Editoriale Congo Attualità n. 314– a cura della Rete Pace per il Congo
Dall’inizio di ottobre 2014, la popolazione del territorio di Beni (Nord Kivu – Repubblica Democratica del Congo) è vittima di una serie di sequestri di persone e di massacri, in cui più di mille persone hanno perso la vita.
Il governo congolese attribuisce tali violenze a un gruppo di ribelli ugandesi di ispirazione islamica, le Forze Democratiche Alleate (ADF), qualificandolo di gruppo terrorista jihadista. Sempre secondo il governo, le ADF sarebbero in contatto con altri gruppi jihadisti come Al Shabaab della Somalia e Boko Haram della Nigeria. Tale tesi sarebbe comprovata dalla presenza, nelle file delle ADF, di ugandesi, somali, kenyani, ciadiani e sudanesi. Ma la tesi jihadista del governo non è affatto convincente. Potrebbe essere un semplice espediente per accattivarsi la simpatia della Comunità internazionale, anch’essa “vittima” di una certa forma di terrorismo internazionale.
La minaccia jihadista nell’est della RDCongo è una pura invenzione
I massacri commessi a Beni e dintorni, sistematicamente attribuiti alle ADF, non sono mai stati rivendicati da alcun gruppo e rimangono inspiegabili. Mentre altri gruppi jihadisti, in Africa e altrove, usano la violenza per ottenere fama e influenza sia dentro che fuori del movimento jihadista, le ADF restano praticamente invisibili. Non fanno comunicati, non fanno propaganda su Internet e sono assenti dalla “djihadosfera”. Il loro Islamismo è in definitiva molto discreto. Non indossano i simboli della jihad e non sembrano essere in una logica di difensori della “vera fede musulmana” nei confronti degli “apostati”. Essi non seguono una logica di reclutamento di nuovi credenti in vista dell’espansione di un califfato nella regione dei Grandi Laghi d’Africa, ma una logica di insediamento territoriale. In loro, si può osservare una strategia di insediamento in certe zone del territorio di Beni cui la popolazione locale non può più accedere. Per quanto riguarda i presunti membri stranieri, risulta difficile pensare che si tratti di “Foreign Fighters” (combattenti stranieri) arrivati in Congo per arruolarsi in una ipotetica jihad. Si tratta piuttosto di stranieri già presenti sul suolo congolese da diversi anni, se non da decenni, per motivi politici, economici o professionali.
Le tuniche musulmane contribuiscono a nascondere il volto ruandese dell’occupazione
Secondo un’altra tesi, i veri responsabili di questi crimini sarebbero lo stesso governo e delle popolazioni di origine ruandese il cui obiettivo sarebbe quello di balcanizzare la regione. Questo era il punto di vista anche di P. Vincent Machozi, religioso assunzionista assassinato nella notte del 20 marzo 2016. Poco prima di essere ucciso, sul suo sito web Beni-Lubero, egli aveva accusato il presidente congolese Joseph Kabila e il presidente ruandese Paul Kagame di essere i veri mandanti dei massacri. Secondo lui, i due presidenti favorirebbero un clima di terrore, al fine di costringere la popolazione locale ad abbandonare le sue terre, ricche di legname e minerali, per insediarvi una nuova popolazione proveniente dal Ruanda. Nel suo ultimo messaggio prima di essere assassinato, Padre Machozi aveva scritto: «le tuniche musulmane contribuiscono a creare la confusione per nascondere il volto ruandese dell’occupazione, già troppo visibile agli occhi di tutti».
L’etichetta ADF è diventata una specie di chiave passepartout
Secondo una terza ipotesi, tra le cause delle violenze di Beni si possono enumerare i vari tentativi di accaparramento delle terre, il controllo sul commercio di legname e minerali, i micro conflitti tra autorità tradizionali e le rivalità etniche. L’etichetta ADF è diventata una specie di chiave passepartout. La situazione non solo è opaca. È volutamente opaca. Il che è abbastanza normale nell’est della RDCongo, dove le conflittualità sono vecchie e si rinnovano, ma rimangono più o meno le stesse da diversi decenni. Da oltre vent’anni, l’est della RDCongo è una zona grigia in cui vi è un miscuglio di conflitti, la cui problematica riguarda il controllo sul territorio da parte di reti mafiose dedite al commercio illegale delle risorse naturali (legname, minerali e petrolio), sia a livello nazionale che internazionale. In tale attività commerciale sono implicati commercianti, personalità politiche, ufficiali dell’esercito, capi di gruppi armati locali e stranieri, capi villaggio tradizionali, agenti dell’amministrazione locale: tutti ne traggono beneficio, eccetto la popolazione che , invece , ne paga le conseguenze con i suoi morti.
Un piccolo segno di speranza
È dal mese di novembre 2016 che, a Beni, si osserva una specie di tregua: anche se si registrano ancora degli omicidi, almeno non si commettono più dei massacri di massa. A questo possono aver contribuito le continue denunce della Società civile locale, i rapporti delle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, la pressione della Comunità internazionale, la ristrutturazione del comando militare locale e l’inizio, in ottobre 2016, del processo contro presunti membri delle ADF.