Editoriale Congo Attualità n. 295– a cura della Rete Pace per il Congo
Il 19 e il 20 settembre, Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, è stata oggetto di una violenza di matrice politica che ha causato la morte di oltre 50 persone.
Tre cose da sapere per poter capire
Secondo l’Agence France Presse (AFP), sono tre le cose da sapere per capire la crisi politica congolese.
– Qual è l’origine della crisi?
La Repubblica Democratica del Congo sta attraversando un periodo di incertezza politica sin dai tempi della contestata rielezione del presidente Joseph Kabila nel novembre 2011, in seguito a delle elezioni marcate da incalcolabili brogli elettorali. Arrivato in seconda posizione, secondo i risultati ufficiali, l’avversario Etienne Tshisekedi, fondatore dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS), ha continuato a rifiutare la rielezione di Kabila. Egli si considera il “Presidente eletto” dal Paese e nega ogni legittimità al presidente Kabila e al Parlamento. La situazione di stallo istituzionale è tale che, dal novembre 2011, non è stato organizzato nessun tipo di elezioni dirette. A parte il Presidente, il cui mandato terminerà nel mese di dicembre 2016, e i deputati nazionali, tutti gli altri (deputati provinciali, senatori nazionali e governatori delle province), eletti nel 2006, sono rimasti in carica anche dopo il 2011 fino ad oggi, nonostante siano fuori mandato. I governatori delle nuove province, eletti nei primi mesi del 2016, sono stati eletti indirettamente da deputati provinciali già fuori mandato.
– Perché tanta violenza a Kinshasa?
Gli abitanti di Kinshasa non hanno mai amato Joseph Kabila che hanno sempre considerato come uno “straniero” proveniente dall’est. Nelle elezioni del 2006 e del 2011, entrambi marcate da violenze elettorali, la popolazione aveva votato in massa per i più grandi concorrenti di Kabila: Jean-Pierre Bemba (nel 2006) e Etienne Tshisekedi (nel 2011). La crisi economica, che il paese sta affrontando da quasi un anno, contribuisce a peggiorare le condizioni di vita degli abitanti di Kinshasa (circa 10 milioni, di cui quasi la totalità lotta per sopravvivere alla miseria) e provoca un sentimento di frustrazione e di rigetto del potere di Joseph Kabila.
– Perché proprio il 19 settembre?
La data del 19 settembre è simbolica. È in tale data che la Commissione elettorale avrebbe dovuto convocare le elezioni presidenziali. Secondo la Costituzione, le elezioni presidenziali devono essere convocate dalla Commissione elettorale 90 giorni prima della fine del mandato del presidente della Repubblica in esercizio. Il secondo e ultimo mandato dell’attuale Presidente terminerà, secondo le disposizioni della costituzione, il 19 dicembre 2016.
Il “Raggruppamento delle forze politiche e sociali per il cambiamento”, una piattaforma politica creata lo scorso giugno attorno ad Étienne Tshisekedi, aveva indetto una manifestazione per il 19 settembre, a tre mesi esatti dalla fine del mandato di Kabila, per significargli un “preavviso” di tre mesi, affinché lasci il potere il 19 dicembre 2016 e per esigere che la Commissione elettorale organizzi le elezioni presidenziali entro tale data.
Due posizioni diametralmente opposte
– È in questo contesto che la Maggioranza Presidenziale, una parte dell’opposizione e la Società civile si stanno incontrando a Kinshasa dal 1° settembre, per tentare di trovare una soluzione all’attuale impasse elettorale, nella speranza di potere arrivare ad un accordo, visto che ormai è quasi impossibile organizzare le elezioni presidenziali il 27 novembre 2016, com’era previsto secondo le disposizioni costituzionali. Sulla base del 2° paragrafo dell’articolo 70 della Costituzione, secondo cui “alla fine del suo mandato, il presidente in esercizio rimane in funzione fino all’effettivo insediamento del nuovo presidente eletto”, il progetto dell’accordo che dovrebbe essere ratificato a conclusione delle trattative avalla, di fatto, il prolungamento del secondo ed ultimo mandato dell’attuale Presidente della Repubblica.
– Prevedendo che questa sarebbe stata la conclusione, una gran parte dell’opposizione, in particolare il Raggruppamento delle forze politiche e sociali per il cambiamento, la coalizione di partiti dell’opposizione creatasi attorno a Etienne Tshisekedi, ha rifiutato di partecipare a tale dialogo che rischia, quindi, di concludersi senza avere risolto l’attuale crisi politica.
Secondo il Raggruppamento, in virtù del 1° paragrafo dell’articolo 70 della Costituzione, secondo il quale “il Presidente della Repubblica è eletto per un mandato di cinque anni rinnovabile una sola volta”, l’attuale Presidente della Repubblica terminerà il suo secondo ed ultimo mandato presidenziale il 19 dicembre 2016 e, conseguentemente, cesserà di essere Presidente a partire dal 20 dicembre 2016, data in cui, sempre secondo il Raggruppamento, l’attuale Presidente dovrà cedere il potere ad un presidente ad interim, incaricato di organizzare le prossime elezioni. Un possibile nome per il posto di Presidente ad interim potrebbe essere quello di Etienne Tshisekedi, ritenuto vero vincitore delle elezioni presidenziali del 2011, ma arrivato in seconda posizione, secondo i risultati ufficiali “truccati”. Sarebbe un modo per risolvere il famoso “contenzioso elettorale del 2011” citato nella Road Map dell’UDPS.
Per un ravvicinamento delle posizioni
Si tratta di due posizioni molto diverse, ancora molto distanti l’una dall’altra. Intanto la data fatidica del 20 dicembre 2016 si avvicina a grandi passi e la tragedia del 19 settembre rischia di ripetersi. Per evitarla, occorre trovare un avvicinamento tra le due posizioni. I seguenti punti potrebbero contribuirvi:
– L’organizzazione delle prossime elezioni presidenziali in un tempo ragionevole e il più vicino possibile alla data costituzionale che era stata prevista e che non è stata rispettata. In tutti i casi: non oltre ottobre – novembre 2017.
– L’identificazione di indicazioni chiare e precise sulle date di convocazione delle elezioni presidenziali, della giornata elettorale e dell’insediamento del nuovo presidente della Repubblica eletto.
– Il rispetto del principio costituzionale che impedisce all’attuale Presidente della Repubblica di presentarsi come candidato alle prossime elezioni per un terzo mandato presidenziale.
– L’intangibilità dell’articolo 220 della Costituzione che permette di assicurare che, anche nel periodo intermedio che intercorre tra la data della fine del mandato dell’attuale Presidente e la data dell’insediamento del nuovo Presidente eletto, non si procederà ad alcuna revisione costituzionale, né per via parlamentare, né per via referendaria. Una modifica costituzionale in tale periodo equivarrebbe a cambiare le regole quando il gioco è già iniziato.
– L’impegno, da parte del Governo, ad elaborare, secondo scadenze precise e continuative, un piano di finanziamento delle elezioni, a cominciare da quelle presidenziali, affinché la Commissione elettorale possa disporre di tutti i mezzi che le sono necessari.