Congo Attualità n. 117

SOMMARIO:

EDITORIALE
1. RAPPORTO FINALE DEL GRUPPO DEGLI ESPERTI DELL’ONU PER LA RDCONGO
2. MONS. SIKULI DENUNCIA UN GENOCIDIO IN GESTAZIONE NEL NORD KIVU
3. L’INSICUREZZA NEL KIVU
     – La situazione di insicurezza nel Nord Kivu non fa che peggiorare
     – Il caso dei 400 “Hutu-Nande”
     – La questione del CNDP
     – La Società civile reagisce
     – Il deputato Lusenge K. Bonane Jérome si pronuncia su certe cause dell’insicurezza
    – Chi sono dunque i responsabili di questa scalata di violenza?
    – L’insicurezza vissuta a Beni-Lubero: un preludio alla balcanizzazione?


EDITORIALE

Il dramma dell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) continua, mentre la Comunità internazionale vi assiste impotente, indifferente, passiva o, addirittura, complice.

Omicidi, stupri, attacchi a mano armata e saccheggi fanno parte di una lunga lista di crimini perpetrati contro una popolazione civile inerme e stremata, ma sono le nefaste conseguenze di un losco traffico d’armi e dello sfruttamento illegale delle risorse minerarie.

Si sa che in Occidente la politica è condizionata dagli interessi della finanza e dell’economia. Per questo, la Comunità internazionale, destinataria delle risorse minerarie provenienti dalla RDCongo, teme lo scontro con le multinazionali, vere detentrici del potere e tace di fronte alla tragedia congolese. È vero che, a livello internazionale, si comincia a fare alcune prime proposte per sconfiggere il commercio illegale delle risorse naturali. In questo senso, il Congresso americano ha approvato una legge che, per evitare importazioni di minerali forniti da gruppi armati, esige alle multinazionali americane di dimostrare l’origine dei minerali provenienti dalla RDCongo. Si tratta di un piccolo passo in avanti, ma si è solo agli inizi.

Lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie gode, purtroppo, anche di complicità locali: gruppi armati, ufficiali militari e responsabili politici congolesi si lasciano facilmente corrompere dalle multinazionali straniere, in vista di un arricchimento personale a scapito del bene comune dell’intera popolazione.

Molti sono i problemi che sono all’origine della sofferenza della popolazione civile: aumento sconcertante della violenza e dell’insicurezza, corruzione, impunità, rivalità tribali, strane alleanze fra tribù finora antagoniste e fra gruppi armati finora nemici, dichiarazioni ambigue (o troppo esplicite) di certi partiti politici (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo – CNDP) recentemente integrati alla vita politica del Paese, insubordinazione di ampie frange di militari (soprattutto quelli provenienti dal CNDP) che, rimaste nel Kivu, rifiutano il loro dispiegamento in altre regioni del Paese, infiltrazioni di militari stranieri nell’esercito nazionale, ritorno non controllato di rifugiati congolesi residenti all’estero, arrivo illegale di clandestini stranieri, creazione di nuovi gruppi armati virtuali (falsi Maï Maï, falsi Fdlr, falsi Adl-Nalu) utilizzati come pretesto per giustificare certe operazioni militari e deviare l’attenzione pubblica (nazionale e internazionale) dai crimini commessi, …..

Una pace vera e duratura sarà il frutto, prima di tutto, di un impegno costante del popolo congolese stesso: la pace non è un regalo, è piuttosto una conquista. Il cammino che conduce alla pace è il dialogo. Non un qualsiasi dialogo fatto di apparenze, menzogne, tattiche, doppi giochi, ma un dialogo franco, leale, onesto e costruttivo sui veri problemi che affliggono la popolazione.

Un dialogo sincero, fondato sulla ricerca della verità dei fatti e di nuovi percorsi di giustizia, potrà favorire una convivenza pacifica tra le diverse tribù e con i Paesi limitrofi, requisito fondamentale per uno sviluppo economico che possa favorire il benessere dell’intera popolazione civile, senza alcuna esclusione.

1. RAPPORTO FINALE DEL GRUPPO DI ESPERTI DELL’ONU PER LA RDCONGO

Il 29 novembre, a New York, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha rinnovato, per un anno, fino al 30 novembre 2011, l’embargo sulle armi imposto alla Repubblica democratica del Congo e le sanzioni contro alcune personalità di questo Paese.

L’embargo sulle armi è in vigore dal 2003 e riguarda gruppi armati e persone non associate al governo. Le sanzioni includono delle restrizioni sul traffico aereo e delle misure finanziarie, tra cui il congelamento di conti bancari, contro dirigenti del paese, dei miliziani ruandesi e altri gruppi ribelli ancora attivi in RDCongo.

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza riconosce l’esistenza di un “continuo flusso illecito di armi” nel paese, in particolare nella sua zona orientale in preda alla violenza. Il Consiglio di sicurezza ha, peraltro, chiesto agli importatori di minerali provenienti dalla RDCongo di assicurarsi che il denaro non finisca tra le mani dei gruppi armati. Perciò, il Consiglio ha dato il suo accordo per verificare se del denaro versato ad individui e imprese per i minerali importati dalla Repubblica democratica del Congo sia destinato o meno a gruppi armati, aggravando in tal modo il conflitto. Il Consiglio di Sicurezza ha espresso il suo sostegno a nuove disposizioni, secondo cui gli importatori di minerali del Congo dovrebbero verificare l’origine delle loro importazioni.

Nello stesso giorno, il gruppo di esperti dell’ONU per il controllo dell’embargo sulle armi in Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) ha reso pubblico il suo ultimo rapporto in cui è dimostrata l’implicazione di unità e personalità dell’esercito congolese, provenienti soprattutto dal CNDP , nel traffico delle risorse minerarie.

Secondo il rapporto, lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’est della RDCongo è diventato la causa principale degli scontri che ancora perdurano in questa regione. Reti criminali formatesi in seno alle Forze Armate della RDCongo (FARDC) costituiscono un’importante causa di conflitto. Secondo il documento, molti militari si sono uniti ai gruppi armati per sfruttare le importanti risorse minerarie della RDCongo.

A livello della gerarchia delle FARDC, ci sono degli ufficiali che litigano per il controllo di zone minerarie, a spese della popolazione civile. L’implicazione diretta di alti graduati delle FARDC nel traffico delle risorse minerarie è evidente. Mentre, in settembre, il presidente Joseph Kabila aveva annunciato ufficialmente la sospensione, nelle province dei due Kivu e del Maniema, dello sfruttamento minerario, il gruppo degli esperti dell’ONU ha constatato che lo sfruttamento minerario prosegue, in gran parte sotto la supervisione di ufficiali delle forze armate (FARDC).

Secondo il rapporto, dei generali dell’esercito, come il comandante della 8ª regione militare del Nord-Kivu, Vainqueur Mayala, o il capo di Stato Maggiore dell’esercito terrestre, Gabriel Amisi Kumba, sono attivamente implicati nello sfruttamento della miniera di cassiterite di Bisie, una delle più produttive del Nord-Kivu.

Gli esperti dell’ONU descrivono un esercito congolese, le cui azioni sono dettate principalmente dagli interessi economici dei suoi capi. Così, secondo gli esperti dell’Onu, nella regione di Walikale, dove si trova la miniera di Bisie, la creazione, nel 2010, della milizia Maï-Maï Cheka sarebbe stata teleguidata dal vice comandante della 8ª regione militare, zio di Ntabo Ntaberi Cheka, fondatore della milizia. Quest’ultimo è ritenuto come il principale responsabile di una campagna di stupri sistematici perpetrati tra il 30 luglio e il 2 agosto scorso, in 13 villaggi situati sulla strada Kibua-Mpofi. In soli quattro giorni, oltre 300 donne sono state vittime di tali stupri.

Secondo il rapporto, una serie di offensive militari condotte contro le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR, a predominanza hutu) e sostenute dalla Missione dell’ONU in RDCongo (Monusco) è fallita e non ha fatto che aumentare le violenze contro le popolazioni civili, permettere agli ex-CNDP (a predominanza tutsi) di prendere il controllo delle principali miniere e respingere le FDLR verso miniere più interne, senza indebolirle veramente.

“Malgrado i discorsi ufficiali per accattivarsi la comunità internazionale, Kinshasa resta molto tollerante nei confronti della criminalità di origine militare”, notava il gruppo di riflessione International Crisis Group in un rapporto pubblicato due settimane prima. La RDCongo chiude particolarmente gli occhi sul reclutamento dei bambini-soldato: nel 2009, sono stati recensiti 1235 casi, di cui il 40% sono imputabili alle FARDC. Quasi nulle sono le procedure giudiziarie contro militari responsabili di crimini, fra cui il generale Bosco Ntaganda, sotto mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale.

Un ufficiale superiore dell’esercito della RDCongo e tre alti graduati della ribellione hutu (FDLR) sono stati posti sulla “lista nera” dell’ONU. Per queste 4 persone, le sanzioni sono immediate: congelamento dei beni e interdizioni di viaggiare.

L’ufficiale dell’esercito congolese è un ex ribelle del CNDP, Innocent Zimurinda.

Secondo il documento dell’Onu, il tenente-colonnello Innocent Zimurinda ha dato degli ordini che sono all’origine del massacro di oltre 100 rifugiati ruandesi, principalmente donne e bambini, durante un’operazione militare che si è svolta nell’aprile 2009, nella regione di Shalio”. Secondo il Gruppo degli esperti del Comitato delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza per la RDCongo, dei testimoni hanno visto il tenente-colonnello Innocent Zimurinda rifiutarsi di liberare tre bambini che si trovavano sotto il suo comando a Kalehe, il 29 agosto 2009. Infine, il tenente-colonnello Innocent Zimurinda ha partecipato, nel novembre 2008, ad un’operazione che è all’origine del massacro di 89 civili, fra cui donne e bambini, nella regione di Kiwanja.

Anche tre membri della ribellione hutu delle FDLR sono stati posti sulla “lista nera”:

– Gaston Iyamuremye: secondo Vicepresidente delle Forze Democratiche di lLiberazione del Ruanda (FDLR).

– Félicien Nsanzubukire: comandante del 1° battaglione delle FDLR. Il Gruppo di esperti indica che Félicien Nsanzubukire ha supervisionato e coordinato il traffico di munizioni e di armi tra novembre 2008 e aprile 2009, almeno, dalla Repubblica-Unita di Tanzania, via il lago Tanganyika, a destinazione di unità FDLR basate nelle regioni di Uvira e di Fizi, nel Sud-Kivu.

– Leodomir Mugaragu: capo di Stato Maggiore delle FDLR/FOCA. Generale di brigata della ribellione è, secondo l’ONU, uno dei principali pianificatori delle operazioni militari delle FDLR nell’est della RDCongo.

2. MONS. SIKULI DENUNCIA UN GENOCIDIO IN GESTAZIONE NEL NORD KIVU

In un messaggio del 23 novembre, intitolato “Guai a te che uccidi gli Innocenti e i Profeti”, Mons. Sikuli, vescovo di Beni-Butembo, il clero diocesano e le congregazioni missionarie denunciano un genocidio in gestazione nel Nord Kivu.

Un “complotto contro i popoli del Nord-Kivu” nell’indifferenza delle autorità; una politica di “terra bruciata” per far posto a nuovi arrivati; la recrudescenza dell’insicurezza subita soprattutto dai civili, mentre gli autori delle violenze beneficiano di una “totale impunità e, forse, anche di una protezione se non di una complicità”: è ciò che denuncia Mons. Melchisedech Sikuli Paluku, in nome della sua diocesi di Beni-Butembo e delle congregazioni missionarie, ad alcune settimane dall’omicidio, l’8 novembre scorso, del parroco di Kanyabayonga, padre Christian Mbusa Bakulene.

Nel messaggio sono indicati vari episodi di violenza: sequestri di persone e omicidi di giovani, intellettuali, giornalisti, commercianti e contadini.

Secondo il vescovo, “nonostante lo slogan sulla sicurezza e anche se alcuni affermano che la situazione del paese sta migliorando ogni giorno di più, qualificando come “residuali” i problemi di insicurezza, le popolazioni dell’est del paese restano sottomesse ad un regime di crescente terrore: insicurezza, violenze, massacri, omicidi e stupri sono all’ordine del giorno. La situazione è ancora peggiore nei territori di Beni e di Lubero e nelle città di Beni e di Butembo. I sequestri e le scomparse di persone, gli omicidi, i saccheggi sulle strade toccano tutti gli strati della società: i giovani, l’élite intellettuale, i commercianti, i pacifici contadini. Gli autori di questa violenza sono degli uomini armati, fra cui molti in tenuta militare e altri in tenuta della Polizia Nazionale Congolese (P.N.C), altri ancora in tenuta civile. Sono implicate anche alcune bande armate incontrollate.

Questi fatti avvengono proprio nel momento in cui si assiste a nuove pressioni di introduzione forzata di popolazioni di Masisi nel Territorio di Lubero, mentre la priorità dovrebbe essere, invece, il rimpatrio, nel loro paese di origine, dei rifugiati (ruandesi, Ndlr) presenti sul territorio congolese dal 1994 e il ritorno degli sfollati interni, veri congolesi, sulle loro terre. Oltre agli incendi sistematici delle case e dei villaggi, l’accanimento contro le popolazioni di Lubero e di Beni sembra essere la realizzazione di una politica detta della “terra bruciata”, per creare dello spazio libero per altri e ciò costituisce un “genocidio in gestazione”.

L’indifferenza delle autorità “rischia di essere interpretata dalla popolazione come una complicità da parte di coloro che già si stanno preparando a chiedere ancora una volta il loro voto e che hanno il mandato di proteggere la popolazione e i suoi beni”, avverte Mons. Sikuli che, di fronte a questa situazione, esprime la sua profonda delusione e la sua più viva protesta e chiede energicamente alle autorità di assumere pienamente le loro responsabilità, precisando: “In un paese che vuole essere uno Stato di diritto, in cui si esalta la “tolleranza zero”, è anormale che le inchieste giudiziarie sui crimini commessi non arrivino mai a delle condanne. Mentre la burocrazia amministrativa o giudiziaria assilla i semplici cittadini per fatti minori, i grandi criminali beneficiano di una totale impunità e, forse, addirittura di protezione e di complicità”.

Infine, Mons. Sikuli chiede “un reale rafforzamento e una vera indipendenza del potere giudiziario congolese e una piena cooperazione con la Corte Penale Internazionale, per lottare efficacemente contro la persistente impunità nel Paese”.

3. L’INSICUREZZA NEL KIVU

 La situazione di insicurezza nel Nord-Kivu non fa che peggiorare

 Con l’integrazione dei ribelli del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) nell’esercito nazionale, i Congolesi si aspettavano la pacificazione della Provincia. Ma più di un anno dopo, la violenza contro le popolazioni civili si è intensificata: omicidi, furti a mano armata, stupri, sequestri, ecc. sono ancora all’ordine del giorno.

Quando si tenta di identificare gli autori e i responsabili di questa scalata di violenza, si constatano parecchie versioni. Per esempio:

Il 27 luglio, un camion proveniente dal mercato di Lubirya trasportando passeggeri, per la maggior parte commercianti, è stato attaccato a Kisima, sulla strada Beni-Kasindi, a circa 30 chilometri da Beni-città. Bilancio provvisorio: quindici morti, fra cui nove donne, un bambino e 5 uomini. I testimoni del fatto dichiarano che gli assalitori erano dei militari in tenuta Fardc dispiegati sul posto. La versione ufficiale delle Fardc parla piuttosto dei ribelli ugandesi delle ADF-NALU.

Il 18 agosto, tre caschi blu indiani della Missione dell’ONU in Repubblica Democratica del Congo (Monusco) sono stati uccisi e sette feriti all’arma bianca nel loro accampamento a Kirumba (provincia del Nord-Kivu). Sull’identità degli assalitori, il maggiore Ekenge ha indicato che, secondo il loro modo di fare, si tratta di miliziani Maï Maï.

Tuttavia secondo fonti non ancora confermate, l’attacco di Kirumba è stato condotto da un Maggiore ruandofono, Kayenzi (Hutu), un collaboratore del Colonnello Smith di Rutshuru e di un certo colonnello François (Tutsi). Il Maggiore Kayenzi sarebbe stato designato dall’esercito di occupazione (alcune truppe dell’esercito nazionale provenienti dal CNDP, ex militari smobilitati dell’esercito ruandese e immigrati clandestini armati provenienti dal Ruanda) per formare delle milizie dall’apparenza autoctona. Il ruolo di queste milizie sarebbe quello di commettere atti di violenza e di dare, quindi, l’opportunità a questo esercito di occupazione di intervenire e annientare le popolazioni congolesi a guisa di rappresaglia.

Il 5 novembre, cinque militari FARDC e cinque civili sono stati uccisi in un’imboscata tesa contro un camion che trasportava dei civili, dei militari e delle merci, nei pressi di Bulambo, nel raggruppamento di Isale, nella zona delle operazioni Rwenzori contro gli ADF Nalu, nel Nord-Kivu. Secondo la versione ufficiale, l’attacco contro il camion sarebbe stato opera di miliziani non identificati, ADF/NALU o Maï Maï. Invece, secondo altre fonti, l’attacco sarebbe stato perpetrato dai militari Fardc che erano appena stati dispiegati a Isale. All’origine dell’attacco, ci sarebbe stato un litigio tra i militari partenti e quelli recentemente arrivati, a proposito di un carico di fagioli saccheggiati dai primi presso il mercato di zona.

Il 14 novembre, uomini armati identificati come militari FARDC hanno condotto un attacco contro il campo degli sfollati di Mpati in territorio di Masisi. Bilancio: quattro feriti gravi e la fuga di numerose famiglie in foresta. I responsabili delle FARDC rigettano queste affermazioni e attribuiscono l’attacco a combattenti FDLR.

Secondo alcune fonti locali, gli assalitori erano militari delle Fardc, riconosciuti come tali dalla loro divisa e parlavano kinyarwanda. Secondo le testimonianze di vari sfollati, le tende prese di mira erano quelle degli sfollati che avevano appena ricevuto un aiuto umanitario dall’ONG internazionale “Prime emergenze”. Altri affermano che l’attacco è stato perpetrato da militari delle FARDC perché, il giorno seguente, alcuni soldati FARDC venuti in rinforzo avevano in mano dei documenti e alcuni oggetti degli sfollati stessi. Il colonnello Innocent Zimulinda, responsabile del 22° settore delle FARDC, attribuisce invece l’attacco ai combattenti hutu ruandesi (FDLR), ancora molto attivi nel settore di Mpati.

Secondo le autorità tradizionali della contrada, le popolazioni civili della collettività-settore di Osso, a circa 100 chilometri a nord-ovest di Goma, sono vittime di esazioni commesse da uomini armati identificati come militari FARDC. Secondo le autorità locali, anche nel mese di novembre sono stati registrati vari casi di omicidi e saccheggi. Secondo il capo settore di Osso, la settimana scorsa, almeno sei persone sono state uccise nella regione di Tukombo da uomini armati identificati come militari FARDC. Le vittime sarebbero dei semplici contadini che ritornavano dai loro campi. Le popolazioni, già stremate per la guerra, sono anche obbligate a provvedere alle razioni alimentari per i militari stessi. I responsabili delle FARDC negano in blocco queste affermazioni, parlano di strumentalizzazione delle popolazioni locali da parte di alcuni capi tradizionali e attribuiscono le esazioni alle FDLR.

Il caso dei 400 “Hutu-Nande”

A metà ottobre, circa quattro cento persone di etnia hutu erano arrivate a bordo di quattro camion, di marca Mistsubishi Fusso, davanti al governorato della provincia del Nord-Kivu, in provenienza dal territorio di Masisi, per chiedere di essere trasferiti al Sud del territorio di Lubero, allegando come motivo che sarebbero originari di quella regione e che ne sarebbero stati espulsi in passato, verso il 1992, dai Banande, occupanti di quel territorio.

Nella notte dal 17 al 18 novembre 2010, un primo contingente dei civili ruandesi che si presentano come Hutu-Nande è arrivato al quartiere Itsu di Kirumba, a Sud di Lubero.

Chi sono questi “hutu-nande”? Una semplice analisi suppone che siano nati da un’unione tra un individuo della tribù nande e un altro della tribù hutu. In una società patriarcale, per dirsi nande bisogna nascere da un padre nande. Supponendo che questi hutu-nande esistano realmente, occorrerà che dimostrino quando hanno lasciato Beni-Lubero, per poi ritrovarsi a Masisi, da quali villaggi provengono, chi sono i capi tradizionali di Beni-Lubero a cui pagavano il canone abituale sulle terre che coltivavano, o se sono loro stessi dei capi tradizionali e originari dei villaggi di Beni-Lubero, chi sono allora i loro vassalli da cui ricevevano il canone abituale sulle terre ottenute. Occorrerà inoltre che dimostrino di quale clan nande essi sono e qual’è il loro totem, perché ogni clan nande ha un suo totem, e il loro ruolo nella società nande, perché ogni tribù nande ha un preciso ruolo all’interno della società, come “ise mwami”, “e ngavo”, “mumbo”, “muhangami”, “baghula”…

Secondo fonti prossime alla Polizia Militare di Kirumba, queste persone ruandofone arrivate al quartiere ITSU di Kirumba nella notte tra il 17 e il 18 novembre, erano tutti dei giovani adulti, robusti, visibilmente estranei nella regione. Parlavano un po’ di Swahili. Sempre secondo tali fonti, ciascuno aveva un foglio di via che, con il timbro del governorato del Nord-Kivu, indicava Eringeti, in Territorio di Beni, come loro destinazione finale. Kirumba non era dunque che un luogo di transito per Eringeti. Ciò che salta agli occhi è il fatto che, a parte il governorato, l’amministrazione congolese locale non partecipa a questa operazione, come i capi tradizionali avevano chiesto. Il fatto di non implicare questi ultimi nell’operazione, aumenta il sospetto.

La questione del CNDP

Il 3 settembre, in un’intervista a La Voce dell’America, Kasiwa Mahamba, portavoce del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), attribuisce la recrudescenza dell’insicurezza nel Nord-Kivu al blocco, da parte del governo congolese, del processo di pace iniziato nel marzo 2009, con la firma degli accordi di Goma. “Il governo ha preso degli impegni, per esempio, la riconoscenza formale dei gradi degli ex-militari CNDP e degli agenti di polizia ex-CNDP, il ritorno effettivo dei rifugiati, l’integrazione politica dei quadri del CNDP, l’installazione dei comitati locali di conciliazione “, ha spiegato il portavoce del movimento, Kasiwa Mahamba.

Per ciò che riguarda l’amministrazione parallela che il CNDP mantiene nel territorio di Masisi, Mahamba ha affermato che, secondo gli accordi, “si procederà all’installazione degli amministratori di territorio e dei loro assistenti, mentre il resto del personale resterà al suo posto fino a nuovo ordine”. Secondo il portavoce del CNDP, la popolazione non si rende conto che i precedenti agenti amministrativi del CNDP “non dipendono più dal CNDP, perché ora sono dei funzionari dello stato”.

Il 20 novembre, il segretario esecutivo del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), Kambasu Ngeve, ha annunciato, davanti alla stampa di Kinshasa, le sue dimissioni dal partito. Ha giustificato il suo ritiro dal partito perché ritiene che il governo stia dando una risposta alle rivendicazioni del CNDP, indicate negli accordi firmati col governo stesso. Inoltre, Kambasu Ngeve ha chiesto ai colleghi del CNDP di cessare di insistere sulle solite rivendicazioni, per dare la priorità alle elezioni generali del 2011: “Chiedevamo che le forze negative straniere fossero disarmate ed è ciò che si sta facendo. Sono già stati firmati gli accordi tripartitici per il ritorno dei rifugiati, … Circa il processo di integrazione politica del CNDP, dei membri del CNDP partecipano già al governo provinciale del Nord – Kivu”, afferma Kambasu Ngeve.

Il 22 novembre, il portavoce del CNDP, Mahamba Kasiwa, ha reagito alle dimissioni del segretario esecutivo del partito, Kambasu Ngeve. A differenza di quest’ultimo, il portavoce del CNDP ha sostenuto che gli accordi firmati nel marzo 2009 dal suo partito e dal governo non sono ancora rispettati. Per Mahamba Kasiwa, il CNDP aspetta ancora dal governo la risposta sulle questioni di fondo, come:
• la neutralizzazione dei ribelli ruandesi delle FDLR e di altre milizie,
• il ritorno dei rifugiati congolesi dai paesi vicini e
• il riconoscimento dei gradi ai militari provenienti dal CNDP.

Mahamba Kasiwa ha proseguito: “Kambasu è partito. Era libero di partire. Il CNDP è un partito politico a geometria variabile. È come un serpente a molte teste. Oggi, potete tagliargli una testa, un’altra rinascer automaticamente. Il CNDP é una piovra”.

Secondo alcuni osservatori, quando il CNDP dichiara di essere un “serpente dalle molteplici teste”, sta facendo una dichiarazione di guerra, rivelando la sua possibile ricostituzione in gruppo armato, come lo era anteriormente. Considerando la situazione che prevale sul campo attualmente, c’é da chiedersi se è ancora possibile continuare a parlare del CNDP come un ex-movimento ribelle .

Integrati nell’esercito nazionale (FARDC), i soldati del CNDP hanno mantenuto tuttavia uno statuto particolare che oggi causa molti problemi. La domanda che ci si pone è quella di sapere se c’é stata un’integrazione reale di questo ex-movimento ribelle. I soldati del CNDP non hanno mai accettato di essere mescolati con altri e hanno conservato la loro struttura anteriore. Il CNDP ha mantenuto intatto il suo arsenale di armi e la struttura delle sue truppe. Secondo gli stessi osservatori, firmatario degli accordi di Goma, il CNDP ha fatto finta di collaborare con le autorità provinciali e nazionali e continua ad aggrapparsi alle clausole che gli erano favorevoli in suddetti accordi. L’atteggiamento del CNDP dimostra che il movimento è ancora sul piede di guerra. È un segnale forte nei confronti di Kinshasa che deve saper leggere i segni dei tempi.

 Vari ufficiali e militari provenienti dal Cndp sono accusati di essere implicati nel saccheggio delle risorse naturali dell’est della RDCongo e nel loro commercio illegale e fraudolento. Sono imputati di essere, con altri gruppi armati nazionali e stranieri, responsabili dell’aumento dell’insicurezza e della violenza all’est della RDCongo. E’ così che il Capo dello Stato e il capo di stato maggiore dell’esercito hanno tentato di sostituire le truppe provenienti dal Cndp, da sempre rimaste sul posto, con altre provenienti da altre regioni.

Il 23 settembre, tuttavia, alcuni alti graduati dell’ex-ribellione del CNDP hanno esortato il Capo dello Stato a non mutarli verso altre province, diverse dal Kivu, prima di aver soddisfatto agli accordi del 23 marzo 2009, firmati tra il governo e il CNDP stesso. Essi chiedono al Capo dello Stato di “evitare ogni spostamento di truppe o di ufficiali destinati all’operazione Amani Léo, all’infuori della zona operativa” e di “fare dell’attacco alle FDLR, il nemico, la priorità della priorità del governo”. Questa richiesta viene ad appoggiare le dichiarazioni di un membro del CNDP che aveva affermato: “Le permutazioni di truppe proposte dal Capo dello Stato non concerneranno il CNDP, perché le ex-truppe del CNDP non sono della 8ª regione militare, ma dell’operazioni Amani Léo”. Rifiutando il loro spostamento, gli alti graduati dell’ex – movimento armato CNDP, hanno in tal modo svelato il loro vero piano, quello di proseguire le operazioni di saccheggio e di predazione nel Grande Kivu: seduti su miniere di coltan e altre materie preziose, questi ufficiali non accettano assolutamente un loro eventuale nuovo dispiegamento in altre province della Repubblica.

La Società civile reagisce

Il Gruppo di Associazioni per la Difesa dei Diritti dell’uomo e della Pace (Gadhop) tira il campanello d’allarme sulla degradazione della sicurezza nel Nord-Kivu. Queste associazioni notano numerose defezioni di membri dell’ex ribellione del CNDP dall’esercito regolare (FARDC). Il Gadhop nota che, “essendo l’est del paese sotto il controllo quasi totale del CNDP, la cui integrazione nell’esercito nazionale non è stata che una semplice inserzione nelle Fardc, senza una minima formazione, basterebbe un semplice colpo di fischietto per vedere tutti questi territori dell’est della RDCongo passare sotto un altro campo”. Il Gadhop denuncia un tentativo di ritorno imminente alla guerra e chiede di “neutralizzare tutti coloro che intralciano il processo di pace all’est della RDCongo”.

La pace nel Kivu rimane ancora ipotetica. In un rapporto pubblicato martedì 16 novembre sotto il titolo: “L’instabilità del Kivu malgrado il riavvicinamento con il Ruanda”, l’ONG International Crisis Group (ICG) dichiara che, nel Kivu, l’opzione militare per la risoluzione del conflitto è un stata un vero fallimento.

Il rapporto dell’ICG afferma che i soldati governativi sono tuttora alle prese con miliziani per il controllo delle terre e delle zone minerarie, che i civili subiscono violenze estreme e che la situazione umanitaria si deteriora sempre più.

International Crisis Group sottolinea, inoltre, un paradosso: sebbene nessuna delle due parti abbia realmente la capacità di prendere un sopravvento definitivo, tutte e due hanno però le risorse sufficienti per prolungare la lotta”. Il rapporto stima che “le operazioni militari in corso servono, in modo evidente, gli interessi particolari di coloro che le comandano e non assicurano una reale protezione della popolazione civile”.

L’ong, specializzata nella prevenzione dei conflitti, si dice convinta che “una strategia basata su degli impegni prettamente presidenziali e mantenuti segreti non permetterà di riportare la pace nel Kivu”. Crisis Group è dunque convinto che la pace nel Kivu non verrà certamente da un qualsiasi riavvicinamento tra Kinshasa e Kigali. La soluzione non si trova in conciliaboli male organizzati e pattuiti in segreto sulla base di considerazioni che non prendono in conto i parametri locali.

A proposito del riavvicinamento tra il presidente congolese Joseph Kabila e il suo omologo ruandese Paul Kagame, il direttore dell’ICG per l’Africa centrale, Thierry Vircoulon, ha dichiarato che il dialogo tra Kigali e Kinshasa è estremamente importante per i due paesi, ma occorre che questo dialogo non sacrifichi gli interessi delle comunità del Kivu. È estremamente importante che ci siano degli accordi politici che soddisfino tutte le comunità del Kivu e non un accordo parziale, fatto più o meno segretamente a vantaggio di certe comunità rispetto ad altre”, ha proseguito, precisando che il riavvicinamento tra Kinshasa e Kigali non ha ancora portato i risultati attesi.

Per Crisis Group, la collaborazione tra gli eserciti della RDCongo e del Ruanda per la neutralizzazione delle FDLR non ha risolto il problema. La constatazione di fallimento è patente.

Occorre, raccomanda Crisis Group, riorientare la strategia associando altri attori della sotto-regione. L’ong raccomanda al governo congolese di accompagnare l’opzione militare con un vero approccio politico. Il suo parere è che “l’approccio attuale” che mira a consolidare una pace duratura nella sotto-regione, particolarmente nell’Est della RDCongo, deve essere rivalutato e allargato per implicare tutte le comunità locali e preparare l’avvenire della regione instaurando un dialogo trasparente, particolarmente coi paesi vicini”.

L’ong raccomanda al governo della RDCongo, alla Monusco e agli altri partner internazionali di “sospendere le operazioni militari attualmente in corso nel Kivu, nell’attesa del dispiegamento di truppe ben addestrate e dei battaglioni attualmente formati da Stati Uniti, Cina, Belgio, Sud Africa e Angola”.

Il deputato Lusenge K. Bonane Jérome si pronuncia su certe cause dell’insicurezza

Il deputato Lusenge Bonane afferma che, nel Nord Kivu, i massacri e gli omicidi non sono mai cessati. Ricercando le cause di questa violenza, il deputato Lusenge Bonane ha constatato che la rivendicazione principale di certi deputati hutu del Nord Kivu è curiosamente la stessa del CNDP, di connotazione tutsi, cioè la divisione del Nord-Kivu in due altre entità autonome e l’ottenimento di uno spazio ruandofono. Perciò, secondo questi deputati, occorre cacciare le altre etnie autoctone (Banande, Bahunde) da Goma e Rutshuru, installare i ruandofoni a Lubero, Beni, Walikale, Masisi (territori del Nord-Kivu) e, addirittura, a Kalehe (Sud Kivu) e concedere loro il titolo di originari di questi luoghi. A proposito di ciò, il deputato Lusenge afferma che degli hutu e dei tutsi si erano riuniti a Bunagana, alla frontiera rwando-ougando-congolese, dal venerdì 08 ottobre al sabato 09 ottobre 2010, per discutere tali proposte. Nello stesso tempo, 400 hutu provenienti dal Masisi assediavano il governorato, esigendo di essere installati in territorio di Lubero. Nelle stesse circostanze, alcuni militari, anteriormente del CNDP, si sono ritirati dalle loro posizioni in territorio di Lubero e, secondo varie fonti, si sono diretti a Bunyatenge per unirsi alle FDLR, loro presunti nemici.

Secondo il deputato, il Masisi sarebbe diventato un luogo di transito per il sovrappiù della popolazione hutu ruandese. Una volta arrivati e ottenuta la nazionalità congolese, questi hutu ruandesi si disperderebbero sull’intera superficie della provincia, cominciando, per il momento, da Lubero. Certi hutu, apparentemente estranei alla sfera militare, utilizzano alcuni ministeri loro assegnati nel governo, come quello dell’insegnamento Superiore e Universitario, per partecipare, a loro modo, a questo tentativo di destabilizzazione delle altre etnie. E’ così che lo stesso Ministro dell’ESU ha soppresso, nel Nord-Kivu, le istituzioni universitarie (l’ISTM Kanyabayonga e l’ISEAV Kirumba) create per iniziativa dei non hutu e, nello stesso tempo, ha creato, in territorio di Rutshuru, altre istituzioni universitarie (l’ISTM Rutshuru) che si trovano ora in peggiori condizioni di quelle soppresse. Il deputato deplora il silenzio, la passività, la paura e, addirittura, la complicità di certi deputati del Nord Kivu a proposito delle cause profonde dell’insicurezza che imperversa nel Nord Kivu. Infine, a titolo di raccomandazione, chiede che i militari che sono all’origine dell’insicurezza, lascino il Kivu e siano trasferiti in altre province del Paese.

Chi sono dunque i responsabili di questa scalata di violenza?

Secondo alcune fonti, gli autori principali di questa scalata di violenza sono dei militari provenienti dal CNDP. Secondo numerose testimonianze della popolazione, le Fardc provenienti dal CNDP approfittano della loro integrazione nelle Fardc per proseguire la loro occupazione militare della regione. I membri della società civile riportano anche che in varie zone del Nord-Kivu, si è vietato alle radio locali, sotto pena di morte, di diffondere informazioni relative all’insicurezza perpetrata dai militari provenienti dal CNDP. E’ certamente questo il segno di una dittatura militare del Cndp che si sta imponendo nel Nord-Kivu.

La verità è che, in varie zone del Kivu-Ituri, sono le Fardc, particolarmente quelle provenienti dal CNDP, che seminano insicurezza, massacrano le popolazioni civili, violentano le donne e attaccano i veicoli, addossando poi la responsabilità dei loro atti alle FDLR, ADF/NALU, Maï Maï, ecc.

La società civile non cessa di denunciare questa insicurezza provocata dalle Fardc e chiede giustizia per le vittime e la mutazione dei comandanti militari complici. Secondo la società civile e la popolazione, basterebbe che il governo potesse permutare le truppe Fardc provenienti dal CNDP verso altre regioni del Paese, affinché la pace ritorni nel Kivu-Ituri.

Si ricorderà che nel mese di settembre scorso, il Presidente Joseph Kabila e il Capo di stato Maggiore delle Fardc, il Generale Didier Etumba, avevano tutti e due alzato il tono contro quei militari che, dispiegati nel Nord-Kivu e Sud-Kivu, non vogliono servire il Paese in altre regioni, se non nel solo Kivu. Avevano annunciato anche la permutazione dei militari attualmente dispiegati nel Nord-Kivu e Sud-Kivu verso altre province, dicendo che non si entra nell’esercito congolese per pascolare le mucche dei propri genitori, ma per servire la nazione tutta intera. Tuttavia, questi due annunci sono rimasti fino ad oggi senza alcun effetto sul terreno, dove i militari provenienti dal CNDP dettano la legge, con potere di vita e di morte sulle popolazioni civili.

L’insicurezza quasi permanente che imperversa nell’est della RDCongo è letteralmente fomentata da politici ed altri approfittatori, anche se ufficialmente affermano che questa situazione è creata dalle FDLR. Alla fine dell’operazione UMOJA WETU (coalizione degli eserciti congolese e ruandese) condotta contro le Fdlr nel gennaio 2009, si era dichiarato che più del 95% delle FDLR erano stati annientati e che il 5% restante sarebbe stato oggetto di un ultimo rastrellamento, della durata di un mese, da parte dell’esercito congolese. In quell’occasione, l’esercito ruandese ha fatto finta di ritirarsi e di permettere ai congolesi di occuparsi di questo 5% restante. Approfittando di questa situazione, i militari ruandesi si sono così infiltrati nelle FARDC e oggi fanno parte integrante dell’esercito congolese, senza tuttavia rispondere ai suoi comandanti.

In una seconda fase, quella della neutralizzazione del 5% delle FDLR restanti, la coalizione formata da FARDC, infiltrati ruandesi e truppe provenienti dal CNDP ha intrapreso una lunga serie di attacchi sui villaggi di Masisi, Walikale, Sud-Lubero e Rutshuru. E’ la fase delle operazioni militari Kimya 2 e Amani Léo.

Da allora, sono le popolazioni congolesi che stanno essendo genocidate. Queste operazioni, del resto mal pianificate, hanno fatto più danni umani tra i civili congolesi che tra le file del 5% restante delle FDLR. Queste operazioni sono fallite. Per restaurare la pace, non c’era bisogno né di armi, né di militari dalle mani macchiate di sangue congolese. I casi degli omicidi selettivi sono legione. Il pretesto “FDLR” gioca a favore degli assassini, i militari Fardc provenienti dal Cndp, per giustificare i loro misfatti. Questa è la realtà e spostare il problema sulle Fdlr sarebbe un atto di un’irresponsabilità molto simile alla complicità. Che si cessi dunque di distrarre l’opinione, perché gli autori di tanta violenza sono da ricercarsi all’interno dello stesso esercito e il governo deve assumersene le responsabilità.

Negli ultimi mesi, ottobre e novembre, si è assistito alla defezione di vari ex miliziani del CNDP dalle file delle Fardc e al loro raggruppamento nel Masisi, un territorio al bordo della secessione, secondo varie fonti concordanti. Alla domanda sul perché il CNDP ha raggruppato il grosso delle sue truppe nel Masisi, un disertore del CNDP, che ha richiesto l’anonimato, ha raccontato: “Durante la preparazione delle truppe prima della partenza verso Masisi, il nostro comandante ci diceva che, come Kinshasa non ha rispettato i suoi impegni, occorre che il CNDP si riorganizzi militarmente, per proseguire la sua lotta di prima e che il luogo ideale per questa riorganizzazione militare è il Masisi. Inoltre, si sono trasportate delle armi verso parecchi luoghi della provincia dove sono state nascoste sotto terra, in fattorie o in residenze private”. Secondo lo stesso disertore, è altrettanto inquietante il reclutamento di giovani da parte di falsi leader Maï-Maï che sono, in realtà, delle talpe del CNDP.

Anche altre fonti parlano di questo fenomeno di Falsi Maï Maï nei tre territori di Rutshuru, Lubero e Beni. Secondo alcuni osservatori, non avendo alcun nemico militare da attaccare per occupare questi tre territori, il CNDP starebbe costituendo una specie di nemico composto da giovani sedicenti “Maï Maï”, ma in realtà sotto il suo comando. A questi gruppi di falsi Maï Maï si ordina innanzitutto di commettere omicidi, saccheggi e stupri, per disorientare l’opinione a livello nazionale e internazionale. Così, le truppe che arriveranno dal Masisi potranno affermare di essere andate per mettere fine a questi “ultimi gruppi armati” e per pacificare la regione. Gli atti di violenza perpetrati da questi falsi Maï Maï servirebbero come alibi per giustificare un intervento militare che permetta di avanzare nell’occupazione del Kivu.

Secondo alcuni osservatori, non si può sottovalutare l’esistenza di falsi Maï Maï, falsi ADF-NALU e false FDLR, cioè di Maï Maï, ADF-NALU e FDLR creati per commettere degli attacchi contro le popolazioni civili e le località scelte come luogo di accoglienza dei rifugiati congolesi provenienti dal Ruanda. La stessa strategia fu utilizzata per infiltrare i movimenti Maï Maï tra il 1999 e il 2002. Il nemico creava dei falsi Maï Maï. Questi ultimi facevano di tutto per ottenere un’alleanza o una fusione coi veri Maï Maï, con il pretesto di volere lottare insieme. Una volta conclusa l’alleanza, i falsi Maï Maï provocavano un conflitto in cui i leader dei veri Maï Maï rimanevano uccisi. Non è da escludere dunque che i falsi Maï Maï, i falsi ADF-NALU e i falsi FDLR siano utilizzati come alibi e pretesto per completare l’occupazione militare del Kivu da parte del Cndp e del suo alleato, il regime ruandese di Paul Kagame, con la complicità del governo congolese.

L’insicurezza vissuta a Beni-Lubero: un preludio alla balcanizzazione?

La grande insicurezza che imperversa nel Kivu in generale e nella zona di Beni-Lubero in particolare è un fatto riconosciuto da tutti.

La tragedia vissuta quotidianamente dalla popolazione di Beni-Lubero rivela che la pace tanto proclamata da certi politici, particolarmente dal Capo dello Stato, non è ancora una realtà. Per esempio, a proposito delle sistematiche violenze perpetrate contro i Nande (homicidi, stupri, furti, incendi di case, spostamenti forzati della popolazione, ecc.), si ritengono due ipotesi. La prima ipotesi è che gli autori di queste violenze siano dei militari delle FARDC e degli agenti della polizia che sfuggirebbero al controllo dei loro capi gerarchici tutsi provenienti dal CNDP, a cui Kinshasa ha cinicamente attribuito il comando militare nel Nord-Kivu, Sud-Kivu e Maniema. La seconda ipotesi è che questi fuorilegge non facciano che eseguire un piano sapientemente elaborato da coloro che li comandano, cioè il massacro della popolazione locale, per liberare il territorio a favore di una popolazione di lingua Kinyarwanda che, da poco, si fa chiamare ruandofona, Hutu-Nande, ecc.

Il fatto che gli autori di questi crimini restino impuniti, che continuino a commettere tali atti di violenza sotto gli occhi di coloro che dovrebbero combatterli e che quelli che la popolazione riesce a prendere e a fare gettare in prigione siano, dopo pochi giorni, rimessi in libertà dalla gerarchia militare, fa propendere per la seconda ipotesi. I crimini commessi dagli uni e dagli altri fanno parte di un piano internazionale per dividere il Kivu dal resto del Paese, attuato con la collaborazione di strateghi militari dell’esercito ruandese.

Malgrado i mezzi di cui dispongono, gli eserciti della RDCongo, del Ruanda e della MONUSCO non riescono né a neutralizzare le FDLR, né ad assicurare la sicurezza di un solo villaggio del Kivu.

Le prove della mancanza di volontà politica per garantire la sicurezza nel Kivu sono molte. Gli insorti BDK del Bas-Congo furono vinti dalle FARDC in meno di una settimana. Anche gli ENYELE dell’Equateur. Attualmente, il Bandundu è tenuto sotto controllo per evitare una nuova ribellione. Tra tanti altri, questi tre esempi dimostrano che la RDCongo ha un esercito che, nonostante i suoi limiti evidenti, potrebbe avere una reale capacità dissuasiva. Ma perché, allora, questo stesso esercito non può interviene nel Kivu? Perché le FDLR non devono essere smantellate. La verità è che le FDLR fanno parte della strategia della balcanizzazione del Kivu. Non c’è più nessun dubbio che le FDLR e i falsi Maï-Maï lavorano per conto del Ruanda nel progetto internazionale della balcanizzazione del Kivu.

La stessa strategia fu utilizzata all’epoca della conquista del Ruanda da parte dei Tutsi provenienti dall’Uganda, secondo le rivelazioni di un testimone presso il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda/Arusha, Aloys Ruyenzi, che ha affermato che “il Presidente degli Interahamwe, Robert Kajuga (+), lavorava per conto del FPR di Paul Kagame. Secondo il testimone, Kajuga – tutsi – e i suoi uomini commettevano crimini la cui responsabilità era addossata poi alla parte governativa”. Attualmente, la stessa strategia è utilizzata nel Kivu .

L’inferno in cui sono precipitate le popolazioni dell’Est in generale e di Beni-Lubero in particolare è ben conosciuto da tutti. Ne consegue che il rifiuto di pacificare l’est e di assicurare la sicurezza delle popolazioni è manifestamente un rifiuto di assistenza a popolazioni in pericolo e dunque un crimine contro l’umanità imputabile a tutto l’attuale esecutivo nazionale, colpevole di alto tradimento, ma anche alla comunità internazionale rappresentata in R.D.Congo dalla Monusco che non fa altro che assistere indifferente alla balcanizzazione del Paese.

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“Sempre mi ricorderò della menzogna sistematica e dell’atroce disinganno che si nasconde in ogni guerra” (Mario Luzi, poeta)
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