Congo Attualità n. 393

RIVELAZIONI SCIOCCANTI SULL’IDENTITÀ DEI RESPONSABILI
DEI MASSACRI DI BENI (NORD KIVU)

INDICE:

1. CONFUSIONE TOTALE SUI MANDANTI E GLI ESECUTORI DEI MASSACRI
a. Delle ADF di origine ugandese ma parzialmente congolizzate
b. Allerta: rischio imminente di una balcanizzazione dell’Est della RD Congo
c. La verità sulla situazione di Beni
d. Dei politici, degli uomini d’affari e dei giovani membri di movimenti civici tra i mandanti dei massacri
2. BENI CONTINUA A PIANGERE ALTRI MORTI
a. Nuovi massacri
b. Le operazioni militari in corso
c. Reazioni e dichiarazioni
3. PROLUNGATO DI UN ANNO IL MANDATO DELLA MONUSCO

1. CONFUSIONE TOTALE SUI MANDANTI E GLI ESECUTORI DEI MASSACRI

a. Delle ADF di origine ugandese ma parzialmente congolizzate

In un’intervista, Christoph Vogel, ricercatore presso l’Università di Gand, ha analizzato i fallimenti dell’esercito congolese e l’impotenza della Missione delle Nazioni Unite e ha ricordato che, per ricostruire la pace a Beni,  sarà necessaria “una convergenza di interessi da parte di tutti gli attori chiave” della crisi.
Fino all’inizio degli anni 2000, si credeva che le Forze Democratiche Alleate (ADF) potessero ritornare in Uganda per continuare la loro lotta contro il regime ugandese. Ma da più di 10 anni, il loro obiettivo principale sembra essere diventato quello della sopravvivenza del loro movimento sulle montagne del Ruwenzori. In effetti, non esprimono più in modo chiaro ed esplicito rivendicazioni di tipo politico.
Per quanto riguarda la loro identità, spesso si citano alcune categorie: jihadista, salafita, islamista, terrorismo … Ma, in realtà, le ADF sono un gruppo che si ispira a un tipo di Islam praticato in India e in Pakistan, il Tabligh. Risulta però difficile qualificare le ADF come “terroristi jihadisti” perché, per esempio, non fanno proselitismo. Se è vero che i membri delle ADF e le persone da essi sequestrate sono costretti a convertirsi all’Islam, sembra tuttavia che si tratti di una forma di organizzazione interna, per mantenere il gruppo sotto controllo, piuttosto che di un imperativo di conversione di massa all’Islam.
È già da un certo tempo che le ADF si sono parzialmente “congolizzate”. Infatti, il gruppo ha reclutato anche dei Congolesi e alcuni suoi leader hanno origini congolesi. La maggior parte delle ADF è composta da Ugandesi e da Congolesi.
L’esercito congolese non riesce a smantellare questo gruppo armato perché, se si mettono a confronto la zona delle attuali operazioni militari e quella parzialmente controllata dalle ADF, si nota che esse sono situate principalmente sulle montagne della catena del Ruwenzori o nelle foreste della valle del fiume Semuliki. Si tratta di zone a cui è estremamente difficile accedere e che le ADF conoscono molto bene, poiché vi hanno operato negli ultimi 20 anni, collaborando spesso con altri gruppi armati, come il DRC-KML o alcuni gruppi di autodifesa. Mai-Mai. Le ADF sembrano quindi conoscere l’area molto meglio dell’esercito congolese. La geografia gioca a loro favore.
In secondo luogo, il coordinamento locale delle operazioni militari è molto complesso. Le Forze Armate della RD Congo (FARDC) hanno più volte fatto ricorso all’aiuto della Monusco e dell’esercito ugandese. Spesso la collaborazione tra tutti questi attori ha creato molta tensione. La collaborazione FARDC / Monusco ha avuto successi, ma anche molte difficoltà e attriti di tipo politico, soprattutto per quanto riguarda la collaborazione con ufficiali sanzionati dall’ONU, dagli Stati Uniti e dalla Comunità Europea, per gravi violazioni dei diritti umani. Ci sono anche tensioni interne in seno alle FARDC e, in modo particolare, all’interno della catena di comando. Si tratta di un esercito creato attraverso l’integrazione dei molti belligeranti delle guerre passate. Inoltre, ci si rende conto che, per quanto riguarda il personale e le attrezzature, le unità sono raramente al completo e ciò pone significativi problemi di organizzazione militare e logistica. Vi sono anche tensioni molto forti tra le varie comunità locali. Per esempio, la popolazione Nande ha sempre diffidato del potere centrale. Il che significa che l’esercito nazionale non può sempre contare sulla collaborazione della popolazione.
Alcuni generali dell’esercito congolese, come Gabriel Amisi e John Numbi, sono soggetti a sanzioni internazionali per violazioni dei diritti umani. Ciò pone un problema, soprattutto quando è necessario collaborare e progettare operazioni militari congiunte con la Monusco. È quindi estremamente difficile collaborare con l’esercito nazionale, quando a capo di operazioni congiunte si trovano degli ufficiali che hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani. Ciò complica le relazioni tra le FARDC e la Monusco e indebolisce anche la fiducia tra esercito e popolazione.
A Beni, la Monusco sta dimostrando la sua più totale impotenza quando, a differenza del 2013 quando, appoggiando l’esercito congolese, la brigata di rapido intervento delle Nazioni Unite (FIB) aveva sconfitto la ribellione del Movimento del 23 Marzo (M23). Tuttavia, si deve ricordare che quella brigata era stata creata appositamente per la campagna militare contro l’M23, nel contesto di quel tempo. Allora funzionò molto bene, perché c’era una convergenza politica tra tutti gli attori e una buona organizzazione a livello del personale militare. Inoltre, a differenza delle ADF, l’M23 si presentava come una forza militare convenzionale. A Beni, si ha a che fare con un altro tipo di conflitto e la convergenza di interessi e opinioni dei diversi attori sembra molto meno forte.
Occorre poi ricordare che, se le cifre relative alla missione delle Nazioni Unite in Congo sono impressionanti in numeri e costi, è tuttavia inferiore rispetto ad altre, tra cui l’ISAF in Afghanistan.
Il personale della MONUSCO non sembra del tutto sufficiente in confronto alle enormi dimensioni del paese. Infine, manca chiarezza tra i paesi contributori delle truppe. Spesso, un ordine impartito da un comandante della Monusco non viene eseguito correttamente sul posto. A volte, un determinato battaglione deve fare riferimento alle autorità del suo Paese di origine, per avere l’autorizzazione di intervenire. In questo contesto, non sarebbe una sorpresa se una “non-reazione” di un battaglione della Monusco fosse dovuta alla mancanza di autorizzazione da parte di un Paese contributore. Tuttavia, non si può generalizzare e dire, ad esempio, che tutti i soldati di un certo contingente della Monusco siano inefficaci. Sarebbe riduttivo e falso. Alcune unità sono molto impegnate, altre meno.
Infine, per rendere effettiva la pace a Béni, i principali attori implicati devono trovare una convergenza: governo congolese, autorità e politici locali, Paesi della regione dei Grandi Laghi, grandi potenze e Nazioni Unite. Deve esserci una convergenza di interessi. Tutti questi attori devono avere un interesse prioritario per la pace piuttosto che per la guerra.[1]

b. Allerta: rischio imminente di una balcanizzazione dell’Est della RD Congo

Il 19 dicembre, in una nota intitolata “Allerta: rischio imminente di una balcanizzazione dell’Est della RD Congo”, la Commissione Diocesana di Giustizia e Pace (CDJP) di Butembo – Béni ha espresso la sua più profonda preoccupazione per la persistenza dei massacri sul territorio di Beni e per l’insicurezza che si è installata nelle province dell’Ituri e del Sud Kivu. La Commissione denuncia l’esistenza di un progetto mafioso volto a elaborare delle strategie per cedere l’Est del Paese a popolazioni non originarie del posto.
Per quanto riguarda la situazione di Beni, la Commissione Giustizia e Pace sostiene che le ondate di migrazioni di popolazioni dal piccolo Nord verso il grande Nord della provincia, con il pretesto di cercare terre coltivabili, spesso coincidono con l’aumento dei massacri e lasciano quindi intravvedere un programma ben preciso di occupazione delle terre degli autoctoni da parte di un gruppo non originario del luogo. Molto di più, la Commissione denuncia le complicità interne dell’esercito congolese e della classe politica e quelle esterne dei Paesi limitrofi della RD Congo.
Secondo la CDJP, le ipotesi avanzate sull’identità dei responsabili dei massacri di Beni citano alcuni ufficiali infiltrati nell’esercito nazionale e che lavorano per conto del nemico. La Commissione ha ricordato che vari rapporti hanno già indicato dei nomi di ufficiali presumibilmente complici con gli esecutori dei massacri di Beni. Secondo lei, il nemico approfitterebbe di questa collaborazione per rendere la situazione più complessa. Per esempio, quando il nemico che si trova in foresta subisce una sconfitta, quello che si trova in città o nei centri abitati lo vendica, massacrando senza pietà la popolazione civile.
Secondo la CDJP, l’infiltrazione nell’esercito congolese di membri dell’esercito ruandese e l’integrazione,sempre nello stesso esercito congolese, di membri provenienti dai movimenti ribelli RCD, CNDP e M23, tutti e tre appoggiati dallo stesso Ruanda, non facilitano certo le operazioni militari intraprese.
Secondo la CDJP, «si tratta di ufficiali militari di movimenti politico-militari come l’RCD, il CNDP, l’M23, ecc.. integrati nell’esercito al tempo dell’anteriore regime politico, apparentemente complice per lungo tempo, essendo rimasto inattivo e indifferente davanti a questi massacri fino alla fine del suo mandato. Si tratta di alti ufficiali militari congolesi ben conosciuti … Crediamo che la maggior parte degli esecutori dei massacri di Beni si stia nascondendo all’interno dell’esercito congolese. Sarebbero precisamente degli elementi della RDF (esercito ruandese) infiltrati nell’esercito congolese (FARDC), per eseguire il piano di insediamento dei rifugiati Hutu espulsi dalla Tanzania in una buona parte del Grande Nord Kivu».
La CDJP di Butembo-Beni ha chiesto alla giustizia nazionale e internazionale di fare uso dei numerosi rapporti esistenti che accusano diversi ufficiali congolesi implicati nell’esecuzione dei massacri, facendo degli affari economici una priorità al posto della protezione della popolazione civile: «Molti rapporti nazionali e internazionali pubblicati hanno sempre sostenuto che questi alti ufficiali militari congolesi hanno contribuito all’esecuzione dei massacri perpetrati contro i Congolesi. Essi sono implicati anche nel commercio illegale di materie prime congolesi estratte nell’est del paese. La giustizia congolese, la CPI e la comunità internazionale devono usare questi rapporti, per arrestare tutti questi alti ufficiali militari congolesi e i loro complici e metterli a disposizione della giustizia».
La CDJP Butembo – Béni deplora anche la passività della MONUSCO, che viene percepita come grande complice nei massacri delle popolazioni civili: «La maggior parte degli attacchi mortali nella città e nel territorio di Beni sono stati perpetrati nelle vicinanze delle basi della MONUSCO, rimasto peraltro del tutto inerte, dando prova di una passività sospetta che non riesce a nascondere un’eventuale complicità ai massimi livelli dei suoi animatori». Ritornando sulle parole di Leila Zerrougui, rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella RD Congo, che ha affermato che sarebbe necessario trovare una soluzione negoziata alla questione dei massacri del BENI, la CDJP le ha considerate scandalose, perché è convinta che la Monusco conosce perfettamente bene gli autori dei massacri, ma preferisce “sacrificare” la popolazione locale: «i responsabili dei massacri di Beni sono ben noti e anche la MONUSCO li conosce, ma sacrificherebbe la popolazione per ragioni che solo essa può conoscere».
La CDJP Butembo – Béni avverte che, «se le autorità congolesi non prendono sul serio la questione, rischiano di essere colte di sorpresa quando la balcanizzazione sarà già iniziata».
Infine, la CDJP ha formulato alcune raccomandazioni:
* Denunciare questo piano di balcanizzazione dell’Est della RD Congo presso le autorità congolesi (il precedente regime e quello nuovo) e la comunità internazionale.
* Permutare i militari provenienti dai movimenti armati (RCD, CNDP, M23, ecc.) da est a ovest.
* Cambiare tutti i militari sospettati di complicità con le forze armate ruandesi, ugandesi e burundesi e tutti quelli che traggono profitti economici dalle operazioni militari, a scapito della loro missione; rivedere la pianificazione, la strategia e la comunicazione delle attuali operazioni militari.
* Rivedere la pianificazione, la strategia e la comunicazione delle attuali operazioni militari (proteggere le popolazioni civili nello stesso tempo che si attacca il nemico).
* Aprire un’inchiesta internazionale indipendente sulla situazione a Beni, al fine di identificare gli autori dei massacri e consegnarli alla giustizia.
* Richiedere un’operazione militare del tipo “Arthemis” che aveva dimostrato la sua efficacia in Ituri, al fine di rimediare all’attuale inefficacia delle FARDC ed evitare un genocidio a Beni e la balcanizzazione dell’Est della RD Congo, ecc.
* Risolvere il problema delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), stranamente simili a certi gruppi etnici stabiliti nella RD Congo.[2]

c. La verità sulla situazione di Beni

In una recente intervista sui massacri commessi a Béni (Nord Kivu), Boniface Musavuli, politologo, scrittore e specialista in questioni di sicurezza nel Kivu e nella regione dei Grandi Laghi, ha affermato che gli aggressori arrivano ​​nei villaggi indossando uniformi dell’esercito regolare e usando armi in dotazione dello stesso esercito. Uccidono sempre nei pressi delle postazioni dell’esercito e della Missione dell’ONU (MONUSCO), spesso a una distanza di soli 200-300 metri.
I massacri si svolgono in modo organizzato: gli assassini arrivano in una località, si prendono il tempo per bere qualcosa in qualche osteria, si prendono il tempo anche per parlare con le loro prossime vittime. Solo dopo, iniziano a legare gli uomini le mani dietro la schiena, chiamano per telefono e, dopo aver ricevuto il via libera, iniziano a uccidere bambini e donne, per poi terminare con gli uomini. Dopo aver ucciso, entrano nelle case e cenano tranquillamente con ciò che vi trovano. Quando hanno finito di mangiare, rubano oggetti di valore, capre e polli, catturano alcuni ostaggi per usarli come portatori dei beni saccheggiati e ripartono tranquillamente come erano arrivati. La domanda che ci si pone è quella di sapere perché l’esercito e la Monusco non intervengono immediatamente.
La cosa più sorprendente è che, dopo i massacri, quando la popolazione scende in strada per manifestare la sua rabbia e la sua collera, l’esercito, la polizia e la Monusco dispiegano grandi mezzi militari, puntano le loro armi e cannoni contro la popolazione e arrestano dei manifestanti. Nelle carceri di Beni ci sono molti manifestanti, difensori dei diritti umani e giornalisti, ma nessuno di quelli che hanno partecipato ai massacri. Si tratta quindi di una specie di guerra contro il popolo.
Esiste una versione ufficiale dei fatti, secondo la quale i massacri sono perpetrati dalle ADF islamiste. Questa versione non sta in piedi. Viene usata solo per nascondere la vera identità dei veri massacratori che non hanno nulla a che vedere né con le ADF, né con l’Islam, né con alcuna ribellione ugandese. Quindi chi sono i massacratori di Beni?
Per capire cosa sta succedendo a Beni, è necessario situarsi sul piano storico e su quello regionale. Sul piano storico, l’esercito congolese è un esercito che si è formato nel 2002-2003, in seguito agli accordi di Sun City, grazie all’integrazione in esso delle varie forze belligeranti della seconda guerra del Congo. Questo processo di integrazione ha introdotto nell’esercito congolese degli elementi non affidabili, perché perseguivano gli interessi dei paesi che stavano attaccando e occupando la RD Congo. Poi ci sono state le due guerre del CNDP e dell’M23 che si sono concluse anch’esse con l’integrazione nell’esercito congolese di militari stranieri e di truppe straniere. L’esercito congolese indossa un abbigliamento congolese ma, al suo interno, contiene militari stranieri che perseguono, sul suolo congolese, gli obiettivi strategici del loro paese.
Sul piano regionale, c’è stata una crisi tra il Ruanda e la Tanzania che ha spinto quest’ultima ad espellere alcuni rifugiati ruandesi che vivevano in Tanzania. Queste popolazioni erano ritornate in Ruanda, ma si è detto loro che non c’era abbastanza spazio per loro.
È così che, nel 2012-2013, sono stati espulsi dal Ruanda e si sono visti obbligati a dirigersi verso i territori congolesi allora controllati dall’M23.
Prima di essere mandate in Congo, queste popolazioni avevano ricevuto un addestramento militare in Ruanda. In seguito, arrivate nelle zone controllate dall’M23, esse avevano subito un ulteriore addestramento militare per servire come combattenti nelle file dell’M23.
Ma dopo la sconfitta dell’M23, si è reso necessario trovare un altro territorio su cui installarvi queste popolazioni provenienti dal Ruanda.
Si è quindi assistito a un’ondata di migrazioni di queste popolazioni ruandesi verso il nord, più precisamente verso il territorio di Beni e verso la provincia dell’Ituri (Boga e Tchabi). Esse erano accompagnate dai loro connazionali, i militari ruandesi che erano stati integrati nell’esercito congolese.
Questo fenomeno migratorio spiega l’essenziale della crisi di Beni: cercare in Congo uno spazio per questa popolazione ruandese richiede l’eliminazione della popolazione autoctona.
Una volta arrivate nel denominato “triangolo della morte”, tra Mbau ed Eringeti via Oicha, queste popolazioni svaniscono nella foresta. Qualche tempo dopo, si apprende che, in tal villaggio c’è stato un massacro.
Quindi, quello che sta accadendo a Beni è un fenomeno di spopolamento delle popolazioni autoctone per sostituirle con popolazioni non originarie del posto che vengono a stabilirsi su questo territorio, a volte sotto forma di rinforzi inviati per appoggiare l’esercito dopo i massacri. In questo modo, il territorio di Beni sta svuotando delle sue popolazioni autoctone. Si tratta di una campagna di spopolamento e di sostituzione della popolazione.
In fin dei conti, i responsabili dei massacri di Beni non sono i cosiddetti “presunti terroristi islamici ugandesi delle ADF” della versione ufficiale. I veri mandanti ed esecutori dei massacri non sono né islamisti, né ugandesi, né ADF.
Per porre fine ai massacri, è necessario che gli autori degli attacchi siano identificati, consegnati alla giustizia e processati. Deve essere fatto sistematicamente. Occorre arrestare i sospetti e presentarli alla popolazione. Si devono organizzare dei processi pubblici, affinché questi sospetti dicano da dove vengono, chi fornisce loro le uniformi dell’esercito, chi fornisce loro le armi, che fornisce loro le informazioni, a chi telefonano prima di iniziare a uccidere. Tutte queste informazioni devono essere messe a disposizione dell’opinione nazionale e internazionale. È necessario procedere anche a una riforma strutturale dell’esercito espellendone gli elementi problematici, ma la soluzione non è solo militare e deve essere cercata anche a livello geopolitico.
Le ondate migratorie che arrivano in Congo devono essere gestite, controllando rigorosamente le frontiere, espellendo le persone che non hanno alcun motivo valido per vivere sul territorio congolese, negoziando con l’UNHCR affinché determinate persone e alcuni rifugiati possano essere trasferiti in altri paesi dove non porrebbero problemi come in Congo e, infine, controllando il commercio delle risorse naturali, tra cui quelle minerarie. Il furto delle risorse naturali del Congo alimenta un’economia di guerra. Queste risorse devono essere controllate, poiché c’è un legame tra lo sfruttamento illegale delle risorse e la continuazione della violenza. È quindi necessario aprire delle inchieste, per individuare quei traffici in cui sono implicati tal politico o tal generale e per infine sanzionare tutti coloro che traggono benefici da questa economia di guerra.
A livello militare, è innanzitutto necessario identificare il nemico, che si trova principalmente all’interno dell’esercito e questo richiede un’assidua ricerca di informazioni per arrivare a sapere chi sono i capi militari dell’esercito nazionale che mantengono il caos a Béni.[3]

d. Dei politici, degli uomini d’affari e dei giovani membri di movimenti civici tra i mandanti dei massacri

Il 23 dicembre, a Beni, il portavoce dell’esercito congolese (FARDC), il generale Léon-Richard Kasonga, ha annunciato che, dall’inizio delle operazioni militari alla fine di ottobre, l’esercito ha catturato circa 521 combattenti membri delle Forze Democratiche Alleate (ADF) appartenenti a diverse nazionalità, tra cui degli Ugandesi, dei Burundesi, dei Tanzaniani, dei Ruandesi, dei Centrafricani e dei Congolesi. Egli ne ha presentato alla stampa trentasette, tra cui una donna. Tra i Congolesi ci sono soprattutto dei miliziani Mayi-Mayi locali.
Secondo il portavoce dell’esercito, i catturati hanno rivelato che la loro missione principale era quella di creare una nuova entità politico amministrativa che si sarebbe estesa a partire da Beni fino alla vicina provincia dell’Ituri: «Alcuni di questi catturati hanno affermato che la loro missione sarebbe stata quella di creare terrore e di costringere la popolazione locale ad abbandonare i suoi villaggi, al fine di spopolare queste terre e cederle ad altre persone a loro affiliate. Un loro obiettivo era quello di assassinare delle autorità locali, tra cui il sindaco della città. L’obiettivo finale sarebbe stato quello di creare una nuova entità politico amministrativa che si sarebbe estesa da Beni all’Ituri».
Secondo il generale Richard Kasonga, i catturati hanno fatto delle rivelazioni sorprendenti sull’identità dei principali responsabili dei massacri di Beni: «Tra i mandanti e gli esecutori dei massacri ci sono dei politici, degli uomini d’affari, dei giovani membri di movimenti civici e dei collaboratori». Il generale Richard Kasonga ha aggiunto che «i catturati hanno fatto delle rivelazioni anche sulle loro fonti locali ed esterne di finanziamento e sulla localizzazione degli autori, coautori e complici dei massacri, a Beni, Butembo, Lubero, Kinshasa e all’estero».[4]

2. BENI CONTINUA A PIANGERE ALTRI MORTI

a. Nuovi massacri

Il 5 dicembre, quattordici persone sono state uccise a Kalikoko e altre dieci a Mantumbi, due località del settore Beni-Mbau. Il primo attacco ha avuto luogo verso le 4:00 del mattino, a Kolikoko, nel quartiere di Mabasele, comune rurale di Oicha. Secondo la società civile locale, tre uomini sono stati uccisi all’arma bianca, sulla strada Oicha-Maleki, vicino a un centro sanitario predisposto per il lavaggio delle mani, una disposizione adottata nell’ambito della prevenzione dell’Ebola. Secondo fonti locali, i miliziani hanno tagliato la testa di una vittima e le mani di alcune  altre. Una Bibbia è stata intrisa del sangue di un’altra vittima. I primi militari dell’esercito sono arrivati verso le 6:00 del mattino. Il secondo attacco ha avuto luogo un po’ più a ovest, nel villaggio di Mantumbi, verso le 14:00. Dieci le persone uccise, tra cui quattro all’arma bianca. È il terzo massacro perpetrato a Beni da presunti miliziani delle Forze Democratiche Alleate (ADF), dall’inizio di dicembre. Il 3 dicembre, 14 persone erano state uccise a Orototo, nella località di Ndama, alla frontiera con l’Uganda e il 4 dicembre, altri 3 civili erano stati uccisi a Mabasele, nella città di Oicha,[5]

Il 13 dicembre, verso le 20:00, cinque persone sono state uccise da presunti combattenti delle Forze Democratiche (ADF) nella zona di Watalinga del territorio di Beni (Nord Kivu). Vari anche i feriti. L’attacco è avvenuto nella località di Matolu, situata a 10 chilometri a sud di Kamango, al confine con l’Uganda. Tra le vittime ci sono tre donne e due uomini. Gli aggressori hanno saccheggiato varie case e portato via capre e polli. È il secondo attacco commesso nella zona di Watalinga, dall’inizio di dicembre, da combattenti delle ADF.[6]

Il 13 dicembre, nelle prime ore della notte, sei civili sono stati uccisi da presunti ribelli delle ADF nel quartiere di Rwangoma, del comune di Beu, a sud-est della città di Beni (Nord Kivu). È nel comune di Beu. Tra le vittime ci sono stati due uomini, un bambino e tre donne, una delle quali era incinta. L’attacco ha avuto luogo a 5 km dal centro di Beni, ma a meno di 1 km dal quartier generale delle operazioni Sokola 1. Nella regione di Beni, a partire dall’inizio di dicembre, sono state uccise almeno 39 persone e a partire dall’inizio de novembre sono almeno 107 le persone uccise in vari attacchi armati attribuiti a combattenti delle ADF.[7]

Il 14 dicembre, nelle prime ore della notte, almeno 22 civili sono stati uccisi da sospetti combattenti delle ADF a Ndombi, un villaggio a 13 chilometri a ovest della città di Mayimoya, nel territorio di Beni (Nord Kivu). Secondo la società civile locale, tra le vittime ci sono 15 uomini e 7 donne. Con questo massacro di Ndombi, diventano 198 le vittime uccise dai miliziani ADF, in rappresaglia delle operazioni militari intraprese contro di loro a partire dal 30 ottobre 2019.[8]

Il 15 dicembre, durante la notte, almeno dodici persone, tra cui sei donne, sono state uccise in un nuovo attacco presumibilmente perpetrato da miliziani ADF nella località di Kamango, zona di Watalinga, Territorio di Béni, al confine con l’Uganda. Secondo la società civile locale, i miliziani hanno fatto irruzione nel quartiere Majengo verso le 22:00. Allertati, le Forze Armate (FARDC) e la MONUSCO hanno inseguito gli assalitori, che si sarebbero ritirati nella località di Bundekelia, a ovest di Kamango, da dove erano provenuti. Secondo la società civile, quest’ultimo massacro di Kamango porta a 213 il numero delle persone uccise dalle ADF in rappresagli contro la popolazione civile, in seguito alle offensive lanciate contro di loro dalle FARDC a partire dal 30 ottobre scorso.[9]

Il 16 dicembre, sempre durante la notte, un gruppo di uomini non identificati e pesantemente armati, vestiti in uniforme militare simile a quella dell’esercito ugandese, avrebbe attraversato la frontiera congolo ugandese in provenienza dall’Uganda. Secondo la società civile della zona di Watalinga, che ha dato l’allarme, questo gruppo avrebbe attraversato la frontiera verso le 22:00, entrando nel raggruppamento congolese di Bahumu. La società civile si è detta preoccupata e ha chiesto l’apertura di un’inchiesta nazionale e internazionale, per chiarire le circostanze e il motivo del loro ingresso in territorio congolese. Baraka Basweki, portavoce della società civile locale, ha affermato che «questo fatto lascia intendere che dei paesi stranieri, in particolare l’Uganda, possano essere complici dei massacri perpetrati dalle ADF a Beni». Questa presenza militare straniera è confermata anche dal deputato nazionale Baliesima Kadokima, secondo il quale questi uomini non identificati sarebbero quasi un centinaio.[10]

Il 19 dicembre, ancora durante la notte, un uomo e due donne, tra cui una incinta, sono stati uccisi a Rwangoma, un quartiere del comune di Beu della città di Beni. Secondo fonti locali e della società civile, questo attacco è attribuito a miliziani delle ADF che hanno fatto irruzione in questo quartiere verso le 20:30. L’attacco è stato perpetrato alla periferia della città, ma a meno di 700 metri tra due postazioni dell’esercito congolese. Si tratta del terzo attacco effettuato in una sola settimana da presunti combattenti ADF nel quartiere di Rwangoma.
Questo ennesimo attacco delleADF ha avuto luogo proprio nel giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nella sua risoluzione 2502, ha prolungato fino al 20 dicembre 2020 il mandato della MONUSCO e, in via eccezionale, quello della sua brigata di intervento. Le priorità del nuovo mandato sono quelle di contribuire a garantire la protezione dei civili, di appoggiare le iniziative di stabilizzazione e di rafforzamento delle istituzioni dello Stato congolese e di favorire le principali riforme della governance e dei servizi di sicurezza.
Dal’inizio del mese di novembre scorso, sono circa 200 le persone che sono state uccise a Beni.
In seguito all’aumento della violenza, la società civile di Beni ha avviato una petizione per chiedere al Presidente della Repubblica di dichiarare la regione di Beni come zona sinistrata.[11]

Il 22 dicembre, tre persone civili sono state uccise in un’imboscata tesa da presunti combattenti delle Forze Democratiche Alleate (ADF), a Nyaleke-Rizeri, sulla strada Beni-Kasindi.
Le vittime erano in moto e, provenienti dalla località di Bulongo, stavano viaggiando verso Beni.
I combattenti ADF hanno moltiplicato gli attacchi e i massacri adottando, in tal modo, una strategia di rappresaglia contro la popolazione civile, in seguito alla grande offensiva intrapresa contro di loro dall’esercito congolese alla fine di ottobre scorso. Da quella data, sono state uccise più di 200 persone civili.[12]

b. Le operazioni militari in corso

Il 6 dicembre, il ministro della Difesa, Aimé Ngoy Mukena, ha annunciato che «sono stati ªneutralizzatiª quattro importanti comandanti ADF su dieci e che sono stati catturati cinquantacinque loro combattenti e novantatre loro collaboratori». Ha inoltre annunciato che l’esercito regolare ha conquistato alcune roccaforti delle ADF, tra cui Mapobu (a nord di Beni), Mayangose (nei pressi di Beni) e Mwalika (a sud di Beni).[13]

Il 9 dicembre, più di 300 agenti della Polizia Nazionale Congolese (PNC) sono arrivati a Beni in provenienza da Kinshasa. Si tratta di un battaglione della Legione Nazionale di Intervento (LNI) mandato in appoggio delle forze dell’esercito nella’ambito delle operazioni militari intraprese contro le ADF.[14]

Il 13 dicembre, nel suo discorso pronunciato davanti alle due camere del Parlamento riunite in Congresso, il Capo dello Stato Félix Tshisekedi ha dichiarato di aver dato l’ordine di installare a Beni uno stato maggiore avanzato, dotato dei migliori ufficiali militari. Egli ha aggiunto di aver «proceduto al cambiamento di tutti i comandi attivi nell’area militare operativa e alla sostituzione delle truppe, come richiesto dalla popolazione». A questo proposito, egli ha sottolineato di aver proceduto al permutamento di 11.000 militari presenti nella zona di conflitto da molto tempo, per sostituirli con 21.000 nuovi militari. Il Presidente della Repubblica ha aggiunto: «Abbiamo creato una brigata di rapido intervento e delle forze speciali, che sono già state inviate a Béni in appoggio delle nostre Forze Armate. Abbiamo dispiegato delle unità supplementari della Polizia Nazionale nelle grandi località del territorio di Beni, per migliorare la sicurezza della popolazione».[15]

Il 14 dicembre, fonti militari hanno dichiarato che il campo base di Kazaroho, finora occupato dalle ADF, è caduto nelle mani dell’esercito regolare. Kazaroho si trova a 8 km dal punto chilometrico 20, nel settore di Beni-Mbau. Nel corso dell’operazione, è stata catturata una combattente ADF di nazionalità ugandese. Altre fonti aggiungono che questo accampamento delle ADF era uno dei loro centri di approvvigionamento di viveri alimentari, perché vi sono stati trovati campi in cui si coltivavano mais, banane, manioca e canapa.[16]

c. Reazioni e dichiarazioni

Il 9 dicembre, in una riunione straordinaria, i direttori e i capi redazione dei media locali di Beni hanno deciso di mettere sotto embargo alcuni movimenti “sovversivi” e gruppi di pressione operanti a Beni (Nord Kivu). Essi hanno affermato di aver preso tale decisione per appoggiare le autorità nella loro volontà di riportare la pace e la sicurezza in questo loro territorio che, per più di 5 anni, è stato vittima innumerevoli  massacri perpetrati dalle Forze Democratiche Alleate (ADF). Essi si sono detti convinti del fatto che alcuni messaggi provenienti da gruppi di pressione e / o movimenti sovversivi siano fonti di un odio che, molte volte, si manifesta in occasioni di rivolte popolari. Tra i gruppi di pressione cui si è interdetto di intervenire sui media di Beni, essi citano la Véranda Mutsanga (VM), il Parlamento Permanente, il movimento Io sono Beni, la Lotta per il Cambiamento (LUCHA) e alcune false autorità locali di Beni.[17]

Il 9 dicembre, il coordinatrice di Lamuka, Adolphe Muzito Fumutshi, si è incontrato con Leila Zerrougui, rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo e capo della Missione dell’ONU per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO), per uno scambio di informazioni sulla situazione di insicurezza vigente nell’Est del Paese. Al termine dell’incontro, egli ha affermato di essere convinto che i Paesi limitrofi alla RD Congo stiano finanziando le violenze perpetrate in questa parte del paese: «Il nostro Paese è in guerra, è sotto occupazione ed è di fatto balcanizzato dai paesi vicini, attraverso milizie che essi appoggiano fornendo loro armi,mezzi finanziari e informazioni, per saccheggiare le nostre risorse naturali, dopo aver violentato e massacrato le nostre sorelle, le nostre mogli, le nostre figlie e le nostre madri … Alla rappresentante speciale del Segretario Generale dell’ONU nel nostro Paese abbiamo chiesto di migliorare e di aumentare la capacità di intervento rapido della brigata della Monusco, fornendole il massimo dei mezzi. La MONUSCO deve continuare la sua missione in Congo perché, se partisse, sarebbe una catastrofe e coloro che oggi stanno manipolando la popolazione, anche se la sua rabbia è reale e legittima, ne approfitterebbero per creare il caos».[18]

Il 16 dicembre, in un comunicato stampa, la rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nella RD Congo, Leila Zerrougui, ha condannato i nuovi attacchi attribuiti ai miliziani delle ADF e perpetrati contro la popolazione civile sul territorio di Beni. Ella ha affermato che «questi attacchi barbarici sono orchestrati al fine di scoraggiare la popolazione e di screditare sia le truppe dell’ esercito congolese che il personale della MONUSCO». Leila Zerrougui ha annunciato che, nelle ultime settimane, la MONUSCO ha intensificato le sue attività congiunte con l’esercito nazionale, le FARDC e ha dispiegato un altro plotone di polizia delle Nazioni Unite, in appoggio del secondo rafforzamento di duecento agenti di polizia congolesi che sono recentemente arrivati a Beni per proteggere la città e i suoi dintorni.[19]

Il 24 dicembre, in un comizio organizzato a Béni, riferendosi alle violenze di cui la popolazione è vittima, l’ex candidato presidenziale che ancora rivendica la sua vittoria e che continua a come presidente eletto ma non investito, Martin Fayulu, ha affermato: «Sono triste quando sento che qui si compiono tanti massacri. Mi è stato detto che sono dei militari i responsabili di questi massacri. Ciò significa che questi militari non sono congolesi. Mi è stato detto che i militari che vi hanno mandato sono degli ex combattenti dell’M23 e voi ben sapete che essi non sono congolesi. Ntaganda e Kunda non sono congolesi. Li hanno portati in Congo presentandoli come congolesi … Tutto ciò che sta accadendo qui è perché non abbiamo dei dirigenti legittimi. Noi non permetteremo che il Paese muoia. Quelli che vogliono balcanizzare il paese non riusciranno a farlo. Sappiamo che il male viene da un individuo, Kabila. C’è solo una soluzione. Lasciare che il presidente che voi avete eletto sia riconosciuto come Presidente della Repubblica. Abbiamo bisogno di istituzioni legittime, di parlamentari legittimi, ecc. Non lasciatevi ingannare come Tshisekedi lo è stato da Kabila. La soluzione vera è la partenza di Kabila».[20]

3. PROLUNGATO DI UN ANNO IL MANDATO DELLA MONUSCO

Il 19 dicembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha prolungato, nella sua risoluzione 2502, il mandato della MONUSCO e, in via eccezionale, quello della sua brigata di intervento, fino al 20 dicembre 2020. La MONUSCO manterrà nella RD Congo una forza massima autorizzata di 14.000 militari, 660 osservatori militari e ufficiali di stato maggiore, 591 agenti di polizia e 1.050 membri di unità di polizia costituite.
Il Consiglio di Sicurezza approva inoltre il dispiegamento temporaneo di altri 360 membri di unità di polizia costituite, a condizione che siano dispiegate in sostituzione di personale militare.
Il Consiglio ha chiesto al Segretariato Generale di prendere in considerazione un’ulteriore riduzione degli effettivi militari e delle zone di operazione della MONUSCO, tenendo conto degli sviluppi positivi sul luogo, in particolare nelle regioni in cui i gruppi armati non rappresentano più una vera minaccia.
Il Consiglio di Sicurezza ha ricordato che le priorità strategiche della MONUSCO sono le seguenti: contribuire a garantire la protezione dei civili, appoggiare la stabilizzazione e il rafforzamento delle istituzioni dello Stato, favorire le principali riforme della governance e dei servizi di sicurezza.
Per quanto riguarda la protezione dei civili, la risoluzione 2502 indica che la MONUSCO deve adottare tutte le misure necessarie per garantire una protezione efficace, rapida, dinamica e integrata delle popolazioni civili minacciate di violenza fisica, nelle province in cui la Missione è attualmente dispiegata, in particolare nell’Est della RD Congo.
La risoluzione 2502 del Consiglio di Sicurezza autorizza la brigata di intervento della MONUSCO a condurre operazioni unilateralmente o congiuntamente con le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) contro le forze negative. Questa brigata è composta da contingenti tanzaniani, malawiani e sudafricani.
Pertanto, i caschi blu dovrebbero, «a sostegno delle autorità congolesi e sulla base delle informazioni raccolte e analizzate, condurre unilateralmente o congiuntamente con le FARDC, delle operazioni offensive mirate ed energiche, al fine di neutralizzare i gruppi armati e contribuire a ridurre la minaccia che essi rappresentano per l’autorità dello Stato e la sicurezza delle popolazioni civili e a preparare il terreno per le attività di stabilizzazione, per mezzo della brigata di intervento, la cui efficacia sarà potenziata dal comandante della forza, con l’obiettivo di renderla capace di adempiere al suo mandato».[21]

[1] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 13.12.’19
[2] Cf Jean-Luc M. – Laprunellerdc.info, 20.12.’19 ; Muhindo Kisatiro – 7sur7.cd, 20.12.’19
[3] Cf vidéo “En toute vérité – Situation à Béni / Avec les Nande de l’Europe”
https://www.youtube.com/embed/8kNeVk942So
[4] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 23.12.’19; Roger Kakulirahi – 7sur7.cd, 23.12.’19
[5] Cf Radio Okapi, 06.12.’19; Yassin Kombi – Actualité.cd, 05.12.’19
[6] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 13.12.’19
[7] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 14.12.’19
[8] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 15.12.’19; Radio Okapi, 15.12.’19
[9] Cf Radio Okapi, 16.12.’19
[10] Cf Roger Kakulirahi – 7sur7.cd, 18.12.’19; Siméon Isako – Cas-info.ca, 18.12.’19
[11] Cf Radio Okapi, 20.12.’19; Yassin Kombi – Actualité.cd, 20.12.’19
[12] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 22.12.’19
[13] Cf Actualité.cd, 07.12.’19
[14] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 10.12.’19
[15] Cf Radio Okapi, 13.12.’19
[16] Cf Radio Okapi, 15.12.’19
[17] Cf Roger Kakulirahi – 7sur7.cd, 09.12.’19
[18] Cf Christine Tshibuyi – Actualité.cd, 09 et 10.12.’19
[19] Cf Radio Okapi, 16.12.’19
[20] Cf Yassin Kombi – Actualité.cd, 24.12.’19
[21] Cf Radio Okapi, 19.12.’19; Actualité.cd, 19.12.’19