Editoriale Congo Attualità n. 266– a cura della Rete Pace per il Congo
Il 16 gennaio, la presidente della Commissione dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma, ha designato Edem Kojo, ex primo ministro del Togo e membro del gruppo dei saggi dell’UA, come inviato dell’UA incaricato di condurre le consultazioni necessarie per tentare di avviare il “dialogo politico nazionale” indetto dal Presidente Joseph Kabila per cercare come risolvere certe difficoltà di ordine finanziario, politico, logistico e tempistico in vista dell’organizzazione delle prossime elezioni. Edem Kodjo si è recato immediatamente a Kinshasa, dove ha incontrato il Presidente della Repubblica, la Commissione elettorale e dei rappresentanti delle Istituzioni, dei partiti politici e della Società civile, ma nulla è trapelato sul contenuto di tali incontri.
I partiti dell’opposizione membri della Dinamica dell’Opposizione, del G7 e del Fronte Cittadino 2016 non hanno accettato di incontrare Edem Kodjo, nemmeno per comunicargli i motivi del loro rifiuto di partecipare al dialogo.
La loro posizione è chiara: il rispetto della Costituzione passa attraverso l’organizzazione delle elezioni presidenziali e legislative nazionali entro le scadenze previste dalla stessa Costituzione, cioè entro il mese di novembre 2016. Il che implica il rinvio delle elezioni locali a dopo il 2016.
Il loro principale obiettivo è quello di assicurare un’alternanza democratica ai vertici dello Stato, in conformità con gli articoli della Costituzione secondo cui il Presidente della Repubblica è eletto per un mandato di cinque anni rinnovabile una sola volta.
Il loro timore è che le conclusioni e le raccomandazioni del dialogo arrivino a sancire il rinvio indeterminato delle elezioni e, quindi, il prolungamento del mandato dell’attuale Presidente della Repubblica o, addirittura, la legittimazione di un eventuale suo terzo mandato, in violazione della stessa Costituzione.
La loro strategia è il rifiuto del dialogo proposto dal Presidente Kabila. Tale rifiuto sarebbe per loro l’unica via possibile per evitare di cadere nella trappola di dovere avallare conclusioni e raccomandazioni non condivise. Essi aspettano la fine dell’attuale e ultimo mandato costituzionale del Presidente Joseph Kabila per decretare la sua definitiva illegalità e illegittimità come Capo dello Stato.
Da parte sua, l’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS) di Étienne Tshisekedi, in seguito alle molteplici irregolarità e i numerosi brogli elettorali del 2011, non ha mai riconosciuto i risultati di quelle elezioni, non corrispondenti alla “verità delle urne”. Per lo stesso motivo, l’UDPS non riconosce alcuna legittimità politica nemmeno alle attuali Istituzioni della Repubblica (Presidenza della Repubblica, Governo, Parlamento, Commissione elettorale). Per questo ha finora sostenuto la necessità di un “dialogo” tra il suo campo e il campo presidenziale, per risolvere il “contenzioso elettorale del 2011”, che rende l’attuale quadro istituzionale illegittimo e concordare un nuovo calendario elettorale consensuale, in vista dell’organizzazione delle prossime elezioni, nel rispetto delle disposizioni e delle scadenze indicate dalla Costituzione.
L’UDPS ritiene che il dialogo debba essere convocato e moderato non da Joseph Kabila, considerato come parte in causa, ma dalla Comunità Internazionale, in particolare dalle Nazioni Unite, nell’ambito dell’accordo quadro di Addis-Abeba. Non è affatto chiaro come l’UDPS intenda risolvere il famoso “contenzioso elettorale del 2011”. Si ha l’impressione che alcuni membri del partito sostengano la necessità di un periodo di transizione con nuovi leader. Un governo di transizione con un Primo Ministro designato dall’UDPS dovrebbe preparare le prossime elezioni, da cui potrebbe nascere un nuovo quadro politico legittimato dal popolo. Dialogo e transizione dovrebbero svolgersi nel rispetto delle scadenze elettorali previste dalla stessa Costituzione.
La posizione dei partiti membri della Maggioranza Presidenziale (MP) non è affatto chiara, perché celata dietro espressioni ufficiali, generiche e date per scontate, del tipo: “il Presidente Kabila rispetterà la Costituzione”, “il Presidente Kabila cederà il posto a un nuovo presidente eletto” e “il dialogo è l’unica via di uscita dalla crisi”. In realtà, la loro vera posizione emerge da alcuni fatti: i vari tentativi di revisione della Costituzione e della legge elettorale, la proposta di introdurre il censimento generale della popolazione come prerequisito per l’organizzazione delle future elezioni, l’elaborazione di un calendario elettorale globale irrealizzabile, la non erogazione dei mezzi finanziari necessari per l’organizzazione delle elezioni, i ritardi presi dal Parlamento nell’approvare i testi giuridici indispensabili in materia elettorale, il volere dare la priorità alle elezioni locali rispetto alle elezioni presidenziali e legislative nazionali e provinciali.
Questi fatti rivelano che l’obiettivo dell’attuale Maggioranza Presidenziale è la conservazione del potere (Presidenza della Repubblica, Governo e maggioranza parlamentare) e, in particolare, il prolungamento del mandato presidenziale dell’attuale Presidente della Repubblica.
In questo contesto, per la Maggioranza Presidenziale il dialogo sarebbe l’unica via possibile per negoziare, a colpi di mazzette, compromessi e promesse di condivisione del potere, un rinvio delle elezioni al di là delle scadenze costituzionali, ciò che le permetterebbe di mantenere il potere, almeno per adesso.
Questa posizione della Maggioranza Presidenziale potrebbe essere rafforzata dall’appoggio ottenuto da alcuni partiti dell’opposizione “nazionalista” favorevoli al dialogo e a un conseguente periodo di transizione politica guidata dallo stesso Joseph Kabila come Presidente della Repubblica e da un Primo Ministro del governo proveniente dall’opposizione. Il Governo di transizione avrebbe il compito di preparare e organizzare un ciclo elettorale completo, cominciando dalle elezioni locali fino alle presidenziali, procedendo dapprima al censimento della popolazione e al rilascio della carta d’identità ad ogni cittadino congolese ovunque si trovi, in patria o all’estero. Gli animatori delle istituzioni della transizione non sarebbero autorizzati a presentarsi come candidati nelle prossime elezioni.
Il popolo congolese rimane il dato imprevedibile del puzzle. L’unica cosa che si sa su di lui è la sua volontà di far rispettare la costituzione, di cambiare gli attuali leader delle istituzioni, di passare da una democrazia di facciata ad una vera democrazia basata sulla giustizia e non sull’impunità, sull’onestà e non sulla corruzione, su un’economia che metta le questioni sociali al centro delle sue preoccupazioni e non su un’economia centrata sul saccheggio delle risorse naturali del Paese da parte delle multinazionali, con la complicità interna di certe personalità politiche, militari e imprenditoriali congolesi.