IL PRESIDENTE CONGOLESE IMPONE LA LEGGE MARZIALE NEL NORD KIVU E NELL’ITURI E GLI USA DESIGNANO LE ADF COME GRUPPO TERRORISTA AFFILIATO A DAESH
INDICE
1. STATO DI LEGGE MARZIALE NEL NORD KIVU E IN ITURI
a. La decisione del Capo dello Stato annunciata in Consiglio dei Ministri
b. Alcune reazioni
c. Il decreto presidenziale
2. GLI STATI UNITI DESIGNANO LE ADF COME GRUPPO TERRORISTA AFFILIATO A DAESH
a. Il comunicato del Dipartimento di Stato
b. Il rapporto della George Washington University
c. Il gruppo di esperti dell’ONU non ha potuto confermare alcun rapporto diretto tra le ADF e l’ISIS
d. Le ADF e lo Stato Islamico a Beni: fantasie o realtà?
1. STATO DI LEGGE MARZIALE NEL NORD KIVU E IN ITURI
a. La decisione del Capo dello Stato annunciata in Consiglio dei Ministri
La situazione d’insicurezza nell’Ituri e nel Nord Kivu sta diventando sempre più preoccupante. L’epicentro delle violenze rimane sempre il Territorio di Beni, dove l’esercito sta combattendo contro i miliziani delle Forze Democratiche Alleate (ADF), accusati di numerosi massacri perpetrati negli ultimi sei anni. Le ADF sono un gruppo armato di origine ugandese, ma presente sul Territorio di Beni (Nord Kivu, nell’Est della Rdcongo) sin dai primi anni 1990 e, ultimamente, hanno esteso la loro attività criminale anche nell’Ituri, dove sono presenti altri gruppi armati, come la CODECO. Secondo un rapporto della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO), in Ituri, solo nel 2020, sono state uccise 2.000 persone, mentre a Beni, dal 2013 in poi, ne sono state uccise oltre 6.000. Nel 2020, nelle due province del Nord Kivu e dell’Ituri, gli sfollati erano più di 1,2 milioni.[1]
Il 30 aprile, il Capo dello Stato, Félix Tshisekedi, Comandante Supremo delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e della Polizia Nazionale Congolese (PNC), ha comunicato al Governo riunito in Consiglio dei Ministri la sua decisione di dichiarare lo stato d’assedio nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri. In tarda serata, sulle onde della televisione nazionale (RTNC), il ministro dei mezzi di comunicazione e portavoce del governo, Patrick Muyaya, ha annunciato che la decisione è stata presa «in conformità con l’articolo 85 della costituzione e vista la gravità della situazione in queste due province».
Lo stato d’assedio è stato decretato previa consultazione tra il Capo dello Stato, il Primo Ministro e i Presidenti delle due Camere del Parlamento, con avviso favorevole del Consiglio Supremo della Difesa. Un decreto presidenziale che sancisca questa decisione sarà reso pubblico nei giorni seguenti. L’obiettivo sarebbe quello di porre un termine definitivo alla situazione di insicurezza di cui è quotidianamente vittima la popolazione locale.[2]
L’articolo 85 della Costituzione prevede che, “quando gravi circostanze minacciano, in modo immediato, l’indipendenza o l’integrità del territorio nazionale o provocano l’interruzione del regolare funzionamento delle istituzioni, il Presidente della Repubblica dichiara lo stato di emergenza o lo stato d’assedio, previa consultazione del Primo Ministro e dei Presidenti delle due Camere, in conformità con gli articoli 144 e 145 della presente Costituzione. Ne informa la nazione mediante un messaggio. Le modalità di applicazione dello stato di emergenza e dello stato d’assedio sono stabilite dalla legge”.
In tempo di pace, lo stato d’assedio è un regime eccezionale e temporaneo proclamato da un governo per far fronte a un imminente pericolo nazionale (insurrezione armata o invasione straniera), al fine di mantenere l’ordine pubblico. Al governo sono concesse delle prerogative eccezionali attraverso il trasferimento dei poteri dalle autorità civili alle autorità militari, una sospensione degli effetti delle leggi ordinarie e una limitazione delle libertà individuali.
Tra le principali misure che possono essere prese durante lo stato d’assedio, si possono citare: la sostituzione della polizia con l’esercito, la limitazione di alcune libertà (di movimento, di manifestazione, di espressione), il controllo sui media; l’entrata in vigore di un coprifuoco, la sostituzione dei tribunali civili con tribunali militari e un maggior controllo sulla popolazione.[3]
b. Alcune reazioni
Varie sono le reazioni seguite all’annuncio della decisione del Capo dello Stato di dichiarare lo stato d’assedio nel Nord Kivu e nell’Ituri.
Padre Télesphore Malonga, professore di diritto costituzionale presso l’Università cattolica di Graben e presidente della società civile di Butembo si è detto preoccupato per l’assenza di una legge che precisi le modalità di applicazione dello stato d’assedio, come invece previsto dall’articolo 85 della costituzione: «Finora il parlamento non ha ancora approvato alcuna legge che regoli l’applicazione dello stato d’assedio e dello stato di emergenza, come raccomandato dalla costituzione. Questa legge dovrebbe precisare, per esempio, come gestire le libertà personali durante lo stato di emergenza e lo stato d’assedio».
Per quanto riguarda una possibile sostituzione dell’amministrazione civile (governatori, sindaci) con un’amministrazione militare, Joseph Thata, ex consigliere della presidenza della repubblica e ricercatore in diritto della sicurezza presso l’università UCG-Butembo, ha proposto che si proceda ad una buona selezione di quegli ufficiali militari che saranno designati come governatori e sindaci per il periodo in cui sarà in vigore lo stato d’assedio poiché, secondo lui, «alcuni ufficiali sono implicati in attività illegali, come il traffico di armi e munizioni vendute al nemico, altri sono coinvolti nel contrabbando di cacao, legname e minerali, esportandoli illegalmente attraverso la frontiera con l’Uganda. Tutto ciò induce la popolazione a credere che l’esercito costituisca più un pericolo che un garanzia di sicurezza».[4]
Il professor Chober Agenonga, esperto di sociologia militare e docente presso l’Università di Kisangani, nel nord-est della RDC, ha dichiarato che lo stato d’assedio decretato dal Capo dello Stato Félix Tshisekedi nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri è «un’arguzia giuridica e una retorica senza senso», perché non è un provvedimento adatto alla crisi d’insicurezza che esiste nell’est del Paese: «Lo stato d’assedio, che consiste nel trasferimento del potere dalle autorità civili a quelle militari non è che un provvedimento minimalista che affronta la situazione di insicurezza solo da una prospettiva militare, mentre ci sono molti altri aspetti da prendere in considerazione, tra cui quello sociale, quello comunitario, quello politico, quello giudiziario, ecc. Per questo, lo stato d’assedio non costituisce una risposta adeguata all’attuale situazione di insicurezza constatata nell’est del Paese».
Egli continua aggiungendo: «Anche all’interno dell’esercito si nota un mal funzionamento che ne ostacola la professionalità e l’efficacia. Si tratta, per esempio, dell’insufficienza della logistica e dell’equipaggiamento militare, della malversazione dei fondi destinati a pagare gli stipendi dei militari sul fronte, dell’esistenza di catene parallele di comando e di complicità con determinati gruppi armati. Nell’ambito sociale, a volte si constata la stessa complicità tra miliziani e membri delle loro comunità di appartenenza. C’è anche la questione della scarsa attenzione riservata ai giovani, che facilita il loro arruolamento nei gruppi armati. Sono tutte questioni che spiegano, abbastanza chiaramente, il fatto che lo stato d’assedio decretato non potrà fornire soluzioni durature al problema dell’insicurezza. Di conseguenza, sarebbe conveniente che il Capo dello Stato riconsiderasse le sue decisioni, per fare dapprima una diagnosi precisa delle radici e delle cause profonde di questa insicurezza, ciò che gli permetterebbe di adottare una serie di misure adeguate alle dinamiche locali».
Infine, Chober Agenonga propone un piano di uscita dalla crisi strutturato in 9 proposte:
1. La ristrutturazione dell’esercito imperniato su una catena di comando unitaria e professionale.
2. L’allocazione di risorse logistiche e finanziarie sufficienti, assicurando la trasparenza nella loro gestione attraverso una serie di controlli efficaci e periodici, al fine di evitare la malversazione di denaro da parte degli ufficiali e il trasferimento di armi e munizioni ai gruppi armati.
3. Il rafforzamento della fiducia e della collaborazione tra popolazione civile e forze di sicurezza, perché nessuna guerra può essere vinta senza la fiducia e la collaborazione della popolazione.
4. L’accelerazione del programma di Disarmo, Smobilitazione e Reinserimento Sociale (DDRS) riservato ai membri dei gruppi armati pronti a deporre le armi.
5. La ricostruzione delle zone colpite dalla violenza, mediante la realizzazione di progetti sociali che possano creare posti di lavoro per i giovani che, per mancanza di attenzione verso di loro, sono diventati forza lavoro per i gruppi armati.
6. Il rafforzamento dell’autorità dello Stato, per impedire la formazione di nuovi gruppi armati a causa del vuoto di potere o della sua inefficienza.
7. Il ristabilimento della coesione intercomunitaria, spezzata dalla strumentalizzazione di milizie a connotazione tribale e responsabili dei massacri di membri di altre comunità.
8. La promozione di una giustizia di transizione, capace di identificare i responsabili dei crimini commessi.
9. Una diplomazia attiva, capace di controllare e scoraggiare le reti esterne che appoggiano i gruppi armati all’interni della RDCongo.[5]
In un comunicato stampa, il movimento civico Lotta per il Cambiamento (LUCHA) ha affermato di temere che lo stato d’assedio non sia che «una misura cosmetica volta a dare l’impressione che si stia agendo per porre fine ai massacri mentre, in realtà, si sta mantenendo lo statu quo» e ha chiesto al Capo dello Stato, Félix Tshisekedi, di sospendere lo stato d’assedio da lui decretato nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri. Lucha invita invece il Presidente della Repubblica a prendere in considerazione la convocazione di un dialogo tripartito Governo-MONUSCO-Società Civile locale. Secondo il comunicato, LUCHA propone di effettuare una valutazione oggettiva e globale sulla situazione di insicurezza, in particolare sulle cause, sugli autori e sui mandanti dei massacri, nonché sulle ragioni del fallimento delle operazioni militari finora condotte. Secondo LUCHA, l’obiettivo di tale valutazione dovrebbe essere quello di «formulare possibili soluzioni, adottare un cronogramma operativo e stabilire indicatori chiari e meccanismi di monitoraggio adeguati, in vista del ristabilimento della pace e dell’effettiva protezione della popolazione civile locale».[6]
Pierre Boisselet, coordinatore del Kivu Security Tracker, ha espresso molti dubbi sull’opportunità di questo stato d’assedio, poiché non risolverebbe il problema dell’insicurezza nell’est del paese.
Egli ha ricordato che, nel 2019, sono state lanciate diverse operazioni militari in Ituri e nel territorio di Beni e che, proprio dopo l’avvio di queste operazioni, “i massacri di civili si sono moltiplicati”: «In giugno 2019 si iniziò l’Operazione “zaruba ya Ituri” in Ituri e, in ottobre dello stesso anno, si avviò un’offensiva “su ampia scala” contro le ADF nel territorio di Beni, nel Nord Kivu. Tuttavia, dopo l’avvio di queste operazioni, i massacri sono aumentati. Cacciare un gruppo armato da una zona senza sconfiggerlo gli permette di spostarsi in un’altra un po’ più lontana. Liberare una località da un gruppo armato senza riuscire a mantenere il controllo su di essa, permette a un altro gruppo armato di sostituirsi al precedente. Tutto ciò non permette di risolvere il problema. C’è da notare che, due anni dopo l’avvio di queste operazioni militari, lo stesso Presidente sembra ritenere che la situazione sia peggiorata, visto che ha proclamato lo stato d’assedio. Occorre quindi fare una valutazione delle precedenti operazioni militari, affinché questa volta si evitino gli errori del passato e ci si organizzi meglio, in vista di risultati migliori».
Pierre Boisselet ha dichiarato di non essere convinto che, per pacificare l’est del paese, restasse solo la via dello stato d’assedio. Egli si è rammaricato del fatto che «il programma del governo sembra affrontare i problemi dell’insicurezza nell’est del paese principalmente da una prospettiva militare e la decisione sullo stato di assedio sembra confermarlo. Ma sarà difficile giungere alla pace senza una strategia globale». Secondo Pierre Boisselet, «questa strategia globale dovrà coinvolgere contemporaneamente servizi statali molto diversi: i servizi di intelligence, la polizia, la giustizia, la diplomazia, il programma di Disarmo, Smobilitazione e Reinserimento Sociale (DDRS), ecc. Occorre poter identificare i tipi di appoggio che i gruppi armati ricevono e impedirli. Occorre identificare le cause profonde dei conflitti, per poterli risolvere. L’esercito fa parte della soluzione, ma deve essere ristrutturato affinché possa agire in modo più efficace. Ha bisogno di più risorse, di una migliore organizzazione, di una maggior disciplina, ecc., sia a livello della base che della gerarchia».[7]
Il deputato nazionale Jean-Baptiste Muhindo Kasekwa, eletto a Goma (Nord Kivu), ha dichiarato di ritenere inefficace l’indizione, da parte del Presidente della Repubblica, dello stato d’assedio nelle due province del Nord Kivu e dell’Ituri. Secondo lui, «si tratta di un provvedimento che dimostra chiaramente che l’alta gerarchia militare non ha mai preso in considerazione la diagnosi fatta da alcuni parlamentari. Il fallimento delle varie operazioni militari del passato, condotte contro i gruppi armati a partire dagli anni 1990 in poi nell’est del Paese, non è dovuto al fatto che i militari non esercitassero poteri politici e amministrativi. Il fallimento di quelle operazioni militari è dovuto soprattutto alla complicità esistente tra alcuni ufficiali dell’esercito e i capi dei vari gruppi armati nei diversi settori di un’economia criminale come, per esempio, il commercio illegale di minerali, legname, cacao, armi, munizioni, divise militari e altro.
Il fallimento delle operazioni è dovuto alla malversazione, da parte di alcuni ufficiali, dei fondi assegnati allo stipendio dei militari sul fronte, alla logistica e all’approvvigionamento alimentare. Kinshasa può ben sbloccare 2 milioni di dollari ma, sul fronte, non ne arrivano che 5.000 o 50.000. Il fallimento delle operazioni è la conseguenza dell’esistenza di un personale fittizio; per esempio, se un reggimento è ufficialmente composto di circa 1700 militari, sul fronte non ne dispone che di 300. Ne consegue che la paga degli altri 1400 è intascata da altri. Ci si può quindi chiedere se lo stato d’assedio riuscirà a correggere tutte queste irregolarità e anomalie. C’è chi teme che la nomina di un militare come governatore, amministratore di territorio o capo di raggruppamento non sia la risposta più adeguata per rimediare ai fallimenti delle operazioni militari finora intraprese».[8]
c. Il decreto presidenziale
Il 3 marzo, alla Radio Télévision Nationale Congolaise (RTNC), Kasongo Mwema Yamba Yamba, portavoce del Capo dello Stato, ha proceduto alla lettura delle due ordinanze firmate dal Presidente della Repubblica Félix Tshisekedi, relative alle condizioni di attuazione dello stato d’assedio nel Nord Kivu e nell’Ituri, a partire dal 6 maggio 2021. Secondo queste ordinanze:
«Durante lo stato d’assedio, i governi provinciali dell’Ituri e del Nord Kivu sono composti rispettivamente da un governatore militare e da un vice governatore membro della polizia.
I governi provinciali e le assemblee provinciali di dette province, così come definite dall’articolo 188 della costituzione, sono sospesi e le loro prerogative sono trasferite alle autorità militari provinciali citate sopra. Tuttavia, i membri dei Governi provinciali e delle Assemblee provinciali, benché temporaneamente sospesi, continuano ad usufruire dei loro benefici sociali.
I governatori e vice governatori dipendono dal ministro della Difesa del Governo centrale. Il gabinetto del governatore provinciale è composto da 5 collaboratori nominati, ed eventualmente dimessi dalle loro funzioni, con decreto del governatore provinciale. Le autorità provinciali hanno a loro disposizione la pubblica amministrazione provinciale, la polizia nazionale congolese e tutti i servizi nazionali attivi nelle province.
Le autorità degli enti territoriali decentrati di queste province sono nominate e, se necessario, dimesse dalle loro funzioni, con ordinanza presidenziale su proposta del governo, sentito il parere del Consiglio Superiore della Difesa.
Le funzioni di governatore e vice governatore e delle altre autorità degli enti territoriali decentrati prendono termine alla scadenza dello stato d’assedio, salvo in caso di proroga. Tuttavia, le funzioni dei governatori militari e dei vice governatori possono essere interrotte mediante ordinanza presidenziale prima della fine dello stato d’assedio, se necessario.
Nello svolgimento delle loro missioni, le autorità provinciali militari usufruiscono di prerogative che vanno oltre la normale legalità, nei limiti del rispetto della dignità umana e del rispetto della vita e della proprietà privata. In particolare, esse hanno il potere di:
– Effettuare perquisizioni nelle case, sia di giorno che di notte;
– Allontanare le persone condannate e gli individui che non hanno il proprio domicilio nelle zone sottoposte allo stato d’assedio;
– Ricercare le persone che detengono armi e munizioni e ordinarne loro la consegna;
– Vietare pubblicazioni e incontri che possano pregiudicare l’ordine pubblico;
– Vietare la circolazione di persone e veicoli nei luoghi e negli orari stabiliti;
– Stabilire zone di protezione e di sicurezza, in cui la permanenza delle persone possa essere più facilmente regolamentata;
– Proibire la presenza, in tutta o in parte della provincia, di tutte quelle persone che tentano di ostacolare, in un qualsiasi modo, l’azione del potere pubblico;
– Intercettare chiunque sia implicato in atti che possano compromettere la pace e l’ordine pubblico e deferirlo ai tribunali militari competenti;
– Prendere qualsiasi decisione ritenuta utile per il compimento delle loro missioni.
Durante lo stato d’assedio, il governatore militare è responsabile del comando delle operazioni. Inoltre, egli ha pieni poteri per gestire il servizio di polizia e il mantenimento dell’ordine e per prendere decisioni su tutte le questioni, ad eccezione di quelle che sono di competenza delle autorità nazionali. Per tutta la durata dello stato d’assedio, la giurisdizione penale dei tribunali civili è attribuita ai tribunali militari».[9]
Lo stato d’assedio dovrebbe durare un mese ed essere eventualmente rinnovato ogni due settimane. Durante questo periodo, in nessun caso saranno derogati i seguenti diritti e principi fondamentali:
– Il diritto alla vita,
– Il divieto di tortura, di pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti,
– Il divieto della schiavitù,
– Il principio della legalità dei reati e delle pene,
– Il diritto alla difesa e al ricorso,
– Il divieto della reclusione per debiti,
– La libertà di pensiero, coscienza e religione.
Secondo l’ordinanza presidenziale, le immunità e altri privilegi non sono applicabili durante lo stato d’assedio nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri.
In un messaggio registrato e rivolto alla nazione, il presidente Félix Tshisekedi ha chiesto:
– Al governo, di fornire la logistica necessaria alle forze armate dispiegate sul fronte.
– All’intera classe politica, di non intraprendere alcuna azione che possa ostacolare o scoraggiare le forze armate.
– Ai mezzi di comunicazione e alla Società Civile, di appoggiare l’azione delle forze armate.
– Alle popolazioni locali, di cooperare con le autorità militari, denunciando presenze sospette e complicità.[10]
Il 4 maggio, il presidente Félix Tshisekedi ha nominato il tenente generale Luboya Nkashama Johnny, governatore militare del Nord Kivu e il commissario di divisione Alonga Boni Benjamin, vice governatore della stessa provincia. Il tenente generale Ndima Konguba è stato nominato governatore militare della provincia di Ituri, assistito dal commissario di divisione Ekuka Lipopo come vice governatore.
Originario della provincia del Kasai, il generale Luboya Nkashama è un ex membro dell’ex ribellione dell’RCD-Goma che, appoggiata dal Ruanda, aveva già amministrato questa provincia in passato. La sua nomina è già contestata da alcune organizzazioni della società civile.
Il generale Constant Ndima Kongba proviene dall’ex ribellione dell’MLC, appoggiata dall’Uganda. Egli è citato in un rapporto delle Nazioni Unite come uno dei comandanti dell’operazione “Cancellare la lavagna” condotta nell’Ituri tra il 2002 e il 2003, nel corso della quale dei combattenti, tra cui alcuni dell’MLC, erano stati accusati di aver massacrato e violentato dei Nandés e dei Pigmei, sospettati di collaborare con un’altra ribellione. Da parte sua, l’MLC ha smentito la partecipazione del generale Ndima in qualsiasi tipo di atrocità in Ituri perché, in quel tempo, egli non si trovava in quella zona. Inoltre, l’ex ribellione trasformata in partito politico ricorda che, nel processo sull’operazione “Cancella la lavagna” tenutosi a Gbadolite in febbraio 2003. Il nome di Constant Ndima non appare tra i 19 condannati.
Anche il commissario di divisione Benjamin Alonga Boni è un ex MLC, è stato uno dei collaboratori del generale Numbi accusato dell’assassinio di Floribert Chebeya e Fidèle Bazana. Testimone nel processo come parte informata dei fatti, è uno degli ultimi ufficiali uscire dall’ispettorato generale di polizia il giorno dell’assassinio.
Secondo David Ung’Yertho, un capo tradizionale dell’Ituri, la popolazione teme il comportamento dei militari: «Tutti questi militari e ufficiali hanno fatto parte di bande criminali appoggiate da paesi limitrofi. Il primo passo avrebbe dovuto essere quello di identificare ed escludere gli infiltrati». Un membro della società civile di Beni, Gilbert Kambale, afferma che, secondo una parte della popolazione, questo stato d’assedio sembra gettare le basi per la balcanizzazione del Paese.[11]
Il 6 maggio, la Presidenza della Repubblica ha annunciato un’inversione delle nomine dei governatori militari delle due province del Nord Kivu e dell’Ituri. Il tenente generale Lubaya N’Kashama Johny e il commissario di divisione Alonga Bony Bangadiso Benjamin sono rispettivamente nominati governatore e vice governatore militari dell’Ituri, mentre il tenente generale Constant Ndima Kongba e il commissario di divisione Ekuka Lipopo sono rispettivamente nominati governatore e vice governatore militari del Nord Kivu.[12]
2. GLI STATI UNITI DESIGNANO LE ADF COME GRUPPO TERRORISTA AFFILIATO A DAESH
a. Il comunicato del Dipartimento di Stato
In un comunicato pubblicato il 10 marzo, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha riconosciuto il gruppo armato denominato Forze Democratiche Alleate (ADF), accusato di essere implicato nei massacri di Beni (Nord Kivu), come gruppo terroristico affiliato allo Stato Islamico (DAECH). Secondo l’articolo 219 della legge su immigrazione e nazionalità, il Dipartimento di Stato americano ha designato lo Stato Islamico di Iraq e Siria – Repubblica Democratica del Congo (ISIS-DRC) e lo Stato Islamico di Iraq e Siria – Mozambico (ISIS-Mozambico) come organizzazioni terroristiche (FTO) e ne ha indicato i rispettivi leader: Seka Musa Baluku e Abu Yasir Hassan.
Secondo il comunicato, “in seguito a queste designazioni, tutti i beni appartenenti alle organizzazioni e persone citate e posti sotto giurisdizione degli Stati Uniti sono bloccati. Inoltre, ai cittadini degli Stati Uniti è vietato partecipare a transazioni con le organizzazioni e persone menzionate. Le istituzioni finanziarie straniere che, consapevolmente, eseguono o facilitano qualsiasi tipo di transazione per conto di questi gruppi o individui saranno anch’esse soggette a sanzioni”. Inoltre, secondo il comunicato, “fornire consapevolmente appoggio materiale o risorse a Daesh-RDC e a Daesh-Mozambico, o tentare di farlo, è costitutivo di atto criminale”.
Secondo il Dipartimento di Stato americano, Daesh ha annunciato la creazione della Provincia dello Stato Islamico in Africa Centrale (ISCAP) in aprile 2019, con l’intento di promuovere la presenza di elementi associati a Daesh nell’Africa centrale, orientale e meridionale.
Benché i media associati a Daesh presentino l’ISCAP come una struttura unificata, Daesh-RDC e Daesh-Mozambico sono due gruppi distinti con origini diverse.
Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Daesh-RDC corrisponde al gruppo armato denominato Forze Democratiche Alleate (ADF), o Madina a Tauheed Wau Mujahedeen (MTM), responsabile di oltre 849 vittime civili nel 2020, secondo quanto riportato in un recente rapporto delle Nazioni Unite. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e le Nazioni Unite avevano già imposto simili sanzioni alle ADF nel 2014, nell’ambito del regime di sanzioni decretato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Per quanto riguarda Daesh-Mozambico, in aprile 2018 gli “Shebabs” del Mozambico, denominati anche Ansar al-Sunna, avevano giurato fedeltà allo Stato Islamico, che li aveva riconosciuti come suoi membri in agosto 2019. Dall’ottobre 2017 in poi, il gruppo guidato da Abu Yasir Hassan ha ucciso più di 1.300 civili.[13]
b. Il rapporto della George Washington University
Secondo il Dipartimento dello Stato degli Stati Uniti esiste un collegamento tra lo Stato Islamico e le ADF, un gruppo armato che, di origine ugandese e di ispirazione islamica, si è insediato nell’est della RD Congo nel 1995 e che, con il passare del tempo, si è ampiamente “congolizzato”. Le ADF sono ritenute responsabili di numerosi massacri commessi nel Nord Kivu a partire dal 2014, con più di mille morti nella sola zona di Beni.
Secondo un rapporto della George Washington University, l’arrivo dell’Isis in Africa centrale coincide con le sue sconfitte in Siria e in Irak. Per garantire la sua sopravvivenza e diffusione, il gruppo terroristico ha creato delle filiali all’estero, come nel Sahel, in Somalia e in Africa centrale. Si tratterrebbe di un partenariato mediamente vantaggioso per tutti: l’ISIS dimostrerebbe non solo di non essere stato sconfitto, ma anche di essersi internazionalizzato; contemporaneamente, nella RD Congo, l’ADF potrebbe aver trovato nell’Isis “un amplificatore e un benefattore” per le sue attività. La George Washington University si è detta preoccupata per l’influenza che, con il passare del tempo, l’ISIS potrebbe avere sulle ADF, poiché la RDC potrebbe diventare un luogo sempre più attraente per i combattenti dell’Isis in tutta l’Africa orientale e centrale.
Il rapporto, in effetti, evidenzia “vari casi di combattenti stranieri che hanno partecipato alle operazioni delle ADF nell’est della RD Congo, che potrebbe diventare una possibile base per combattenti stranieri jihadisti di tutto il mondo”. Infatti, “la porosità delle sue frontiere e la sua instabilità interna potrebbero trasformarlo in una meta relativamente facile per futuri jihadisti”.
Si tratta di una situazione preoccupante per la RDC, per i paesi limitrofi e per la comunità internazionale.
Il rapporto della George Washington University avrebbe tracciato la pista dei primi contatti tra l’ISIS e le ADF: “La sezione della Provincia Centro Africana dello Stato Islamico (ISCAP) nella Repubblica Democratica del Congo è stata riconosciuta come membro ufficiale dello Stato Islamico nel 2018 e i primi attacchi dell’ISCAP nella RDC sono stati ufficialmente rivendicati dai mass media dello Stato Islamico in aprile 2019”.
In effetti, a partire dal 2019, l’ISIS si è sempre più interessato delle ADF, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto della comunicazione. Infatti, Amaq News, il canale ufficiale online dell’ISIS, ha fornito una copertura regolare delle operazioni ADF nella RDC a partire dal 2019. Secondo il rapporto della George Washington University, i collegamenti tra le ADF e l’ISIS si concentrano principalmente sulla propaganda e la comunicazione. Non è stato finora possibile dimostrare alcun appoggio operativo, finanziario o logistico significativo dell’ISIS nei confronti delle ADF.
Secondo lo stesso rapporto, Se i rapporti tra l’ISIS e le ADF non sono ancora chiari, non dovrebbe essere esclusa l’eventualità di una più stretta collusione tra le due organizzazioni. Grazie a Daesh, le ADF potrebbero darsi una migliore organizzazione, ricevendo dall’ISIS denaro, combattenti e consigli strategici. Per il momento in modo limitato. Ma la mancanza di una strategia efficace potrebbe rivelarsi fatale per la RDCongo.[14]
c. Il gruppo di esperti dell’ONU non ha potuto confermare alcun rapporto diretto tra le ADF e l’ISIS
Secondo un rapporto del Gruppo degli Esperti delle Nazioni Unite sulla RDC pubblicato in dicembre 2020, il numero delle rivendicazioni dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) riguardanti degli attacchi commessi nella RDC è aumentato da 29, nel 2019 a 46, al 19 novembre 2020. Tuttavia, gli esperti dell’ONU affermano di non capire ancora perché l’ISIS abbia rivendicato alcuni attacchi nella Repubblica Democratica del Congo e non altri, anch’essi attribuiti alle ADF dalla società civile e dalle autorità amministrative e militari congolesi.
Il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite ha affermato che “tutte le rivendicazioni dell’ISIS pubblicate prima del 13 maggio 2020 riguardavano esclusivamente degli attacchi commessi contro le Forze Armate della RDCongo (FARDC) e la Missione dell’ONU in Congo (MONUSCO). Dopo quella data, 9 dei 37 casi rivendicati dall’ISIS hanno riguardato degli attacchi commessi contro popolazioni civili, soprattutto cristiane”, Gli esperti hanno precisato che, a partire da maggio 2020, le modalità e tattiche operative delle ADF non sono tuttavia cambiate, nemmeno da quando l’ISIS ha iniziato a rivendicare la responsabilità di certi attacchi.
Secondo il rapporto del mese di dicembre 2020, “sebbene l’ISIS abbia continuato a rivendicare la responsabilità di diversi attacchi nella Repubblica Democratica del Congo, il gruppo degli esperti non ha potuto confermare alcun collegamento diretto tra l’ISIS e le ADF … Anche se l’ISIS continua a rivendicare la responsabilità di attacchi generalmente attribuiti alle ADF, alcune informazioni suggeriscono che alcuni di questi attacchi potrebbero essere stati perpetrati da altri gruppi. Queste incongruenze dimostrano che l’ISIS ha una conoscenza molto limitata delle operazioni effettuate nella Repubblica Democratica del Congo e che, su di esse, esercita un controllo altrettanto molto limitato. Esse dimostrano anche che, tra l’ISIS e le ADF, ci sono delle difficoltà di comunicazione, supposto che tale comunicazione esista”.[15]
d. Le ADF e lo Stato Islamico a Beni: fantasie o realtà?
I massacri commessi nel Territorio di Beni (Nord Kivu) sono generalmente attribuiti ai combattenti del gruppo armato di origine ugandese noto come Forze Democratiche Alleate (ADF). In un suo comunicato, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha designato le ADF col nome “Daesh RDC”. La seguente analisi cerca di decifrare la logica che ha condotto gli USA a qualificare le ADF/MTM come movimento islamista e unico responsabile di tutti i massacri commessi sul territorio di Beni e dintorni.
Un documento americano riservato.
Un analista americano, ex cooperante militare nella RDC, ha redatto un documento destinato alle autorità americane sul problema delle Forze Democratiche Alleate (ADF). Per illustrare le connessioni internazionali delle ADF con altri gruppi islamici presenti nella regione, egli si è limitato a fare riferimento a dei video pubblicati sui social network nel 2017, senza però riuscire a fornire prove materiali sufficienti che dimostrino il legame tra le ADF e lo Stato Islamico.
Secondo questo documento americano riservato, “ci sono sempre più segnali di contatto tra le ADF e la Provincia dello Stato Islamico dell’Africa centrale (IS-CAP). Un video del mese di ottobre 2017 presentava la “Città del monoteismo e dei monoteisti” o “Madina a Tauheed Wau Mujahedeen” (MTM). L’oratore era un cittadino tanzaniano, Ahmad Jundi Mahamood, entrato a far parte del gruppo estremista nel 2017, dopo aver studiato in Sud Africa. Nel video, Jundi affermava che MTM è un soprannome delle ADF e che MTM è un gruppo affiliato all’ISIS. Va notato che, da parte sua, Al-Baghdadi, il primo califfo dello Stato islamico di Iraq e Siria, ha menzionato per la prima volta la “Provincia dello Stato Islamico in Africa Centrale” in agosto 2018.
Sempre secondo il documento in questione, le operazioni estremiste del Mozambico settentrionale e dell’est della RDCongo sarebbero perpetrate nel contesto dell’IS-CAP”.
Nel termine generico di Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico (ISCAP), si sono incluse anche le ADF / MTM che operano nell’est della RDCongo per il semplice fatto che esse operano in Africa centrale, anche se non si è trovata alcuna prova sufficiente di una connessione reale tra gli autori dei massacri dell’est della RDCongo e l’ISIS.
Secondo il documento, “è probabile che le ADF / MTM abbiano preso il nome ISIS per facilitare il reclutamento di nuove leve o per attrarre l’attenzione e l’appoggio dell’ISIS stesso. Fatto sta che esistono dei rapporti di comunicazione tra le ADF e l’ISIS, benché non se ne conoscano i dettagli”.
Degli islamisti senza radici sociologiche locali.
A differenza dei movimenti islamisti dell’Africa occidentale e del Mozambico, innestati su comunità etniche musulmane locali, attualmente nulla fa pensare che, a Beni, le ADF dispongano di una base musulmana locale.
Molti si chiedono quale sarebbe il vero obiettivo di Daesh / Stato Islamico per voler stabilirsi in una zona con una percentuale molto bassa di popolazione musulmana, a differenza di quanto sta accadendo nel Sahel o a Cabo Delgado, in Mozambico dove, per rivendicare la paternità dei suoi attacchi, Ansar-al-Sunnah, alleato dell’ISIS, può far affidamento sulla forte comunità musulmana locale (quasi il 50% della popolazione). Nel Sahel, nel Corno d’Africa e in Mozambico, è il potere ad essere maggiormente preso di mira e non tanto le popolazioni civili, come accade nell’est della RDCongo, dove i Nande sono le principali vittime. Inoltre, nell’est della RDCongo, i massacri iniziati in ottobre 2014 sono molto raramente rivendicati direttamente dagli aggressori. Infine, perché l’ISIS dovrebbe attaccare un paese che, a differenza di molti paesi occidentali, non ha mai partecipato a operazioni militari per combatterlo?
Secondo vari osservatori, non c’è una continuità spaziale, geografica, sociologica, umana, religiosa o ideologica tra lo Stato islamico e la regione di Beni nell’est della RDCongo.
Sebbene le attività delle ADF rappresentino un importante fattore di insicurezza per le popolazioni dell’est del Paese, le ADF non sembrano far parte né del movimento terrorista islamico, né della “jihadosfera”. Ad oggi, non ci sono informazioni sufficienti per confermare che le ADF abbiano legami finanziari e operativi significativi con reti terroristiche internazionali. Piuttosto, secondo molti osservatori, giocare la carta del radicalismo islamico ha permesso a quest’ultimo di reclutare nuovi combattenti e di ottenere un sostanzioso appoggio finanziario da paesi musulmani, come il Sudan.
Conclusione.
Secondo il professor Rui Verde, specialista dell’Angola, nella regione della SADC si nota una certa dinamica di diffusione della minaccia terroristica ispirata all’Isis e, quindi, “gli USA considerano le attività in RDC e in Mozambico come complementari”.
Scettico sull’approccio americano, Jason Stearns ritiene che il fatto che gli Stati Uniti ritengano che le ADF abbiano dei legami con l’ISIS potrebbe comportare degli inconvenienti: più si considera Daesh come nemico principale, più si trascurano altri fattori importanti inerenti al conflitto.
Secondo vari osservatori, sarebbe sbagliato attribuire tutte le violenze commesse alle sole ADF / MTM perché, oltre ad esse, ci sono anche molti altri gruppi / reti attivi nella regione: l’esercito nazionale composto da membri spesso provenienti da precedenti gruppi armati, le milizie Mai-Mai locali, le interferenze dei paesi limitrofi e il gruppo dei “Ruandofoni ritornati”.
Nonostante quanto sostenuto dal professor Rui Verde, che condivide la tesi americana, Jason Stearns e altri osservatori ritengono che i legami tra le ADF e l’ISIS sono ancora in gran parte poco chiari, soprattutto quando, nel suo rapporto di dicembre 2020, il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite per la RDCongo dichiara di non poter confermare alcun collegamento diretto tra le due organizzazioni. Si può quindi affermare che, ad oggi, non ci sono indizi seri o prove materiali sufficienti che dimostrino un legame diretto tra gli assassini di Beni e l’ISIS. Ciò è dovuto alla molteplicità di attori criminali che interagiscono, a volte con obiettivi convergenti, in questa parte del Paese. La designazione americana delle “ADF / MTM” come gruppo affiliato all’ISIS contiene alcuni limiti metodologici che mettono in dubbio la credibilità di questa posizione.
D’altra parte, se a Beni e dintorni si continua ad uccidere, ciò è dovuto ad un insieme di diverse cause, tra cui:
– La mancata conoscenza del nemico mal identificato o la cui reale identità viene spesso occultata: le stragi e violenze commesse a Beni vengono sistematicamente attribuite alle ADF, senza alcuna forma di identificazione precisa degli autori e senza prove materiali sufficienti. L’obiettivo sarebbe quello di coprire volutamente le tracce della vera identità degli assassini di Beni.
– L’ignoranza delle dinamiche interne all’esercito congolese: disorganizzazione e sovrapposizione delle strutture di comando; il dispiegamento, nelle zone operative, di unità complici con gli aggressori; complicità di alcuni ufficiali con vari gruppi armati; rivalità tra ufficiali di unità diverse, ecc. Si tratta di alcuni dei numerosi elementi che causano il mal funzionamento delle FARDC.
– La sottovalutazione delle questioni geopolitiche regionali: troppo spesso si tende a ridurre il problema dell’insicurezza nell’est della RD Congo solo alla sua dimensione interna congolese, dimenticando le cause esogene di questi conflitti, spesso provocati e sostenuti dagli stati confinanti della regione.
– La mancanza di volontà politica nel riformare l’esercito e nell’affrontare in maniera adeguata la situazione di insicurezza nell’est della RDCongo. Ciò è dimostrato dalla sconcertante indifferenza dei politici nei confronti della tragedia di Beni e si concretizza nella mancanza della riforma dell’esercito militare e nell’inadeguatezza del programma di Disarmo, Smobilitazione e Reinserimento sociale (DDR). Si preferisce invece integrare nell’esercito regolare quei miliziani che hanno ucciso, violentato e massacrato i loro connazionali. Si nota anche l’assenza di una strategia militare, nazionale e globale, capace di risolvere il problema dell’insicurezza e la mancanza di una legge di programmazione militare che dovrebbe finanziare l’organizzazione, la logistica e il funzionamento dell’esercito, attualmente ridotto in una situazione di estrema precarietà.
– La debolezza di un sistema giudiziario incapace di lottare efficacemente contro l’impunità e di sanzionare vigorosamente gli autori (militari e miliziani) di gravi violazioni dei diritti umani. Le autorità congolesi sembrano dimenticare l’iniziativa intrapresa dal Dr. Denis Mukwege a favore del Rapporto Mapping delle Nazioni Unite sui crimini commessi in Congo dal 1993al 2003, mentre il Parlamento europeo “chiede, ancora una volta, che si attuino le raccomandazioni di quel rapporto, in particolar modo quella relativa alla creazione di camere miste specializzate integrate nel sistema giudiziario congolese”.[16]
[1] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 05.05.’21
[2] Cf Radio Okapi, 01.05.’21
[3] Cf Stéphie Mukinzi – Politico.cd, 01.05.’21
[4] Cf Claude Sengenya – Actualité.cd, 02.05.’21
[5] Cf Claude Sengenya – Actualité.cd, 02.05.’21
[6] Cf Christian Kamba – Politico.cd, 02.05.’21
[7] Cf Stéphie Mukinzi – Politico.cd, 02.05.’21
[8] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 05.05.’21
[9] Cf Actualité.cd, 04.05.’21 https://actualite.cd/index.php/2021/05/04/rdc-pendant-letat-de-siege-au-nord-kivu-et-en-ituri-les-gouverneurs-militaires-seront
[10] Cf Radio Okapi, 04.05.’21; Clément Muamba – Actualité.cd, 04.05.’21
[11] Cf Radio Okapi, 05.05.’21; Sonia Rolley – RFI, 05.05.’21
[12] Cf Actualité.cd, 06.05.’21
[13] Cf Radio Okapi, 11.03.’21
[14] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 14.03.’21 http://afrikarabia.com/wordpress/les-contours-incertains-de-letat-islamique-en-rdc/
[15] Cf Actualité.cd, 01.01.’21; Actualité.cd, 15.03.’21
[16] Cf Desk-Wondo.org, 07.04.’21 https://desc-wondo.org/ladf-et-letat-islamique-a-beni-fantasmes-ou-realite/