Congo Attualità n. 278

INDICE

EDITORIALE: SULLE TRACCE DEGLI ASSASSINI DI BENI

  1. LE ADF USATE COME CAPRI ESPIATORI?
  2. IL SEQUESTRO DEI TRE RELIGIOSI ASSUNZIONISTI NEL MESE DI OTTOBRE 2012
  3. L’ASSASSINIO DEL P. VINCENT MACHOZI
  4. MASSACRI E SEQUESTRI: UN DRAMMA SENZA FINE

EDITORIALE: SULLE TRACCE DEGLI ASSASSINI DI BENI

 

 

1. LE ADF USATE COME CAPRI ESPIATORI?

Nel corso degli ultimi 18 mesi, in seguito agli attacchi perpetrati contro le popolazioni civili si sono registrate più di 500 vittime nella regione di Beni, nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo). Le autorità congolesi hanno accusato le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo ribelle islamico di origine ugandese, di commettere questi massacri. Ma non è così semplice: elementi di prova suggeriscono infatti l’implicazione di membri dell’esercito congolese e dei potenziali collegamenti con delle reti di contrabbando. Se non vi è alcun dubbio che le ADF siano responsabili di un certo numero di massacri, stupri e reclutamento di minorenni, un recente rapporto del Gruppo di Studi sul Congo ha rimesso in causa la versione ufficiale.

False accuse

I leader politici locali descrivono l’organizzazione ribelle come una “milizia islamica” e mettono l’accento sui suoi legami con organizzazioni estremiste della regione, come Al-Shabab della Somalia e del Kenya. «Ciò che sta succedendo a Beni oggi non è diverso da ciò che avviene in Nigeria, dove c’è Boko Haram», ha affermato Jules Kasereka, sindaco di Beni. Tuttavia, alcuni leader della società civile e certi gruppi per la difesa dei diritti umani ritengono che le autorità esagerano deliberatamente il ruolo delle ADF negli attacchi commessi contro le popolazioni civili. «È molto difficile dimostrare che le ADF siano responsabili di un attacco in particolare», ha detto Michel Musafiri, ricercatore membro di un gruppo per i diritti umani nella regione di Beni. «Finora, pochi sono gli assalitori che sono stati identificati. Quando le autorità hanno affermato che gli attaccanti erano membri delle ADF, spesso è apparso in seguito che non era vero», ha aggiunto.

Chi sono i responsabili dei massacri?

La frequenza delle violenze – commesse per di più su un vasto territorio – e il fatto che alcuni degli aggressori parlino Kinyarwanda – una lingua che non è generalmente parlata nella regione di Beni – fanno pensare all’implicazione di altri gruppi armati originari da una vasta area geografica. «Le ADF non sono proprio quello che la gente pensa che siano», ha affermato Jason Stearns, l’autore principale del rapporto, sottolineando che «le ADF non sono un’organizzazione islamista straniera, ma una milizia profondamente radicata nella società locale che ha legami con attori politici ed economici. Se è vero che le ADF sono responsabili della maggior parte dei massacri, è chiaro però che vi sono implicati anche altri gruppi armati, come dei soldati congolesi». «Oltre ai comandanti specificamente appartenenti alle ADF, negli attacchi contro la popolazione civile sono implicati anche certi membri delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), degli ex [ribelli] del Raggruppamento Congolese per la Democrazia – Kisangani / Movimento di Liberazione (RCD-K / ML) e membri di milizie locali», conclude il rapporto.

Alcuni ufficiali hanno ammesso che erano stati loro offerti 250 $ per ogni persona uccisa, ma non hanno voluto rivelare i nomi. In alcuni casi, i soldati delle FARDC sono arrivati nei villaggi uno o due giorni prima che avvenissero i massacri. «I soldati erano arrivati per proteggere il villaggio, così avevano detto. Invece hanno attaccato la popolazione», ha dichiarato Modeste Makuta, un tassista di 27 anni, abitante di Tenambo, un villaggio alla periferia di Oicha, dove si sono verificati vari attacchi. Egli ha aggiunto che «gli aggressori indossavano uniformi dell’esercito congolese e ho riconosciuto il loro comandante, un colonnello di nome Byamungu. Non avevamo mai avuto problemi con le ADF, perché non hanno mai attaccato il villaggio».

Spesso i caschi blu della Monusco e i militari delle FARDC non sono intervenuti, anche quando i massacri sono stati perpetrati vicino alle loro postazioni. Si dice anche che, in alcuni casi, i comandanti delle FARDC hanno ordinato ai loro uomini di non intervenire.

Cultura dell’impunità

«Le autorità hanno concentrato i loro sforzi sulla lotta contro le ADF, senza cercare di identificare formalmente gli autori degli attacchi e senza [assicurarsi] che [siano] portati davanti alla giustizia», ha dichiarato Michel Musafiri. Le autorità hanno arrestato un certo numero di individui apparentemente associati alle ADF, ma nessuno di loro è stato processato o condannato. Le associazioni per la difesa dei diritti umani sospettano quindi l’esistenza di una complicità al più alto livello.

Quali sono le cause della violenza?

Le ADF sono presenti nella RDCongo da oltre due decenni. Il gruppo ribelle ha stretto forti legami con personalità politiche ed economiche locali e si è inserito nelle reti esistenti del contrabbando, in particolare quella del legname, approfittando della corruzione esistente all’interno delle FARDC, della polizia e dell’amministrazione locale. Questa economia illegale è al centro della violenza e dell’instabilità esistenti da decenni nell’est del Paese.

«Per riportare la stabilità nel Nord Kivu, occorre assolutamente tener conto del fatto che anche le rivalità locali costituiscono un’altra causa delle violenze», ha affermato Teddy Kataliko, uno dei leader della società civile della provincia del Nord Kivu, in cui si trova il territorio di Beni.[1]

A questo proposito, nel mese di marzo 2016, il Gruppo di Studi sul Congo (GEC) ha pubblicato un rapporto intitolato “Chi sono i responsabili dei massacri di Beni?”, in cui descrive la composizione etnico sociale del territorio di Beni nei seguenti termini:

La città e il territorio di Beni, a nord del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, costituiscono una regione abitata da varie comunità: Nande, Mbuba, Pakombe, Mbuti e Talinga. Tensioni tra queste comunità esistono sin dall’epoca coloniale, durante la quale l’amministrazione belga aveva favorito la nomina di Nande nel governo locale, perché li considerava più sofisticati. Essa aveva addirittura imposto dei capi Nande a entità amministrative tradizionalmente appartenenti ad altre comunità. Questa supremazia si era accentuata con l’immigrazione di Nande partiti dal territorio di Lubero in cerca di terre coltivabili e di nuove opportunità politiche. Questa situazione si è vista riflessa nelle elezioni provinciali del 2006, dal momento in cui i 10 eletti per la circoscrizione di Beni sono originari della comunità Nande e nelle elezioni nazionali, in quanto otto dei 10 deputati sono dei Nande. Gli altri due eletti appartengono alla comunità dei Talinga.

Il conflitto tra i Mbuba e i Nande sembra essere particolarmente rilevante: i primi considerano i secondi come degli intrusi, a causa della migrazione di un numero considerevole di Nande provenienti da Lubero, un territorio con alta densità di popolazione, verso le zone meno popolate di Beni, tradizionalmente occupate da altre comunità. La pressione esercitata dagli “agricoltori” Ñande sulle terre coltivabili, abitate da queste altre comunità già da lungo tempo, ha continuato a crescere, provocando, in queste ultime, un risentimento sempre più crescente, nella misura in cui le terre libere stanno diventando sempre più scarse.

Queste tensioni si sovrappongono ad altre all’interno della comunità Mbuba, in cui tre clan si contendono la gestione amministrativa del raggruppamento Bambuba-Kisiki. Questo raggruppamento di villaggi si estende lungo la strada Oicha – Eringeti, dove sono avvenuti molti massacri. I clan Ombi e Mamba accusano il clan Bohio di avere approfittato delle sue relazioni con il potere coloniale per usurpare la direzione del raggruppamento, nonostante il fatto che il clan Bohio vi sia immigrato dopo di loro. Questo conflitto è rimasto latente fino al 2012, anno del decesso del capo del raggruppamento. Alla fine, gli succede il figlio, ma una disputa aperta scoppia all’interno della comunità e un capo del clan Mamba reclama il potere. D’altronde, quest’ultimo accusa il clan Bohio di aver favorito l’installazione dei Nande nel loro raggruppamento. Simili conflitti sulla gestione delle terre esistono anche tra i Nande e i Talinga, tra i Pakombe e i Mbuba. A partire dal 2001, queste tensioni avrebbero portato alla creazione di milizie locali che si sarebbero poi alleate con le ADF-Nalu.[2]

2. IL SEQUESTRO DI TRE RELIGIOSI ASSUNZIONISTI NEL MESE DI OTTOBRE 2012

Il 19 ottobre 2012, tre sacerdoti assunzionisti della parrocchia di Nostra Signora del povero erano stati sequestrati a Mbau, una cittadina situata a 20 km dalla città di Beni, nel nord Kivu (est della RDCongo). Si tratta dei PP. Jean-Pierre Ndulani, Edmond Kisughu e Anselme Wasukundi. Fino ad oggi, nulla si sa sui loro sequestratori, né sulla loro sorte. Nessuno ha potuto accertare le circostanze del loro sequestro. Sono ancora vivi? Nessuno lo sa. Padre Benoit Grière, Superiore Generale degli Agostiniani dell’Assunzione, ha dichiarato di deplorare «l’incertezza che ancora caratterizza il loro sequestro».[3]

Il 21 ottobre 2014, il quotidiano “La Croix” aveva dedicato un articolo ai tre padri assunzionisti sequestrati nel Nord Kivu 2 anni prima.

I PP. Jean-Pierre Ndulani, Edmond Kisughu e Anselme Wasukundi sarebbero stati sequestrati da una milizia locale, poi venduti a un gruppo armato di ispirazione musulmana e, infine, uccisi da questo ultimo gruppo. Fino ad oggi, nessuno ha potuto accertare le circostanze del loro sequestro, né la loro sorte. Nessuna rivendicazione, un groviglio di conflitti interetnici, assenza dello Stato in una zona isolata, corruzione e gruppi armati, voci infondate, false notizie, manipolazioni … il caso è complesso e tutto concorre a mantenere l’incertezza sul sequestro e il destino dei tre religiosi.

Quale sarebbe stata la causa del sequestro?

«I tre padri assunzionisti sono congolesi, di etnia Nande. Ma sono stati inviati in una parrocchia prevalentemente Bambuba, un’etnia tradizionalmente ostile ai Nande», spiega a La Croix Nicaise Kibel’Bel Oka, il direttore del bimestrale Les Coulisses, noto nella regione del Nord Kivu per essere abbastanza informato.

Secondo questo giornalista, «la popolazione di Mbau aveva chiesto dei preti originari della sua comunità. Probabilmente, una parte di essa è rimasta profondamente delusa dalla decisione presa dalla diocesi in occasione della nomina, nell’ottobre 2012, della nuova equipe sacerdotale della parrocchia. I tre sacerdoti potrebbero essere stati sequestrati, una settimana dopo il loro insediamento, da un gruppo armato locale prima di essere consegnati alle ADF-Nalu».

Effettivamente, la regione del Kivu è caratterizzata da forti tensioni di tipo comunitario, aggravate da conflitti fondiari e da rivalità per il controllo dello sfruttamento (produzione e commercio) dei minerali. La stessa Chiesa cattolica – una delle poche istituzioni ancora in piedi nella RDCongo – non sempre sfugge a questa realtà: l’appartenenza comunitaria a volte gioca un ruolo non trascurabile nel reclutamento, la nomina e l’accettazione dei sacerdoti nelle comunità parrocchiali del Kivu.

Il gruppo etnico che domina il Nord Kivu (Diocesi di Butembo) è quello dei Nande (circa il 90% della popolazione). «Spesso percepito come un gruppo dominatore e arrogante, i Nande non sono sempre apprezzati nella regione», dice un congolese di Goma. «Si trovano nei posti di comando della Diocesi di Butembo», aggiunge Taylor Toeka Kakalal, un giornalista cattolico congolese che conosce il Kivu.

Chi sono i possibili autori del sequestro?

Nicaise Kibel’Bel Oka evoca la responsabilità di un gruppo locale di Mai Mai e del “brigadiere generale” Paluku Kombi Hilaire, un ufficiale disertore dell’esercito congolese e vero “padrino” della zona. I suoi sostenitori dominano infatti Beni e i suoi dintorni. Data questa situazione, è difficile credere che non egli non sia in qualche modo implicato in questo caso. Secondo un osservatore, «o ha lui stesso ordinato il sequestro, o ha recuperato gli ostaggi dal gruppo locale che li aveva sequestrati. Per lui, essere in possesso degli ostaggi potrebbe essere stato un modo per affermare la sua autorità sulla popolazione e sui gruppi Mai-Mai, quando i suoi amici del Movimento del 23 marzo (M23) dominavano parte del Nord Kivu e stavano marciando su Goma». Nello situazione attuale e data la scarsità delle informazioni disponibili, questa ipotesi sembra ormai la più credibile.

Cos’è poi è successo?

Nicaise Kibel’Bel Oka afferma poi che Paluku Kombi Hilaire avrebbe consegnato i tre sacerdoti, in cambio di armi, ad un altro gruppo armato, le Forze Democratiche Alleate – Esercito di Liberazione dell’Uganda (ADF-NALU), un gruppo ribelle musulmano di origine ugandese. Si tratta di un’affermazione condivisa da molti osservatori della regione, come la giornalista inglese Caroline Hellyer che, in quel periodo, si trovava a Beni. Contattata a Londra dove oggi risiede, ella afferma che «alla fine dell’estate del 2013, le ADF aveva accettato delle trattative per liberarli». Ma un intervento militare dell’esercito congolese «ha chiuso tutte le porte». A questo punto, il motivo per cui questo gruppo, le ADF, ha deciso di accettare i tre sacerdoti non è chiaro. Le ADF-Nalu hanno sempre privilegiato la discrezione e la dissimulazione. «I loro ostaggi non sono personalità importanti. Esse sequestrano delle persone che sono loro immediatamente utile: dei giovani per trasportare le cose razziate durante gli attacchi, dei contadini per lavorare i campi, dei falegnami, degli uomini tuttofare, delle donne per servirsene come schiave sessuali, dei bambini soldato … Non vedo come questi preti possano essere stati a loro utili», fa notare il capo di una ONG internazionale che opera in questa zona per condurre un’inchiesta sulle ADF.

Che si sa oggi della sorte dei tre preti?

Dall’inizio di gennaio 2014, l’esercito congolese ha intrapreso un’offensiva contro le ADF-Nalu, l’operazione Sukola. 200 ostaggi, tra cui una ventina di uomini, ne hanno approfittato per fuggire. Quelli che li hanno interrogati non hanno rilevato alcuna prova attendibile sulla presenza dei tre sacerdoti tra gli ostaggi. Secondo il quotidiano Les Coulisses e Radio Kivu 1, i tre Assunzionisti sono stati uccisi nell’estate 2014 dalle ADF-Nalu, perché rifiutavano di convertirsi all’Islam. Ma nulla lo dimostra. «Le ADF sono note per esigere la conversione forzata e torturare quelli che resistono. La missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite in Congo (MONUSCO) ne ha trovato le prove nel campo di Medina, caduto nelle mani dell’esercito congolese in primavera. Per il resto, non si può dire di più», afferma il capo della ONG internazionale, riassumendo il punto di vista generale. La probabilità di ritrovare vivi i tre sacerdoti sembra, purtroppo, piuttosto debole.[4]

3. L’ASSASSINIO DEL P. ASSUNZIONISTA VINCENT MACHOZI

Il 20 marzo, nel corso della notte, il Padre assunzionista Vincent Machozi Karunzu, originario del villaggio di Vithungwe, in territorio di Beni, Nord Kivu e assegnato alla parrocchia di Lyambo / Kalemire della città di Butembo, è stato assassinato all’interno del Centro sociale “Mon Beau Village” situato a Vitungwe-Isale.

È verso le 23h00 che circa dieci uomini in uniforme delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e fortemente armati, sono arrivati a bordo di una jeep, hanno fatto irruzione all’interno del Centro Sociale “Mon Beau Village” e hanno subito sparato su di lui colpendolo a morte.

  1. Machozi come presidente internazionale della Comunità Nande (“Kyaghanda Yira”), era un uomo influente e popolare. Sul sito Benilubero.com, da lui fondato nel 2010, denunciava regolarmente tutte le violenze perpetrate contro la popolazione locale, sistematicamente cacciata dalle sue terre, terrorizzata e massacrata da gruppi armati. Il Padre Machozi si diceva fiero di aver informato l’opinione nazionale e internazionale su ben “1.155 casi di martiri congolesi” e di avere denunciato “le manovre di occupazione del Kivu da parte del regime ruandese e i vari tentativi di balcanizzazione della Repubblica Democratica del Congo”. Secondo lui, Joseph Kabila (Presidente della Repubblica Democratica del Congo dal 2001) e Paul Kagame (presidente del Ruanda dal 2000) sarebbero i mandanti dei massacri commessi sul territorio di Beni, per sfruttarne il sottosuolo ricchissimo in coltan. Ha anche chiesto un’inchiesta internazionale sull’estrazione illegale dei minerali e sull’implicazione degli eserciti congolese e ruandese in questi massacri.[5]

Il 3 marzo, 17 giorni prima del suo assassinio, in una lettera inviata per e-mail, il P. Machozi scriveva:

«Le cause del genocidio delle popolazioni del Kivu-Ituri:

– L’occupazione geo-economica del Kivu-Ituri da parte del Ruanda e dell’Uganda in complicità con il presidente congolese Joseph Kabila. Senza essere smembrato ufficialmente, il Kivu-Ituri è, dal 1996, economicamente sfruttato da Ruanda e dall’Uganda, due paesi alle dirette dipendenze delle multinazionali minerarie interessati per l’oro, il petrolio, il coltan, la cassiterite, i diamanti, il legname, il cacao, etc.

– Le velleità espansioniste del Ruanda e dell’Uganda, dovute al piano di controllo sulle zone minerarie dell’est della R.D.Congo.

– Gli autori dei massacri di Beni sono per lo più truppe e milizie di lingua Kinyarwanda. – La strategia operativa degli assassini (commando mobili), il metodo di uccisione delle vittime (la mutilazione dei cadaveri), le armi usate (machete, asce e armi da fuoco) e la lingua principale degli assassini (kinyarwanda) sono elementi riscontrati anche in occasione della guerra del CNDP – M23 (2010-2013) e del genocidio ruandese del 1994. Nell’attuale genocidio in corso, è dunque ben visibile la mano del Ruanda.

– Per occupare l’est della RDCongo, occorre una forza di occupazione. È così che il regime tutsi di Kigali strumentalizza gli Hutu del Ruanda e della RDCongo per servire come forza di occupazione. Nel caso di una vittoria della popolazione congolese sugli occupanti hutu, il regime tutsi di Kigali non perderebbe nulla, perché si sarebbe sbarazzato di un surplus di Hutu in Ruanda. Nel caso di una riuscita del genocidio contro gli Yira, il regime tutsi di Kigali sarebbe soddisfatto di aver conquistato una terra fertile e ricca di minerali nell’est della RDCongo.

– I massacri delle popolazioni autoctone mirano a rendere l’est della RDCongo ingovernabile e insicuro, al fine di impedire l’organizzazione delle elezioni prima della sua reale occupazione da parte di popolazioni di lingua ruandese. Queste ultime occuperebbero le terre lasciate inoccupate dalle popolazioni locali massacrate o condannate a fuggire lontano dalle zone minerarie ambite dal Ruanda e dall’Uganda.

– L’attuale arrivo in massa, nel Nord Kivu e nell’Ituri, di popolazioni hutu del Ruanda, muniti di carte d’identità congolesi o di autorizzazioni firmate dalle autorità congolesi del Nord Kivu, fa parte di questa strategia di occupazione e spiega la totale implicazione del governo congolese nella progressiva occupazione dell’est della RDCongo da parte di popolazioni hutu ruandesi.

– L’occupazione ruando-ugandese dell’est della RDCongo è facilitata dalle istituzioni congolesi responsabili della sicurezza e della difesa del territorio nazionale della RDCongo, cioè dalle Forze Armate della RDCongo (FARDC), dalla Polizia Nazionale Congolese (PNC) e dall’Agenzia Nazionale dei servizi di intelligence (ANR).

Occorre far notare che, durante i suoi due mandati presidenziali, il presidente Joseph Kabila ha infiltrato molti Ruandesi nell’esercito, nella polizia, nei servizi di intelligence, nelle imprese statali, ecc. In effetti, tutte le sedicenti “ribellioni” dell’est della RDCongo sono state delle alleate fedeli dei regimi di Kinshasa, Kigali e Kampala, per sottomettere la popolazione congolese locale, saccheggiare impunemente le risorse naturali e minerarie della regione, facilitare l’infiltrazione ruando – ugandese in tutte le istituzioni della RDCongo, per occupare definitivamente le terre fertili della regione e spianare la strada alla balcanizzazione o a una pseudo autonomia dell’est della RDCongo, tanto ambito dai Paesi limitrofi e dalle multinazionali.

– L’implicazione del regime di Joseph Kabila sembra confermata dalla passività e dall’inefficienza delle FARDC, della Polizia Nazionale Congolese (PNC) durante i massacri perpetrati. Spesso è molto tempo dopo i massacri che le forze di sicurezza congolesi arrivano sul luogo del crimine, quando gli aggressori sono già fuggiti e non resta che fare una semplice constatazione. Inoltre, non si è mai aperta alcuna inchiesta seria sui presunti responsabili dei massacri, cosicché gli assassini rimangono impuniti».[6]

Il 3 aprile, in un articolo dal titolo “L’ora delle rivelazioni sull’assassinio del P. Vincent Machozi e i massacri di Beni”, il sito benilubero.com presenta una breve cronologia, non esaustiva, di un piano di assassinio del P. Machozi:

– Nel mese di aprile 2015, l’ufficio di padre Vincent venne a sapere che Nzanzu Kyakere Roger, alias Berlin, aveva iniziato delle procedure per creare un nuovo gruppo Mai-Mai, con l’obiettivo di combattere contro gli autori dei massacri di Beni. Riunioni in questo senso si tennero a Kampala, in Uganda. L’entourage di padre Vincent decise di contattare Roger, per dissuaderlo da tale decisione, perché la comunità Nande aveva intuito che si trattava di una trappola.

– Nel mese di giugno 2015, l’ufficio di padre Vincent constatò con rammarico che, invece di desistere dall’impresa, seguendo i consigli ricevuti dalla sua comunità di base, Nzanzu Kyakere Berlin era diventato sempre più arrogante, beneficiando la protezione dei servizi di sicurezza, tra cui l’ANR, attraverso Jonas Kabuyaya, capo ufficio dell’ANR di Butembo.

– Nel mese di settembre 2015, apparve un nuovo gruppo armato denominato “Mai-Mai Kyaghanda Yira” condotto da Nzanzu Kyakere Roger, alias Berlin, in collaborazione con Daniel Masinda, alias Eric. Il vero obiettivo per creare questo gruppo era quello di servire come copertura per nascondere la vera identità dei responsabili dei massacri dei Nande a Beni-Lubero e per sostenere la tesi di Joseph Kabila che i Nande si stanno uccidendo tra loro.

– Nel frattempo, l’ufficio di padre Vincent ottiene la prova che Nzanzu Kyakere Roger alias Berlin, Daniel Masinda alias Eric e il loro gruppo Mai-Mai si erano associati con un ufficiale disertore delle FARDC, il colonnello Richard Bisambaza.[7]

– Dal 13 gennaio 2016, Daniel Masinda alias Eric, forte del sostegno dei servizi di sicurezza, minaccia sempre più apertamente Padre Vincent Machozi, affinché cessi di indagare sulle sue attività da lui svolte in collaborazione con Nzanzu Kyakere Roger alias Berlin e sul loro gruppo Mai-Mai. – L’11 marzo 2016, Benilubero.com ottiene delle informazioni su un’intensa collaborazione tra Roger e Bisambaza, per portare qualcuno alla testa degli ex soldati M23 nel Graben. Infatti, stimolato da Clovis Kalonda che si presenta come nuovo capo del M23, Bisambaza accetta di diventare il suo agente militare privilegiato.

– Il 17 marzo 2016, alcuni testimoni informano Benilubero.com del fatto che Daniel Masinda alias Eric, collaboratore di Berlin, è stato notato nella zona di Vitungwe, dove il padre Vincent è stato ucciso tre giorni dopo.

– Il 20 marzo 2016, padre Vincent Machozi rivela all’ufficio di Benilubero.com e ai suoi più stretti collaboratori del Kyaghanda di essere stato sollecitato dal Mwami Abdul Kalemire III, per incontrarlo a Vitungwe. Vi è andato, ignaro di tutto ciò che gli sarebbe poi successo. Un incontro privato tra le due persone fino a tarda notte, verso le 23h00, quando il capo Abdul Kalemire si congeda da lui. Solo qualche minuto dopo, arriva un gruppo di uomini fortemente armati che gli sparano contro, uccidendolo. Tutto questo è avvenuto nella concessione di Padre Machozi, il centro sociale “Il mio bellissimo villaggio”, che il capo Abdul Kalemire III aveva lui stesso proposto per l’incontro con il Padre e per la riunione dei capi tradizionali che aveva convocato per il giorno seguente. – Il 21 marzo 2016, presso l’una di notte, il capo Kalemire informa i membri della comunità della diaspora Yira del fatto che il padre Vincent è stato ucciso e che lui stesso ha potuto salvarsi, solo per il fatto che aveva lasciato il centro sociale pochi minuti prima dell’arrivo degli assassini.

Poco dopo, altri testimoni oculari informano che, nel momento della tragedia, il capo Kalemire III era ancora dentro il centro sociale, bloccato nella stanza che gli era stata preparata per la circostanza dell’incontro con i capi tradizionali locali che lui stesso aveva convocato. Non ne è uscito che il mattino del 21 marzo. La guardia del corpo del capo Kalemire non ha fatto alcun sforzo significativo per tentare di proteggere la vittima, nonostante fosse stata allertata dalle altre persone presenti nel centro. Nemmeno la Polizia Nazionale di Bulambo ha fatto qualcosa.

Nel frattempo, nell’euforia di questa “vittoria”, Daniel Masinda distribuisce dei messaggio per chiedere uno dei suoi corrispondenti di comunicare al Coordinatore Generale del Kyaghanda della diaspora che padre Vincent è appena stato ucciso e che cominci ad aspettare il suo turno.[8]

4. MASSACRI E SEQUESTRI: UN DRAMMA SENZA FINE

a. Le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR)

Il 25 aprile, verso le 16.30, cinque persone sono state sequestrate mentre lavoravano nei loro campi a Kalembe-Kalonge, un villaggio del settore di Wanyanga, nel territorio di Walikale. I presunti sequestratori potrebbero essere dei combattenti della milizia Nyatura o delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).[9]

Il 27 aprile, durante la notte, tre persone sono state uccise e altre tre ferite in un attacco armato contro una posizione delle Forze Armate della RDC (FARDC) in località Mulamba, del territorio di Masisi (Nord Kivu). Fonti locali attribuiscono questo fatto a un gruppo di combattenti Nyatura appoggiati dalle FDLR. I combattenti Nyatura avrebbero compiuto l’attacco per vendicare le recenti azioni condotte contro di loro dal comandante della polizia di Mulamba.[10]

Il 28 aprile, verso le 19.00, Luanda Bonne-Année, capo del raggruppamento di Bambo, nella zona di Bwito del territorio di Rutshuru, è stato assassinato presso il suo domicilio di Bambo. Se alcuni ritengono che Luanda Bonne-Année sia stato ucciso da miliziani delle FDLR o dei NYATURA, altri parlano di uomini armati non identificati. Alcuni abitanti del posto sostengono che sia stato vittima di lotte di potere e che la sua morte sia stata la conseguenza di un malcontento all’interno della famiglia regnante. Altri, invece, pensano che, essendo il capo tradizionale della comunità hunde, sia stato vittima di conflitti etnici e che i suoi assassini siano degli estremisti di etnia Hutu.[11]

Il 28 aprile, verso le 16.00, a Mukumomole, un villaggio del raggruppamento d’Itala, in territorio di Lubero, le FDLR hanno sequestrato una coppia di contadini che stavano ritornando dai loro campi a casa loro a Miriki.[12]

Il 28 aprile, dei miliziani Nyatura alleati delle FDLR hanno ucciso quattro delle dieci persone sequestrate nel villaggio di Kalembe, nel territorio di Walikale. Secondo il coordinamento provinciale della società civile del Nord Kivu, i corpi delle vittime sono stati ritrovati in una grotta.[13]

Il 30 aprile, cinque civili sono stati sequestrati sulla strada di Kinyondo / Mapera, a metà strada tra Kayna e Kanyabayonga, a sud del territorio di Lubero. Secondo Jackson Mulengue Molo, che è riuscito a fuggire, i 6 rapitori erano probabilmente membri delle FDLR, ben armati e con uniformi militari dell’esercito e della polizia.[14]

Il 3 maggio, verso le 10.00, tre agenti umanitari, autisti per il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), sono stati rapiti da uomini armati di lingua ruandese. Li hanno fermati e fatti scendere dai loro veicoli sulla strada tra Kishishe e Bambu, nel raggruppamento di Mutanda (a 40 km a sud di Kibirizi), nel territorio di Rutschuru. Secondo alcuni testimoni, i rapitori potrebbero essere dei miliziani NYATURA o FDLR.[15]

Il 6 maggio, verso le 12h00, 7 civili sono stati sequestrati a Kishi, tra Kibirizi e Nyanzale. Le vittime sono uomini e donne che erano a bordo di un veicolo marca Fuso. I rapitori hanno fermato il veicolo e sono poi fuggiti in foresta portando con sé l’autista e sei passeggeri che erano a bordo. Il secondo autista è stato lasciato sulla strada con il veicolo. I rapitori, che parlavano Kinyarwanda, potrebbero essere dei membri delle FDLR o dei miliziani NYATURA.[16]

Il 6 maggio, sono stati liberati i tre dipendenti congolesi del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), rapiti il 3 maggio. È verso le 17h30 che i 3 ex ostaggi sono arrivati a Bambo. Alcune indiscrezioni parlando di un possibile pagamento di riscatto da parte del CICR in cambio della loro libertà.[17]

Il 10 maggio, verso le 23h00, dei combattenti delle FDLR sono entrati nella casa di Jade Ndaki (30 anni), residente a Kikuku, nella zona di Bwito, in territorio di Rutshuru. L’hanno portato fuori insieme alla moglie e ai tre figli, poi gli hanno sparato al petto e sgozzato.[18]

L’11 maggio, verso le 19h00, le FDLR hanno fatto irruzione nel villaggio di Bwalanda, nel territorio di Rutshuru. Hanno saccheggiato alcune case e rubato 15 capre. La popolazione di Bwalanda non può più accedere ai propri campi, né spostarsi, perché circondata dalle FDLR e dai NYATURA, loro alleati.[19]

Il 12 maggio, tra le 9h00 e le 14h00, le FDLR hanno bloccato la strada Kikuku-Kyaghala nei pressi di Malianga, nel territorio di Rutshuru. Hanno rubato 4 moto-taxi e i beni di cui erano in possesso i tassisti e i loro clienti. Molte delle loro altre vittime si stavano recando al mercato di Kikuku.[20]

Il 12 maggio, l’amministratore del territorio di Rutshuru (Nord Kivu), Justin Mukanya, ha annunciato che, dall’inizio di maggio, circa duecento persone sono detenute presso la prigione centrale di Rutshuru, sospettati di essere, direttamente o indirettamente, alla base dell’insicurezza constatata sul territorio a partire dal mese di febbraio scorso. Secondo Justin Mukanya, la situazione della sicurezza è comunque migliorata, anche se si registrano ancora degli attacchi ai veicoli in transito, omicidi e sequestri di persone.[21]

Il 14 maggio, verso mezzanotte, uomini armati hanno attaccato una posizione dell’ esercito uccidendo due soldati e ferendone un altro, nella località di Kilimanyoka, in zona Kibati, nel territorio di Nyiragongo. Lo scontro tra gli assalitori e i militari è durato quasi un’ora. Gli aggressori non sono stati identificati. Secondo il capitano William Djike, potrebbe trattarsi delle FDLR. Secondo il CEPADHO, potrebbe trattarsi di un attacco delle Forze dell’esercito ruandese (Rwanda Defense Forces – RDF), in seguito all’attacco di Mudende, nel distretto di Rubavu, in Ruanda, avvenuto nel mese di aprile. Secondo il Ruanda, questo attacco sarebbe stato effettuato dalle FDLR con la complicità diretta delle FARDC, l’esercito congolese. L’obiettivo del Ruanda sarebbe quello di procurarsi degli elementi da presentare come prove contro le FARDC, per accusarle dell’attacco di Mudende / Rubavu: va ricordato che le autorità ruandesi avevano promesso al gruppo del Meccanismo Congiunto di Verifica (MCV) della CIRGL di fornire delle prove sull’implicazione delle FARDC nell’attacco di Rubavu. È ovvio che sono le armi e le munizioni portate via durante l’attacco di Kilimanyoka che saranno presentate al MCV della CIRGL da Kigali come prove contro le FARDC.[22]

b. Le Forze Democratiche Alleate (ADF)

Il 1° maggio, verso le 6.00 e le 07.20 rispettivamente, dei miliziani delle Forze Democratiche Alleate (ADF) hanno attaccato due postazioni dell’esercito congolese (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo – FARDC) a Kamungu e a Lese, nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki, a nord est del Settore di Beni-Mbau. Negli scontri sono stati uccisi due civili, tra cui il signor Boluse, capo tradizionale di Kamungu. Sono rimasti uccisi anche 2 membri delle ADF. Almeno 17 sono i civili che sono stati rapiti, fra cui 6 a Kamungu e 11 a Lese.[23]

Il 3 maggio, tra le 19h45 e le 21h00, le ADF hanno fatto irruzione nei due villaggi di Mimibo e di Mutsonge, in località Baungatsu-Luna, nei pressi di Eringeti, nel settore di Beni-Mbau. Secondo varie testimonianze, gli aggressori sono entrati in alcune case e hanno ucciso a colpi di machete e di asce almeno 17 civili (5 donne, 4 bambini e 8 uomini). Se i civili uccisi erano membri di diverse famiglie, 7 erano membri di una stessa famiglia. Tra i morti, un capo locale, il capita Donia. Secondo alcune fonti, gli assalitori hanno attaccato i civili con i machete, e non con armi da fuoco, per non essere sentiti dai militari delle FARDC e della missione delle Nazioni Unite stanziati a poca distanza. Reagendo alla notizia relativa a questi massacri, la società civile di Beni ha deplorato la “negligenza” da parte delle truppe delle Forze Armate della RDC (FARDC) e della MONUSCO, basate a circa 300 metri dal luogo del massacro. Inoltre, il presidente della società civile, Teddy Kataliko, ha fatto notare che, poche ore prima della tragedia, la popolazione ne aveva dato l’allarme. La società civile ha quindi denunciato «una certa inefficienza nella gestione stessa delle informazioni ricevute. Dato che la popolazione aveva fatto la sua parte, sarebbe stato possibile prendere le misure appropriate per affrontare il nemico».[24]

Il 6 maggio, i miliziani ugandesi delle ADF avrebbero ucciso nove persone a Tingwe, un villaggio della località di Baungatsu-Luna, Settore di Beni-Mbau, a nord del territorio di Beni, al confine tra il Nord Kivu e l’Ituri. La società civile di Komanda riferisce che i corpi delle vittime sono stati ritrovati in serata, mutilati a colpi di machete.

Dopo il massacro di Tingwe, le ADF si sono recate a Biane, un villaggio tra Ndalia e Katabei, nella zona di Walese-Vukutu, in territorio d’Irumu, Provincia di Ituri. Qui a Biane, tra le 13h00 e le 15h00, sono stati massacrati 12 civili, tra cui 4 donne e 8 uomini. Gli aggressori hanno inoltre saccheggiato dei capi di bestiame. Gli assalitori erano circa una decina, erano muniti di machete e fucili e indossavano uniformi militari. Poche ore prima del massacro, erano stati visti dalla popolazione nella boscaglia dei dintorni di Ndalya. La popolazione aveva quindi allertato le Forze Armate della RDC (FARDC), che si sono dispiegate in zona per inseguire gli aggressori. La società civile di Komanda ha chiesto alle autorità militari di rafforzare le loro postazioni, per garantire la sicurezza della popolazione che teme nuovi massacri.[25]

Il 14 maggio, cinque civili sono stati uccisi e delle case incendiate nel corso di un attacco perpetrato da presunti membri delle ADF, nelle località di Ndalia e di Katabeyi, in Ituri, al limite con la provincia del Nord Kivu. Secondo alcuni testimoni, l’attacco è avvenuto nel pomeriggio. Gli assalitori hanno ucciso due degenti che si trovavano presso il centro sanitario di Katabeyi, in seguito incendiato. Gli attaccanti avrebbero poi ucciso un tassista, insieme ad una signora che stava trasportando. La quinta vittima sarebbe un bimbo di circa due anni. Fonti locali indicano che, informati dell’attacco, i militari si sono messi alla ricerca degli assalitori. Secondo il vice comandante della zona operativa dell’esercito in Ituri, due aggressori sono stati uccisi. Un altro è stato catturato. Si tratta di un secondo attacco attribuito a presunti miliziani delle ADF nell’Ituri nel giro di circa due settimane. I due attacchi hanno causato la morte di almeno 16 persone.[26]

[1] Cf Katarina Höije – Irin – Beni, 08. 04.’16

[2] Cf Texte complet : http://congoresearchgroup.org/wp-content/uploads/2016/03/Rapport-Beni-GEC-21-mars.pdf

[3] Cf Le Potentiel – Kinshasa, 21.10.’15

[4] Cf Laurent Larcher – La Croix, 21.10.’14 http://www.la-croix.com/Actualite/Monde/Que-sont-devenus-les-trois-pretres-enleves-il-y-a-deux-ans-au-Nord-Kivu-2014-10-21-1224823

[5] Cf Claire Lesegretain – La Croix, 23.03.’16

[6] Cf Benilubero.com, 12.04.’16 – Texte complet: http://benilubero.com/une-lettre-confidentielles-du-pere-vincent-machozi-qui-dit-tout/

[7] Il colonnello Richard Bisamaza, ex membro del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), integrato nell’esercito nazionale congolese, era stato nominato comandante della zona operativa di Beni e ha disertato l’esercito in agosto 2013, per integrare la ribellione del Movimento del 23 marzo (M23). Dopo la sconfitta del M23, è fuggito in Uganda e da allora vive a Kampala, in Uganda. Tuttavia, ci sono rapporti credibili che segnalano la sua presenza intorno a Beni, anche dopo la sua partenza, per esempio l’11 febbraio 2015, a Mapobu, nei pressi di Mayi Moya. Quando il colonnello Bisamaza ha disertato l’esercito, la maggior parte dei suoi soldati sono passati al gruppo Mai-Mai di Hilaire Kombi.

[8] Cf Beni Lubero Online, 03.04.’16 – testo integrale in francese:

http://benilubero.com/lheure-des-revelations-sur-lassassinat-du-pere-vincent-machozi-et-les-massacres-de-beni/

[9] Cf Bulletin d’information-CEPADHO du 27 Avril 2016

[10] Cf Radio Okapi, 29.04.’16

[11] Cf Bulletin d’Information-CEPADHO du 28 Avril 2016

[12] Cf Bulletin d’Information-CEPADHO du 29 Avril 2016

[13] Cf Radio Okapi, 01.05.’16

[14] Cf Bulletin d’information-CEPADHO du 02 Mai 2016

[15] Cf Bulletin d’information-CEPADHO du 03 Mai 2016

[16] Cf Bulletin d’Information-CEPADHO du 06 Mai 2016

[17] Cf Bulletin d’Information-CEPADHO du 06 Mai 2016

[18] Cf Bulletin d’Information-CEPADHO du 14 Mai 2016

[19] Cf Bulletin d’Information-CEPADHO du 14 Mai 2016

[20] Cf Bulletin d’Information-CEPADHO du 14 Mai 2016

[21] Cf Radio Okapi, 12.05.’16

[22] Cf Radio Okapi, 15.05.’16; AFP – Africatime, 15.05.’16; Bulletin d’Information-CEPADHO du 15 Mai 2016

[23] Cf 2è Bulletin d’information-CEPADHO du 1er Mai 2016

[24] Cf Radio Okapi, 04.05.’16; Bulletin d’Information-CEPADHO du 04 Mai 2016

[25] Cf Radio Okapi, 07 et 08.05.’16; Déclaration du Cepadho à la suite du nouveau massacre de civils par les ADF à Biane et Tingwe, 07 mai 2016

[26] Cf Radio Okapi, 15.05.’16