Congo Attualità 489

LA MAGGIOR PARTE DEL COLTAN ESPORTATO DAL RUANDA PROVIENE ILLEGALMENTE DALL’EST DELLA RDC, VIA UN CIRCUITO DI CONTRABBANDO

INDICE

1. NEL 2023, IL RUANDA SI È CLASSIFICATO PRIMO ESPORTATORE MONDIALE DI COLTAN, PER LA QUINTA VOLTA IN 10 ANNI
2. IL 90% DEI MINERALI ESPORTATI DAL RUANDA VI È STATO INTRODOTTO ILLEGALMENTE DALLA RDC
3. L’UE E IL RUANDA HANNO FIRMATO UN MEMORANDUM D’INTESA SUL COMMERCIO DI MATERIE PRIME CRITICHE
4. L’M23 ESTRAE ILLEGALMENTE I MINERALI DI RUBAYA PER FARLI ENTRARE DI CONTRABBANDO IN RUANDA

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1. NEL 2023, IL RUANDA SI È CLASSIFICATO PRIMO ESPORTATORE MONDIALE DI COLTAN, PER LA QUINTA VOLTA IN 10 ANNI

La RDC e il Ruanda sono i due principali esportatori mondiali di coltan, un minerale essenziale nell’industria elettronica e presente nei nostri computer e smartphone. Tra il 2014 e il 2023, i due paesi hanno pubblicato dati sulle esportazioni di coltan per un totale di 32.702 tonnellate.

RDC ***           Ruanda +++      (in tonnellate)

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2014     *****************************
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2015     ********************************
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2018     *********************************
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2019    ******************************
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2020   ********************************************************************
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2021   ***********************************************
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2022   ******************************************************
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2023   ***********************************************
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RDC ***           Ruanda +++      (in tonnellate)

Nel 2023, le esportazioni di coltan dalla RDC hanno raggiunto le 1.918 tonnellate, rispetto alle 2.070 tonnellate del Ruanda. Secondo le statistiche ufficiali dei due paesi, compilate dall’Agenzia Ecofin, questa è la quinta volta dal 2014 che il Ruanda esporta più coltan rispetto alla RDC.
Oltre che nel 2023, il Ruanda ha superato la RDC nel 2014, 2015, 2017 e 2019. Dopo un picco di 2.302 tonnellate nel 2014, le esportazioni di coltan ruandese si sono evolute in modo discontinuo, rimanendo al di sotto delle 2.000 tonnellate annuali fino al 2023.
Nel corso del decennio, la RDC ha raggiunto il suo picco nel 2020, con 2.466 tonnellate esportate. Se i due paesi hanno alternativamente occupato il posto di primo esportatore mondiale di coltan, i volumi di esportazioni registrati negli ultimi 10 anni dimostrano che la RDC rimane in testa con 17.330 tonnellate, contro le 15.374 tonnellate del Ruanda.
Va sottolineato che i dati di esportazione sopra indicati non tengono conto dei circuiti di contrabbando che, attivi nei due Paesi, sfuggono al controllo delle rispettive autorità competenti. Minerale essenziale per l’elettronica moderna, il coltan è estratto principalmente in modo artigianale, in particolare nelle regioni del Nord e del Sud Kivu della RDC, dove la presenza di gruppi armati e un sistema di corruzione generalizzata rendono difficili i controlli. Il contrabbando è alimentato anche dalle multinazionali minerarie che non si preoccupano sufficientemente della provenienza del coltan che acquistano.
Secondo un rapporto pubblicato nel mese di marzo 2022 da ENACT, un’iniziativa sorta per combattere la criminalità organizzata transnazionale, «un’inchiesta delle Nazioni Unite ha rivelato che molti centri di esportazione acquistano consapevolmente del coltan proveniente da zone controllate da gruppi armati ma, appoggiandosi sulla distinzione tra loro e i commercianti locali, dichiarano di non poter conoscere la sua origine […] In seguito, le compagnie internazionali inviano questo coltan direttamente al paese di destinazione o lo inviano, attraverso l’Uganda e il Ruanda, verso impianti di trasformazione (fonderie e raffinerie) all’estero».
Intitolato “Estrazione e commercio illegale del coltan nella Repubblica Democratica del Congo”, il documento evidenzia che il Ruanda è la via preferita per il commercio illegale del coltan. Secondo la legislazione vigente, Kigali non tassa le importazioni di minerali e permette che le merci importate siano etichettate “made in Rwanda” se sono sottoposte a un processo di trasformazione nel Paese che conferisca loro un valore aggiunto pari ad almeno il 30%. «È quindi probabile che la maggior parte del coltan esportato dal Ruanda sia di origine congolese», conclude ENACT. Tra le raccomandazioni per porre fine a questo traffico illegale, l’ENACT propone che le multinazionali applichino con cura i programmi di tracciabilità esistenti che consentono loro di verificare la propria catena di approvvigionamento del coltan.[1]

Il commercio del coltan risulta molto spesso inquinato dal contrabbando e dalle esportazioni illegali, in particolare nelle regioni del Nord e del Sud Kivu. La presenza di gruppi armati e un alto livello di corruzione facilitano queste attività illegali, che spesso vengono ignorate o addirittura incoraggiate da compagnie minerarie internazionali senza scrupoli che non si preoccupano affatto dell’origine del coltan che acquistano.
Secondo un rapporto di ENACT del mese di marzo 2022, il Ruanda svolge un ruolo centrale nel commercio illegale del coltan, proprio grazie a una normativa che gli permette di riclassificare, il minerale “importato” come prodotto ruandese se sottomesso a un primo processo di trasformazione all’interno del Paese. Questa pratica lascia intendere che gran parte del coltan esportato dal Ruanda provenga, in realtà, dall’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), principale produttore di questo minerale. Da parte sua, la RDC ha sempre denunciato il saccheggio delle sue risorse minerarie da parte del Ruanda. In particolare, il governo congolese accusa il regime ruandese  di creare e sostenere, nell’est del Paese, dei movimenti armati (AFDL, RCD, CNDP e M23), con l’obiettivo di continuare a sfruttare illegalmente le preziose risorse del sottosuolo congolese.
Nell’est della RDC, la guerra alimentata da questi movimenti armati sta avendo conseguenze devastanti per la popolazione congolese, che sta pagando un prezzo molto elevato e assurdo: milioni di vittime uccise e altri milioni di sfollati che vivono in condizioni disumane di estrema precarietà.
Di fronte a questa situazione complessa, per arginare il flusso illegale del coltan sono state formulate delle raccomandazioni, tra cui
– le diverse iniziative di tracciabilità del coltan (miniera d’origine, centro di esportazione, fonderia/raffineria e, infine, industria elettronica) e
– il rispetto del dovere di individuare gli eventuali rischi (finanziamento di gruppi armati, favoreggiamento di lavoro minorile, inquinamento ambientale) inerenti alla catena di approvvigionamento del coltan e trovarne le soluzioni adeguate per evitarli.[2]

2. IL 90% DEI MINERALI ESPORTATI DAL RUANDA VI È STATO INTRODOTTO ILLEGALMENTE DALLA RDC

Descritta come uno “scandalo geologico”, la Repubblica Democratica del Congo (RDC) contiene più della metà delle riserve mondiali di coltan. Le sue riserve sono stimate tra il 60% e l’80% delle riserve mondiali e le rimanenti sono localizzate tra Australia, Brasile, Canada, Spagna, regione dell’Orinoco in Venezuela e Cina.
Nella RDC, il coltan, la cassiterite e la wolframite, tre prodotti comunemente chiamati “3T” (Stagno, Tantalio e Tungsteno), vengono estratti nelle province orientali e sudorientali del Paese: Maniema, Nord Kivu, Sud Kivu, Haut-Katanga, Haut-Lomami, Lualaba e Tanganica. Tra esse, la provincia del Nord Kivu è quella in cui si registra la maggiore concentrazione di riserve di coltan del paese.
Nel 2019, la RDC ha prodotto il 40% del coltan immesso nel mercato internazionale: 1.106,42 tonnellate per il Nord Kivu e 182,29 tonnellate per il Sud Kivu. Tuttavia, i vari conflitti tra i gruppi armati provenienti da paesi limitrofi (Ruanda, Uganda e Burundi), i gruppi armati locali e l’esercito nazionale non permettono che i conseguenti introiti vadano a beneficio della stessa popolazione.
Nel 2021, secondo le statistiche comunicate dal Ministero congolese delle Miniere, la produzione di coltan a livello industriale veniva stimata sulle 148,72 tonnellate, appena l’11% del volume totale prodotto all’interno del paese nello stesso anno. La produzione artigianale di coltan ammontava infatti a 1.291,03 tonnellate e rappresentava l’89% della produzione nazionale. Secondo un rapporto della Banca Centrale del Congo (BCC), che faceva riferimento ai dati pubblicati dal Ministero congolese delle Miniere, il volume totale di coltan  prodotto nel 2021 nella RDC ammontava a circa 1.439,79 tonnellate.
D’altra parte, fino al 2011, il Ruanda non era ufficialmente riconosciuto come paese produttore di coltan. Fino a quella data, infatti, non gli veniva attribuito alcun volume di produzione o di esportazione di questo minerale. Tuttavia, a partire dal 2012, il Ruanda è stato annoverato tra i paesi esportatori di coltan, con 341 tonnellate di coltan. In seguito, il volume di coltan esportato dal Ruanda ha raggiunto le 940 tonnellate nel 2013, per poi ridiscendere a  265 tonnellate nel 2014, 614 tonnellate nel 2016 e 318 tonnellate nel 2017. Nessun dato per il 2015, essendo stato un anno di grande crisi.
Secondo un rapporto di ENACT (2022), nel 2013, le entrate del Ruanda (principale esportatore mondiale in quell’anno!) per le esportazioni di coltan ammontavano a 134,5 milioni di dollari per 2.466 tonnellate di coltan esportato, pari al 28% della produzione mondiale.
Sempre nel 2022, in uno studio intitolato “La lavatrice ITSCI: come un programma di tracciabilità sembra riciclare minerali di conflitto”, Global Witness ha denunciato un sistema generalizzato di pratiche di saccheggio, di contrabbando, di riciclaggio e di corruzione politica attuato con la complicità delle massime autorità politiche, militari e amministrative della RDC e , soprattutto, del Ruanda.
Secondo quel rapporto, «un agente importante del programma ITSCI in Ruanda ha dichiarato che solo il 10% dei minerali esportati dal paese [Ruanda, ndr] è stato effettivamente estratto sul suo territorio, mentre il restante 90% vi è stato introdotto illegalmente dall’est della RDC».
Citando alcune fonti del settore minerario della RDC e del Ruanda, l’ONG Global Witness afferma che il governo ruandese sa perfettamente che «i volumi di produzione di coltan in territorio ruandese sono artificialmente gonfiati dal contrabbando di coltan proveniente dalla RDC» e che
«la maggior parte dei minerali etichettati in miniere congolesi convalidate provengono da altre miniere vicine ma non convalidate, perché occupate da milizie e gruppi armati che spesso impiegano lavoro minorile».
Ciò nonostante, nel 2016, la società americana AB Minerals, presente nella regione da diversi anni, ha annunciato la costruzione di un impianto di prima trasformazione del coltan in Ruanda. È stato il primo impianto di questo genere.[3]

I minerali estratti da miniere situate in zone remote del’est della RDC vengono trasportati verso i centri urbani di confine: Bukavu, Uvira, Kalehe, Goma, Butembo e Beni, da dove vengono esportati in forma legale o meno.
In molti casi, l’esportazione illegale segue lo stesso percorso di quella legale, soprattutto quando si tratta di un esportatore che mantiene strette relazioni con autorità politiche, amministrative o militari. In questi casi, si suole sottovalutare la qualità o la quantità da dichiarare, nella certezza che non verrà effettuato alcun controllo, perché il proprietario della merce in questione è qualcuno che gode della complicità di qualche personaggio potente. In effetti, detenere un po’ di potere nella RDC è come un passaporto per poter fare qualsiasi cosa. Per i cittadini comuni, l’esportazione illegale dei minerali assume altre forme. Se ne possono citare almeno tre.
Innanzitutto il cosiddetto sistema “kuchora”. Per far entrare di contrabbando i minerali in Ruanda, i proprietari dei minerali si servono dei piccoli commercianti che utilizzano frequentemente dei posti di frontiera secondari e poco sorvegliati, tra Goma e Gisenyi, nel “Makoro”.
In secondo luogo, per fare passare clandestinamente i minerali in Ruanda, i piccoli commercianti utilizzano le persone disabili che praticano quotidianamente il commercio transfrontaliero, perché sono meno controllati dagli agenti della dogana. Una volta arrivati dall’altra parte della frontiera, sanno a chi lasciare la merce loro affidata.
Infine, altri commercianti ricorrono ad ufficiali militari dell’esercito che, approfittando della loro condizione di militari, riescono a persuadere gli agenti della dogana a lasciare passare i minerali oltre frontiera, senza pagare le tasse sulle esportazioni. In cambio, i commercianti pagano loro una tangente.
Il Ruanda è la rotta preferita per il commercio illegale dei minerali, soprattutto del coltan. A differenza del governo congolese, quello ruandese non impone alcuna tassa sulle importazioni di minerali e la legislazione del paese consente di riconoscere i minerali importati come minerali ruandesi, se sottoposti ad un processo di trasformazione all’interno del paese che permetta almeno il 30% di valore aggiunto.
C’è un altro elemento che favorisce il contrabbando dei minerali dalla RDC verso il Ruanda: i prezzi. Nel 2018 e nel 2019, i prezzi medi del coltan si aggiravano sui 23,85 dollari/kg nella RDC e sui 36 dollari/kg in Ruanda. A seconda della percentuale di concentrato di tantalio, nel 2021, nella RDC, il coltan veniva venduto tra i 35 e i 52,5 USD/kg mentre, nello stesso anno, in Ruanda il prezzo era compreso tra i 52 e i 65 USD/lb (0,5 kg).
Secondo l’agenzia Ecofin, il 90% del coltan esportato dal Ruanda proviene da esportazioni illegali dal Congo.
Il commercio illegale del coltan e degli altri minerali strategici contribuisce allo sviluppo economico del Ruanda. «La città di Kigali non è costruita con la ricchezza del Ruanda, ma con le risorse minerarie della RDC», sostiene Célestin Bamwisho Bwira Bivuya, ex responsabile del servizio di Disarmo e Reinserimento (DDR). Questa affermazione è confermata dal professor Nissé Mughendi, secondo il quale l’estrazione e il commercio dei minerali congolesi da parte delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato costituito da Hutu ruandesi che, dopo il genocidio del 1994 e la loro sconfitta, sono fuggiti in Congo, non giovano solo a  loro, ma anche ad altri: «Le FDLR si dedicano all’estrazione e al commercio dei minerali congolesi, li esportano verso il Ruanda, vendendoli a società minerarie ruandesi che, a loro volta, li riciclano immettendoli nel circuito dell’economia del Ruanda».
Secondo il professor Nissé Mughendi, pensare che la RDC debba chiedere al Ruanda di rivelare l’origine dei minerali che esporta è un’impresa molto ardua. La RDC dovrebbe piuttosto impegnarsi maggiormente per ridurre la porosità delle sue frontiere: «La RDC può farlo senza causare incidenti diplomatici. Il Ruanda non può esportare minerali che non possiede o che non vi siano stati introdotti attraverso un qualsiasi posto di frontiera. Se i minerali congolesi riescono ad attraversare illegalmente le frontiere congolesi, una parte di responsabilità va attribuita anche ai Congolesi stessi. Per questo, almeno una parte della soluzione a questi problemi deve essere cercata anche all’interno della stessa RDC».[4]

3. L’UE E IL RUANDA FIRMANO UN MEMORANDUM D’INTESA SUL COMMERCIO DI MATERIE PRIME CRITICHE

Il memorandum d’intesa firmato tra l’Unione Europea (UE) e il Ruanda il 19 febbraio 2024, circa l’estrazione e il commercio di materie prime critiche, tra cui i minerali 3T (Stagno, Tantalio e Tungsteno), ha scatenato le ire del presidente della Repubblica Democratica del Congo (RDC), Félix Tshisekedi che accusa il Ruanda di saccheggiare le risorse minerarie congolesi e l’UE di esserne complice. Cosa sta realmente succedendo? TV5MONDE ha intervistato il ricercatore Thierry Vircoulon, membro associato dell’IFRI.

TV5MONDE: Dopo l’annuncio del protocollo d’accordo, il presidente Tshisekedi ha parlato di una provocazione da parte dell’Unione europea, accusando il Ruanda di essere un paese “predatore di minerali congolesi” e l’UE di esserne “complice”. Perché tali accuse?
Thierry Vircoulon: La Repubblica Democratica del Congo (RDC) accusa il Ruanda di saccheggiare i suoi minerali. Kinshasa denuncia un contrabbando di minerali esistente tra la regione del Kivu (situata nell’est della RDC) e il Ruanda. Secondo il governo congolese, il Ruanda esporta quindi minerali non suoi ma congolesi. Per definizione, il contrabbando si basa su un sistema di corruzione.Ciò significa che ci sono dei Congolesi (agenti commerciali, ufficiali militari e autorità politiche e amministrative) che vendono questi minerali ai ruandesi.
TV5MONDE: Di quali minerali e risorse stiamo parlando?
Thierry Vircoulon: Parliamo principalmente di coltan (o tantalio), stagno (cassiterite) e tungsteno (wolframite), comunemente indicati come minerali  “3T”. Ma si tratta anche di oro.
TV5MONDE: Cosa significa questo accordo tra l’Unione Europea e il Ruanda?
Thierry Vircoulon: È semplicemente un protocollo (momerandum) d’intesa, È solo una dichiarazione di intenti, niente di drammatico. Inoltre, l’anno scorso (2023) l’UE ha firmato lo stesso tipo di accordo con la Repubblica Democratica del Congo. Tale procedura fa semplicemente parte della politica europea. L’Ue è alla ricerca di minerali un po’ ovunque nel mondo, in particolare di coltan (essenziale e necessario per le nuove tecnologie). Quindi ha già firmato questo tipo di protocollo d’intesa con molti altri Paesi e continuerà a farlo.
TV5MONDE: Cosa dice l’UE su queste accuse di saccheggio da parte del Ruanda?
Thierry Vircoulon: Come ho detto, un protocollo d’intesa simile è già stato firmato tra la RDC e l’UE. Per i 27 Paesi membri dell’UE si tratta della logica continuazione della loro politica economica. Per quanto riguarda le accuse di saccheggio dei minerali congolesi da parte del Ruanda, sono note da molti anni. Inoltre, come ricordato prima, anche la Repubblica Democratica del Congo ha firmato lo stesso memorandum d’intesa nel 2023. Quindi, le dichiarazioni del presidente congolese Félix Tshisekedi e del ministro degli Esteri congolese Christophe Lutundula, hanno solo uno scopo propagandistico, per ottenere determinati risultati in campo politico, economico e giudiziario. Occorre tuttavia ammettere che questo protocollo d’accordo è stato firmato in un momento assolutamente inopportuno quando, nel Nord Kivu, il Movimento del 23 Marzo (M23) si sta avvicinando alla città di Goma e la tensione è al massimo. Ripeto: questo protocollo d’accordo è stato firmato nel peggior momento.
TV5MONDE: Qual è la causa principale di questa crisi nel Nord Kivu?
Thierry Vircoulon: Il carburante di questo conflitto che dura ormai da 30 anni è il commercio illegale dei minerali.
TV5MONDE: Secondo il dipartimento minerario ruandese, i proventi delle esportazioni di minerali del Ruanda nel 2023 sono aumentati fino alla cifra record di 1,1 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, il ministro delle Finanze congolese, Nicolas Kazadi, ammetteva una perdita esattamente di un miliardo di dollari nelle esportazioni di minerali. Il saccheggio denunciato dal governo congolese è dunque confermato?
Thierry Vircoulon: Sul saccheggio non ci sono dubbi. Nel 2023, i dati sull’export ruandese sono stati molto buoni, ma tutti sanno benissimo che le cifre di produzione e di esportazione non corrispondono. Non c’è nessun mistero. Le esportazioni ruandesi aumentano a causa del contrabbando tra la regione del Kivu (RDC) verso il Ruanda, nonostante le varie iniziative di tracciabilità messe in atto. Ciò permette un significativo aumento delle entrate nelle casse dello stato ruandese  anche se, in realtà, è un paese povero di risorse minerarie.
TV5MONDE: Secondo Bruxelles, l’obiettivo di questo protocollo d’intesa è aumentare la capacità di tracciabilità dei minerali, favorire la trasparenza nelle operazioni commerciali e rafforzare la lotta contro il traffico illegale di minerali.
Thierry Vircoulon: Esistono numerosi rapporti, tra cui quelli dell’ONU, che denunciano sia l’esistenza di un alto livello di contrabbando di minerali dalla RDC verso il Ruanda, sia il grande rischio di contaminazione delle catene di approvvigionamento mediante l’immissione in esse, di minerali illegali provenienti da zone occupate da gruppi armati. Ci sono anche delle disposizioni legislative e dei sistemi di tracciabilità dei minerali che permettono di smascherare e sconfiggere il contrabbando esistente e il commercio illegale dei minerali. Invece di firmare questo protocollo d’accordo con il governo ruandese, l’Ue avrebbe dovuto impegnarsi maggiormente per migliorare le legislazioni già esistenti e assicurarne l’applicazione.[5]

Anche se la RDC è totalmente contraria al protocollo d’accordo firmato il 19 febbraio 2024 tra l’Unione Europea (UE) e il Ruanda sul commercio di minerali strategici, perché “incoraggia il saccheggio delle sue risorse minerarie da parte del regime ruandese”, il primo ministro belga Alexander De Croo ha lasciato intendere che nulla può impedirne l’applicazione, perché “si tratta di una decisione presa dalla Commissione europea”.
A proposito del memorandum d’intesa firmato tra l’UE e il Ruanda, il cui obiettivo dovrebbe essere quello di promuovere “catene di valore sostenibili e resilienti nell’ambito dell’approvvigionamento di materie prime critiche”, davanti ai parlamentari belgi, egli ha dichiarato: «Una convenzione simile era già stata firmata con la RDC l’anno scorso. Tuttavia, questa con il Ruanda è stata firmata nel momento più inadeguato. Lo avevamo già segnalato con largo anticipo alla Commissione europea. E ora che la Commissione Europea ha preso questa decisione, non è più possibile annullarla».
Mentre la RDC chiede la cancellazione di questo protocollo d’accordo, De Croo ritiene che «ciò che ora si può fare è applicarlo con rigore, perché può essere una leva da usare per esigere dal Ruanda una totale trasparenza per quanto riguarda l’origine e la tracciabilità dei minerali che  esporta».[6]

4. L’M23 ESTRAE ILLEGALMENTE I MINERALI DI RUBAYA PER FARLI ENTRARE DI CONTRABBANDO IN RUANDA

Un’inchiesta di Radio Okapi ha rivelato che, nel territorio di Masisi (Nord Kivu),  le principali vie del contrabbando di minerali sono tre.
La prima va da Rubaya, Matanda e Mushaki in direzione di Kibati e di Kibumba e arriva in Ruanda.
La seconda parte da Rubaya e arriva a Kasunyu, sulle sponde del lago Kivu, passando per Ngungu e Minova. Spesso nascosti sotto sacchi di caffè, i minerali arrivano a Kasunyu, dove delle canoe provenienti dal Ruanda li ricuperano per trasportarli in Ruanda.
Infine, la terza via è quella che collega Bihambwe, Kisuma, Nyabiondo, Katale, Lushebere (territorio di Masisi) e Pinga (territorio di Walikale).
Secondo l’inchiesta di Radio Okapi, tra i soggetti implicati nel contrabbando dei minerali ci sono dei capi di gruppi armati, degli agenti dei servizi di sicurezza (esercito e polizia), dei capi tradizionali di comunità etniche locali, delle autorità politiche e dei commercianti.
Queste complicità spiegano il fatto che, anche prima del 30 aprile 2024, quando la zona mineraria di Rubaya non era ancora sotto il controllo dell’M23, i minerali estratti in questo sito minerario sfuggissero al controllo dei servizi competenti e fossero fatti passare di contrabbando in Ruanda, dove venivano venduti a un prezzo due o tre volte superiore a quello vigente nei centri congolesi di esportazione di Goma.[7]

Il 9 maggio, intervistato dalla stampa, il deputato nazionale Crispin Mbindule Mitono, ha dichiarato che, se il 30 aprile 2024, il Movimento del 23 marzo (M23), appoggiato dall’esercito ruandese, ha preso il controllo della città di Rubaya, il suo obiettivo è di poter controllare l’estrazione e il commercio illegali dei minerali, come il coltan e la cassiterite, che si trovano abbondantemente in quella zona: «Da quel momento, l’M23 ha costretto la popolazione civile a lavorare per estrarre i minerali della miniera di Rubaya. In soli cinque giorni, sono riusciti ad estrarre 5.440 Kg di coltan e 3.250 Kg di cassiterite, subito trasportati in Ruanda. Secondo alcune fonti, questi minerali sono attualmente immagazzinati nella città di Mushake». Altre fonti riferiscono che l’M23 ha già aperto un mini centro commerciale a Rubaya, dove il coltan è acquistato a 50 dollari al chilo. I minerali estratti quotidianamente seguono un percorso ben definito: Mushaki, Kilolirwe, Burungu, Bwiza, Tongo e Kibumba, per essere fatti passare clandestinamente in Ruanda attraverso la frontiera di Kabuhanga.[8]

È confermato che l’M23/RDF hanno già iniziato ad estrarre i minerali delle miniere Rubaya, nel territorio di Masisi (Nord Kivu). Secondo il presidente della società civile di Masisi, Voltaire Batundi, l’M23/RDF hanno addirittura distribuito delle vanghe agli abitanti del posto, per incitarli all’attività estrattiva di minerali. Egli cita l’aumento del prezzo del coltan che è passato da 30 a 70 dollari al chilo e del salario giornaliero dei minatori, che è passato da 10.000 FC a 30.000 FC.
Nello stesso tempo però, l’M23 ha introdotto una tassa di 3.000 dollari per tonnellata di coltan e 2.000 dollari per tonnellata di cassiterite pagabile, dopo la vendita, a Kigali, capitale del Ruanda.[9]

Il 13 maggio, in un comunicato ufficiale, il Ministero delle Miniere della Repubblica Democratica del Congo ha denunciato l’implicazione del Ruanda nell’occupazione di Rubaya (Nord Kivu) attraverso l’M23 e ha chiesto alla comunità internazionale, all’ONU e all’UE in particolare, di decretare un embargo sui prodotti minerari introdotti di contrabbando in Ruanda e poi immessi nel mercato mondiale del coltan. Situata a una quarantina di chilometri a nord-ovest di Goma, Rubaya è una delle principali miniere congolesi di coltan, minerale strategico utilizzato nell’industria elettronica.
Secondo il ministro Antoinette Nsamba Kalambayi, «l’embargo  avrebbe il vantaggio di mettere fine al finanziamento dei gruppi armati attraverso il commercio illegale dei minerali; di tutelare i legittimi interessi economici dello Stato congolese; di abbassare il livello delle violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi armati locali e stranieri e di ripristinare la pace e la sicurezza internazionale».
Secondo il Ministero delle Miniere, attraverso l’M23, il Ruanda sta occupando la zona oggetto della vecchia Licenza di estrazione mineraria 4731, successivamente abrogata con l’Ordinanza Ministeriale n00222/CAB/MINES/01/2023 del 14 giugno 2023, data in cui la suddetta zona era stata restituita al demanio dello Stato, con l’obiettivo di mettere fine ad un’attività estrattiva artigianale illegale da parte delle popolazioni locali di Rubaya e dei suoi dintorni.
Secondo lo stesso comunicato del ministero congolese delle miniere, l’M23 ha intensificato l’attività mineraria sui siti di Rubaya, permettendovi l’accesso anche a donne incinte e a bambini. Nel frattempo il Ruanda ha optato per una strategia di diversione, consistente nel sospendere temporaneamente l’esportazione dei minerali, per non dover dichiarare ufficialmente un aumento statistico delle esportazioni in seguito all’occupazione di Rubaya.
Secondo le dichiarazioni di Antoinette Nsamba Kalambayi, ministra congolese delle miniere, «i minerali estratti a Rubaya vengono quindi temporaneamente conservati in depositi situati in territorio ruandese, in  attesa di una loro successiva esportazione. Nonostante questa manovra diversiva, appare evidente che la maggior parte dei minerali 3T esportati ufficialmente dal Ruanda sono effettivamente estratti illegalmente nelle miniere congolesi e sono oggetto di contrabbando tra la RDC e il Ruanda per opera dell’M23 e delle ruppe ruandesi che, violando lo spazio territoriale congolese, lo stanno appoggiando. Una volta in Ruanda, questi minerali sono etichettati e venduti sul mercato internazionale, ciò che lascia pensare ad un vero e proprio sistema di riciclaggio dei minerali provenienti illegalmente da zone di conflitto». Per questo, la ministra congolese delle Miniere ha auspicato un deciso impegno da parte di tutti, compresi i consumatori finali dei prodotti minerari, a favore di un approvvigionamento sano e responsabile di sostanze minerali.[10]

[1] Cf Agence Ecofin – 08.04.’24  https://www.agenceecofin.com/mines/0804-117688-en-2023-le-rwanda-s-est-classe-premier-exportateur-mondial-de-coltan-pour-la-5e-fois-en-10-ans
[2] Cf Lepoint.cd, 08.04.’24   https://lepoint.cd/rwanda-et-rdc-une-rivalite-economique-autour-du-coltan-mise-en-lumiere/
Mines.cd, 09.04.’24   https://mines.cd/monde-avec-du-coltan-pille-en-rdc-en-10-ans-le-rwanda-classe-premier-exportateur-pour-la-5e-fois/
[3] Cf Théodore  Tchpa – invest-time.com, 24.10.’23   https://invest-time.com/2023/10/24/minerais-critiques-la-rdc-abrite-60-a-80-des-reserves-mondiales-de-coltan-mais-peine-a-en-tirer-le-meilleur-profit/
[4] Cf Actualité.cd, 10.02.’23   https://actualite.cd/2023/02/10/rdc-les-aires-protegees-dans-lexportation-illegale-du-coltan-or-et-cassiterite-dans-lest
[5] Cf Nadia Bouchenni – tv5monde.com, 25.02.’24   https://information.tv5monde.com/afrique/guerre-lest-de-la-rd-congo-les-minerais-sont-le-moteur-de-cette-crise-2711568
[6] Cf Reagan Ndota – Afriquactu / MCP, via mediacongo.net, 01.03.’24   https://www.mediacongo.net/article-actualite-134176_accord_minier_ue_rwanda_on_ne_peut_plus_changer_le_choix_qui_a_ete_fait_belgique.html
[7] Cf Radio Okapi, 09.04.’24
[8] Cf Azarias Mokonzi – Politico.cd, 10.05.’24
[9] Cf Jonathan Kombi – Actualité.cd, 13.05.’24
[10] Cf Cf 7sur7.cd, 14.05.’24   https://7sur7.cd/index.php/2024/05/14/rubaya-la-rdc-accuse-le-rwanda-dentreposer-les-minerais-pilles-pour-une-exportation