Congo Attualità n. 274

CHI SONO I RESPONSABILI DEI MASSACRI DI BENI?

Gruppo di studi sul Congo

marzo 2016

INDICE

I. SINTESI E RACCOMANDAZIONI

II. INTRODUZIONE

III. PRESENTAZIONE DEI FATTI

IV. CHI SONO GLI AUTORI DEI MASSACRI? UNA VALUTAZIONE DELLE IPOTESI

a. I ribelli delle ADF

– Panoramica storica delle ADF

– Le ADF e i loro presunti legami con altri gruppi terroristi

– Gli autori dei massacri di Beni: le ADF, ma non solo le ADF

– Le ADF e i massacri del 2013 a Kamango e a Kikingi

– La grande serie dei massacri commessi dal 2014 al 2016

b. Le FARDC: tra onnipotenza e inefficacia

– Complicità passiva delle FARDC

– Partecipazione diretta delle FARDC ai massacri

– Osservazioni e prima conclusione sulla pista FARDC

c. Gli ex del RCD/K-ML

V. PRINCIPALI CONCLUSIONI

I. SINTESI E RACCOMANDAZIONI

Dal mese di ottobre 2014, nei dintorni della città di Beni, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), più di cinquecento persone sono state uccise e decine di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case. La missione delle Nazioni Unite e il governo congolese hanno pubblicamente dichiarato che i massacri sono perpetrati dai ribelli ugandesi delle Forze Democratiche Alleate (ADF). Le ricerche del Gruppo di studi sul Congo (GEC) indicano che occorre rivedere la definizione delle ADF. Invece di un gruppo islamico straniero motivato dal desiderio di vendetta, si tratta piuttosto di un gruppo che, nel corso di vent’anni di presenza nei dintorni di Beni, è riuscito ad intessere stretti legami con le milizie e altri gruppi locali. Questa indagine rivela che la responsabilità dei massacri non può essere attribuita solo alle ADF. Oltre ai comandanti strettamente appartenenti alle ADF, negli attacchi perpetrati contro la popolazione civile sono implicati anche alcuni membri delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC), degli ex combattenti del Raggruppamento Congolese per la Democrazia – Kisangani / Movimento di Liberazione (RCD-K / ML) e membri di altre milizie locali.

Anche se non è possibile pronunciarsi sulla catena di comando, né sulle motivazioni di questi gruppi, è tuttavia chiaro che il Governo congolese e la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) non hanno fatto sforzi sufficienti per affrontare questa crisi e hanno mal identificato il nemico. Spesso, pur avendo perso centinaia di soldati nel corso delle operazioni militari condotte contro le ADF prima del mese di luglio 2014, le FARDC non hanno reagito in tempo per proteggere la popolazione durante e dopo gli avvenimenti. Si tratta di una mancanza di iniziativa rilevata anche nei confronti della MONUSCO. Il presente rapporto documenta dei casi in cui degli ufficiali delle FARDC hanno impedito alle loro truppe di intervenire durante i massacri o in cui dei membri delle FARDC hanno attivamente partecipato ai massacri.

RACCOMANDAZIONI: • Il Governo congolese dovrebbe istituire al più presto una commissione speciale d’inchiesta guidata da un procuratore militare di alto rango, al fine d’ indagare sugli atti di violenza perpetrati nei dintorni di Beni a partire da ottobre 2014. I risultati dell’indagine dovrebbero essere resi pubblici; • La MONUSCO dovrebbe aprire un’inchiesta per stabilire le responsabilità nei massacri di Beni;

  • Il Senato e l’Assemblea Nazionale dovrebbero istituire una commissione investigativa congiunta, per individuare le responsabilità politiche e il ruolo eventualmente svolto dai responsabili delle istituzioni di sicurezza nei massacri di Beni;
  • Il governo congolese dovrebbe proporre un piano di stabilizzazione e di sicurezza per il territorio di Beni che coinvolga le FARDC, le comunità locali e la MONUSCO.

II. INTRODUZIONE

Tra ottobre 2014 e dicembre 2015, nei dintorni della città di Beni sono stati uccisi più di cinquecento civili, per lo più con dei machete. Paradossalmente, l’identità degli autori è finora rimasta sconosciuta e controversa.

Fin dall’inizio, istituzioni e media ufficiali avevano affermato che si trattava di membri delle ADF, un gruppo ribelle ugandese presente nella RDCongo. L’affermazione sembrava logica, dal momento che i massacri erano iniziati nella prima metà del 2014, subito dopo lo smantellamento dei bastioni delle ADF da parte delle Forze Armate della RDCongo (FARDC) nella pianura del Semuliki, adiacente al Monte Ruwenzori. I sostenitori di questa teoria affermano che le ADF avrebbero agito contro la popolazione locale per vendetta, perché le avrebbe segnalate alle forze di sicurezza.

Questa versione è stata rapidamente rivista o puntualizzata da diverse parti. Alcune autorità governative hanno visto nelle ADF la mano invisibile di Mbusa Nyamwisi, un politico locale passato all’opposizione. Da parte sua, egli ha accusato degli ufficiali delle FARDC di essere, contemporaneamente, comandanti delle FARDC e delle ADF. Nel frattempo, una commissione parlamentare istituita per far luce sulle stragi ha evidenziato delle lacune nella catena di comando delle FARDC. Infine, la coincidenza di questi massacri con la recente migrazione di popolazioni di espressione kinyarwanda ha accentuato la speculazione circa l’identità degli assassini.

Nonostante questa confusione è l’ampiezza della violenza, nessuna inchiesta approfondita è stata avviata, né dal governo di Kinshasa, né dalle Nazioni Unite, né da organizzazioni non governative. La presente inchiesta cerca di rispondere alle seguenti domande: chi ha commesso questi massacri? Quali sono le cause sociali e strutturali che stanno dietro questi massacri? Quali sono gli obiettivi, le strategie e le motivazioni degli attori direttamente o indirettamente interessati al mantenimento dell’insicurezza a Beni?

III. PRESENTAZIONE DEI FATTI

Che cosa è esattamente successo nei dintorni della città di Beni tra ottobre 2014 e febbraio 2016? La maggior parte dei media hanno accettato, senza metterla in dubbio, la versione fornita dall’esercito congolese e dalla MONUSCO: gli autori dei massacri di Beni sono le ADF, un gruppo di miliziani ugandesi islamici.

La presente inchiesta conferma che le ADF sono, in gran parte, responsabili di questa violenza. Ma è anche evidente che l’interpretazione delle autorità e della stampa, che considerano le ADF come un “gruppo islamico e jihadista”, “appartenente al movimento islamico … e in contatto con dei jihadisti della Somalia e del Kenya”, con dei “legami provati con Al Shabaab”, non riflette la realtà. Dopo più di venti anni di presenza sul suolo congolese, le ADF si sono profondamente radicate nella società locale e hanno stabilito stretti legami con altri gruppi armati locali. Non è quindi strano che la rete degli assassini di Beni includa degli ADF di origine ugandese, ma anche dei soldati delle FARDC, degli ex ufficiali del RCD-K / ML e dei miliziani locali.

I massacri sono iniziati il 2 ottobre 2014 a Mukoko e a Kokola, a più di 20 chilometri a nord della città di Beni. Delle vittime sono state decapitate davanti alle loro famiglie, dei malati sono stati smembrati nei loro letti d’ospedale e centinaia di civili sono stati uccisi con dei machete. Si può supporre che, nel corso dei massacri, siano state uccise un totale di almeno 551 persone.

Per quanto riguarda le persone prese di mira durante i massacri, è difficile fare delle generalizzazioni. Nonostante certe voci, sono state prese di mira tutte le comunità religiose, anche se la maggior parte delle vittime erano cristiane, la religione demograficamente più rappresentativa nella regione. I testimoni intervistati hanno affermato che gli assassini non si interessano della religione cui appartengono le loro vittime. Nello stesso modo, la maggior parte dei massacri sono stati commessi senza apparente discriminazione etnica. Tuttavia, certi indizi rimandano a dei conflitti esistenti nelle comunità originarie del territorio Beni che si sentono emarginate. Più precisamente, si tratterrebbe di conflitti esistenti tra i Mbuba, che si considerano autoctoni, e i Nande, accusati di aver invaso il territorio dei Mbuba. Inoltre, varie e diverse sono le modalità con cui i massacri sono commessi, il che potrebbe portare a pensare all’implicazione di più gruppi.

– Tipi di armi: armi bianche (69%), armi da fuoco (27%) e incendi dei villaggi (4%).

– Fasce orarie: notte / dopo le 21.00 (55%), sera / dalle 17:00 alle 21:00 (38%) e pieno giorno / dalle 6:00 alle 17:00 (7%).

– Lingue utilizzate dai killer: kiswahili (47%), kinyarwanda (20%), lingala (15%), luganda (13%), inglese (4%), arabo (3%), kinande (2%), kimbuba (1%), silenzio (2%) e lingua sconosciuta (2%).

Gli assassini operano in gruppi di varie dimensioni, comprendenti da dieci a cinquanta persone.

Spesso sorprendono le loro vittime durante la notte, quando dormono, ma a volte operano la sera, quando i contadini tornano dai campi, o cenano o bevono la loro birra in compagnia. Anche la composizione dei gruppi varia: a volte si tratta di piccoli gruppi, altre volte si tratta di gruppi misti composti da uomini, donne e bambini.

A volte usano l’astuzia per distrarre i loro obiettivi o i vicini di casa: i bambini suonano i tamburi e cantano, alcuni adulti procedono al massacro, altri controllano i dintorni o aspettano la fine dell’operazione per contare i morti. Alcune volte gli aggressori saccheggiano il luogo del massacro, altre volte ripartono senza avere rubato nulla. A volte portano uniformi militari delle FARDC, altre volte indossano un qamìs islamico o abiti normali. In ogni caso, dopo la carneficina, si ritirano tranquillamente, senza fretta. Si è constatato che preferiscono usare armi bianche: machete, asce, coltelli, martelli e zappe.

Nel secondo semestre del 2015, si è notato un cambio nella loro dinamica.

Gli scontri hanno preso una piega diversa: i massacri di civili sono diminuiti ma sono aumentati gli scontri militari tra un gruppo armato non chiaramente identificato e FARDC, soprattutto sul tratto stradale Mbau-Eringeti. L’esempio più eclatante di questa tendenza è stato l’attacco contro le postazioni delle FARDC e della MONUSCO a Eringeti, il 29 novembre 2015. Durante l’attacco, gli assalitori hanno dimostrato di possedere competenze militari e strategiche di buona qualità, poiché hanno saputo attaccare contemporaneamente diverse posizioni militari. Nello stesso modo, il 13 gennaio, dei presunti combattenti ADF hanno lanciato attacchi simultanei contro delle posizioni delle FARDC e della MONUSCO a Opira, uccidendo quattro soldati.

IV. CHI SONO GLI AUTORI DEI MASSACRI? UNA VALUTAZIONE DELLE IPOTESI

Fin dall’inizio, il governo centrale e l’esercito avevano concluso che gli autori dei massacri fossero le ADF e, per conseguenza, non hanno aperto alcuna inchiesta. La MONUSCO ha confermato tale versione.

a. I ribelli delle ADF

Panoramica storica delle ADF

Le ADF sono un gruppo ribelle ugandese emerso dalle tensioni sorte all’interno della comunità musulmana ugandese. Nei primi anni 1990, i membri della setta Tabligh si sono scontrati con il Consiglio Supremo islamico a proposito della direzione di una moschea a Kampala. In seguito a questo conflitto, Jamil Mukulu e vari altri responsabili Tabligh sono stati arrestati.

Dopo la loro liberazione nel 1993, essi si erano stabiliti nella parte occidentale dell’Uganda e avevano cominciato a formare un piccolo esercito, con il sostegno del governo sudanese, in rotta con Kampala che appoggiava la ribellione dell’Esercito Popolare di Liberazione del Sudan (SPLA). A partire dal 1995, le ADF si erano stabilite sul lato congolese del massiccio del Ruwenzori, dove si era formalmente alleate con l’Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (NALU), un gruppo armato ispirato alle rivendicazioni della comunità etnica ugandese Konjo e insediatosi nel settore congolese del Ruwenzori (nell’est della RDCongo, l’allora Zaïre) sin dal 1988. Il Nalu aveva stretto forti legami con le autorità locali congolesi, tra cui Enoch Muvingi Nyamwisi, fratello maggiore di Mbusa Nyamwisi.

Le ADF / Nalu (il nuovo gruppo sorto dall’alleanza tra le ADF e il Nalu)) si è subito integrato nella società congolese. Dei comandanti ugandesi hanno sposato delle donne congolesi e si sono attivamente integrati nel commercio transfrontaliero di legname e di minerali e nell’agricoltura. I capi locali hanno beneficiato della potenza militare delle ADF-Nalu e, in cambio, questi capi hanno aiutato i ribelli ugandesi a nascondersi in occasione degli attacchi dell’esercito ugandese o dei suoi alleati congolesi locali. Va notato che molti comandanti delle ADF-Nalu appartenevano alla comunità Kondjo, insediata sul lato opposto della frontiera, in Uganda, e con la stessa lingua e le stesse abitudini della comunità Nande. Sono soprattutto le comunità locali che si considerano emarginate (soprattutto i Mbuba e i Talinga) che hanno fatto delle loro alleanze con le ADF-Nalu un’opportunità per emanciparsi.

Nonostante queste dinamiche locali, tra il 1996 e il 2000, le ADF-Nalu hanno concentrato la loro azione sull’Uganda, effettuandovi degli attacchi contro installazioni governative e civili. Tuttavia, in questo periodo, le ADF /Nalu hanno rafforzato i legami con un gruppo ribelle congolese, il RCD-K / ML, creato nel 1999, in seguito alle tensioni sorte all’interno del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD), un gruppo armato creato e appoggiato dal Ruanda. e tra il Ruanda e l’Uganda che appoggiavano, ciascuna da parte sua, dei gruppi armati attivi nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Sotto la guida del suo presidente Mbusa Nyamwisi, il RCD-K / ML installa il suo stato maggiore a Beni nel 1999 con il sostegno militare del governo ugandese. In quel periodo, Mbusa Nyamwisi assume un ruolo delicato, perché continua a mantenere relazioni clandestine con le ADF-Nalu, mentre l’esercito ugandese mantiene la presenza di sue truppe a Beni. La situazione cambia nel 2002, quando il RCD-K / ML si allea con il governo di Kinshasa, ciò che tra il 2003 e il 2006, porta alla formazione di un governo di transizione e all’integrazione delle truppe del RCD-K / ML nel nuovo esercito nazionale.

Nonostante questa integrazione, un gruppo di ex soldati dell’Esercito Patriottico Congolese (APC), l’ala militare del RCD-K / ML, è rimasto come “forza di riserva” nelle foreste della Valle Semuliki e ha mantenuto stretti rapporti con le ADF-Nalu. Questa nuova configurazione consente ancora alle ADF di rafforzare i loro legami con il RCD-K / ML.

Nel 2007, la componente NALU del gruppo cede alle pressioni militari e il governo ugandese le concede l’amnistia. Negli anni successivi, le ADF si radicalizzano sempre più e adottano un regolamento interno strettamente islamico.

Le FARDC, a volte appoggiate dalle Nazioni Unite, hanno lanciato diverse offensive contro le ADF. Le più emblematiche sono l’operazione Keba I nel 2005, l’operazione Ruwenzori nel giugno 2010, l’operazione Radi Strike nel marzo 2012 e l’operazione Sukola I in coso dal gennaio 2014. Quest’ultima operazione è diminuita di intensità alla fine di agosto 2014, dopo la morte del generale Bahuma, sostituito dal generale Charles Muhindo Akilimali, alias Mundos.

Secondo il gruppo di esperti delle Nazioni Unite, queste operazioni hanno causato molti morti tra le ADF. Un ex coordinatore del gruppo di esperti dell’ONU ritiene che circa un migliaio di membri delle ADF possono essere morti di fame, dopo avere cercato rifugio nella foresta del parco nazionale. Tuttavia, questi attacchi non sono riusciti a destabilizzare la gerarchia del movimento. Sotto pressione, le ADF hanno dovuto suddividersi in vari gruppi. Jamil Mukulu è partito ed è stato arrestato in Tanzania il 20 aprile 2015. Altri gruppi sono rimasti in Congo, il più grande dei quali sotto il comando di Seka Baluku. Nonostante le offensive lanciate contro questi gruppi e l’arresto di Mukulu, la loro rete di approvvigionamento, attiva in Congo e in Uganda, è rimasta pressoché intatta.

Il gruppo ADF avrebbe avuto 500 combattenti nel 1995, 1.500 nel 1998, e di nuovo circa 500 nel 2005. Secondo altre fonti, le stime attuali dei loro effettivi variano tra i 100 e i 260 combattenti.

Dal 2001, gli Stati Uniti hanno iscritto il gruppo ADF sulla lista delle sanzioni per i gruppi terroristi. Dal 2007, le ADF erano dirette da Jamil Mukulu, un cristiano convertito all’Islam, iscritto sulla lista delle sanzioni delle Nazioni Unite dal 2011 e dell’Unione europea dal 2012.

Le ADF e i loro presunti legami con altri gruppi terroristi

Tuttavia, le accuse mosse dalle autorità ugandesi e da certi commentatori su presunti legami con le reti islamiste internazionali non sono mai state comprovate. Nel suo rapporto del mese di gennaio 2015, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha concluso che “non vi sono prove credibili che dimostrino che le ADF abbiano, o abbiano avuto nel passato, legami con gruppi terroristici stranieri, come al-Shabaab, al Qaeda o Boko Haram”.

C’è da segnalare che, a differenza di questi altri gruppi islamisti, le ADF non fanno praticamente alcun sforzo per rendersi pubblicamente visibili: non hanno alcun portavoce, né un sito web e non sono in alcun modo visibili nei social media.

Dan Fahey, ex coordinatore del gruppo di esperti delle Nazioni Unite, ha intervistato decine di prigionieri delle ADF e ha concluso: “Recentemente, il gruppo si è girato verso l’interno (sic), sembra aver abbandonato la sua ambizione di rovesciare il governo ugandese e cerca invece di crearsi un’utopia reclusa nell’est della RDCongo”.

Gli autori dei massacri di Beni: le ADF, ma non solo le ADF

Per quanto riguarda gli autori dei massacri perpetrati sul territorio di Beni (Nord Kivu), la pista ADF si basa sul fatto che i membri delle ADF, attaccati dalle FARDC nel corso dell’operazione Sukola I e privati delle vie di rifornimento, si sarebbero vendicati contro le popolazioni civili che li avrebbero traditi, informando le FARDC sui loro spostamenti e sulle loro offensive. Attaccando la popolazione civile, le ADF si sarebbero vendicate della perdita dei loro membri subita durante l’operazione Sukola I. Diversi elementi sembrerebbero confermare questa ipotesi: la talare degli aggressori, la barba lunga di qualcuno di loro, l’uso del Luganda o di uno Swahili somigliante a quello parlato in Uganda e l’uso di machete. Anche tre prigionieri ADF arrestati dalle FARDC hanno confermato che i comandanti ADF hanno apertamente parlato della loro partecipazione ai massacri.

Tuttavia, questa ipotesi non corrisponde esattamente alle abitudini e alle strategie del movimento. Le ADF non si sono mai impegnate in un’insurrezione prolungata contro lo Stato congolese. Il loro obiettivo dichiarato era quello di rovesciare il governo ugandese.

Nel 1988, per esempio, le ADF avevano bruciato vivi più di 50 studenti a Kichwamba e avevano commesso diversi attentati a Kampala. Nello stesso periodo, il gruppo aveva sequestrato più di 150 studenti, presso la frontiera con il Congo. Tuttavia, già da diversi anni, il comando del movimento sembra più preoccupato della propria sopravvivenza nell’est della RDCongo.

Tuttavia, i massacri perpetrati a Beni costituiscono di gran lunga gli attacchi più brutali della loro storia e non corrisponderebbero al loro precedente modo di fare, secondo cui gli attacchi contro la popolazione locale si erano tipicamente limitati a rafforzare il loro controllo sul commercio e sul territorio locale.

Secondo le nostre inchieste, l’ipotesi che considera le ADF come gli unici responsabili dei massacri appare convincente per quanto riguarda i massacri, di cui poco si è parlato, commessi a Kamango nel 2013. Essa diventa tuttavia meno credibile quando si parla della serie di massacri iniziata nel mese di ottobre 2014.

Le ADF e i massacri del 2013 a Kamango e a Kikingi

Diversi racconti riportati dai testimoni dell’attacco di Kamango avvenuto l’11 luglio 2013 e degli attacchi di Kikingi-Mwenda, avvenuti dall’11 al 17 dicembre 2013 (20 morti), attribuiscono questi massacri alle ADF. Il punto di forza di questa ipotesi che attribuisce alle ADF i massacri del 2013, avvenuti a Kamango e a Kikingi, si trova nella grande concordanza delle testimonianze. I testimoni hanno fornito dei rapporti molto simili per quanto riguarda la sequenza degli eventi e l’identità degli assalitori.

C’è da notare che i testimoni sono stati capaci di riconoscere gli aggressori: la popolazione della regione conosceva bene i membri delle ADF sotto il cui controllo aveva vissuto per oltre un decennio. Il giorno dell’attacco di Kamango, gli aggressori sono arrivati ​​in grande numero e hanno tenuto un comizio presieduto da Kasadha Kalume Amisi, un comandante delle ADF. A Kikingi, gli aggressori si sarebbero presentati essi stessi come membri delle ADF e avrebbero dato tre ore di tempo alla popolazione per abbandonare il villaggio, in caso di un attacco contro le FARDC. Alla scadenza dell’ultimatum, hanno iniziato ad uccidere i capi locali, per convincere la popolazione ad abbandonare la zona.

Tuttavia, è importante sottolineare la natura eterogenea delle ADF. Durante lo stesso periodo, un gruppo di ex soldati dell’APC, sotto la guida di Hilaire Kombi, era stanziato nella stessa zona e aveva dei rapporti diretti con le ADF. È quindi possibile che anche questo gruppo armato sia stato implicato nei massacri del 2013 a Kamango e a Kikingi.

La grande serie dei massacri commessi dal 2014 al 2016

Per quanto riguarda la grande serie di massacri di massa iniziata il 2 ottobre 2014 e che continua ancora, l’ipotesi che attribuisce l’intera responsabilità alle ADF non convince la maggior parte dei testimoni che il nostro gruppo di ricerca ha incontrato.

Sembra logico supporre che i membri sopravvissuti delle ADF possano essere tentati di vendicare la morte dei loro compagni e la distruzione dei loro campi base per opera delle FARDC.

Un giovane, recente disertore delle ADF ed ex scorta di Seka Baluku, comandante ADF dopo la partenza di Jamil Mukulu, è stato interrogato dalla MONUSCO. Secondo lui, tutti i massacri sono stati pianificati da Baluku. La stessa fonte indica, tuttavia, che le ADF non sono responsabili di tutti i massacri. Secondo lui, i capi delle ADF si sono resi conto che ci anche altri gruppi implicati nei massacri, ma non hanno potuto identificarli.

Una ragazza, prigioniera di un gruppo di assassini e che è riuscita a fuggire, ha testimoniato che i membri del gruppo si erano presentati come membri della NALU, mai come membri delle ADF, e ciò nonostante la loro appartenenza all’Islam. Ella ha dichiarato che alcuni parlano kinyarwanda e altri kiswahili. Un altro disertore è un motociclista che si è arreso e che ha confessato di aver aiutato le ADF a perpetrare dei massacri. Ha confessato di essere stato pagato per esplorare la zona tra Ngadi e Oicha prima dei massacri. Si sarebbe arreso per paura.

Un’indagine dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha ottenuto le testimonianze di sopravvissuti dei massacri e di membri delle ADF che confermano le loro conclusioni secondo le quali le ADF sono responsabili della maggior parte dei massacri.

Tuttavia, noi riteniamo che, data la quantità e la qualità delle testimonianze, è poco probabile che le ADF siano le sole ad avere perpetrato i massacri di Beni commessi tra ottobre 2014 e settembre 2015. Riteniamo quindi erronea l’interpretazione comune che designa i combattenti ADF come gli unici autori dei massacri. Tre elementi mettono in dubbio questa ipotesi e richiedono per lo meno una certa cautela per quanto riguarda il suo valore.

In primo luogo, abbiamo raccolto varie testimonianze di membri delle FARDC che contestano l’ipotesi delle ADF e che privilegiano la pista delle FARDC. Inoltre, nel corso di incontri con dei responsabili locali, promossi da Iniziativa per una Leadership Coesa (ILC), diverse autorità locali e la società civile hanno insistito sulla partecipazione di leader locali alla violenza.

In secondo luogo, ci sono dei fatti e delle osservazioni che non quadrano con questa ipotesi. Ad esempio, alcuni assassini parlano il kinyarwanda e il lingala, mentre la stragrande maggioranza delle reclute delle ADF sono ugandesi o persone del territorio di Beni che non parlano il kinyarwanda. Secondo alcuni prigionieri delle ADF, il comando è quasi interamente composto da Ugandesi e le lingue parlate durante le operazioni sono il luganda o il swahili. Gli stessi prigionieri hanno affermato che era loro interdetto uccidere i bambini, ma tra le vittime vi si trovano anche molti minorenni. Ci sono anche dei testimoni che hanno visto gli assassini bere birra prima di iniziare i massacri – per esempio, prima della strage di Ngadi – ciò che non corrisponde alle abitudini dei membri delle ADF che seguono una disciplina strettamente islamica. Il divieto di consumare alcol è stato confermato da disertori delle ADF.

In terzo luogo, la storia del gruppo ribelle sopra sintetizzata indica che è quasi impossibile che le ADF abbiano perpetrato i massacri senza la complicità di altri attori locali e che è necessario almeno rivedere che cosa si intende per “ADF”.

b. Le FARDC: tra onnipotenza e inefficacia

L’ipotesi di un’implicazione di militari delle FARDC emessa dalla popolazione locale, dall’opposizione politica e da alcuni membri dell’esercito nazionale, è apparsa alla fine di ottobre 2014.

L’inizio dei massacri si è verificato in un contesto di turbolenze. Da un lato, all’interno dell’esercito nazionale si stava assistendo ad un crescente disagio. I massacri sono iniziati il giorno dopo l’inizio, a Beni stesso, del processo contro i presunti assassini del colonnello Mamadou Ndala, comandante dell’operazione Sukola I. Il colonnello era stato ucciso a pochi chilometri da Beni il 2 gennaio 2014.

Secondo il tribunale militare, alcuni ufficiali delle FARDC erano stati manipolati dalle ADF per uccidere il colonnello Ndala. Nel frattempo, il nuovo comandante delle operazioni delle FARDC, il generale Charles Muhindo Akilimali, comunemente chiamato “Mundos”, è stato accusato dalla società civile locale di essere inefficace, o addirittura complice dei massacri. Inoltre, i massacri sono iniziati dieci mesi dopo l’inizio dell’operazione Sukola I contro le ADF e meno di due mesi dopo la morte del generale Bahuma, primo comandante dell’operazione Sukola I. Dopo la morte di Bahuma, le operazioni militari hanno subito un rallentamento, che potrebbe aver consentito alle ADF di riorganizzarsi e di preparare una contro-offensiva.

Complicità passiva delle FARDC

Secondo varie testimonianze, le FARDC non intervengono durante e nemmeno subito dopo i massacri. La non assistenza a persone in pericolo si manifesta nell’assenza di ricerca degli aggressori o nel ritardo con cui le FARDC intraprendono la ricerca degli assassini, anche quando siano state allertate in anticipo. Tra i testimoni intervistati, alcuni affermano di avere personalmente avvisato le FARDC, ma di non avere ottenuto il loro intervento. I militari delle FARDC spesso arrivano la mattina successiva, per contare e raccogliere i corpi dei morti.

Secondo questi testimoni, le FARDC non intervengono, perché “di notte non combattono”, o perché “aspettano l’ordine e / o un rafforzamento in truppe da Beni”. Quest’ultimo motivo è stato confermato da un comandante delle FARDC che ha rivelato che gli era stato ordinato di non intervenire senza ordini della gerarchia militare. Questa inerzia delle FARDC è veramente incomprensibile, soprattutto quando i loro campi di acquartieramento sono situati nei pressi dei luoghi dei massacri, com’è stato il caso di Ngadi, il 15 ottobre 2014, di Mavivi, l’11 maggio 2015, di Eringeti, il 17 ottobre e il 1° dicembre 2014 e di Tenambo, l’8 ottobre 2014.

Si trova questa passività anche nelle indagini. Dopo i massacri di Masulukwede e di Tepiomba, per esempio, le FARDC hanno tardato a reagire quando la MONUSCO aveva chiesto che una delegazione mista MONUSCO-FARDC si recasse sul luogo del massacro. Invece di passare per Mavivi, il colonnello Dieudonné Muhima ha deviato il percorso della delegazione mista facendola passare per Mamundyoma, nonostante le proteste dei rappresentanti delle Nazioni Unite. Più schiaccianti ancora sono le testimonianze secondo le quali alcuni ufficiali delle FARDC avrebbero proibito ai soldati di intervenire durante i massacri. Ogni soldato che avesse violato il divieto sarebbe stato punito con le seguenti sanzioni: arresto, trasferimento o espulsione dal battaglione. Il caso di Ngadi, durante l’attacco del 15 ottobre 2014 a Beni, è impressionante. Un tenente in servizio vicino al luogo del massacro ha testimoniato: «Durante i massacri di Ngadi, il colonnello Murenzi, nostro capo, ci ordinò, per Motorola, di non uscire, di stare in standby e di non fare operazioni di pattugliamento nei dintorni del campo. E al mattino seguente, abbiamo trovato la gente (sic)».

Queste affermazioni sono confermate dal rapporto del gruppo parlamentare pubblicato il 9 novembre 2014: il rapporto cita il “caso di un maggiore che, contattato da un ragazzo sopravvissuto, mentre i massacri erano ancora in corso e le grida delle vittime arrivavano fino alla postazione da lui comandata, ha minacciato di sparare su qualsiasi militare che avesse osato intervenire e ha ritirato i caricatori di alcuni militari che volevano intervenire. Un secondo caso è quello di un colonnello che, ricevendo un sopravvissuto che si era recato presso di lui per avvisarlo su un massacro in corso, l’ha trattenuto nel campo di acquartieramento fino al mattino seguente, affinché lo accompagnasse per andare a verificare ciò che sarebbe successo”. Un ufficiale delle FARDC racconta un altro episodio inquietante: «Raccogliendo i cadaveri delle persone massacrate, li chiamano pomodori. Il Comandante Kevin si fa beffe delle vittime dicendo: “così i Nande pagano per il loro tribalismo”».

Fino al momento della redazione di questo rapporto, il governo non ha ancora aperto alcuna inchiesta ufficiale sui massacri commessi a Beni. Quando dei ricercatori indipendenti tentano di iniziare un’indagine, a volte sono ostacolati.

Partecipazione diretta delle FARDC ai massacri

Al di là delle inefficienze e dei ritardi delle FARDC, varie fonti attendibili accusano le FARDC di essere direttamente implicate nell’esecuzione di alcuni massacri. Tuttavia, risulta difficile sapere esattamente in che misura la gerarchia dell’esercito sia stata implicata in questi crimini e quali siano i motivi che hanno spinto alcuni membri delle FARDC a parteciparvi.

Caso 1: Mayangose, ​​da febbraio a marzo 2015

Tra febbraio e marzo 2015, in diverse piccole località della zona di Mayangose, a nord est di Beni, nei pressi del Parco Nazionale del Virunga, si sono commessi vari massacri successivi. Il primo si è svolto a Kididiwe, la notte dal 03 al 04 febbraio 2015, con ventuno morti. La notte successiva, altre tre persone sono state uccise a Kambi ya Miba. Un’altra ondata di massacri è stata registrata a metà mese: due morti a Malolu, la notte tra il 15 e il 16 febbraio 2015 e nove morti a Matukaka, nella notte tra il 18 e il 19 febbraio 2015.

Un ufficiale di polizia, che ha partecipato alle indagini sui massacri di Mayangose ​​in febbraio e marzo 2015, ha affermato di avere delle prove secondo le quali gli autori di tali massacri sarebbero dei militari del 1006° Reggimento basato a Kithahomba (a 5 km sulla strada Beni – Nyaleke). IPer coprirli e scagionarli, gli investigatori della PNC avrebbero accusato le ADF.

Una sopravvissuta di Kidiwe / Mayangose, uscita dalla sua capanna per nascondersi nel suo campo, al fine di non cadere tra le mani degli assalitori, ha affermato che ha sentito dei semplici colpi sparati in aria dalle FARDC per “intimorire” gli attaccanti . Ha aggiunto che, prima di iniziare ad uccidere, gli assalitori hanno pregato in arabo ma, quando sono ripartiti, parlavano kiswahili e lingala, ciò che è stato confermato anche da un altro sopravvissuto. La superstite ha aggiunto che i militari delle FARDC stanziati all’ingresso di Mayangose erano a conoscenza dei preparativi dell’attacco perché, la sera prima dei massacri, avevano avvertito un certo Mbale, figlio di Kimbulu, consigliandogli di non recarsi a Mayangose.

Un’altra sopravvissuta ha raccontato di aver visto, dal suo nascondiglio, come suo marito e la sua seconda moglie fossero stati legati e uccisi, il 24 marzo 2015. Ella ricorda di aver poi sentito il rumore del generatore elettrico della vicina riseria utilizzato per trasmettere della musica. Ella conferma che gli aggressori parlavano kiswahili e lingala, due dialetti congolesi, e che poi si sono tranquillamente diretti verso il parco. Le FARDC non sarebbero arrivate sul luogo che al mattino seguente. Come già indicato da alcuni disertori, durante gli attacchi le ADF parlano sia il kiswahili che il luganda, ma mai il lingala.

Anche un testimone interno alle FARDC, un sottotenente, conferma la partecipazione delle FARDC a certi massacri e il modo con cui si reclutano militari disposti ad uccidere, pagandoli 250 $ per ogni persona decapitata.

Caso 2: I massacri di Tenambo-Mamiki, l’8 ottobre 2014

L’8 ottobre 2014, a Tenambo. Sono state uccise sette persone: tre colpite da armi da fuoco e quattro con machete. Un sopravvissuto, Modeste Leblanc, attaccato per primo verso le 19:00 e ferito al braccio sinistro, al collo e alla testa, ha dichiarato che il maggiore Byamungu e la sua scorta personale, entrambi appartenenti all’808° reggimento, hanno partecipato al massacro. Li ha visti la sera dell’attacco e li ha riconosciuti. Li conosce bene perché partecipa ai lavori comunitari del campo di acquartieramento delle FARDC di Tenambo Mamiki. Inoltre, egli afferma che il maggiore Byamungu corteggia sua moglie.

Non è chiaro se è lo stesso gruppo di Byamungu che, un’ora dopo, ha ucciso sei abitanti del villaggio di Mamiki, a 1,5 km da Leblanc. Il capo del villaggio di Tenambo ha affermato che, poiché aveva piovuto, seguendo le orme dei piedi, si è riscontrato che il gruppo che aveva attaccato Leblanc si era diretto verso Mamiki. La testimonianza di un sopravvissuto di Mamiki fornisce ulteriori informazioni sulla strage: «Era l’8 ottobre 2014. Sono arrivati nel villaggio verso le 20h00. Poco prima, avevamo sentito degli spari provenienti da Tenambo. Parlavano diverse lingue: lingala e swahili. Credo che tra gli aggressori ci siano stati alcuni soldati delle FARDC, perché la loro lingua assomiglia a quella parlato dai soldati dei reggimenti».

Caso 3: Ngadi, 15 ottobre 2014

Il 15 ottobre 2014, a Ngadi, una località che fa parte della città di Beni, sono state massacrate trentuno persone. Una donna di 86 anni, sopravvissuta al massacro Ngadi, racconta la sua esperienza: «Ero fuori con sei membri della mia famiglia, davanti a casa mia. Un gruppo di tre soldati delle FARDC è venuto a salutarci (sic). Ci hanno chiesto informazioni sullo stato di sicurezza (sic), ci hanno informato che le ADF avevano appena compiuto un massacro nel villaggio vicino e ci hanno detto che erano venuti per proteggerci. Hanno fatto chiamare le famiglie dell’intero villaggio. Poi hanno cominciato a uccidere la gente. Sono i militari dell’operazione Sukola che ci hanno uccisi». Ha poi aggiunto che i soldati parlavano kinyarwanda e swahili. Secondo altre fonti, il giorno prima del massacro di Ngadi, un ufficiale delle FARDC avevano detto qualcosa ad uno studente che vive a Ngadi e gli avevano consigliato di andare via, perché nel quartiere Boikene sarebbe successo qualcosa di grave. Inoltre, il giorno dell’attacco, il generale Mundos aveva ritirato i soldati delle FARDC dalla loro postazione abituale di Ngadi. Quel giorno, gli aggressori sono arrivati ​​con tutta tranquillità, hanno guardato una partita di calcio e peso una birra in un bar. Poi hanno iniziato il massacro. Da notare che i membri delle ADF, sottomessi a una stretta disciplina islamica, di solito non prendono bevande alcooliche.

A questi tre casi si aggiungono altre testimonianze più generali. Due alti ufficiali delle FARDC hanno manifestato i loro sospetti circa l’implicazione di certi loro colleghi nei massacri. Ad esempio, un tenente che ha partecipato alle operazioni Sukola I ci ha detto: «Credo che sia stato un gruppo di ADF ad uccidere, ma non erano molti (sic). Poi c’erano gli uomini di Hilaire e di Bisamaza. Ma quelli che hanno ucciso molte persone, sono i militari dei reggimenti. Soprattutto del nostro 808° reggimento». La stessa fonte ha parlato del trasferimento di armi e munizioni delle FARDC a due civili presumibilmente in relazione con le ADF. Un colonnello delle FARDC ha confermato il fatto: «Sappiamo che ci sono degli ufficiali delle FARDC che collaborano con le ADF. Ma non sappiamo chi siano. Conoscono la nostra frequenza Motorola e seguono le nostre operazioni». Lo stesso Colonnello si è detto sorpreso del fatto che le ADF siano sempre ben approvvigionate ed equipaggiate, nonostante le numerose operazioni militari condotte contro di loro.

Un’altra testimonianza è fornita da un dipendente di un obitorio locale: «Lavo i corpi delle persone massacrate e anche quelli dei soldati morti in battaglia. […] Un giorno, hanno portato dei soldati morti […] nel mese di ottobre 2014 […], dei cosiddetti ADF. Ma erano dei soldati delle FARDC e il colonnello Mugisha è venuto per prendersi cura di questi corpi di 4 soldati. Ma com’è possibile che 4 soldati siano morti tra le file degli aggressori? […] Ogni volta che dei soldati vengono portati all’obitorio, vi è una delegazione inviata dal generale Mundos che arriva e recupera tutti gli indumenti e le insegne. Nel nostro regolamento, è prescritto che dobbiamo bruciare tutto e rivestire (sic) il cadavere del morto con una nuova uniforme, ciò che facciamo per i soldati che muoiono di morte naturale».

L’ipotesi di una partecipazione delle FARDC a certi massacri è stata avanzata anche da altri ricercatori. Un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha riferito due casi in cui le FARDC hanno partecipato a dei massacri insieme a dei membri delle ADF: l’8 ottobre 2014, a Oicha, otto persone sono state uccise e altre sei ferite da militari dell’809° reggimento delle FARDC stanziato a Oicha; la notte tra il 25 e il 26 dicembre 2014, a Ndalia, sette civili sono stati uccisi da soldati appartenenti al 905° reggimento delle FARDC in collaborazione con le ADF.

Osservazioni e prima conclusione sulla pista FARDC

È chiaro che, di fronte alla violenza dei massacri, le FARDC sono colpevoli di passività e d’inefficienza e questa situazione peggiora sempre più a causa di un’evidente mancanza di trasparenza e di inchieste sul piano giudiziario e legislativo.

Le molteplici testimonianze raccolte dal nostro gruppo evidenziano la partecipazione diretta di militari delle FARDC in alcuni massacri. Risulta tuttavia difficile conoscere le ragioni di tale loro presunta implicazione o capirne la catena di comando. È per esempio possibile che dei membri delle FARDC siano stati strumentalizzati da altre persone o gruppi senza il consenso della loro gerarchia.

Le accuse mosse contro le FARDC sorgono in un particolare contesto.

Dopo la morte del colonnello Mamadou Ndala e del Generale Bahuma, il cui successo contro il gruppo ribelle M23 aveva galvanizzato il morale delle truppe, all’interno delle FARDC è nata, e si è poi radicalizzata, una certa animosità tra i militari provenienti dall’ex Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), essenzialmente di lingua kinyarwanda e i loro colleghi. Questo fattore potrebbe spiegare il fatto che certi testimoni abbiano dei motivi per accusare Mundos e quelli che essi chiamano “Banyarwanda”. Vari ufficiali delle FARDC ci hanno detto che, all’interno delle forze armate, ci sarebbero dei traditori. Essi sostengono che questi traditori troverebbero principalmente tra i “Banyarwanda”, cioè tra i soldati appartenenti ai reggimenti formati in seguito all’integrazione dell’ex ribellione CNDP nell’esercito nazionale.

All’interno dell’esercito si notano profonde tensioni, in particolare tra gli ufficiali provenienti dal CNDP e gli altri, essendo i primi spesso chiamati “ruandesi” e i secondi “congolesi”. Nel 2014, i primi avevano il comando di metà dei reggimenti e disponevano di un armamento impressionante, ciò che ha creato un certo risentimento tra i “congolesi”. Inoltre, in prima linea ci sono sempre molti ex comandanti “ruandofoni” del CNDP. Secondo una fonte interna alle FARDC, un comandante di battaglione deceduto il 12 maggio 2015 in “un’imboscata” sulla strada Mbau – Kamango, in realtà sarebbe stato fucilato, con il suo vice, da un soldato che non sopportava più di dover obbedire agli ordini di indietreggiare, quando l’aveva sentito trasmettere, per telefono e in kinyarwanda, delle indicazioni di percorso a dei ribelli. Diverse fonti all’interno delle FARDC accusano gli ex CNDP di essere implicati nella realizzazione dei massacri e di avere usufruito della protezione del generale di brigata Mundos.

c. Gli ex del RCD/K-ML

Le FARDC e le ADF non sono gli unici attori militari ne territorio Beni.

Tenuto conto della forte presenza di ex ufficiali dell’APC in seno all’esercito e dei legami storici tra le ADF e l’APC, è anche possibile che la complicità delle FARDC intersechi l’ipotesi dell’implicazione degli ex RCD/K-ML. Vari testimoni credibili confermano la partecipazione di ex ufficiali dell’APC (il braccio armato del RCD-K / ML) in alcuni massacri. Secondo queste testimonianze, questi individui avrebbero pianificato e realizzato dei massacri proprio all’inizio di questa ondata di massacri, a metà del 2014. Vi avrebbero successivamente rinunciato, quando si sono accorti che la spirale di violenza era ormai sfuggita dalle loro mani. Come per l’ipotesi dell’implicazione delle FARDC, non siamo in grado di pronunciarci sulla catena di comando di questi ufficiali. Possiamo solo speculare sulle loro motivazioni.

Il RCD- /ML ha controllato il territorio Beni tra il 1999 e il 2003, ma le sue reti economiche e politiche hanno continuato ad operare per molto più tempo. L’RCD-K/ML, composto principalmente da Nande, ha stretto forti relazioni con l’elite imprenditoriale locale, assicurando esenzioni fiscali e doganali consistenti in cambio di “pre-finanziamenti” o di somme forfettarie. Ciò ha permesso agli operatori economici di prosperare e di abbassare i prezzi delle merci importate. Oggi, la nostalgia di quel periodo rimane viva tra la popolazione e Mbusa Nyamwisi rimane un politico popolare. Nel 2011, più della metà della popolazione del territorio Beni ha votato per l’opposizione e gran parte degli amministratori e dei capi locali in funzione prima dei massacri ha conservato una certa fedeltà al RCD-K/ML.

Il Governatore Julien Paluku, egli stesso ex membro del RCD-K / ML, ha criticato Nyamwisi per avere permesso i massacri. Tale denuncia potrebbe, ovviamente, rivestire un carattere politico. Tuttavia, queste affermazioni possono essere fondate, dal momento in cui le relazioni tra la famiglia Nyamwisi e le ADF-Nalu hanno avuto inizio negli anni 1980 e si sono rafforzate quando Mbusa Nyamwisi ha preso la direzione del RDC-K / ML nel 1999.

Nel territorio di Beni ci sono due gruppi armati che potrebbero essere collegati alle reti del RCD-K / ML. Uno di questi gruppi era guidato da Kava wa Seli, un miliziano Mai-Mai che controlla un gruppo armato nella Valle del Semuliki, a nord ovest di Butembo, dal 2005 circa. L’altro gruppo era sotto il comando di Hilaire Kombi, un ex ufficiale delRCD-K / ML, che ha disertato il gruppo nel 2012, per creare l’Unione per la Riabilitazione della Democrazia in Congo (URDC), un altro gruppo armato. È importante notare che il territorio occupato da questi due gruppi armati congolesi – i villaggi di Isale, di Mualika e di Kikingi – era situato nella zona d’influenza delle ADF con cui i due gruppi erano in contatto. Secondo un rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite pubblicato nel 2013, l’URDC sarebbe in parte responsabile dei sequestri degli abitanti della zona, sequestri spesso attribuiti alle ADF. È quindi probabile che questi due gruppi armati siano stati complici negli attacchi delle ADF a Kamango e a Kikingi nel 2013. È quanto emerge dalla testimonianza di un membro del gruppo di Hilaire Kombi. I capi di questi due gruppi armati, Kava wa Seli e Hilaire Kombi, si sono arresi nel 2013 e sono stati trasferiti a Kinshasa. Tuttavia, si accusa i rimanenti membri dei loro gruppi di aver partecipato ai massacri.

Un ufficiale delle FARDC ha testimoniato che è stato contattato dai suoi ex compagni del RCD-K / ML nel 2014 per partecipare ai massacri. Egli si è detto «convinto che i primi massacratori erano la coalizione degli ex M23, ex-APC e alcuni smobilitati delle ADF». Un secondo testimone, ex soldato dell’APC, ammette di aver partecipato ad alcuni massacri e confessa di essere stato contattato da ex ufficiali del RCD-K / ML nel 2014. Un terzo testimone, un altro ex ufficiale del RCD / K –ML, ammette la sua partecipazione nella prima fase delle stragi. Secondo i primi due testimoni, l’obiettivo era quello di costringere la popolazione locale a fuggire, al fine di creare un loro campo base intorno Beni. Il primo racconta: «Uccidendo a Mayimoya e a Mukoko, gli assalitori avevano come obiettivo quello di incutere paura agli agricoltori, per costringerli ad abbandonare i loro campi che avrebbero servito come campo base per attaccare i grandi centri urbani». Anche se queste testimonianze sono credibili, è difficile sapere fino a che punto Mbusa Nyamwisi sia implicato in questi avvenimenti o determinare la catena di comando.

V. PRINCIPALI CONCLUSIONI

Le violenze perpetrate nel territorio di Beni a partire da ottobre 2014 sono annoverate tra le più letali, ma anche tra le più opache della storia recente. È molto difficile individuare i colpevoli, il movente e i mandanti. Il presente rapporto non pretende di presentare delle conclusioni definitive, ma raccoglie piuttosto delle testimonianze che possono contribuire a correggere la versione più volte ripetuta dalle autorità nazionali e internazionali, che accusano le ADF di essere le uniche responsabili di tutti gli atti di violenza commessi intorno Beni. In effetti, sono vari i gruppi che, etichettati come ADF, sembrano essere implicati nei massacri: membri delle FARDC, gruppi prossimi al RCD-K / ML e milizie locali.

Quest’analisi porta ad alcune conclusioni

In primo luogo, nonostante l’ampiezza delle violenze e la persistenza di certi dubbi sulla responsabilità esclusiva delle ADF, le autorità nazionali e internazionali hanno dimostrato una sorprendente leggerezza per non avere proceduto ad un’indagine approfondita. Un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, quello dei deputati nazionali e quelli del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite avrebbero dovuto indurre le autorità congolesi e la MONUSCO a condurre un’indagine più approfondita.

La gravità della situazione richiede ulteriori indagini. È necessario che la giustizia militare nomini una commissione speciale d’inchiesta, guidata da un procuratore militare di alto rango e incaricata di aprire un’inchiesta sui massacri perpetrati a partire da ottobre 2014. Anche l’ufficio per i diritti umani della Monusco dovrebbe condurre un’altra indagine complementare. Infine, occorre che anche le altre istituzioni nazionali svolgano pienamente il loro ruolo di controllo, in particolare le commissioni della difesa e della sicurezza del Senato e dell’Assemblea nazionale.

La seconda constatazione della nostra indagine riguarda la profonda complessità delle violenze. È molto probabile che nelle violenze siano implicati più attori locali, regionali e nazionali. Tenuto conto di questi legami, è chiaro che l’approccio esclusivamente militare attualmente in corso non sarà sufficiente. Se si dimostrasse che, nelle violenze, sono implicati anche attori diversi dalle ADF, soprattutto politici e ufficiali delle FARDC, si dovrebbero prendere delle misure politiche e diplomatiche, per sanzionarli o far pressione su di loro, affinché cambino di atteggiamento.

Inoltre, sarà necessario ancorare gli sforzi di pacificazione in un dialogo comunitario, come auspicato dalla Strategia Internazionale per il sostegno, la stabilizzazione e la sicurezza (I4S) nella sua versione riveduta. Questo approccio richiede di coinvolgere le comunità locali nella pianificazione delle operazioni di pattugliamento, nella programmazione del dispiegamento delle truppe, nella realizzazione dei progetti di smobilitazione e di reinserimento dei membri dei gruppi armati che si arrendono e nell’attuazione dei progetti per lo sviluppo. Sforzi in questa direzione sono già stati avviati dall’Iniziativa per una leadership coesiva (ILC), un’organizzazione non governativa che ha promosso diversi incontri tra le autorità di Beni nel 2015 e nel 2016. Queste iniziative devono essere incoraggiate e collegate alle altre iniziative militari e umanitarie esistenti.

Le radici delle violenze commesse a Beni sono profonde. L’uso della violenza a fini politici risale almeno al 1990 ed è legato all’esistenza di conflitti tra i capi tradizionali a proposito della gestione delle terre. Esso è legato anche a una cultura politica che ha visto le elite economiche patteggiare con i gruppi armati, per ottenere dei vantaggi e dei favori nel settore del commercio interno e transfrontaliero. Per trasformare queste dinamiche, occorre dapprima capirle e poi adottare una strategia a lungo termine che affronti il problema nella sua interezza.

Quanto a noi, in questo rapporto abbiamo presentato un’analisi delle violenze commesse che tenta di modificare il discorso abituale su queste stesse violenze, per mettere in discussione l’ipotesi che attribuisce tutte le responsabilità alle ADF. Più che mai, le ADF rappresentano oggi l’albero che nasconde la foresta e dietro il quale altri attori cercano di sfuggire alle proprie responsabilità.

[1] Testo integrale in francese: http://congoresearchgroup.org/wp-content/uploads/2016/03/Rapport-Beni-GEC-21-mars.pdf