Editoriale Congo Attualità n. 290– a cura della Rete Pace per il Congo
Il 13 agosto, 51 persone sono state massacrate, con asce e machete, a Rwangoma, un quartiere alla periferia della città di Beni (Nord Kivu). È l’ultimo di una lunga serie di massacri che hanno provocato la morte di oltre 1.200 persone negli ultimi due anni. Questi massacri sono generalmente attribuiti alle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese, ma presente nell’est della Repubblica Democratica del Congo sin dal 1995, dopo essere stato sconfitto dall’esercito ugandese. Ma chi sono davvero queste ADF?
ADF: Terroristi islamici radicalizzati? Ipotesi poco plausibile
Secondo il Governo, originariamente le ADF erano un movimento politico-militare ugandese, di tendenza islamica, di opposizione al Presidente Museveni ma, a partire dal 2007, si sono progressivamente trasformate in «una vera e propria organizzazione internazionale terrorista a carattere islamico radicale … con l’appoggio ricevuto dagli Shebab somali».
Secondo alcuni osservatori, questa ipotesi sembra poco plausibile per vari motivi, tra cui:
– i massacri di Beni non sono mai stati rivendicati da organizzazioni terroriste internazionali, come Al Shebab, Boko Haram, Al Qaeda, Daesh o da cellule terroriste locali ad esse affiliate
– gli autori dei massacri di Beni non hanno mai colpito gli interessi occidentali nella RDCongo e non hanno mai rivendicato ufficialmente la volontà di creare uno stato islamico nella RDCongo
– la RDCongo non è impegnata militarmente in qualche paese a maggioranza musulmana,
– nella RDCongo, non si sono constatati grandi problemi di integrazione dei musulmani nel tessuto sociale, economico e religioso del Paese.
Da tali constatazioni, si può dedurre che il governo congolese ricorra all’ipotesi di attentati terroristici di matrice islamica per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, nazionale e internazionale, dalla sua evidente incapacità di assicurare la sicurezza della popolazione e dalle varie complicità interne che rendono possibile il perpetuarsi dei massacri perpetrati contro le popolazioni civili.
ADF e complicità interne
Secondo le testimonianze riportate nel rapporto citato, gli autori dei massacri parlano soprattutto kinyarwanda e kiswahili, indossano uniformi dell’esercito congolese e uccidono in aree vicine alle postazioni dell’esercito stesso. Quando la popolazione civile segnala alle autorità locali qualche movimento sospetto, i responsabili dell’esercito e della polizia raramente prendono disposizioni per prevenire un eventuale attacco e solitamente intervengono troppo tardi. Gli autori dei massacri attuano liberamente. Uccidono per ore indisturbati. Non sono arrestati, tanto meno processati. I pochi che sono arrestati, vengono immediatamente e sistematicamente rilasciati. Come se ci fosse la volontà dello Stato di lasciargli “finire il lavoro”. Tutto questo lascia sospettare che godano di molte complicità da parte di certi ufficiali dell’esercito.
Tali complicità sono ben documentate nel rapporto del Gruppo degli esperti dell’Onu per la RDCongo. Spesso si tratta di ufficiali dell’esercito congolese implicati nell’approvvigionamento di armi, munizioni, uniformi militari e razioni alimentari, nella comunicazione d’informazioni militari e nel reclutamento di nuovi membri a favore delle ADF.
Tra i nomi citati nel rapporto: il generale Akili Muhindo, soprannominato Mundos; il colonnello Katachanzu Hangi; l’ex colonnello disertore Richard Bisamaza; l’ex tenente colonnello Birotcho Nzanzu, già condannato nel processo relativo all’assassinio del colonnello Mamadou Ndala.
Queste varie forme occulte di appoggio clandestino permettono alle ADF di continuare ad esistere, nonostante le varie operazioni militari ufficialmente condotte contro di loro.
ADF: la continuazione delle precedenti “ribellioni” (AFDL, RCD, CNDP e M23)
Occorre dapprima precisare che, nelle due province del Kivu, e in particolare a Beni, le truppe dell’esercito nazionale sono prevalentemente composte da ufficiali e militari provenienti da ex movimenti ribelli creati e appoggiati dall’attuale regime ruandese. Si tratta dell’AFDL, dell’RCD e del CNDP, i cui miliziani sono stati successivamente integrati nell’esercito nazionale in seguito ad accordi cosiddetti di pace, ma poco trasparenti. Insieme ai membri di questi movimenti ribelli, nell’esercito regolare sono stati integrati anche dei militari ruandesi che erano stati mandati in Congo per appoggiarli. Per esempio, dal 1997 al 1998, il capo di stato maggiore dell’esercito congolese era il generale James Kabarebe, attuale Ministro della Difesa in Ruanda. Un altro generale dell’esercito congolese, Bosco Ntaganda, era nato in Ruanda e, quando è stato arrestato dalla CPI, ha voluto esprimersi nella sua lingua originaria, il Kinyaruanda. Infine, occorre ricordare anche l’ultima “ribellione”, quella del Movimento del 23 marzo (M23), sconfitta alla fine del 2013 e i cui membri sono fuggiti, alcuni in Ruanda e altri in Uganda.
Secondo vari osservatori, gli attuali massacri di Beni non sarebbero che la continuazione e il prolungamento delle precedenti guerre condotte dall’AFDL, RCD, CNDP e M23, con la sola differenza che, se in passato se ne conoscevano i promotori, i protagonisti e gli sponsor, oggi no.
Oggi si conoscono solo i nomi delle vittime. Degli autori materiali dei massacri si conoscono solo alcune caratteristiche, ma non sono ancora stati identificati. Si dice che l’obiettivo dei massacri sia quello di obbligare la popolazione autoctona ad abbandonare le sue terre che verrebbero occupate da popolazioni ruandesi (strategia di spopolamento e di ripopolamento), ma non si riesce ancora ad identificare queste nuove popolazioni (chi sono, da dove provengono) se non in modo generico.
Se le precedenti cosiddette ribellioni sono fallite, i loro protagonisti non avrebbero tuttavia rinunciato al loro progetto. Avrebbero solo cambiato di strategia e di zona.
È possibile che i primi mandatari e veri responsabili degli attuali massacri di Beni rimangano ben nascosti all’ombra delle Istituzioni politiche e militari, sia a livello internazionale che nazionale , provinciale e locale. A livello organizzativo, la nuova strategia consisterebbe nel rinunciare a creare un proprio gruppo armato, come nel passato, ma nel servirsi di gruppi armati già esistenti, soprattutto di quelli a carattere “straniero”, come possono essere le ADF, sempre più “congolizzate e ruandizzate” mediante la tecnica dell’infiltrazione.
Mai più massacri a Beni!
La soluzione ai massacri di Beni richiederà di identificarne con precisione i mandanti, i loro complici e gli esecutori materiali, affinché non si sbagli il bersaglio (il vero avversario). Tale soluzione non sarà tanto di tipo militare, ma soprattutto politico e giudiziario.
– Sul piano politico, le prossime elezioni costituiscono una preziosa occasione per sanzionare i mandanti politici dei massacri di Beni (e i loro complici) e per scegliere nuovi dirigenti del Paese, capaci di riportare la Pace.
– Sul piano militare, occorrerebbe procedere alla riforma della catena di comando, sostituendo progressivamente quegli ufficiali implicati, direttamente o indirettamente, in attività di appoggio alle ADF, se non addirittura responsabili, in un modo o nell’altro, dei massacri stessi.
– Sul piano giudiziario, la Comunità internazionale dovrebbe intraprendere un’inchiesta approfondita sui crimini commessi a Beni, in vista di individuarne i responsabili e consegnarli alla giustizia internazionale o nazionale, mettendo così fine al ciclo dell’impunità che permette la continuazione dei massacri.