Congo Attualità n. 485

VIOLENZE NEL NORD KIVU: IL POPOLO NE PAGA IL PREZZO E  I COMMERCIANTI D’ARMI E DI MINERALI NE TRAGGONO PROFITTI

INDICE

1. L’ONU ALLARMATA PER IL FORTE AUMENTO DELLE VIOLENZE NELL’EST DELLA RDC
2. LA GRANDE CONFUSIONE NELL’EST DELLA RDC FAVORISCE GLI INTERESSI DEI COMMERCIANTI DI ARMI E DEI DIGNITARI DEL REGIME CONGOLESE
3. L’M23 SI RITIRA DA QUALCHE LOCALITÀ PER RINFORZARSI IN ALTRE
4. IL LENTO DISPIEGAMENTO DELLA FORZA MILITARE REGIONALE DELL’EAC
5. IL DIBATTITO SUL PROGETTO DI DECRETO-LEGGE SULL’ISTITUZIONE DELLA FORZA DI RISERVA MILITARE

1. L’ONU ALLARMATA PER IL FORTE AUMENTO DELLE VIOLENZE NELL’EST DELLA RDC

Il 14 marzo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è detto preoccupato per la circolazione delle armi nell’ambito dei gruppi armati. Nicolas de Rivière, rappresentante della Francia presso il Consiglio di sicurezza, ha ricordato che, secondo un rapporto del gruppo degli esperti dell’ONU, «l’80% delle armi in mano ai gruppi armati proviene dalle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC)», aggiungendo che si tratta di «un problema che deve essere affrontato».[1]

Il 27 marzo, il Comitato Congiunto delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (BCNUDH) nella  Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha pubblicato le principali statistiche del mese di gennaio 2023.
Per questo solo mese, il BCNUDH ha documentato un totale di 454 violazioni dei diritti umani commesse  sull’insieme del territorio della Repubblica Democratica del Congo, con un aumento del 14% rispetto a dicembre 2022 (390 violazioni). Tale aumento è dovuto alla persistenza degli attacchi delle ADF e dell’M23 nei territori di Beni, Masisi e Rutshuru e della CODECO e di Zaire nella provincia dell’Ituri.
Nello stesso mese, nelle province colpite dai conflitti il BCNUDH ha documentato un totale di 372 violazioni dei diritti umani. Si tratta di un leggero aumento rispetto ai casi documentati in dicembre 2022 (358, con un aumento del 4%). Nel mese di gennaio, i casi documentati in queste zone di conflitti rappresentano l’82% dei casi dell’intero Paese.
Secondo questo organismo delle Nazioni Unite, le vittime di esecuzioni sommarie ed extragiudiziali sono state 261 (171 uomini, 66 donne e 24 bambini), il che costituisce un calo considerevole (38%) rispetto al mese di dicembre 2022 (420 vittime),
Nel corso del mese preso in considerazione, i casi di violenza sessuale praticata in zone di conflitto sono diminuiti rispetto al mese precedente: 42 vittime di sesso femminile rispetto alle 75 del mese di dicembre 2022. Ventisei casi sono stati attribuiti a membri di gruppi armati, tra cui le ADF (18 vittime), i Nyatura (quattro vittime), vari gruppi Mai-Mai (tre vittime) e CODECO (una vittima). 16 casi di violenza sessuale sono stati  attribuibili ad agenti delle forze di sicurezza, tra cui  dei militari delle Forze Armate della RDC / FARDC (15 vittime) e degli agenti della Polizia Nazionale Congolese / PNC (una vittima).
Almeno 166 persone civili (120 uomini, 31 donne e 15 bambini) sono state vittime di sequestri da parte di membri di gruppi armati. I dati restano allarmanti ma,  secondo il BCNUDH si tratta di un calo del 34% rispetto al mese di dicembre (256 vittime). La provincia del Nord Kivu rimane la più colpita (116 casi o 70%), seguita dal Sud Kivu (29 casi o 17%), dall’Ituri (19 casi o 11%) e dal Tanganica (due casi o 1%). I gruppi armati responsabili del maggior numero di sequestri sono stati l’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano / APLCS (36 casi o 22%), il Movimento del 23 marzo /M23 e i Raïa Mutomboki (28 casi ciascuno, o 17%), le Forze Democratiche Alleate / ADF (20 casi, o 12%), la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo / CODECO (19 casi, o 11 % ) e i Nyatura-Bazungu (sette casi o 4%).[2]

Il 27 marzo, nel suo rapporto trimestrale sulla Repubblica Democratica del Congo (RDC), il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha affermato che, da dicembre 2022, l’est del Paese ha subito una “precipitosa recrudescenza” della violenza, con più di 700 persone civili uccise dalle varie milizie: «nelle tre province orientali della RDC (Ituri, Nord-Kivu e Sud-Kivu, ndr), la situazione di insicurezza si è ulteriormente deteriorata, in seguito a un forte aumento delle violenze perpetrate dai vari gruppi armati, tra cui soprattutto le Forze Democratiche Alleate (ADF), la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) e il Movimento del 23 marzo (M23)».
La provincia dell’Ituri è quella più colpita, per “un aumento dei massacri commessi principalmente dalle ADF, dal gruppo Zaire e dalla Codeco”: tra il 1° dicembre e il 14 marzo, sono state uccise 485 persone civili, tra cui almeno 82 donne e 51 bambini, contro 114 persone uccise nei tre mesi precedenti. Nelle diverse zone del Nord Kivu, gli attacchi perpetrati principalmente dalle ADF, dai Mai-Mai e dall’M23 hanno causato più di 200 morti. Tra il 1° dicembre e il 15 marzo, nel Grande Nord di questa provincia, le ADF avrebbero ucciso 187 persone civili, tra cui 69 donne e 20 bambini. Nel Piccolo Nord, gli scontri tra l’esercito congolese e l’M23 hanno provocato la morte di 43 persone civili. Nella provincia del Sud Kivu, i gruppi armati stranieri e locali hanno continuato a commettere delle violenze che, dal 1° dicembre al 31 gennaio, hanno causato la morte di 26 persone.[3]

Il 30 marzo, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha affermato che, «da ottobre 2022 in poi, nelle province orientali della RDC, in particolare nell’Ituri e nel Nord Kivu, i gruppi armati M23, ADF, Codeco, Zaire e Nyatura hanno impunemente continuato e intensificato i loro attacchi contro la popolazione civile, uccidendo almeno 1.338 persone, tra cui 107 bambini». Inoltre, Türk ha ricordato che, per quanto riguarda l’anno 2022,  il Comitato congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani ha potuto constatare che le vittime di violenze sessuali legate al conflitto sono state 701, tra cui 503 donne, 187 ragazze e 11 uomini. Egli ha confermato che, nell’est della RDC, la violenza sessuale è stata storicamente utilizzata come un’arma di guerra e una strategia di terrore.
Per ricostruire la pace nelle province colpite da conflitti, l’Alto Commissario ha raccomandato alle autorità congolesi alcune iniziative, tra cui la lotta contro l’impunità, il dialogo con i responsabili dei gruppi armati, l’implementazione del programma di disarmo e reinserimento sociale e la promozione della giustizia post-conflitto.[4]

2. LA GRANDE CONFUSIONE NELL’EST DELLA RDC FAVORISCE GLI INTERESSI DEI COMMERCIANTI DI ARMI E DEI DIGNITARI DEL REGIME CONGOLESE

Il 27 febbraio, in seguito alla precaria situazione di insicurezza nel Masisi, a causa degli attacchi dell’M23/RDF che, a fine febbraio, hanno minacciato la cittadina di Rubaya, piattaforma per il commercio di minerali 3T nella regione, l’ITSCI ha sospeso le sue attività di certificazione in tutto il territorio di Masisi. Fino a nuovo ordine, quindi, l’ITSCI non potrà più certificare, sulla base della due diligence dell’OCSE, la tracciabilità dei minerali estratti nel Masisi in questo travagliato periodo. Di conseguenza, assumendo le proprie responsabilità, la maggior parte delle entità di trasformazione di questi minerali sono state coerenti e hanno sospeso gli acquisti, per non contaminare la loro catena di approvvigionamento.
Tuttavia, nonostante le misure preventive adottate dall’ITSCI e da molte società minerarie, i minatori artigianali hanno continuato la loro attività di estrazione, pur incontrando delle difficoltà nel trovare acquirenti.
In questo contesto, vari commercianti disonesti hanno approfittato di questa situazione e, spudoratamente, hanno continuato ad acquistare questi minerali per poi rivenderli illegalmente in Ruanda, dove alcune società minerarie sono disposte ad acquistarli. I sospetti cadono in particolare su SOGECOM, il cui partner, Halyson Inc., acquista in Ruanda tramite TSL, entità appartenente al ruandese Danny Nzaramba. Si sospetta che altri acquirenti di minerali congolesi i in Ruanda siano Boss mining e Eastern group.[5]

Dopo la Monusco e i Paesi dell’Africa dell’Est (EAC), nel Nord Kivu arriveranno anche delle truppe angolane, mentre vari trafficanti d’armi si accalcano a Kinshasa per vendere aerei.
Il Parlamento angolano ha approvato l’invio, nel Nord Kivu, di un battaglione del suo esercito. Non si tratta di una missione offensiva contro l’M23, ma di una missione di mantenimento della pace e di monitoraggio dell’operazione di ritiro dei combattenti dell’M23 e dei loro familiari in siti loro riservati.
Con l’arrivo degli angolani, il numero dei contingenti militari stranieri presenti nell’est della RDC salirà a 18. Secondo un esperto internazionale che da anni segue la situazione dell’Africa centrale, «si sta tornando alla stessa situazione del 1999. Ci si sta impantanando di nuovo, tanto più che, oltre a questi contingenti stranieri, lo Stato congolese si appoggia anche su gruppi armati locali e su mercenari che vengono presentati come “istruttori” ma che, in realtà, non sono altro che uomini che prestano le loro mani e le loro armi per aiutare un esercito che non esiste».
Nell’est della RDC le truppe angolane dovranno coesistere con quelle dell’EAC (Burundi, Tanzania, Kenya, Sud Sudan e Uganda) ma anche con quelle della MONUSCO. Per quanto riguarda quest’ultima, un testimone ben informatone  elenca i principali contingenti: «quasi 2.000 pakistani, circa 2.000 indiani, più di 1.600 bengalesi, 1.185 sudafricani, 1.153 nepalesi, un migliaio di indonesiani, 924 marocchini, 851 tanzaniani, 826 uruguaiani e 747 malawiani, per non citare che le dieci principali nazioni presenti militarmente nell’est della RDC. Per quanto riguarda gli agenti della polizia Onu, ci sono 500 senegalesi, 350 egiziani e quasi altrettanti giordani».
Un vero “bazar”, secondo un diplomatico che insiste anche sul pericolo di quegli «esperti tecnici stranieri, costosi e difficili da controllare, provenienti dall’ex URSS o dall’Est Europa, come quegli istruttori rumeni arrivati ​​a Goma alla fine del 2022». Si tratta di uomini la cui presenza è stata confermata dal ministro congolese delle Comunicazioni, Patrick Muyaya, che smentisce la presenza di miliziani russi della compagnia Wagner. Ufficialmente, Kinshasa dichiara che questi “tecnici” stranieri si trovano a Goma, capoluogo del Nord Kivu, per “la manutenzione degli aerei militari Sukhoi e degli elicotteri da combattimento”. «Finora, la manutenzione di questi aerei ed elicotteri militari, acquistati più di dieci anni fa sotto la presidenza di Joseph Kabila, era affidata a dei georgiani o dei bielorussi e i piloti erano degli ucraini», continua il diplomatico, sorpreso dell’arrivo di questi “nuovi tecnici”.
Per quanto riguarda i Sukhoi, presentati come aerei da combattimento quando sono invece degli aerei di appoggio alle truppe di terra, ciò che meglio si addice alle esigenze dell’esercito congolese, è ora necessario parlare al singolare. Infatti, uno degli ultimi due di questi aerei Sukhoi è stato colpito da un missile ruandese mentre sorvolava lo spazio aereo ruandese. Secondo un esperto, «data la posizione della pista dell’aeroporto di Goma, per atterrare gli aerei sono praticamente obbligati a sorvolare parte dello spazio aereo ruandese. In situazione normale, questo non ha mai causato alcun problema, ma in situazione di tensione tra il Ruanda e la RDC, com’è attualmente, il regime ruandese ne approfitta per acuirla a suo vantaggio».
In questo contesto, le autorità congolesi stanno cercando di acquistare nuovi aerei. Una delegazione cinese si è recata a Kinshasa e ha proposto due modelli, il Chengdu FC-1, denominato anche JF17, e il Chengdu J-10, molto più costoso. Anche la Repubblica Ceca, tramite il suo ambasciatore a Kinshasa, ha offerto degli aerei militari più economici e già utilizzati da vari paesi africani, tra cui il Mali. Il prezzo del modello ceco, l’L39 Albatros, è di 250.000 euro. Il prezzo del modello cinese JF17 è di 15 milioni e quello del J10 cinese è di 35 milioni. Il capo del dipartimento militare della presidenza congolese ha ovviamente scelto il J10 cinese.
La guerra nell’est della RDC che, secondo gli ultimi dati comunicati dalla Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco), ha costretto più di 798.000 famiglie ad abbandonare i propri villaggi in seguito alla ripresa delle ostilità da parte dell’M23 alla fine del 2021, portando a più di 4 milioni il numero totale degli sfollati, continua ad essere l’occasione di grandi affari per alcuni dignitari del regime congolese.[6]

Secondo Africa Intelligence, il governo congolese avrebbe ordinato l’acquisto di nove droni militari CH-4 Rainbow di fabbricazione cinese, prodotti dalla China Aerospace Science and Technology Corporation (CASC), di proprietà statale. Molto simile al drone americano MQ-9 Reaper, a cui si ispira in gran parte, questo modello può svolgere missioni sia di ricognizione che di attacco mediante il lancio di missili. Per ora, un primo pagamento è stato effettuato da un conto in dollari della Central Bank of Congo (BCC) presso Equity Bank. Mentre sul terreno dei combattimenti l’esercito congolese non riesce a portare a casa alcuna vittoria significativa, le spese militari però stanno registrando un notevole aumento, passando dai 459 milioni di dollari del 2021 ai quasi 700 milioni del 2022. I primi tre velivoli sarebbero attesi entro la fine di marzo e sarebbero custoditi presso l’aeroporto militare di Kavumu, una trentina di chilometri a nord di Bukavu (capoluogo della provincia del Sud Kivu). La distanza che separa questo aeroporto dalle zone di guerra con l’M23 è ritenuta abbastanza ragionevole, benché si trovi molto vicino alla frontiera con il Ruanda. L’aeroporto di Bukavu fungerà da centro operativo, per ospitare la quasi totalità dell’aeronautica militare dispiegata nell’est della RDC. Per questo, sono già in corso dei lavori di adattamento. I lavori di allungamento e di riparazione della pista di atterraggio stanno per essere completati. Si stanno costruendo anche diversi hangar, una torre di controllo, delle recinzioni e delle abitazioni.[7]

3. L’M23 SI RITIRA DA QUALCHE LOCALITÀ PER RINFORZARSI IN ALTRE

Dalla presa di Bunagana da parte dell’M23 in giugno 2022, dei “tutsi congolesi” che si erano precedentemente rifugiati in Uganda e in Ruanda sono rientrati a centinaia, per stabilirsi soprattutto a Rutshuru e a Masisi, sotto controllo dell’M23.
Il movimento ha organizzato delle campagne di reclutamento nei campi profughi situati Ruanda e mediante l’attività del centro di reclutamento M23, istituito a Chanzu, nel territorio di Rutshuru, nei pressi della frontiera con l’Uganda.
Le cifre sono da prendere con cautela ma, secondo le stime, sono tra i 2.500 e i 3.000 uomini  che operano nelle file dell’M23 sul suolo congolese. Sono comandati dal capo militare operativo dell’M23, Sultani Makenga, che ha il suo quartier generale a Bunagana, al confine con l’Uganda, Stabilitosi in Uganda dopo la sconfitta dell’M23 nel 2013, egli sarebbe infatti ritornato in Congo in ottobre 2021. Negli ultimi mesi, avrebbe preso contatto con il “vescovo”, Jean-Marie Runiga, capo della cosiddetta ala ruandese del movimento dalla quale, nel passato, si era dissociato.
Residente da un decennio a Kibungo, nell’est del Ruanda, con una casa anche a Kigali, Jean-Marie Runiga avrebbe infine accettato di stringere un’alleanza di convenienza con il suo ormai ex avversario Sultani Makenga, per trarre qualche vantaggio dalla guerra in corso. Egli aveva mantenuto una certa influenza su Innocent Kaina, ufficiale militare dell’M23 rifugiatosi in Uganda e, in Ruanda, può contare sul “generale” dell’ex M23, Baudoin Ngaruye Wa Myamuro, per sovrintendere all’addestramento delle reclute.
Se il contingente di Runiga era composto da poco meno di 700 uomini, regolarmente registrati in Ruanda come rifugiati nel 2013, senza prendere in considerazione quelli che vi erano fuggiti senza dichiararsi alle autorità, ora è difficile dire quanti siano in realtà. La maggior parte di loro sono ritornati in Congo per combattere a fianco delle truppe di Sultani Makenga. D’altra parte, è lo stesso Runiga che invia nuovi combattenti sul versante congolese, soprattutto nei dintorni di Goma.
Infine, l’M23 riceverebbe dei rinforzi anche dai Twirwaneho, un gruppo armato Banyamulenge presente sugli altipiani del Sud Kivu e guidato da un colonnello disertore delle FARDC, Michel Rukunda, detto Makanika. Alcuni di loro sarebbero entrati a far parte delle truppe di Makenga.[8]

Il 28 marzo, dalle prime ore del mattino, l’M23 appoggiato da truppe dell’esercito ruandese, ha attaccato le postazioni dell’esercito congolese a Mweso, nel territorio di Masisi. Secondo varie fonti, l’M23 è riuscito a rioccupare questa città da cui si era ritirato il 13 marzo. Le stesse fonti hanno affermato che, dopo il suo ritiro da Mweso, l’M23 aveva comunque mantenuto diverse altre posizioni strategiche a Bashali Mokoto, ciò che gli ha consentito di occupare altre entità verso Mpati, Kivuye e oltre. Infine, l’M23 è accusato di reclutare dei giovani, per lo più minorenni, che sottopone ad addestramento militare accelerato, per utilizzarli in prima linea.[9]

Il 30 marzo sarebbe stata la data limite fissata per il ritiro dell’M23 da tutte le entità occupate nel territorio di Masisi e Rutshuru, per permettere alla forza militare regionale dell’EAC di prenderne il controllo. Nella riunione dei capi di stato maggiore dell’EAC, che si era svolta a Nairobi il 9 febbraio, era stato deciso che l’M23 si ritirasse entro 30 giorni a partire dal 28 febbraio 2023.
Tuttavia, sul campo, la situazione rimane ancora molto confusa. Anche nelle ultime settimane, l’M23 ha continuato a guadagnare terreno e a rafforzare le sue posizioni, nonostante abbia ufficialmente annunciato un suo ritiro da alcune località, ma ritenuto solo apparente da diverse fonti. Il programma prevedeva che ad ogni ritiro dell’M23 da una determinata località, la forza militare regionale dell’EAC ne prendesse automaticamente il controllo.
Questo è ciò giustifica la presenza del contingente burundese a Kirolirwe e a Mushaki, nel territorio di Masisi, dopo il ritiro dell’M23. A breve termine, i militari burundesi dovrebbero essere dispiegati fino a Kitshanga, ma questo non è ancora stato possibile, poiché l’M23 occupa ancora Kitshanga-Mwesso, avendo persino ampliato la sua area di controllo.
Inoltre, il contingente keniota, che in linea di massima avrebbe dovuto essere già dispiegato a Kibumba, Rumangabo, Tongo e Kishishe, non è ancora presente né a Tongo, né a Kishishe, perché ancora in mano all’M23. D’altra parte, l’M23 continua ad occupare ancora Bunagana, Rutshuru centro, Kiwanja e Mabenga. Le truppe ugandesi che dovrebbero essere dispiegate in queste località sono già pronte e stazionate nei pressi della frontiera tra Uganda e RDC.[10]

Il 30 marzo, nella regione di Mwesso-Kashuga, nel raggruppamento Bashali Mokoto, nel territorio di Masisi (Nord Kivu), sono ripresi i combattimenti tra le forze armate della RDC e l’M23 appoggiato dall’esercito ruandese. L’M23 sta attaccando questa regione da circa una settimana e avanza verso Kashuga, sulla strada Masisi-Pinga-Walikale. Inoltre, la situazione a Bihambwe, nel distretto di Bahunde, rimane molto incerta. Gli M23 sono ancora trincerati sulle colline di Kasiza e Kabaya che sovrastano la cittadina di Bihambwe, mentre i gruppi di autodifesa sono già entrati in città. Le due forze quindi si guardano come cane e gatto.[11]

4. IL LENTO DISPIEGAMENTO DELLA FORZA MILITARE REGIONALE DELL’EAC

Il 23 marzo, dopo un incontro con il governatore della provincia del Nord Kivu, il tenente generale Constant Ndima, una delegazione dell’esercito ugandese ha annunciato che delle truppe ugandesi arriveranno a Goma (Nord Kivu) verso la fine di questo mese di marzo, nell’ambito della forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC). Il dispiegamento di questa forza militare regionale era stato deciso dai Capi di Stato dell’EAC per far fronte all’offensiva dell’M23. Truppe del Kenya e del Burundi sono già presenti nel nord Kivu, ma non hanno mai combattuto direttamente l’M23 benché, secondo il governo congolese, il mandato di questa forza sia di tipo offensivo. L’Uganda ha già più di mille soldati sul territorio congolese nell’ambito dell’operazione militare “Shujaa” condotta  congiuntamente con l’esercito congolese contro le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato islamista di origine ugandese ma attivo nei territori di Beni (Nord Kivu) e di Irumu (Ituri).[12]

Il 30 marzo, mentre il governo congolese continua a smentire la possibilità di un dialogo diretto con il Movimento del 23 marzo (M23) per porre definitivamente fine alle ostilità in corso nel Nord Kivu, il presidente ugandese ha rivelato l’esistenza di “colloqui di pace”già avviati tra le due parti. In un lungo discorso pronunciato sulla missione delle truppe ugandesi che entreranno nel Nord Kivu via Bunagana, Kaguta Museveni ha confermato che è già in corso un dialogo tra Kinshasa e l’M23: «Dei colloqui di pace tra l’M23 e il governo congolese sono già in corso e devono continuare, in modo che il problema venga affrontato politicamente. Il governo del Congo e l’M23 hanno concordato un piano di pace che prevede: la cessazione delle ostilità (combattimenti), il ritiro dell’M23 da alcune zone occupate verso altre zone concordate, ecc.». Secondo fonti dei servizi di sicurezza, l’M23 dovrà ritirarsi verso la posizione iniziale sui monti Sabyinyo, per essere poi acquartierato nel Maniema per le operazioni di identificazione e di reinserimento. L’acquartieramento sarà posto sotto la supervisione delle truppe angolane, membri della forza militare regionale dell’EAC.[13]

Il 30 marzo, degli ufficiali della forza militare regionale dell’EAC, dell’esercito ugandese (UPDF) e dell’esercito congolese (FARDC) si sono incontrati a Bunagana con i responsabili militari dell’M23. L’obiettivo dell’incontro sarebbe stato quello di convincere l’M23 a ritirarsi dalle zone occupate per cederle alle truppe ugandesi dell’EAC che, già da tre giorni, stavano aspettando di varcare la frontiera tra l’Uganda e la RDCongo. La frontiera di Bunagana è un’area strategica per l’M23 e molti dubitano che esso accetti di cederla alla forza militare dell’EAC.[14]

Il 31 marzo, le prime truppe ugandesi hanno attraversato la frontiera e sono arrivate a Bunagana, in territorio congolese. In questa occasione, il comandante della forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), il generale Jeff Nyagah, ha dichiarato che l’Uganda dispiegherà gradualmente, nel territorio di Rutshuru, un contingente di circa duemila uomini, a disposizione della forza militare regionale dell’EAC. Egli ha precisato che, «inizialmente, si prevede l’arrivo di mille soldati ugandesi, ma in totale saranno circa duemila. Si dispiegheranno a Bunagana, Kiwanja, Rutshuru centro, fino a Mabenga». Ha insistito sul fatto che questo dispiegamento sarà graduale e progressivo, poiché il ritiro dell’M23 dalle zone occupate non è avvenuto come previsto. Secondo il generale Jeff Nyagah, «i militari ugandesi supervisioneranno il progressivo ritiro dell’M23, proteggeranno le popolazioni civili e apriranno al traffico la strada Bunagana -Goma».
Tuttavia, secondo gli ufficiali dell’esercito ugandese, il mandato di queste truppe non sarà di tipo offensivo: «La nostra missione iniziale è quella di occupare alcune posizioni che l’M23 ha ceduto alla forza militare regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) come forza neutrale, invece di consegnarle all’esercito congolese, considerato come un nemico in materia di politica interna. La nostra missione a Bunagana – Rutshuru non è di combattere l’M23, ma di agire come forza neutrale, fino a quando i congolesi riusciranno a risolvere i loro problemi politicamente».
Gli ufficiali ugandesi precisano anche le condizioni che possono giustificare l’uso della forza: «A meno che non veniamo attaccati, non siamo venuti per combattere. I combattimenti possono aver luogo più tardi, nel caso in cui qualche gruppo armato non accetti di deporre le armi, secondo quelle condizioni che tutti consideriamo ragionevoli. Saranno quindi i Capi di Stato dell’EAC a dare l’ordine di combattere, qualora una parte rifiuti di applicare l’accordo di pace concordato. Ma, per il momento, non è il caso».[15]

Il 2 aprile, fonti locali riconoscono che l’M23 sembra abbandonare alcune posizioni, ma affermano che lo farebbero per rafforzarne altre. Secondo queste fonti, i miliziani M23 non sono più visibili né a Kishishe, né a Bambo, del territorio di Rutshuru, in distretto di Bwito. Essi avrebbero lasciato anche alcune posizioni, come Kitobo e Rusinga, nei dintorni della cittadina di Kitshanga. Tuttavia, sono ancora visibili lungo la strada Kitshanga-Mwesso, a Kilolirwe e a Mushaki, nel territorio di Masisi. Continuano a mantenere le loro posizioni anche lungo la strada Bunagana-Rutshuru-Kiwanja e sulla strada Kibumba-Kiwanja, nel territorio di Rutshuru.
Nel frattempo, il dispiegamento, sul territorio, delle truppe ugandesi (UPDF) recentemente arrivate a Bunagana, è molto lento. Secondo diverse fonti, i militari ugandesi si limitano a svolgere poche missioni di ricognizione sul campo, ma sono ancora accampate a Kisoro, vicino a Bunagana, ma sul versante ugandese della frontiera.
Nel territorio di Masisi, nonostante la presenza di soldati burundesi dell’EAC a Kilolirwe e a Mushaki, l’M23 mantiene ancora le sue posizioni e continuerebbe a riscuotere tasse illegali esorbitanti su camion e motociclette che trasportano merci e generi alimentari.[16]

5. IL DIBATTITO SUL PROGETTO DI DECRETO-LEGGE SULL’ISTITUZIONE DELLA FORZA DI RISERVA MILITARE

Il 3 marzo, il Ministro della Difesa Nazionale, Gilbert Kabanda, ha presentato al Consiglio dei Ministri un Progetto di Decreto-Legge sull’istituzione della Forza di Riserva militare, avente la missione di appoggiare le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo [FARDC]. Il Corpo dei “Riservisti” sarebbe composto da militari e agenti di polizia in pensione, da civili che abbiano svolto il servizio militare obbligatorio o contrattuale e da volontari che abbiano ricevuto una formazione militare adeguata. Il progetto di tale Decreto-Legge definisce le condizioni di ammissione e di esclusione dal corpo dei riservisti, ne organizza la struttura e gli assegna le attribuzioni, ne fissa il compenso e ne determina il regime disciplinare e giuridico. Dopo dibattito e deliberazione, il Consiglio dei Ministri ha adottato il testo di tale progetto di Decreto-Legge.
La sua adozione è consecutiva all’adozione di altri testi legislativi sulla riforma dello strategico settore della Difesa del Paese.[17]

Il 6 marzo, a proposito del progetto di decreto-Legge proposto dal ministro della Difesa e relativo all’istituzione di un corpo di riservisti, in una conferenza stampa a Goma, il ministro dell’Istruzione superiore e universitaria, Muhindo Nzangi, ha dichiarato che «i civili che abbiano una qualche nozione militare saranno costituiti in un corpo di riservisti affinché, in caso di aggressione del Paese, siano messi nelle stesse condizioni dell’esercito, per appoggiarlo sul campo di combattimento». Egli ha indicato che il governo varerà presto un decreto-legge che legalizzerà i “wazalendo”, cioè i combattenti della resistenza e membri dei gruppi di autodifesa: «Dalla prossima settimana, essi potranno combattere usufruendo delle stesse condizioni logistiche e salariali dell’esercito regolare». Il ministro Nzangi ha insistito: «In tal modo, non si potrà più dire che l’esercito collabora con forze suppletive, perché non ci sono forze ausiliarie quando i loro combattenti difendono il proprio paese come veri compatrioti, Anche se in passato i “Wazalendu”  hanno combattuto contro l’esercito, essi hanno il diritto di essere protetti, perché oggi tutti noi abbiamo un nemico comune: l’M23. A partite da ora, i Wazalendu non sono più delle forze negative, ma diventano dei riservisti». Tuttavia, Muhindo Nzangi ha precisato che non tutti i Wazalendu saranno reclutati come riservisti, ma solo quelli che hanno già un certo livello di nozioni militari. Muhindo Nzangi ha infine rivelato che l’attuazione del programma di disarmo e reinserimento sociale dei combattenti resistenti è rinviata a dopo la fine della guerra: «Questa opzione permette di risolvere due problemi contemporaneamente: quello dell’insufficienza degli effettivi dell’esercito e quello del disarmo dei gruppi armati locali. Quando questi combattenti saranno adeguatamente inquadrati a fianco dell’esercito durante le operazioni militari, credo che non si parlerà più di gruppi armati locali».[18]

Il 7 marzo, in una conferenza stampa a Kinshasa, il Ministro delle Comunicazioni e dei Media, Patrick Muyaya, ha fatto alcune precisazioni a proposito del Progetto di Decreto-Legge relativo alla creazione di un corpo di Riservisti dell’Esercito. Egli ha dichiarato che, «tra le condizioni richieste per far parte del corpo dei riservisti, occorre essere di nazionalità congolese, avere più di 18 anni, avere un’ottima moralità e non essere mai stati condannati per alcuna forma di reato. Pertanto, le persone che non soddisfano tali requisiti non saranno incluse nella riserva delle Forze Armate. D’altra parte, i riservisti si differenziano dai militari, perché il loro servizio non è permanente, ma circostanziale. I riservisti che vorranno entrare a far parte dell’esercito, dovranno seguire un corso militare appropriato».[19]

L’8 marzo, il ministro della difesa nazionale, Gilbert Kabanda, ha affermato che il progetto di decreto-legge sull’istituzione di un corpo di riservisti dell’esercito riguarda solo i cittadini civili e non i combattenti dei gruppi armati. Egli ha precisato che i riservisti sono dei civili ai quali l’esercito potrebbe rivolgersi, nel caso in cui ritenesse necessario un loro appoggio a determinate sue operazioni militari: «Nella nostra costituzione è scritto che ogni cittadino ha il diritto di difendere il Paese in caso di aggressione. Questo principio sarà formalizzato con un testo di legge, affinché si possa avere una riserva di difesa armata. I riservisti potranno combattere a fianco delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC). Dopo aver prestato il loro servizio a difesa del Paese, essi torneranno alle loro attività abituali o saranno presi in carico dallo Stato in altro modo». A questo proposito, il ministro Gilbert Kabanda ha sottolineato che i riservisti che soddisfano le condizioni necessarie per essere integrati nell’esercito regolare, potranno frequentare l’accademia militare per ricevere un’adeguata formazione militare.[20]

L’8 marzo, in un suo comunicato stampa, il movimento civico Lotta per il Cambiamento (LUCHA) ha condannato “con veemenza” le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Superiore e Universitaria, Muhindo Nzangi, secondo il quale, per sconfiggere l’M23, il governo collaborerà con i gruppi armati, mettendoli nelle stesse condizioni dei militari dell’esercito regolare. Secondo la LUCHA, «Tutti sanno che, da anni, i gruppi armati locali commettono gravi crimini contro la popolazione civile. È inaccettabile che il governo voglia dare loro legittimità e sostegno, come annunciato dal ministro. Tale approccio sarebbe pericoloso, irresponsabile e inefficace, perché  getterebbe le basi per un’insicurezza permanente e a lungo termine».[21]

La questione relativa alla creazione di un corpo di riservisti solleva seri interrogativi sulla viabilità delle iniziative di pace di Luanda e di Nairobi e, più in generale, sulla possibilità di un ritorno alla pace e alla stabilità nell’est della RDC.
Da una parte, il processo di Nairobi prevede il disarmo di tutti i gruppi armati e un dialogo politico per esaminare le fonti di conflitto. Dall’altra, il processo di Luanda pone una particolare enfasi sulla risoluzione delle dimensioni regionali della crisi, in particolare tra la RDC e il Ruanda, e soprattutto sul disarmo dei gruppi armati stranieri.
Il progetto di creare un corpo di riservisti dimostra che, per le autorità congolesi, l’unica priorità è la sconfitta militare del solo M23, considerato come copertura di un intervento diretto ruandese in territorio congolese. Il disarmo della maggioranza degli altri gruppi armati, tra cui i Mai Mai e i “Wazalendo”, eretti in difensori della patria, non sarebbe più all’ordine del giorno. La loro legalizzazione e il loro riciclaggio sotto il nome di “riservisti” sembra essere la nuova strategia, peraltro già attuata ancor prima dell’approvazione del testo legale che dovrebbe ufficializzarla.[22]

[1] Cf Laurent Omba – Info.cd, 15.03.’23
[2] Cf Actualité.cd, 27.03.’23
[3] Cf AFP – Actualité.cd, 28.03.’23
[4] Cf AFP – Actualité.cd, 30.03.’23
[5] Cf Paul Kasereka Paluku – 7sur7.cd, 20.03.’23
[6] Cf Hubert Leclercq – Lalibre.be/Afrique, 22.03.’23   https://afrique.lalibre.be/76412/rdc-la-pagaille-totale-dans-lest-congolais-fait-aussi-laffaire-des-marchands-darmes/
[7] Cf Stéphie Mukinzi – Politico.cd, 21.02.’23; Congovirtuel.com, 21.02.’23
[8] Cf Coco Kabwika avec AI – Congovirtuel.com, 02.04.’23
[9] Cf Radio Okapi, 28.03.’23; Merveilles Kiro – Politico.cd, 28.03.’23
[10] Cf Radio Okapi, 30.03.’23
[11] Cf Radio Okapi, 30.03.’23
[12] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 23.03.’23; Radio Okapi, 24.03.’23
[13] Cf Serge Sindani – Politico.cd, 31.03.’23
[14] Cf Radio Okapi, 31.03.’23
[15] Cf Actualité.cd, 31.03.’23
[16] Cf Radio Okapi, 02.04.’23
[17] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 06.03.’23
[18] Cf Merveilles Kiro – Politico.cd, 06.03.’23 ; David Mukendi – Politico.cd, 06.03.’23
[19] Cf Prince Mayiro – 7sur7.cd, 08.03.’23; Clément Muamba – Actualité.cd, 08.03.’23
[20] Cf Déogratias Cubaka – 7sur7.cd, 10.03.’23
[21] Cf Yvette Ditshima – Info.cd, 09.03.’23
[22] Cf Felix Mukwiza Ndahinda – Lalibre.be/Afrique, 19.03.’23