccisi nell’attentato, aveva presentato una denuncia per morte sospetta presso un tribunale federale dell’Oklahoma. Tale denuncia è stata interpretata da Kigali come una provocazione. Inoltre, sempre più numerosi sono gli americani che cominciano a dubitare sulla vera natura del regime ruandese e che si chiedono perché l’amministrazione USA aBBIA sempre bloccato ogni inchiesta del TPIR sull’attentato stesso.
L’arresto di Peter Erlinder è avvenuto alcuni giorni dopo che, in nome del governo americano, il vice segretario di stato agli Affari africani, Johnnie Carson, abbia espresso, il 25 maggio, davanti ad una commissione parlamentare a Washington, i suoi dubbi sulla libertà di espressione in Rwanda, all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del mese di agosto.
Il 1° giugno, l’osservatorio Internazionale degli Avvocati esprime la sua più viva preoccupazione sull’arresto dell’avvocato Peter Erlinder a Kigali, capitale del Ruanda e chiede la sua liberazione immediata e senza condizione. L’osservatorio ricorda anche che l’indipendenza degli avvocati è uno dei principali barometri della democrazia e dell’effettività dello stato di diritto.
Il 2 giugno, la polizia rwandese ha diffuso la notizia secondo cui Peter Erlinder ha “tentato di suicidarsi”. Secondo il portavoce della polizia, Eric Kayiranga, “quando i servizi competenti sono andati a cercarlo, il mattino del 1° giugno, per condurlo in tribunale per un interrogatorio, hanno constatato che stava molto male per avere assunto molti medicinali, una cinquantina di compresse, contro l’ipertensione, la depressione e il colesterolo, nel tentativo di suicidarsi. L’hanno subito condotto all’ospedale dove ha ricevuto tutte le cure necessarie. Dopo avere ricuperato le forze, egli stesso ha riconosciuto che voleva suicidarsi, a causa della gravità dei fatti che gli sono rimproverati”. L’ipotesi di un “tentativo di suicidio” dell’avvocato è stata subito messa in dubbio dai suoi difensori. Facendo appello alla “compassione” delle autorità rwandesi, gli Stati Uniti hanno chiesto al Rwanda di liberare Peter Erlinder.
Il 7 giugno, malgrado le pressioni americane, il tribunale di Gasabo, a Kigali, ha deciso di non concedere la rimessa in libertà sotto controllo giudiziario di Peter Erlinder e di prolungare la sua detenzione provvisoria di 30 giorni. Kennedy Ogetto, uno dei quattro avvocati della difesa, ha precisato che, secondo il tribunale, “la liberazione sotto cauzione è stata negata” a causa della gravità del crimine allegato e per timore che l’imputato approfitti della sua rimessa in libertà per sfuggire alla giustizia. Ha però aggiunto che la difesa ha immediatamente notificato alla corte la sua intenzione di ricorrere in appello. Tra il pubblico, erano presenti anche Victoire Ingabire, cliente di Peter Erlinder e attualmente sotto controllo giudiziario nell’attesa del suo processo per “negazionismo” e un rappresentante dell’ambasciata degli Stati Uniti a Kigali. Peter Erlinder è apparso molto indebolito. Dopo il pronunciamento della decisione del giudice, Peter Erlinder è stato immediatamente trasferito alla prigione di Kimironko, situata a 12 chilometri ad est del centro città di Kigali. Erlinder è accusato ufficialmente di “negazione del genocidio e pubblicazione di articoli che minacciano la sicurezza nazionale”, nonostante che si sia dichiarato non colpevole.
Egli è particolarmente conosciuto per assumere la difesa di personalità rwandesi considerate dalla giustizia rwandese e dal Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (TPIR) come i principali pianificatori del genocidio del 1994. Tra i suoi clienti, figura particolarmente il colonnello Theoneste Bagosora, ex capo di Gabinetto del ministro ruandese della Difesa, considerato da certi ambienti come “il cervello del genocidio”.
In un comunicato, il governo rwandese ha dichiarato che “rispettava la decisione” presa dal tribunale. Il comunicato non fa tuttavia alcun riferimento al “tentativo di suicidio” di Erlinder, annunciato dalla polizia rwandese il 3 giugno e non ancora confermato da fonte indipendente o prossima all’avvocato.
Louise Mushikiwabo, ministro rwandese degli Affari Esteri e portavoce del governo, afferma che “la procedura giudiziaria intrapresa contro Peter Erlinder non è una tattica politica” ma “un atto di giustizia”. Nel testo da lei firmato si legge: “Forse Erlinder pensava che la sua nazionalità, il suo stato accademico, il suo profilo nei media lo avrebbero protetto… Non ha compreso che coloro che negano il genocidio – che siano ricchi o potenti – sono considerati come dei grande criminali che si ostinano a destabilizzare la nazione”.
L’8 giugno, venticinque avvocati della difesa presso il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (TPIR) hanno fatto appello ad una pressione dell’Onu in vista di una “liberazione immediata” del loro collega, Erlinder. Esigono la soppressione di ogni restrizione della sua libertà di andare e venire, e l’archiviamento dell’insieme delle procedure iniziate contro di lui”. Secondo loro, “l’arresto di Peter Erlinder è direttamente legato all’esercizio delle sue missioni e delle sue funzioni presso il TPIR e alla sua implicazione in una difesa attiva e intransigente al servizio della manifestazione della verità”.
Il 10 giugno, la camera d’appello del Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (TPIR) ha richiesto alle autorità ruandesi la “natura esatta e il fondamento” delle loro accuse contro Peter Erlinder, detenuto a Kigali.
Il TPIR aveva inizialmente dichiarato che l’arresto dell’avvocato Erlinder non era legato alle sue attività al TPIR. Tuttavia, nell’atto d’accusa contro P. Erlinder, scritto in kinyarwanda, appare che egli è perseguito anche per il suo lavoro ad Arusha. Il punto 7 dell’atto d’accusa è così formulato:
“Mentre il genocidio è stato preparato dagli interahamwe del tempo del MRND e delle liste di Tutsi e di Hutu da uccidere erano state redatte, nel processo Militari I presso il TPIR, Carl Peter Erlinder ha negato e minimizzato il genocidio, dimostrando che non era stato preparato e che non era stato perpetrato dai militari da lui stesso difesi e che, al contrario, questi lottavano per l’integrità territoriale. Tali elementi non sono sufficienti per negare il genocidio o relativizzarlo, ma egli ha continuato a farlo in altri processi”… (traduzione libera).
Il 15 giugno, il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (TPIR) ha chiesto, su consiglio dell’ONU, “la liberazione immediata” di Peter Erlinder. Il tribunale afferma che nonostante le assicurazioni date dal procuratore generale del Ruanda, Martin Ngoga, è apparso che Peter Erlinder è in parte perseguito a causa delle sue dichiarazioni nel processo di Ntabakuze. Erlinder difende infatti, presso il TPIR, il maggiore Aloys Ntabakuze che, condannato in prima istanza alla reclusione perpetua, aspetta il suo processo in appello. “L’Ufficio degli Affari giuridici dell’ONU ha consigliato al TPIR di fare valere immediatamente il diritto all’l’immunità di cui deve usufruire il professore Erlinder e di chiedere perciò la sua liberazione immediata”, scrive la cancelleria del tribunale in una nota verbale inviata al ministro ruandese degli Affari Esteri. “Con la presente nota, il TPIR notifica alle autorità ruandesi che il professore Erlinder ha diritto all’immunità e che chiede così la sua liberazione immediata”, indica la nota verbale. Nel compimento della loro missione presso il tribunale internazionale, gli avvocati della difesa godono infatti del diritt all’immunità .
Un giudice della corte d’appello di Gasabo, a Kigali, aveva respinto il 7 giugno, la richiesta di liberazione provvisoria di Erlinder, una decisione di cui il TPIR ha ottenuto copia. Secondo la nota verbale del tribunale internazionale, il testo della decisione mostra che “in tale pratica giudiziaria ci sono dei riferimenti specifici alle parole e dichiarazioni che il Professor Erlinder ha pronunciato nella sua attività presso il TPIR”.
Il 17 giugno, Peter Erlinder è stato liberato “per ragione di salute” e praticamente senza condizioni. È ormai libero di ritornare negli Stati Uniti, alla sola condizione di lasciare un indirizzo in Ruanda, affinché la giustizia possa contattarlo, se necessario. Le pressioni internazinali si erano accentuate col passare dei giorni e hanno manifestamente obbligato il regime di Kigali di fare marcia indietro. Conosciuto per le sue critiche al governo ruandese attuale, Erlinder accusa spesso il TPIR di coprire i crimini commessi nel 1994 dal Fronte Patriottico del presidente Paul Kagame.
Vari osservatori vedono dietro questo affare una tattica politica di Kigali. Il presidente Kagamé avrebbe cercato di testare in seno all’amministrazione americana il rapporto di forza tra coloro che continuano a sostenerlo e quelli che hanno iniziato a criticare sempre più duramente il suo regime giudicato autocratico. Alcuni elementi appoggiano questa tesi. Perché infatti aver arrestato Erlinder cinque giorni dopo il suo arrivo a Kigali? Una sua espulsione al momento della sua entrata in Rwanda avrebbe permesso di evitare le turbolenze e soprattutto la mobilitazione internazionale che ha suscitato questo tipo d’affare.
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“La politica non sa raccogliere le lacrime e quindi non può tracciare il futuro di un popolo” (+Giancarlo Brigantini, Corsera 7.11.2007)
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