Indice:
1. EDITORIALE – Buon vicinato: opportunità e rischi
2. KIVU
2.a Assenza di trasparenza nelle operazioni di ritorno dei rifugiati
2.b Membri dell’esercito implicati in atti di violenza
3. LA CREAZIONE DI UNA FORZA MILITARE REGIONALE COMPOSTA DA RDCONGO, RWANDA E BURUNDI
4. LE POSSIBILI CONSEGUENZE DEL REFERENDUM SUD SUDANESE SULL’EST DELLA RDCONGO
4.a L’insicurezza come mezzo per dividere il Paese
4.b Complicità straniere
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EDITORIALE
Buon vicinato: opportunità e rischi
Per una pace duratura nella Regione dei Grandi Laghi Africani (Repubblica Democratica del Congo, Ruanda e Burundi) in generale e nell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) in particolare, si insiste spesso sulla necessità di creare relazioni di intesa e collaborazione tra questi Paesi limitrofi, con un passato recente caratterizzato da una serie di conflitti con conseguenze ancora attuali.
Il libero spostamento delle persone attraverso le frontiere e il libero flusso delle merci possono certamente facilitare l’unità dei popoli e lo sviluppo sociale ed economico della regione.
La decisione di formare un esercito comune tra questi Paesi può certamente creare nuove condizioni di sicurezza e favorire la pace.
Se molti possono essere i vantaggi, altrettanto numerosi sono i rischi.
In questi ultimi mesi, si sono intensificati gli spostamenti di popolazioni da un Paese all’altro.
Numerosi gruppi arrivano nel Kivu (Est della RDCongo) provenienti da Ruanda e Uganda, presentandosi come rifugiati congolesi che ritornano in patria, ma privi di documenti di identità e di attestazioni di rifugiati. Se loro stessi non sanno dire con precisione il nome dei loro villaggi di origine, nemmeno la popolazione locale riesce a riconoscerli come loro vicini nel passato, prima della loro partenza. Nasce allora il dubbio che non siano dei veri rifugiati congolesi che ritornano, bensì dei clandestini e degli infiltrati di altre nazionalità, soprattutto ruandese. E il dubbio può trasformarsi in sospetto: con quale intenzione arrivano?
Circa la creazione di una forza militare comune dei tre Paesi (RDCongo, Ruanda e Burundi) membri della Comunità Economica dei Paesi dei Grandi Laghi (CEPGL), è noto che l’esercito congolese è un conglomerato di truppe provenienti da ex movimenti ribelli, con scarsa formazione militare, indisciplinati e, spesso, responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, con una logistica nettamente insufficiente. Da precisare che, nel Kivu (Est della RDCongo,) l’esercito cosiddetto nazionale è formato e comandato soprattutto da militari provenienti dall’ex movimento armato filo ruandese di Laurent Nkunda, il CNDP. D’altra parte, l’esercito ruandese è reputato essere uno dei migliori eserciti dell’Africa: disciplinato, ben organizzato ed efficace.
Quali saranno dunque le modalità della composizione della nuova forza militare comune? Chi ne assumerà il comando?
Il popolo congolese e, soprattutto le popolazioni del Kivu, hanno ben ragione di essere preoccupati.
Il rischio è che si vada verso un ripopolamento ruandese e una nuova occupazione militare dell’Est della RDCongo, come preludio ad una sempre più probabile balcanizzazione (suddivisione) del Paese, mediante l’indizione di un referendum cosiddetto di “autodeterminazione” di un popolo non più congolese, ma diventato sempre più eterogeneo. Ciò porterebbe alla nascita di un nuovo Stato o di nuovi Stati posti sotto l’influenza di Ruanda e Uganda a scapito delle popolazioni congolesi.
Tale suddivisione del Paese sarebbe voluta dalle grandi potenze occidentali e dalle multinazionali per poter meglio usufruire delle ingenti risorse naturali della RDCongo (cassiterite, coltan, oro, diamanti , rame, petrolio, legname, ecc.).
Varie potrebbero essere le proposte per evitare tali rischi, fra cui:
– Un serio controllo delle identità delle persone che varcano le frontiere
– L’implicazione del Commissariato dell’Onu per i rifugiati e delle Commissioni congolesi per i rifugiati, a livello sia nazionale che provinciale, nella programmazione dei rimpatri dei rifugiati, evitando le ondate spontanee e la conseguente confusione
– L’implicazione dei capi tradizionali nella verifica dell’identità di coloro che si presentano come rifugiati congolesi di ritorno in RDCongo
– Il dialogo, la concertazione e la diplomazia, come cammini pacifici per superare conflitti e crisi.
– La riforma e la professionalizzazione dei servizi di sicurezza congolesi (esercito e polizia), per garantire la sicurezza delle persone, l’integralità nazionale e la difesa della sovranità nazionale.
– In caso di estrema necessità e come estremo rimedio, si potrebbe fare ricorso non a truppe di eserciti già implicati in anteriori invasioni sul territorio congolese e già responsabili di gravi crimini di guerra, di crimini contro l’umanità e, addirittura, di possibili crimini di genocidio commessi sul suolo congolese pochi anni fa, ma a truppe neutrali dell’Unione Africana o delle Nazioni Unite.
KIVU
Assenza di trasparenza nelle operazioni di ritorno dei rifugiati
L’assenza di trasparenza e la non implicazione delle entità locali nelle operazioni di installazione dei rifugiati che ritornano dal Ruanda sono alla base di un generalizzato clima di sospetto, a tal punto che, spesso, si identificano le popolazioni congolesi (hutu o tutsi) ruandofone come dei Ruandesi e si parla, allora, di un’infiltrazione ruandese nel Nord-Kivu. Il sospetto è tanto più giustificato, quando si constata che, tra i ritornati, ci sono spesso anche degli infiltrati ruandesi.
Il 15 febbraio, la comunità Nande si è detta preoccupata per i movimenti di installazione di popolazioni ruandofone dette “Hutu-Nande e Tutsi-Hunde” nel Gran Nord della provincia del Nord-Kivu. Infatti, dal 19 Gennaio 2011, oltre 37 famiglie composte in media da 8 persone, sono state installate in numerose località e agglomerazioni del Gran-nord (Busekera, Miriki, Rusamambu, Bukomerwa, Buleusa, Kanune, Busalingwa, Luofu…).
Ciò che sembra inquietante per la comunità Nande, è che tra i ritornati ci sono anche alcuni ufficiali influenti delle FDLR, fra cui RUTWE MBARAGA BAGARE e BASABOSE, conosciuti per le loro molteplici estorsioni, compiute nei confronti delle popolazioni di queste zone tra il 2004 e il 2007.
Considerando che, nella Zona di Beni-Lubero, il ritorno e l’installazione dei rifugiati detti “Hutu-Nande, Tutsi-Hunde” si svolgono in modo anarchico, la Comunità Nande chiede l’implicazione personale della Coordinazione Provinciale e Nazionale della Commissione Nazionale per i Rifugiati (CNR), del Governatore di Provincia, del Capo dello Stato, del Responsabile del HCR e del Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’O.N.U. in R.D.Congo, soprattutto per formalizzare l’identificazione dei ritornati, già nei campi di accoglienza, prima della loro eventuale installazione in altri villaggi e ciò per evitare ogni sospetto sulla vera identità di coloro che ritornano (con il rischio di avere un’incidenza sul processo elettorale in corso) e favorire la trasparenza nell’operazione del loro ritorno in RDCongo.
Il 19 febbraio, la questione dell’arrivo nel Sud del Territorio di Lubero di persone che si presentano come “HUTU-NANDE”, è stata trattata in un incontro, a Butembo, tra la Comunità Nande e il Governatore del Nord-Kivu, Julien Paluku.
Abbordando la questione dei sedicenti “HUTU-NANDE”, il governatore ha ricordato che questi ultimi erano andati a Goma per sollecitare una scorta e un lasciapassare per il Sud del Territorio di Lubero. A tale richiesta, il governatore aveva risposto che non c’erano ancora le condizioni sufficienti, mancando la consultazione dei capi tradizionali del sud di Lubero. Secondo il governatore stesso, l’arrivo degli “Hutu-Nande” nel Sud di Lubero si è realizzato a sua insaputa. Questi Hutu-Nande sarebbero partiti da Masisi per arrivare nel Sud di Lubero. Di fronte a questa situazione, il governatore ha spiegato che, già il 2 febbraio, aveva scritto una lettera al Presidente dell’Assemblea Provinciale, chiedendo ai Deputati di costituire una commissione di inchiesta sull’arrivo nel Sud-Lubero di persone che si dicono “Hutu-Nande”.
Secondo varie testimonianze, numerosi gruppi di persone, militari e civili, provenienti dal Ruanda continuano a varcare la frontiera per dirigersi verso Masisi (Nord Kivu), interamente sotto controllo del CNDP. Secondo tali testimonianze, la maggior parte di essi non sono dei rifugiati congolesi che rientrano, ma dei falsi rifugiati, dei ruandesi che vogliono installarsi nel Kivu, per approfittare dell’attività di estrazione del coltan, dell’oro, del petrolio, del gas metano e della cassitérite,
Negli ultimi tempi, a Masisi sono apparse delle nuove tribù, in modo particolare gli Hutu-Nande, i Tutsi-Hunde, gli Hutu-Hunde. Finora sconosciute sul posto, queste nuove tribù si presentano come sfollati invece di rifugiati. Questa strategia mira a nascondere l’origine ruandese degli occupanti.
Questi falsi rifugiati congolesi provenienti dal Ruanda e diventati sfollati del Masisi pretendono stabilirsi in determinate zone di cui affermano essere originari. Esigono un lasciapassare dal governorato del Nord-Kivu. Hanno deciso loro stessi la data della loro partenza, dell’itinerario del loro viaggio, perché hanno tutto a loro disposizione: l’esercito del CNDP per proteggerli, i camion del HCR per trasportarli, case prefabbricate procurate da complici congolesi…
Non si conosce ancora la reazione delle popolazioni locali che hanno già grossi problemi fondiari e che non ricordano di avere vissuto con degli Hutu-Nande, Hutu-Hunde, Tutsi-Hunde, ecc.
Il governo congolese ha la responsabilità di prendere le disposizioni necessarie per evitare un bagno di sangue inutile in una regione già ferita da 16 anni di guerra.
Secondo alcuni osservatori, infatti, il progetto attuale della comunità internazionale, che sostiene la balcanizzazione della RDCongo, è proprio la finalizzazione dell’infiltrazione ruandese. Ciò che conta per coloro che propugnano la balkanizzazione, è l’infiltrazione ruandese nelle province dell’est della RDCongo, per preparare la base dell’autonomia di questa parte del paese, seguendo gli esempi del Kosovo e del Sud-Sudan.
La triste constatazione è che i villaggi che sono stati incendiati nei mesi scorsi corrispondono spesso ai luoghi di accoglienza per i “ritornati” dal Ruanda come decisi dal HCR/PNUD. E’ il caso di Luofu, Alimbongo, Mbughavinywa, Muramba, ecc. Detto in altro modo, gli incendi dei villaggi non erano, o non sono, casuali, ma fanno parte integrante di un piano di occupazione del Nord-Kivu. Tutti i crimini commessi contro le popolazioni congolesi avevano come scopo di farle fuggire dai loro villaggi, per creare dei luoghi di accoglienza per i “ritornati”. Come le popolazioni locali hanno opposto resistenza, il rischio di scontro tra autoctoni e “ritornati” è grande.
Nel mese di gennaio, tre contingenti ruandesi sono arrivati a Luofu, nella zona dei Bamate, Territorio di Lubero (Nord Kivu). Nella località di Luofu, sono arrivate, in totale, oltre 200 persone ruandesi. Ufficialmente, provengono da Masisi. Ma i più giovani di loro, che hanno fatto un primo passo verso i giovani di Luofu, hanno detto che provengono dal Ruanda: alcuni sarebbero venuti direttamente dal Ruanda, altri dal Ruanda via Masisi, fino a Luofu, senza l’implicazione del Governo provinciale del Nord Kivu. Quando il HCR/PNUD ha chiesto la collaborazione degli abitanti di Luofu per identificare i nuovi arrivati, presentati come rifugiati rientrati dal Ruanda, ha trovato solamente due famiglie che, nel passato, avevano acquistato alcune terre dai capi tradizionali locali. All’epoca della guerra detta Magrivi (anni 1990) e prima di partire per il Ruanda, queste due famiglie vassalle (vasoki in Kinande), avevano venduto le loro terre. Secondo il diritto tradizionale, queste due famiglie avevano, dunque, perso i loro diritti di uso di quelle terre poiché, presso i Nande, la proprietà della terra è una proprietà di tipo tradizionale.
Tra i ritornati, ci sono anche due ufficiali FDLR, Rutwe Bagare e Sebasore, che funestavano il Sud di Lubero, particolarmente le località di Busereka, Rusamambu, Miriki, Bukomerwa verso gli anni 2004-2007.
L’arrivo dei primi contingenti ruandesii dimostra che le FDLR, sospettate di essere gli autori degli incendi delle case, in realtà, fanno parte del piano di occupazione. La scoperta degli ufficiali FDLR nei primi contingenti di Luofu fa dire agli autoctoni che i famosi attacchi alle FDLR, presentati come oggetto delle operazioni militari dette congiunte, erano solamente un pretesto. Gli autoctoni distinguevano già tra false FDLR e vere FDLR.
Inoltre, in questi ultimi mesi, nel Nord-Kivu si assiste anche a una permutazione delle truppe provenienti dal CNDP, un’operazione che potrebbe favorire l’iniezione di altre truppe provenienti dal Ruanda nelle Fardc. È il caso di Mubambiro/Sake e di Rughenda/Butembo.
Se così è la situazione, le operazioni in corso potrebbero essere semplicemente un’occupazione armata o un tentativo di realizzazione di una colonia di popolamento ruandofono, per facilitare la balcanizzazione del Paese.
Da un certo tempo, degli infiltrati ruandesi sono arrivati anche a Butembo. Alcuni di loro hanno preso possesso di case che certi loro collaboratori congolesi acquistavano a proprio nome per nascondere i nomi dei veri acquirenti. Fonti prossime a dei militari riportano che la maggior parte di loro sono degli ex-militari del CNDP o dei combattenti delle FDLR.
Ciò che la comunità internazionale chiama esercito congolese, in realtà è l’esercito del CNDP che ha sempre rifiutato di lasciare l’est del Congo e quelli che ieri erano presentati come membri delle FDLR appaiono oggi tra quelli che la stessa comunità internazionale chiama “i ritornati”. Le FDLR che, mediante l’operazione militare AMANI Léo, si pretende neutralizzare, non sono in foresta, ma nei villaggi e città. Sono diventati Fardc, profughi ritornati, DEMIAP, ANR, Polizia Nazionale, ecc.
Vari di questi infiltrati ruandesi nella città di Butembo si lasciano riconoscere perché seducono le ragazze disoccupate mediante biglietti verdi. Secondo certe indiscrezioni, il loro progetto è di prendere in matrimonio le ragazze di Beni – Lubero, fare dei figli con esse, per creare un ponte tra i due popoli. Secondo le stesse indiscrezioni, sarebbe stato promesso un premio ad ogni Ruandese infiltrato che presenti la propria moglie originaria di Beni – Lubero ai cervelli motore del progetto.
Ad altri infiltrati sarebbe stato assegnato il compito di continuare a fomentare la violenza, per rompere la resistenza dei Nande al diktat ruandese. Questi ultimi uccidono, rubano, attaccano i veicoli, ecc. Li si vede prendere della legna da ardere senza chiedere alcun permesso, rubano le galline o le capre dei loro vicini, si collegano alla corrente elettrica del quartiere senza alcun permesso, ecc. Le autorità amministrative locali non hanno nessun potere su di loro.
Il popolo congolese, che ormai è a conoscenza della situazione, deve evitare di lasciarsi ingannare e deve prendere la decisione di garantirsi la propria sicurezza.
Dal mese di febbraio, anche nel territorio di Rutshuru (Nord-Kivu), si è osservato il ritorno di circa 400 famiglie provenienti dall’Uganda. Il fatto più sconcertante è che questi ritornati non hanno seguito la via ufficiale. L’amministratore del territorio di Rutshuru se ne è detto preoccupato e ha denunciato apertamente delle irregolarità inerenti a tali ritorni: coloro che ritornano “sono privi di titoli che attestino il loro statuto di rifugiati o la loro nazionalità e il loro ritorno per ondate non controllate può avere delle incidenze sulla sicurezza del territorio”. Il sistema, certamente ancora rudimentale, di identificazione dei rifugiati adottato a livello locale per assicurare un minimo controllo dei flussi della popolazione è stato raggirato. Inoltre, il HCR afferma di non essere implicato in queste operazioni di rimpatrio. Questi ritorni per ondate non programmate potranno, senza alcun dubbio, essere alla base di nuovi conflitti fondiari. Intervistato da Radio Okapi, un deputato nazionale del Nord-Kivu, che ha richiesto l’anonimato, si è espresso in questi termini: “La constatazione di un ritorno massiccio di rifugiati congolesi provenienti dall’Uganda e senza carte di identità, avviene circa tre mesi dopo quello di altri rifugiati congolesi provenienti dal Ruanda e anch’essi senza documenti. In quell’occasione, il HCR aveva indicato di non avere constatato alcun movimento di partenza dai campi per i rifugiati in Ruanda posti sotto la sua giurisdizione”. In queste continue e successive ondate di ritorno dei rifugiati provenienti dal Ruanda e dall’Uganda, il sopra citato deputato del Nord-Kivu intravede una manovra per creare la confusione sul territorio congolese, proprio all’avvicinarsi dello scrutino presidenziale previsto per fine 2011. Nello stesso ordine di idee, altri vi vedono l’ombra della balcanizzazione del Paese.
Membri dell’esercito implicati in atti di violenza
Per gli osservatori attenti, l’insicurezza mantenuta nella provincia del Nord-Kivu da militari delle FARDC provenienti dal CNDP è un preludio all’occupazione ruandese della regione. Infatti, mentre i massacri dei Congolesi si moltiplicano, i Ruandesi continuano ad infiltrarsi nella regione, particolarmente nelle zone minerarie. Appare così che l’obiettivo dell’insicurezza è quello di vincere la resistenza del popolo congolese contro l’occupazione ruandese.
Viene così confermata la tesi secondo cui l’insicurezza nella città di Butembo è provocata proprio da militari che dovrebbero assicurare la pace. Invece di attaccare il male alla radice, il governo di Kinshasa, la CEPGL e la Monusco cercano di “neutralizzare” degli ipotetici gruppi ribelli stranieri rifugiatisi nelle foreste. In realtà, i malviventi sono dei militari e agenti di polizia inviati per delle operazioni dette di pace. Riportiamo solo alcuni esempi.
Il 7 febbraio, il presidente della società civile locale di Oïcha, capoluogo del territorio di Beni (Nord-Kivu), ha dichiarato che dei militari incontrollati delle FARDC sarebbero implicati, in questi ultimi tempi, in atti di estorsione, furti e banditismo, perpetrati contro la popolazione civile.
Stanchi di essere uccisi nelle loro case o nei loro cortili (“lopango”), visto che gli assassini, spesso militari delle Fardc, operano soprattutto durante la notte, la società civile di Oïcha, in Territorio di Beni (Nord Kivu), ha deciso di organizzare, invece delle operazioni città morta durante la giornata, delle operazioni “notti in bianco per tutti”, per assicurare la sicurezza di tutti i cittadini.
La speranza di tutti gli abitanti di Oïcha è che da queste nottate collettive nasca una vera solidarietà nell’azione contro un regime che ha fatto dell’insicurezza il suo stile di governo.
La popolazione di Oïcha chiede la partenza delle FARDC che uccidono, rubano, violentano i pacifici cittadini e ingannano l’opinione esterna addossando i loro crimini ai ribelli ugandesi ADF/NALU e ruandesi FDLR.
Nella notte dal 16 al 17 febbraio, il Quartiere Kihinga (città di Butembo – Nord Kivu) è stato assaltato da banditi che non erano né FDLR, né ADF-NALU, né LRA, né Mai Mai, ma dei militari delle Fardc. Erano più di una decina. Solamente quattro sono stati arrestati dai militari Fardc recentemente arrivati all’aeroporto di Rughenda/Butembo. I malviventi avevano sparato colpi d’arma in casa di una ragazza di 16 anni che si dibatteva mentre volevano violarla in presenza dei suoi genitori. Un’altra ragazza di 15 anni è stata sequestrata e risulta finora scomparsa. Secondo i militari di Rughenda, i banditi arrestati appartengono al battaglione del Comandante DONAT MANDONGA, recentemente trasferito da Butembo a Rutshuru. Gli assassini sarebbero rimasti nella città di Butembo per continuare a rifornire il loro comandante. Essi dovevano versare ogni giorno una certa somma di denaro e di beni in natura, secondo le richieste del loro padrone, ad un indirizzo di Butembo, altrimenti sarebbero stati sostituiti da altri più abili.
Il 19 febbraio, il pubblico ministero della corte militare di Bukavu (Sud Kivu), spostatosi a Baraka, ha richiesto la pena di morte contro un tenente-colonnello, tre maggiori e un sottotenente, per “crimini contro l’umanità, stupro, altre forme di atti disumani e terrorismo.”
Il PM ha richiesto anche 20 anni di prigione per cinque caporali, qualificati di “delinquenti primari” senza alcun livello di istruzione e chiesto alla corte di trasferire l’undicesimo prevenuto, minorenne di età, davanti ad un giudice dei minori.
I militari sono giudicati dal 10 febbraio per gli stupri di una sessantina di donne, violenze e saccheggi commessi nella località di Fizi, nella notte dal 1° al 2 gennaio.
Durante il processo, alcuni imputati hanno affermato di avere ricevuto degli ordini dal loro superiore e principale imputato, il tenente-colonnello Daniel Kibibi Mutware, per commettere gli stupri, ma quest’ultimo ha smentito e ha affermato di essere stato oltrepassato dai suoi uomini.
Gli imputati avrebbero partecipato ad una spedizione punitiva contro la popolazione dopo la morte di un militare che aveva ferito un abitante in seguito ad un alterco. Gli abitanti avevano lapidato il militare sospettato ed erano poi andati a prenderlo all’ospedale, dove era curato, per ucciderlo.
L’imputato tenente-colonnello è un ex-ufficiale della ribellione del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) e gli altri degli ex-miliziani dei Patrioti Resistenti Congolesi (Pareco), integrati nell’esercito congolese all’inizio del 2009, in seguito ad un accordo di pace con Kinshasa.
Il 18 marzo, verso le ore 21 locali, un uomo è stato ucciso e un altro gravemente ferito durante un’incursione di uomini armati e in tenuta militare nel quartiere Buzito della città di Kiwanja, a 70 chilometri a nord di Goma nel territorio di Rutshuru. Secondo gli abitanti di questo quartiere, gli assalitori hanno saccheggiato varie case, rubando galline, capre, telefoni portabili, denaro e altri beni di valore. Per gli abitanti del quartiere, gli autori dell’attacco sarebbero dei membri delle FARDC, ma le autorità amministrative locali accusano i ribelli delle FDLR, protetti dalla popolazione locale.
LA CREAZIONE DI UNA FORZA MILITARE REGIONALE COMPOSTA DA RDCONGO, RUANDA E BURUNDI
Il 9 marzo, si è tenuta a Kigali la conferenza dei Presidenti dei Parlamenti della Comunità Economica dei Paesi dei Grandi Laghi (CEPGL). E’ stato adottato un testo per la creazione di una forza militare regionale composta da RDCongo, Ruanda e Burundi.
Nessuno è superfluo ricordare che questi due paesi limitrofi e l’Uganda hanno partecipato al saccheggio delle risorse del suolo e sottosuolo della RDCongo. I loro eserciti hanno commesso, su suolo congolese, dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e altri crimini che potrebbero essere qualificati di genocidio e ciò con la complicità di certi Congolesi approfittatori. Il rapporto Mapping, pubblicato nel mese di ottobre 2010, lo conferma.
La creazione di una forza militare regionale della RDCongo, Ruanda e Burundi potrebbe rivelarsi come un’ufficializzazione dell’infiltrazione dei militari smobilitati di questi due paesi limitrofi in RDCongo. La creazione di una forza militare regionale ubbidisce alla logica del mantenimento dell’equilibrio e della stabilità regionale. E affinché questo equilibrio sia stabile, occorre un esercito e un corpo di polizia forti, ben formati e ben equipaggiati. Secondo alcune dichiarazioni delle grandi potenze, è l’esercito ruandese, a dominanza tutsi, che sarebbe capace di assicurare tale stabilità, cioè quell’esercito il cui capo e vari suoi membri sono implicati nei crimini commessi in RDCongo dal 1996 e denunciati nell’ultimo rapporto del HCDH del mese di ottobre 2010. Logicamente, sarebbe stato più opportuno che il parlamento congolese si fosse concentrato su questo rapporto e avesse esigito l’istituzione di tribunali misti per poter giudicare tutti questi crimini commessi in territorio congolese sin dai tempi della “guerra di aggressione del 1996”. Purtroppo, tra i parlamentari congolesi ce ne sono anche alcuni implicati in suddetti crimini. Hanno dunque tutto l’interesse a sostenere un ordine politico fondato sulla mancanza di giustizia e sull’impunità. Le piccole operazioni selettive, denominate “tolleranza zero”, sono come polvere gettata sugli occhi del popolo congolese. Una vera operazione “tolleranza zero” romperebbe l’ordine politico attuale fondato sull’impunità dei criminali di guerra, dei criminali contro l’umanità e i altri criminali economici. La creazione di una forza militare regionale si inserisce in questo contesto di protezione reciproca orchestrata dagli stessi responsabili e autori dei vari crimini.
A questa conferenza, organizzata per iniziativa del Parlamento belga, hanno partecipato anche il presidente della Camera del Belgio, André Flahaut, e il vicepresidente del Senato belga, Willy Demeyer.
In una lettera aperta inviata a questi due politici, il colonnello Luc Marchal, già collaboratore del generale Roméo Dallaire, comandante dei Caschi Blu in Ruanda in seno alla MINUAR, ha fermamente criticato la loro partecipazione alla conferenza di Kigali.
In questo scritto, il colonnello Luc Marchal si chiede com’è possibile che “dei responsabili politici, che esercitano importanti funzioni al vertice di strutture democratiche del nostro paese e che hanno, precisamente, il compito di incitare al rispetto della democrazia e di promuoverne nel mondo gli ideali, si compromettano accettando una dittatura pura e dura (NDLR: il Ruanda) il cui capo è accusato, in un recente rapporto dell’ONU, di essere responsabile della morte di vari milioni di persone”.
Secondo il colonnello Luc Marchal, “fare credere che questo embrione di esercito comune sia un pegno di stabilità in questa zona martirio dell’Africa, è un imbroglio iniquo.”
Infatti, il comando delle forze di difesa ruandesi è composto da oltre il 90% di Tutsi e la situazione è simile per l’esercito burundese. In quanto alle forze armate congolesi (FARDC), è evidente che saranno le ex milizie sponsorizzate dal Ruanda (recentemente integrate nelle FARDC, ma ancora forze di occupazione di questa vasta regione) che saranno versate in questa pseudo forza “comunitaria”. Il colonnello è del parere che questa forza militare, “in realtà, non avrà altra preoccupazione che proseguire l’opera di annessione della parte orientale del Congo” al Ruanda e “di partecipare alla balcanizzazione dell’intera RDCongo”.
Secondo alcuni osservatori, in seguito alla debolezza delle FARDC, l’esercito della CEPGL, comandato da capi militari ruandesi, potrà intervenire in RDCongo e rinforzare, così, la legittimità politica della presenza di soldati ruandesi sul suolo congolese. Lo scopo della creazione di un esercito comune della CEPGL è quello di dissimulare la presenza dell’esercito di occupazione rwando-burundo-ugandese che funesta, ancora attualmente, l’Est della RDCongo con il pretesto di lottare contro le FDLR, LRA, ADF-NALU, ecc.
La volontà di creare un esercito della CEPGL è teleguidata dal Ruanda e l’Uganda, con lo scopo di controllare l’est del Congo e impossessarsi più facilmente delle risorse naturali di questa regione. Questa creazione lascia intravedere la reale volontà dei suoi iniziatori: costringere i congolesi ad accettare la presenza dei Ruandesi nel grande Kivu e prepararli ad accettare, in futuro, la divisione del paese, particolarmente mediante una secessione dell’est o un referendum di autodeterminazione. La costruzione della Repubblica dei Vulcani è in corso.
Il Congo è il paese più ricco dell’Africa centrale. L’est del paese, in particolare, è l’oggetto delle brame di tutte le potenze del mondo a causa delle sue enormi opportunità economiche e della presenza di minerali strategici, come il colombotantalite (coltan), la cassitérite, l’oro, ecc.
Dagli anni 1980, gli anglosassoni (Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada) stanno lavorando clandestinamente per una nuova suddivisione delle zone di influenza sul continente africano, per mettere definitivamente la mano sulla RDCongo. La conquista della regione dei Grandi Laghi, in cui si trovano delle risorse naturali strategiche, doveva passare inevitabilmente attraverso l’esclusione della Francia. Davanti all’impossibilità di affrontare quest’ultima in modo aperto e diretto, per preservare i loro interessi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno associato dei loro alleati, Museveni e Kagame, nella conquista delle risorse naturali dell’est del Congo. È questa motivazione che spiega quelle guerre segrete che si stanno combattendo in questa zona, dalla caduta del muro di Berlino che segnò la fine del comunismo. La modificazione della carta geografica dell’Africa centrale, disegnata all’epoca della conferenza di Berlino nel 1885, serve a proteggere gli interessi strategici degli anglosassoni e a facilitare il loro accesso a quei minerali di cui hanno grandemente bisogno. Dopo avere sostenuto il maresciallo Mobutu durante la guerra fredda, per lottare contro l’espansione del comunismo in Africa, gli anglosassoni hanno stabilito una stretta relazione dapprima col presidente Museveni e poi col presidente Paul Kagame. Questi ultimi sono localmente appoggiati da alcuni negri di servizio, totalmente dediti alla loro causa. Nella costruzione di questa Storia africana, i Capi di Stato e i leader africani non svolgono che un ruolo passivo.
LE POSSIBILI CONSEGUENZE DEL REFERENDUM SUD SUDANESE SULL’EST DELLA RDCONGO
I risultati del referendum popolare in Sud Sudan, svoltosi dal 9 al 15 gennaio 2011, potrebbero avere delle conseguenze sull’est della RDCongo.
Più del 98% dei Sud-Sudanesi si sono pronunciati a favore della loro indipendenza. Parlando chiaro, il Sudan è stato scisso in due: il Nord, essenzialmente musulmano e arabo, e il Sud, cristiano e nero. Il Sud Sudan possiede inoltre una quantità inesauribile di petrolio e suscita gli interessi degli Oil men. La divisione del Sudan potrebbe avere degli effetti di contagio sulla RDCongo.
Per due ragioni: per le sue dimensioni di sotto continente che, secondo alcuni, la rendono ingovernabile e per le sue potenzialità naturali, oggetto degli interessi delle multinazionali.
La RDCongo è uno Stato fragile e reso ancor più fragile da numerosi gruppi ribelli armati e da una strumentalizzazione in funzione degli interessi delle grandi potenze.
Il Ruanda persegue instancabilmente, mediante la presenza di popolazioni banyarwanda, il suo tentativo di porre il Kivu sotto la sua tutela. L’Uganda si concentra sulla regione della frontiera settentrionale, col primo tentativo, nel 2000, della creazione della provincia autonoma dell’Ituri.
E’ sufficiente attivare la dimensione politica, perché quella armata esiste già. La possibile futura divisione della RDCongo si fonda anche sul falso clivaggio est-ovest, come successo recentemente durante le elezioni del 2006.
Inoltre, il Congo è in preda ad una destabilizzazione permanente da parte di milizie e movimenti armati che nascono, spariscono e rinascono cambiando denominazione.
Culturalmente, i popoli che vivono a ridosso delle frontiere sono spesso fratelli.
Un’analisi pessimista vorrebbe tirare il campanello d’allarme su un’eventuale divisione della RDCongo. Le regioni dell’est, ricche in materie prime, sono in permanente pericolo a causa delle brame delle grandi potenze. Nel peggiore dei casi, il Nord-est potrebbe essere diviso nel seguente modo:
1. Gli Uélé (Basso e Alto, ma soprattutto l’Alto Uélé) alla frontiera naturale col Sud-Sudan. La storia ricorda che esistono dei territori ceduti da una parte e dall’altra e alcuni altri presi in compenso. L’Alto Uélé, con il parco del Garamba, dispone di strade che collegavano Paulis (Isiro) – Dungu – Faradje – Abayei fino a Juba (capitale del nuovo Sud Sudan) con un commercio fiorente.
2. L’Ituri e il Grande Nord (Beni – Lubero) del Nord-Kivu, dipendono economicamente dall’Uganda. Gli operatori economici e certi leader etnico-religiosi e politici di questa regione sono molto sottomessi al potere di Kampala. Le milizie armate sono reclutate tra le popolazioni di confine. È anche la regione più insicura del Congo.
3. Il Kivu (Goma e il Sud-Kivu) potrebbe essere costretto a vivere sotto tutela del Ruanda. Attualmente, nei due Kivu manca una vera leadership. È qui che, da decenni, circolano nomi di repubbliche fantasma.
Il caso del Sudan potrebbe costituire un precedente per regioni fragili e, da molto tempo, oggetto delle brame di multinazionali anglosassoni.
Domani, l’Africa potrebbe dire addio all’intangibilità delle frontiere ereditate dalla colonizzazione. La RDCongo sembra esserne il nuovo bersaglio. Il pericolo è reale, soprattutto quando varie potenze occidentali si sono apertamente dichiarate a favore dell’apertura della RDCongo ad una “necessaria divisione delle sue ricchezze naturali” con i popoli vicini.
L’insicurezza come mezzo per dividere il Paese
Non passa un giorno, senza che non si registrino atti di insicurezza provocati da elementi incontrollati delle Fardc, da miliziani o dalle forze negative che operano nell’est della RDCongo.
Dopo gli eserciti regolari degli Stati limitrofi alla RDCongo, il relè degli atti di saccheggio è passato tra le mani di gruppi difficilmente identificabili. Si tratta di nebulose che permettono ai loro membri non solo di accumulare ingenti proventi finanziari attraverso lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie, ma anche di assicurarsi il controllo effettivo di questa parte del territorio nazionale.
Gli Stati limitrofi, che ne sono i più grandi beneficiari, sono diventati i principali sostenitori di questi gruppi armati attivi che agiscono nello sfruttamento illegale delle risorse naturali.
Le statistiche indicano che paesi come il Ruanda, l’Uganda e il Burundi sono diventati dei paesi che possono esportare dei prodotti non estratti dal loro sottosuolo. Attraverso il contrabbando, grandi quantità di minerali congolesi attraversano illegalmente le frontiere per essere esportate ufficialmente da tali paesi.
Sono le multinazionali occidentali che finanziano le reti mafiose attive nell’intera sotto regione. Principali beneficiari di questo commercio illegale, queste ultime subappaltano il mantenimento dell’insicurezza a delle persone e gruppi autoctoni, dai militari ai miliziani fino ai civili, purché procurino grandi quantità di minerali pagati con milioni di dollari americani.
Invece di una guerra aperta e classica tra eserciti, le reti mafiose hanno cambiato strategia. Nonostante ciò, il risultato resta lo stesso: la spartizione di fatto del paese. Il legame economico delle province del Kivu coi paesi vicini dell’est lascia presagire ciò che sarà la futura configurazione del paese. I potenti del pianeta, sostenitori della divisione della RDCongo rispetto alle sue dimensioni attuali, vorrebbero costringere le popolazioni di queste province a sentirsi lontane dal resto del paese e, addirittura, abbandonate dalla capitale.
È ciò che alcuni osservatori chiamano la politica del consumo che è stata adottata come strategia dal 1996 in poi e realizzata in varie tappe: la guerra classica, la lotta per il controllo dei giacimenti minerarie, infine, la caccia alle forze negative senza riuscire a neutralizzarle. La psicosi dell’insicurezza fa che le popolazioni congolesi fuggano dai loro villaggi e campi, esposte alle intemperie e con il pericolo di morire di fame e di malattie.
L’obiettivo principale di questa operazione consiste nel portare i congolesi dell’est a stancarsi di appartenere ad uno Stato incapace di assicurar la loro sicurezza. In fine, si presenterebbe una proposta del tipo applicato in Sud-Sudan (la creazione di un nuovo stato indipendente) come una panacea per risolvere questo clima di insicurezza crescente e permanente.
La comunità internazionale, che non ha finora saputo reagire in modo appropriato, si vedrà posta davanti ad un fatto compiuto. A quel punto, essa non esiterà ad approvare una soluzione umanamente e politicamente accettabile, almeno in apparenza. Sarà la conclusione di un piano pensato e programmato da lungo tempo.
Massacri quotidiani, spostamenti di popolazioni sfollate, stupri, sequestri, saccheggi, traffici di ogni genere, corruzione, impunità delle forze armate e di altre autorità: i congolesi del Nord e del Sud-Kivu non ne possono più. E’ per questo che chiedono un cambio delle autorità ai vertici dello stato.
In questa situazione, i congolesi del Kivu hanno oggi l’impressione che la RDCongo non è più governata. La violenza ha raggiunto un livello inammissibile.
Più grave ancora, le autorità locali non reagiscono. Perché? Sarebbe loro vietato di parlare dell’insicurezza in cui si vive nell’est della RDCongo. Parola di deputato. Da chi proviene tale divieto? Dal regime di Kinshasa, rispondono in privato. E’ scandaloso. La parola d’ordine di Kinshasa sarebbe dunque “silenzio: si uccide, si occupa e si saccheggia il Kivu”. Di fronte a questa situazione, la popolazione è obbligata a farsi carico della propria sicurezza. E’ questo il clima che favorisce il sorgere delle milizie armate che giustificano la loro azione come legittima difesa contro coloro che dovrebbero proteggere i cittadini e i loro beni. Quando non c’è stato, la comunità locale resta l’unica base di sicurezza.
Le ragioni dell’insicurezza.
Non si lo dirà mai abbastanza. La situazione all’est della R.D.Congo trova la sua origine soprattutto nella debolezza dello stato congolese e delle autorità che lo dirigono. Conviene sottolineare il fatto che tutte le autorità della RDCongo, cominciando dal Capo stesso dello Stato, devono il loro potere ai dirigenti degli Stati vicini. Particolarmente il Ruanda e l’Uganda, i cui ufficiali in missione in RDCongo, godono di un’impunità ripugnante. Secondo le vittime e altri testimoni locali, se una simile situazione continua in questa parte della Repubblica, è perché è opera di suppletivi dell’esercito ruandese che si nascondono sotto la denominazione del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo), una creazione di Kagame, guidata fino a qualche anno fa da Laurent Nkundabatware. All’estremo nord della RDCongo (in Ituri), i generali ugandesi continuano a regnare come padroni del territorio, dedicandosi allo sfruttamento del petrolio e di altri minerali, purtroppo con la complicità di alcuni congolesi.
Ciò che non si dice ad alta voce, è che questa situazione si giustifica per il fatto che c’è una fattura da pagare ai signori della guerra che governano a Kampala e a Kigali. Daterebbe del tempo della guerra del 1996-1997. Fattura non valutata, ma che si fonderebbe su degli accordi il cui contenuto è conosciuto solo da Joseph Kabila e dal Generale John Numbi. Le negoziazioni si sarebbero concluse a Goma (marzo 2009) a scapito delle popolazioni del Kivu.
Responsabilità condivise.
La responsabilità ricade certo su Joseph Kabila e sul Governo. Ma anche sui leader politici del Kivu, la maggior parte dei quali non cessa di adulare Kabila che ottiene il loro silenzio in cambio di un pugno di dollari. Le prossime elezioni potranno essere l’occasione per cambiare.
Per chi e per quale progetto di società occorrerà votare?
I congolesi hanno bisogno di risposte concrete alle loro aspirazioni. Particolarmente: la restaurazione dell’autorità dello stato e la formazione di un esercito e di un corpo di polizia veramente nazionali. Disciplinati, meglio formati e sufficientemente rimunerati. Capaci di difendere l’integrità e la sicurezza del territorio. Per assicurare una pace duratura. In secondo luogo, occorrerà instaurare un dialogo sincero con i paesi limitrofi. Questa relazione dovrà essere fondata sull’uguaglianza e sulla cooperazione e non sulla subordinazione o, addirittura, sulla sottomissione. Inoltre, il buono governo dovrà garantire l’equa ridistribuzione dei redditi. Dovrà manifestarsi nel pagamento regolare dei salari, per rilanciare il consumo e rendere possibile il prelevamento di tasse a favore del bilancio dello Stato. Tutto ciò non sarà possibile che mediante una funzione pubblica efficace. Senza dimenticare i settori prioritari: la sanità, l’energia, i trasporti, la giustizia, l’educazione e soprattutto la formazione professionale. Per la sua ricostruzione, la RDCongo ha bisogno di una mano d’opera qualificata. Ora, in RDCongo, ci sono più università che scuole di formazione professionale. Tutti questi programmi richiedono importanti investimenti. Come finanziare tutti gli elementi di questo progetto? Bisognerà riabilitare il sistema fiscale, anche solo simbolico per più poveri, perché costituisce la prima ricchezza di uno Stato. Per evitare le ormai consuetudinarie malversazioni di denaro pubblico, il pagamento di tutte le tasse potrà essere effettuato agli sportelli delle banche abilitate.
Complicità straniere
Secondo il sito Internet di Wilikeaks, il generale Olusegun Obsanjo, ex presidente della Nigeria, si è detto convinto che il presidente ruandese Paul Kagame sarebbe l’uomo indicato per dirigere la Repubblica Democratica del Congo.
E’ una dichiarazione che stupisce, soprattutto se espressa da una personalità che fu mediatore nella crisi politico-militare tra il governo congolese e l’ex-movimento ribelle, il CNDP.
“L’idea di Obasanjo ricorda ai congolesi quella di varie potenze occidentali, secondo cui la RDCongo non potrà ritrovare una pace duratura, una stabilità politica e una crescita economica se non verrà suddivisa in molteplici piccole “repubblichette”. Ciò fa ricordare l’idea sostenuta, a suo tempo, da Pasteur Bizimungu, ex presidente ruandese, che proponeva la revisione delle frontiere ereditate della colonizzazione. I congolesi possono chiedersi, allora, se l’insicurezza, vissuta soprattutto all’Est, non sia legata ad un piano di balcanizzazione del Paese o di una creazione di un nuovo stato sotto tutela ruandese.