Congo Attualità n. 442

STATO D’ASSEDIO (LEGGE MARZIALE) PER PORRE FINE ALLE VIOLENZE: SOLUZIONE DEFINITIVA O ENNESIMO TENTATIVO DESTINATO AL FALLIMENTO?

INDICE

1. LO STATO D’ASSEDIO NEL NORD KIVU E NELL’ITURI
a. Uno stato d’assedio (legge marziale) che suscita alcuni dubbi
b. Nuove nomine
c. Due iniziative legislative
d. Il Programma di Disarmo, Smobilitazione e Reintegrazione comunitaria (DDRC)
e. L’ostacolo delle complicità di cui le ADF e altri gruppi armati spesso usufruiscono
2. LA PERVERSITÀ DELLE RELAZIONI DI COOPERAZIONE MILITARE TRA LA RDCONGO E IL RUANDA
a. Un piano di operazioni militari congiunte
b. Il Presidente ruandese Paul Kagame insulta la memoria delle vittime congolesi

1. LO STATO D’ASSEDIO NEL NORD KIVU E NELL’ITURI

a. Uno stato d’assedio (legge marziale) che suscita alcuni dubbi

Per risolvere il problema dell’insicurezza nell’est del Paese, il presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, ha conferito pieni poteri ai militari. Una strategia ad alto rischio che lascia la mano a delle forze di sicurezza accusate di violazioni dei diritti umani e di complicità con i gruppi armati. Dal 6 maggio, le province del Nord Kivu e dell’Ituri stanno vivendo una situazione senza precedenti: lo stato d’assedio (legge marziale). Di fronte alla violenza dei gruppi armati, il presidente Félix Tshisekedi ha deciso di cedere l’amministrazione di queste due province all’esercito e alla polizia. Durante i 30 giorni dello stato d’assedio, le forze armate effettueranno diverse operazioni militari, nel tentativo di sconfiggere le decine di gruppi armati ancora attivi in zona.
Militari con pieni poteri.
Da diversi mesi, nell’Est del Paese, la situazione d’insicurezza si è notevolmente deteriorata, nonostante che il Presidente Tshisekedi avesse promesso la pace.
Nel 2018, nelle province del Nord e del Sud Kivu, il Kivu Security Barometer (KST) aveva registrato 914 persone uccise dalle milizie. Nel 2019 questa cifra è salita a 1070 e, nel 2020, a 1569. Nel solo territorio di Beni, epicentro di massacri generalmente attribuiti alle Forze Democratiche Alleate (ADF), dalla fine del 2019 sono state uccise più di 1.000 persone. In quello stesso anno, il presidente Tshisekedi aveva avviato un’ampia serie di operazioni militari … ma senza alcun risultato significativo. Ancor peggio, i vari interventi dell’esercito non hanno fatto altro che disperdere i diversi gruppi armati su un’area geografica più ampia, ciò che ha contribuito ad aumentare il numero delle violenze.
La militarizzazione delle amministrazioni civili e l’intensificazione della pressione armata saranno sufficienti per abbassare la spirale di quella violenza che tormenta l’Est della RDCongo da più di 20 anni? Difficile dirlo. Sembra sorprendente affidare pieni poteri ai militari, quando le forze nazionali di sicurezza sembrano essere responsabili di quasi la metà delle violenze commesse. In un suo rapporto del mese di marzo 2021, il Comitato Congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani (BCNUDH) ha infatti dichiarato che il 47% delle violazioni dei diritti umani sono commesse da agenti statali (membri dell’esercito e della polizia) e il rimanente 53% dai vari gruppi armati.
L’aver affidato pieni poteri ai militari è quindi motivo di grande preoccupazione non solo per le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, ma anche per la stessa popolazione locale, tanto più che le misure prese nel contesto dello stato d’assedio (legge marziale) sono particolarmente radicali. Secondo Human Rights Watch, «le autorità militari possono effettuare delle perquisizioni nelle case private sia di giorno che di notte, impedire pubblicazioni e riunioni che potrebbero essere considerate come atti di violazione dell’ordine pubblico, limitare la circolazione e gli spostamenti delle persone e arrestare chiunque sia sospettato di disturbare l’ordine pubblico. Inoltre, i tribunali militari sostituiranno quelli civili, il che è contrario alle norme nazionali e internazionali».
Il carro davanti ai buoi.
Nominando degli ufficiali provenienti da precedenti ribellioni per combattere contro i gruppi armati, il presidente Tshisekedi rischia di perpetuare quel ciclo vizioso che ha caratterizzato le varie guerre congolesi: ribellione, resa, integrazione nell’esercito, diserzione e … ritorno alla ribellione. Molti soldati dell’esercito congolese sono infatti degli ex membri di gruppi armati che vi sono stati integrati in seguito a successivi “accordi di pace” tra il governo e gli stessi gruppi armati. L’integrazione di ex membri di gruppi armati nell’esercito è sempre stata un fallimento, sia per la loro mancanza di professionalità e di disciplina, sia per la loro tendenza a disertare di nuovo.
Per fortuna, il nuovo primo ministro, Sama Lukonde, ha promesso di non integrarli più nell’esercito regolare. In questo contesto, è quindi difficile capire quale sia la strategia che il presidente Tshisekedi ha seguito nel nominare degli ex ribelli proprio in un periodo di stato d’assedio.
Decretando lo stato d’assedio (legge marziale) nell’est del Paese e affidando l’amministrazione di queste province ai militari, Félix Tshisekedi dà l’impressione di mettere il carro davanti ai buoi perché, nel sistema di sicurezza congolese, l’esercito stesso è fonte di violenza … proprio come i gruppi armati! Prima di affidare le chiavi del Nord Kivu e dell’Ituri alle FARDC e alla Polizia, sarebbe stato necessario procedere a una grande operazione di sanificazione della catena di comando, escludendone quei militari “affaristi e criminali”, come richiesto dal movimento civico Lucha. Per mettere un po’ d’ordine tra le forze di sicurezza, Human Rights Watch ha raccomandato che la giustizia congolese si impegni maggiormente nel porre fine all’impunità, soprattutto per quanto riguarda i crimini più gravi. È triste constatare che, finora, quegli ufficiali militari responsabili di assassini, contrabbando di minerali e armi, malversazione di denaro, violenze sessuali, saccheggi, …  non sono quasi mai stati consegnati alla giustizia.
Per un approccio a più ampio respiro.
Cercare di ricostruire la pace con gli stessi attori che da vent’anni seminano il caos è una scommessa rischiosa per il presidente Tshisekedi. Pensare che la soluzione militare sia l’unico modo per portare la pace nell’Est della RDCongo è un errore. Occorre cercare anche altre soluzioni di tipo politico ed economico, perché le cause dell’insicurezza sono, infatti, molteplici: assenza dell’autorità dello Stato, sfruttamento illegale delle risorse naturali, conflitti fondiari, rivalità politiche, fallimento dei programmi di disarmo/smobilitazione/reinserimento, clientelismo. Senza questo approccio più ampio e globale, lo stato d’assedio (legge marziale) potrebbe essere un ennesimo fallimento.[1]

b. Nuove nomine

L’8 maggio, il presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, ha firmato una serie di decreti presidenziali relativi ad varie nuove nomine nell’ambito del Comando delle regioni militari delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC). Eccone alcune qui di seguito:
32a regione militare (Ituri e Haut-Uélé):
– Generale Clément Bitangalo Bulime (Comandante di regione)
– Colonnello Damate Abasi (vice Comandante per i servizi di intelligence e le operazioni)
– Colonnello Nlandu Matengo (Vice Comandante incaricato dell’amministrazione e della logistica)
– Colonnello Wamba Djo (Capo di stato maggiore regionale)
Settore Operativo Ituri:
– Generale Kasongo Maloba Rigobert (Comandante)
– Generale Nyembo Abdallah (Vice Comandante per le operazioni e i servizi d’intelligence)
– Generale Jean Claude Bolanda (Vice Comandante per l’amministrazione e la logistica)
Comando delle Brigate di Rapida Reazione:
12ª brigata RR: generale Bondami Patrick (comandante di brigata)
22ª brigata RR: generale Muhima Dieudonné (comandante di brigata).
34a regione militare (Nord Kivu):
– Generale Guylain Tshinkobo Mulamba (Comandante della regione)
– Colonnello Jeannot Butengano (Vice Comandante per le operazioni e l’intelligence)
– Kadima William (Vice Comandante regionale responsabile dell’amministrazione e della logistica)
– Bilomba André (Capo di stato maggiore regionale)
Comando dei settori operativi:
Sukola 1 Gran Nord:
– Generale Bertin Mputela Nkolito, Comandante
– Colonnello Antoine Byangolo Ngondo, Vice Comandante per le operazioni e l’intelligence
– Colonnello Lumbu Matundu Polydore, Vice Comandante per l’amministrazione e la logistica
Sukola 2 Nord Kivu:
– Generale Mwepu Evariste, Comandante
– Colonnello ?? , Vice Comandante per le operazioni e l’intelligence
– Colonnello Otongo Isuka José, Vice Comandante per l’amministrazione e la logistica.[2]

L’8 maggio, il presidente Félix Tshisekedi ha effettuato nuove nomine nell’ambito di alcuni commissariati provinciali della Polizia Nazionale Congolese (PNC). Eccone alcune qui di seguito:
Commissariato Provinciale dell’Ituri:
– Vice commissario di divisione Ngoyi Senge Lwakiyo: Commissario provinciale
– Commissario superiore principale Mayengele Mbangi Anicet: Vice Commissario provinciale, incaricato della polizia amministrativa
– Direttore Nkau Yulu Jackson Taylor: vicecommissario provinciale incaricato della polizia giudiziaria
– Commissario superiore principale Bofonga Lolingo Godefroid: Vice Commissario provinciale incaricato della Polizia di supporto e gestione
Commissariato provinciale del Nord Kivu:
– Direttore Kalonji Mulumba Gilbert, vicecommissario provinciale incaricato della polizia giudiziaria
– Commissario superiore principale Makambo Gumba Fidèle: Vice Commissario provinciale incaricato della Polizia di supporto e gestione.[3]

c. Due iniziative legislative

Il 7 maggio, il deputato Bertin Mubonzi,  membro dell’Unione per la Nazione Congolese (UNC) di Vital Kamerhe, ha inoltrato al Comitato di presidenza dell’Assemblea nazionale una proposta di legge sulla regolamentazione dello stato d’assedio e dello stato di emergenza. Il governo aveva già presentato un suo disegno di legge sulle modalità di applicazione dello stato d’assedio e dello stato di emergenza. Secondo il regolamento interno dell’Assemblea Nazionale, quando ci sono più iniziative legislative relative ad una stessa materia, viene data priorità a quella che è stata presentata per prima al Comitato di presidenza della stessa camera dei deputati.[4]

L’11 maggio, su proposta dei parlamentari del Nord Kivu, tutti i deputati nazionali delle 26 province della RDCongo hanno ribadito la loro determinazione a sostenere il Capo dello Stato, per porre fine alle violenze perpetrate contro la popolazione nell’est del paese e hanno deciso di detrarre 500 $ dai loro stipendi, come sforzo bellico in appoggio dei militari sul fronte.[5]

Il 14 maggio, anche i senatori hanno approvato ufficialmente una risoluzione per un contributo allo sforzo bellico (500 dollari ciascuno per 3 mesi) nell’ambito dello stato d’assedio proclamato dal Presidente Felix Tshisekedi nelle province dell’Ituri e del Nord Kivu.[6]

Il 21 maggio, il ministro della Giustizia, Rose Mutombo, ha nuovamente presentato al Consiglio dei ministri il disegno di legge sulle modalità di applicazione dello stato di emergenza e dello stato d’assedio. Il testo è stato approvato dal governo e sarà “rapidamente” inviato al Parlamento, per approvazione. Va ricordato che, dall’istituzione dello stato d’assedio nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri, decretato dal Capo dello Stato Félix Tshisekedi, le relative misure di attuazione non sono ancora state promulgate. Quando, il 2 maggio, il portavoce del governo, Patrick Muyaya, aveva annunciato lo stato d’assedio, egli aveva anche precisato che doveva ancora essere pubblicata un’ordinanza presidenziale, per dettagliare le modalità di applicazione.[7]

d. Il Programma di Disarmo, Smobilitazione e Reintegrazione comunitaria (DDRC)

Il 22 aprile, il coordinatore del Programma di Disarmo, Smobilitazione e Reintegrazione comunitaria (DDRC) nel Nord Kivu, Jacques Katembo Lukohu, ha affermato che circa 2.000 combattenti su quasi 3.000 che erano stati raggruppati nei diversi centri di accantonamento di Rumangabo, Mubambiro, Kalunguta e Lubero, sono rientrati nei loro rispettivi gruppi armati, perché non sufficientemente assistiti dallo Stato, sia dal punto di vista logistico che alimentare e sanitario.[8]

L’8 maggio, durante un incontro con Jacques Makata, coordinatore del programma di Disarmo, Smobilitazione e Reintegrazione comunitaria (DDRC) a Goma (Nord Kivu), i capi di sei gruppi armati attivi nei territori di Masisi, Rutshuru e Walikale hanno ribadito il loro impegno a deporre le armi e ad aderire al programma di disarmo. Si tratta di Bilikoliko, dell’UPDC; Jetaime, dell’AFRC; Matata Pungwe, del GAV; Ndayisenga, della FDDH; di Bwira Mapenzi, dell’NDC / R e di Masivi.
Va ricordato che molti membri di gruppi armati avevano già deciso di deporre le armi ma, per mancanza di assistenza adeguata da parte dello Stato, la maggior parte di loro erano ritornati nella foresta.[9]

Il 19 maggio, il governatore militare dell’Ituri, il tenente generale Jonny Luboya Nkashama, si è recato a Gety, nel sud del territorio di Irumu, dov’è presente il Fronte di Resistenza Patriottica dell’Ituri Front (FRPI), il cui processo di disarmo è più volte fallito. Il governo aveva firmato un accordo di pace con questa milizia il 28 febbraio 2020 ma, da allora, il processo di Disarmo, Smobilitazione e Reinserimento comunitario (DDR-C) si è bloccato. Di conseguenza, più di 1.500 combattenti e i loro familiari, che erano stati raggruppati nel villaggio di Azita vicino a Gety, sono ritornati nella macchia. Il governatore si è rivolto alla popolazione: «Chi ha delle armi le deve deporre. Ora c’è la possibilità di farlo. Presto inizierà il programma di Disarmo, Smobilitazione e Reintegrazione nella Comunità (DDR-C) e tutti potranno aderirvi». In modo esplicito, egli ha chiesto ai combattenti dell’FRPI di “arrendersi volontariamente” e, nel contempo, ha annunciato un’offensiva militare contro i “refrattari”.[10]

Il 20 maggio, il coordinatore provinciale del programma DDRC del Nord Kivu, Jacques Katembo, ha richiesto ai gruppi armati locali di deporre le armi, senza indugio e senza condizioni. Ha dichiarato che l’obiettivo dello stato d’assedio in vigore non è più quello di negoziare con i vari gruppi armati, ma piuttosto quello di imporre la pace: «Ormai i gruppi armati non hanno che due possibilità. La prima è la resa volontaria e incondizionata, aderendo al programma di DDRC. La seconda è quella del rifiuto. Ma, in questo secondo caso, saranno perseguiti dall’esercito, con il doppio rischio di essere uccisi o catturati. Qualora siano fatti prigionieri, essi non potranno più aderire al programma DDRC, ma verranno deferiti direttamente alla giustizia militare». Jacques Katembo ha auspicato che i combattenti dei gruppi armati locali si arrendano volontariamente, affinché, nel periodo in cui vige lo stato d’assedio, l’esercito concentri la sua offensiva sui gruppi armati d’origine straniera, come le Forze Democratiche Alleate (ADF).[11]

L’attuazione del programma DDRC non è sempre facile, perché l’esercito regolare ha spesso utilizzato alcuni gruppi armati come forze ausiliarie per le sue operazioni, come rivelato da un membro di un gruppo armato: «Quando il governo ci ha chiesto di attaccare i gruppi armati stranieri, noi li abbiamo attaccati. Quando ci è stato detto di attaccare i sequestratori di persone e i banditi di strada, noi l’abbiamo fatto».
Fino a tempi recenti, il programma DDR sfociava generalmente in un’integrazione generalizzata dei gruppi armati nelle forze di difesa e sicurezza nazionali, secondo accordi che prevedevano l’amnistia per atti di insurrezione, atti di guerra e reati politici, il riconoscimento dei gradi acquisiti nel gruppo armato e la liberazione dei combattenti prigionieri. Di conseguenza, l’esercito e la polizia sono spesso composti da ex miliziani e signori della guerra che, senza un’adeguata formazione militare, mantengono legami di complicità con i loro gruppi armati originari.
Per evitare questo rischio, sarà necessario promuovere programmi di reinserimento sociale, attraverso il finanziamento di progetti di formazione professionale (agricoltura, falegnameria, costruzioni, allevamento, piscicoltura, ecc.) realizzati in collaborazione con ONG nazionali e internazionali per lo sviluppo. Chi invece volesse arruolarsi nell’esercito o nella polizia, dovrà seguire una procedura individuale e non collettiva, sottoponendosi al normale procedimento di reclutamento e selezione, comune a tutti i candidati e nel rispetto delle leggi della Repubblica che prevedono alcuni criteri di ammissione, tra cui quelli dell’età (tra i 18 ei 26 anni) e del livello di istruzione.

e. L’ostacolo delle complicità di cui le ADF e altri gruppi armati spesso usufruiscono

Il 25 marzo, tredici persone arrestate a Beni una settimana prima, nell’ambito di indagini su un presunto traffico di munizioni, sono state trasferite da Beni alla prigione militare di Ndolo, a Kinshasa, via Goma. Si tratta di tre ufficiali superiori, due ufficiali subalterni, tre militari della 32ª Brigata delle Unità di Rapida Reazione dell’esercito, un agente della sottostazione ICCN di Mutsora (settore Rwenzori), tre guardie ecologiche e un civile.
Secondo fonti della sicurezza, era dallo scorso febbraio che i servizi di intelligence avevano notato che un veicolo bianco arrivava a Mambango, a sud di Beni e sede dello stato maggiore della 32ª Brigata dell’esercito e che ripartiva con un carico di casse di munizioni. Durante una perquisizione effettuata il 15 marzo, in una casa presa in affitto nel comune di Bungulu, nella città di Beni, dall’agente della sottostazione dell’ICCN di Mutsora, i magistrati militari hanno trovato e sequestrato 82 casse di munizioni.
Secondo le stesse fonti della sicurezza, uno dei militari arrestato ha confessato che quelle casse di munizioni erano destinate a vari gruppi ADF e Mayi-Mayi del settore Rwenzori (Territorio di Beni) e di Tchabi, in Ituri. È la prima volta che si arrestano degli ufficiali e militari dell’esercito impegnati in operazioni contro le ADF a Beni, per aver presumibilmente fornito munizioni a questo gruppo armato.[12]

Il 5 maggio, il capo tradizionale di Mangwa-Utu, Fataki Sabuni Mangitsula, ha rivelato che le ADF si servono di alcune persone del posto come guide per il loro attacchi contro la popolazione. Egli ha affermato che sono in corso delle indagini per saperne di più.[13]

Il 14 maggio, in una conferenza stampa, il portavoce del settore operativo Sukola 1, il tenente Antony Mwalushayi, ha rivelato che alcuni ufficiali militari sono stati arrestati dai servizi di intelligence dell’esercito nella città di Beni (Nord Kivu), perché sospettati di essere complici delle Forze Democratiche Alleate (ADF), partecipando a presunti preparativi di possibili attentati futuri contro altri ufficiali che, dirigendo le operazioni contro questo gruppo armato, hanno denunciato tali complicità.[14]

2. LA PERVERSITÀ DELLE RELAZIONI DI COOPERAZIONE MILITARE TRA LA RDCONGO E IL RUANDA

a. Un piano di operazioni militari congiunte

Dal 15 al 19 marzo, il Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa del Ruanda (RDF), Jean Bosco Kazura, ha soggiornato a Kinshasa, dove ha incontrato il Consigliere speciale del Capo dello Stato per le questioni di sicurezza, François Beya. Si trattava di valutare le decisioni e le raccomandazioni dell’ultimo incontro bilaterale tenutosi lo scorso febbraio a Kigali.
I rappresentanti delle due delegazioni hanno espresso la volontà dei rispettivi capi di Stato, Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo e Paul Kagame, di risolvere congiuntamente la spinosa questione della sicurezza comune. I due paesi intendono sviluppare un piano operativo congiunto per combattere, in particolare, le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) presenti sul suolo congolese dal 1994. Secondo il gabinetto di François Beya, «si sono formulate importanti raccomandazioni, tra cui l’elaborazione di un piano operativo che consenta di realizzare azioni congiunte su tutti i fronti, per risolvere definitivamente il problema dell’insicurezza provocata dai vari gruppi armati, tra cui FDLR, CNRD, RUD-URUNANA ed ex-M23. Si è proposto anche il rafforzamento delle misure comuni di sorveglianza delle frontiere».
Non è la prima volta che la RDCongo e il Ruanda decidano di organizzare operazioni militari congiunte. Nel mese di gennaio 2009, i due Paesi avevano organizzato l’operazione Umoja Wetu contro i miliziani Hutu delle FDLR nel Nord Kivu. In quell’operazione, durata 35 giorni, furono uccisi 153 membri delle FDLR e ne furono catturati circa 30. In quell’occasione, oltre 5.000 rifugiati ruandesi furono rimpatriati verso il loro Paese d’origine.[15]

Il 30 marzo, in un comunicato letto dal portavoce dell’esercito congolese, Kasonga Cibangu Léon-Richard, «di fronte alle violenze commesse dai gruppi armati locali e stranieri e in accordo con la volontà politica espressa dai Capi di Stato dei Paesi della sottoregione, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) annunciano di aver avviato dei contatti con tutti gli eserciti dei Paesi confinanti, al fine di elaborare delle strategie capaci di risolvere, una volta per tutte, la spinosa questione dell’insicurezza constatata nella sottoregione, come raccomandato negli accordi di Arusha … In questa prospettiva, l’esercito congolese privilegia il rafforzamento della cooperazione militare, le concertazioni regolari tra gli eserciti della regione e la condivisione degli sforzi intrapresi e delle informazioni ottenute, per poter combattere efficacemente e neutralizzare definitivamente tutti i gruppi armati, tra cui le ADF / MTM, le FDLR, l’FNL e tutte le altre forze negative locali  straniere che impediscono la pace nella sotto regione … È importante sottolineare che questa cooperazione già esistente sia tra l’esercito congolese e quelli ruandese, ugandese, angolano e centrafricano, nel prossimo futuro sarà estesa anche ad altri paesi limitrofi, in vista dell’estirpazione definitiva di questa minaccia, perché la soluzione al problema dell’insicurezza e della violenza deve essere contemporaneamente sotto regionale, regionale e internazionale … È questa logica che ha guidato i lavori anche dell’ultimo incontro organizzato pochi giorni prima a Kinshasa, durante il quale si è riaffermata la necessità non solo della condivisione degli sforzi intrapresi e delle informazioni ottenute, ma anche dell’approccio globale proposto come strategia definitiva volta a porre fine alla minaccia proveniente dai gruppi terroristici internazionali e dalle loro forze ausiliarie locali».[16]

b. Il Presidente ruandese Paul Kagame insulta la memoria delle vittime congolesi

Il 18 maggio, in un’intervista a RFI e France 24, il presidente ruandese Paul Kagame ha, un’ennesima volta, smentito l’implicazione delle truppe ruandesi nei crimini commessi durante le due guerre nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo): «Non c’è stato alcun crimine. Assolutamente no. Nella RDCongo, nessun crimine è stato commesso dalle persone menzionate o dai paesi citati nel progetto Mapping», il rapporto di esperti indipendenti che, commissionato dal Comitato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e pubblicato nel mese di ottobre 2010, riporta i crimini commessi nella RDCongo tra il 1993 e il 2003. Secondo Paul Kagame, «il Mapping Project è stato molto politicizzato per rafforzare la teoria del doppio genocidio».
A proposito del recente appello del premio Nobel congolese per la pace, il dottor Denis Mukwege, a favore del riconoscimento dei crimini commessi durante le due guerre del Congo anche dalle truppe ruandesi, il Capo dello Stato ruandese l’ha accusato di essere «uno strumento nelle mani di forze che non si vedono, ma che gli suggeriscono cosa dire».
Il Presidente Paul Kagame ha smentito anche la presenza di truppe ruandesi nell’est della RDCongo. Secondo un rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite del mese di gennaio 2021, tra la fine del 2019 e il mese di ottobre 2020, nel Nord Kivu c’erano delle truppe ruandesi che, in violazione dell’embargo sulle armi, ha partecipato ad alcune operazioni militari condotte contro le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR).
Alla domanda sull’opportunità di avviare operazioni congiunte con l’esercito congolese contro i gruppi armati stranieri presenti nell’est della RDCongo, egli ha risposto che non la si può escludere.
Nella RDCongo, ci sono state molte reazioni, soprattutto per denunciare ciò che è stato considerato come una forma di disprezzo, da parte del presidente ruandese, nei confronti delle vittime congolesi. «Ascoltando le parole di Paul Kagame, ho provato molto disgusto e grande dolore, perché, con esse, ha disprezzato la memoria delle vittime e la sofferenza dei loro familiari», ha detto Tatiana Mukanire, coordinatrice nazionale del movimento nazionale dei sopravvissuti alla violenza sessuale, creato dal dottor Denis Mukwege, premio Nobel per la pace congolese. Lei stessa è stata violentata dai membri di una ribellione sostenuta da Kigali. «Che negazionismo! Senza verità e giustizia, è impossibile avere delle relazioni sincere», ha affermato il movimento cittadino Lotta per il Cambiamento (Lucha), chiedendo al Presidente della Repubblica e al governo congolese di avviare una protesta ufficiale. «Le parole del presidente Paul Kagame sono un insulto alla memoria dei nostri morti e un oltraggio a tutto il popolo congolese», ha aggiunto Filimbi, che chiede alle autorità di non restare in silenzio. Le dichiarazioni di Paul Kagame sono state contestate anche da diversi attori politici congolesi, tra cui Martin Fayulu Madid, Delly Sesanga, Jean Marc Kabund et Jacquemin Shabani.
Da ricordare che, qualche mese fa, anche l’ambasciatore ruandese nella RDCongo, Vincent Karega, era stato accusato di negazionismo, in seguito a certe sue dichiarazioni sul massacro di Kasika perpetrato in agosto 1998 e attribuito dalle Nazioni Unite a delle trippe dell’esercito ruandese.[17]

Il 19 maggio, in un comunicato stampa, la Nuova Dinamica della Società Civile della RD Congo (NDSCI-RDCongo) «condanna le dichiarazioni negazioniste del presidente Paul Kagame e le minacce rivolte contro la società civile congolese, particolarmente quelle rivolte contro il dottor Denis Mukwege, vincitore del Premio Nobel per la pace.
La NDSCI ricorda al presidente ruandese che, come egli rifiuta qualsiasi negazione del genocidio che il suo paese, il Ruanda, ha vissuto, così il popolo congolese gli chiede di non negare il “genocidio e i crimini perpetrati contro i Congolesi”.
La NDSCI chiede alla Francia e alla comunità internazionale di cessare di dar la parola a dittatori assetati di sangue, i cui crimini contraddicono i valori che esse difendono e promuovono.
La NDSCI condanna e disapprova il silenzio del governo congolese di fronte alle molteplici provocazioni del regime ruandese che continua a negare i crimini che esso ha commesso contro milioni di vittime congolesi. La NDSCI chiede quindi al governo congolese di riconsiderare le sue relazioni con il Ruanda e di favorire tutte quelle iniziative intraprese a favore della creazione di un tribunale penale internazionale per la RDCongo, al fine di processare i crimini più gravi e rimasti finora impuniti, unica via per una pace duratura.
La NDSCI condanna la collaborazione tra l’esercito congolese con gli eserciti ruandese e ugandese e gli interventi di questi due eserciti stranieri sul territorio congolese, mentre  milioni di vittime congolesi attendono ancora gesti di riparazione da parte di questi due paesi.
La NDSCI annuncia, infine, una serie di azioni a Bukavu (Sud Kivu), tra cui una marcia pacifica sabato 22 maggio e un sit-in nei pressi della frontiera con il Ruanda mercoledì 26 maggio 2021. Queste manifestazioni cittadine, pacifiche e non violente, hanno i seguenti obiettivi:
– Esprimere il malcontento e la rabbia del popolo congolese di fronte alle dichiarazioni umilianti e negazioniste del presidente ruandese Paul Kagame.
– Chiedere al governo congolese, in particolare al presidente della Repubblica, un’adeguata reazione di fronte al disprezzo che le autorità ruandesi continuano ad esprimere nei confronti del popolo congolese.
– Manifestare una ferma opposizione a qualsiasi nuovo intervento di eserciti stranieri, in particolare quelli di Ruanda, Uganda e Burundi, sul suolo congolese, perché il popolo congolese ha ancora vivo il ricordo di quei macabri crimini commessi da questi stessi eserciti e non è assolutamente disposto a rivivere questa triste pagina della sua storia».

Il 19 maggio, in un’intervista rilasciata a Parigi (Francia) ad alcuni media internazionali, il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Félix Tshisekedi Tshilombo, non ha voluto rispondere direttamente al suo omologo ruandese Paul Kagame: «Non voglio innescare delle polemiche con il presidente Paul Kagame. Non ci sono solo i media per rispondergli. Ci sono altre vie che userò … Il rapporto Mapping non è stato elaborato da cittadini congolesi, ma da esperti delle Nazioni Unite e la Repubblica Democratica del Congo continua a credere che un giorno giustizia sarà fatta per tutte le vittime dei crimini commessi nell’est del nostro Paese. Spetterà alla giustizia designare i colpevoli di tutte le violenze perpetrate».
Riguardo al dottor Dénis Mukwege, Premio Nobel per la Pace, Félix Tshisekedi ha dichiarato che «è una fonte di orgoglio nazionale, non è certo qualcuno che si può manipolare. Egli è originario di quei luoghi, vive vicino alle vittime e si prende cura di esse. È una persona che ben conosce la situazione della popolazione locale e che ha il diritto di parlare di tutto ciò che è successo. Egli ha quindi tutto il mio affetto e la nostra gratitudine per il lavoro che fa».[18]

[1] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 09.05.’21  http://afrikarabia.com/wordpress/rdc-un-etat-de-siege-qui-interroge/
[2] Cf Museza Cikuru – Laprunellerdc.info, 09.05.’21  https://laprunellerdc.info/rdc-des-nouvelles-nominations-au-sein-du-commandement-des-regions-militaires-des-fardc/
[3] Cf Museza Cikuru – Laprunellerdc.info, 09.05.’21   https://laprunellerdc.info/rdc-des-nouvelles-nominations-au-sein-des-commissariats-provinciaux-de-la-pnc/
[4] Cf Berith Yakitenge – Actualité.cd, 07.05.’21
[5] Cf Radio Okapi, 12.05.’21
[6] Cf Berith Yakitenge – Actualité.cd, 14.05.’21
[7] Cf Merveil Molo – 7sur7.cd, 22.05.’21
[8] Cf Radio Okapi, 22.04.’21
[9] Cf Isaac Kisatiro – 7sur7.cd, 08.05.’21
[10] Cf Freddy Upar – Actualité.cd, 20.05.’21
[11] Cf Radio Okapi, 21.05.’21
[12] Cf Radio Okapi, 16 e 25.03.’21
[13] Cf Fabrice Ngima – Charitenewsrdcongo.com, 05.05.’21
[14] Cf Azarias Mokonzi – Politico.cd, 15.05.’21
[15] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 21.03.’21
[16] Cf Hervé Pedro – Politico.cd, 30.03.’21
[17] Cf RFI, 18.05.’21
[18] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 19.05.’21