Congo Attualità n. 262

INDICE

EDITORIALE – DIETRO LE ADF: APPOGGI, INFILTRAZIONI E COMPLICITÀ

  1. IL KIVU NELLA MORSA DEI GRUPPI ARMATI
    1. Le Forze Democratiche Alleate (ADF)
    2. Le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR)
    3. Il Movimento del 23 marzo (M23)
    4. I Mai-Mai
  2. VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI

EDITORIALE – DIETRO LE ADF: APPOGGI, INFILTRAZIONI E COMPLICITÀ

 

1. IL KIVU NELLA MORSA DEI GRUPPI ARMATI

a. Le Forze Democratiche Alleate (ADF)

Il 29 novembre, centinaia di assalitori identificati come ribelli ugandesi delle Forze Democratiche Alleate (ADF) hanno attaccato il villaggio di Eringeti, una cittadina del territorio di Beni. Sono state uccise 25 persone, tra cui donne e bambini. È stato un attacco di inaudita violenza che ha sorpreso molti osservatori. Se, per altri attacchi, alcuni osservatori ed esperti avevano espresso dubbi sull’identità degli assalitori, ritenendo che la modalità di attacco delle ADF è stata a volte imitata, per nascondere regolamenti di conto di tipo politico, economico o fondiario, questa volta, non c’è alcun dubbio: sono stati i ribelli delle ADF che hanno attaccato Eringeti. Infatti, secondo diverse fonti, tra i dodici ribelli uccisi, è stato identificato anche un comandante delle ADF.

Tuttavia, ciò che pone seri interrogativi è la modalità con cui si è svolto l’attacco: quattro attacchi simultanei, a partire dalle 15h00, contro le posizioni dell’esercito, della polizia e della Monusco e contro l’ospedale Eringeti. Nonostante la forte reazione delle forze dell’ordine, gli attacchi sono continuati fino a tarda notte. Gli assalitori hanno attaccato dapprima la postazione dell’esercito congolese (FARDC) per potere poi attaccare quella della Monusco, dove militari congolesi e caschi blu si erano ritirati per cercare di resistere. Per attaccare la postazione della Monusco, gli attaccanti hanno usato le armi abbandonate precedentemente dalle FARDC. Secondo il parere di diversi osservatori congolesi e stranieri, si tratta di abilità militari insolite per i miliziani ADF, ora meglio attrezzati, meglio armati e meglio formati. Rimangono due domande inquietante: le ADF hanno agito da sole? E soprattutto, da chi hanno ottenuto le armi?[2]

Ciò che è nuovo nell’attacco di Eringeti è la professionalità che le ADF hanno dimostrato, come se fossero dei militari di un esercito regolare o dei commando ben addestrati. Se, finora, le ADF non avevano mai dato prova di un addestramento militare, la domanda scottante è di sapere chi ha sostenuto questo loro addestramento militare. Lo sguardo non può che dirigersi verso l’Uganda, paese limitrofo. Non c’è che questo paese che possa segretamente fornire tale supporto alle ADF, per creare il caos nel Nord Kivu, in particolare nella regione di Beni-Mutwanga che il presidente Museveni vuole controllare, per sfruttarne le immense risorse naturali.[3]

Il Centro Studi per la promozione della Pace, della Democrazia e dei Diritti Umani (CEPADHO) ha affermato di disporre di prove sufficienti secondo cui alcuni miliziani ADF, uccisi o feriti nel corso degli attacchi di Eringeti, sono stati soccorsi, curati o sepolti, da militari dell’esercito ugandese (UPDF) del Distretto di Bundibugyo / in Uganda, senza averli segnalati alle autorità congolesi.

Molti membri ADF feriti o uccisi sono stati identificati come soldati regolari dell’Esercito ugandese (UPDF). Tra i feriti, si sono citati i nomi di alcuni ufficiali dell’UPDF: i capitani Aly, Mugisa, Njoloko e Oyo e il maggiore Sibuka, tutti ricoverati presso il centro ospedaliero di Kibuku 1, nel distretto di Bundibugyo (Uganda). Le fonti cui ha avuto accesso il Cepadho informano, inoltre, che un famoso comandante ADF, il colonnello Braida, sarebbe stato leggermente ferito durante gli scontri di Eringeti e sarebbe stato curato nella struttura sanitaria citata, dove è stato ricoverato per una settimana, prima di ritornare a Beni, nella RDCongo. Tra quelli caduti sul fronte a Eringeti e i cui resti sono stati trasportati in Uganda, il Cepadho ha identificato: il sergente Kyamwenda, sepolto a Busunga, il capitano Businge Julias e il maggiore Sanyo, sepolti a Bundibugyo.

Il Cepadho ricorda che, in passato, l’ex comandante dell’operazione militare Sukula1, il generale Muhindo Akili Mundos, era riuscito a catturare un certo numero di combattenti ADF che avevano dichiarato di essere stati membri dell’esercito ugandese (UPDF) prima di entrare a far parte delle ADF. Tra loro: Abdalah Kisembo, Ndungwa Hussein, Ramadhan Musene. Il Cepadho vuole attirare l’attenzione su un probabile appoggio di Kampala alle ADF e ai suoi alleati.[4]

Il 18 dicembre, a Kakuka (Distretto di Bundibugyo, in Uganda), la popolazione locale si è opposta a una nuova incursione di uomini armati nella Repubblica Democratica del Congo a partire dall’Uganda. Secondo fonti del CEPADHO, i militari dell’esercito ugandese (UPDF) si erano ritirati dal campo militare di Kakuka, ufficialmente per essere rimpiazzati. Pochi giorni dopo, al campo sono arrivati centinaia di uomini armati e in uniforme militare. Le autorità locali hanno preso contatto con i comandanti di questi combattenti per informarsi sulla loro identità. In tale occasione, i nuovi arrivati si sono presentati come dei combattenti Yira-Rwanzururu, movimento militare del Regno Businga Bwa Rwanzururu, del distretto di Kasese, reclutati dall’esercito ugandese per raggiungere altri combattenti infiltrati nella RDCongo. È in quel momento che la popolazione di Kakuka si è mobilitata per cacciare questi combattenti dal loro villaggio, incendiando il campo militare dove erano alloggiati.[5]

Il 20 dicembre, le ADF hanno attaccato la postazione dell’esercito nazionale (FARDC) a Sesele, nel raggruppamento di Bambuba-Kisiki, settore di Beni Mbau. Le FARDC hanno ripreso il controllo su Sesele il giorno successivo. Secondo fonti del Cepadho, negli scontri sarebbero stati uccisi almeno 12 soldati, tra cui un ufficiale del 1° Battaglione del 3402° Reggimento delle FARDC.[6]

Il 23 dicembre, in territorio Beni, sono stati ritrovati almeno 8 civili massacrati dalle ADF. La maggior parte delle vittime sono state uccise a colpi di machete. Secondo le informazioni raccolte dal Cepadho, 5 civili sono stati uccisi a 4 km a est di Mavivi, nella valle del fiume Nzuma, mentre stavano lavorando nei loro campi. 3 corpi, tra cui quelli di una coppia, sono stati ritrovati nella località di Ngite e un altro a Vemba. Fino alla sera del 24 dicembre, la ricerca del 5° corpo era ancora in corso. Inoltre, 3 civili, membri di una stessa famiglia sono stati assassinati nei loro campi, a Mayangos, nei pressi di Katota, nel Parco Nazionale dei Virunga.[7]

Il 26 dicembre, le FARDC si sono scontrate con le ADF a Malolu, vicino a Mayangos, tra la città di Beni e il parco nazionale dei Virunga. Secondo fonti del Cepadho, le ADF sarebbero entrate nel villaggio di Malolu verso le 2h00 del mattino, attaccando la postazione delle FARDC e incendiando il villaggio. Secondo fonti concordanti, negli scontri che hanno avuto luogo presso il “blocco 46”, almeno 3 civili sono stati uccisi dalle ADF e 2 soldati feriti. Tuttavia, l’esercito regolare ha potuto mantenere il controllo sulla situazione.[8]

Il 26 dicembre, durante la notte, le FARDC hanno respinto un attacco di presunti ADF a Linzo Sisene, un villaggio situato a circa 50 chilometri a nordest della città di Beni. Secondo fonti militari, gli aggressori hanno cercato di prendere il controllo sul campo militare locale per rifornirsi di armi e munizioni. Secondo fonti locali, gli aggressori provenivano dal Parco Nazionale dei Virunga ed erano pesantemente armati e ben equipaggiati, ma sono stati respinti dopo pesanti combattimenti durati circa venti minuti.[9]

b. Le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR)

Il 7 dicembre, Le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) hanno ucciso tre agricoltori mentre questi si stavano recando a lavorare nei loro campi, presso la località Mulinde, raggruppamento d’Itala, nel territorio di Lubero (Nord Kivu).[10]

L’11 dicembre, i Mai-Mai dell’Unione dei Patrioti per la Difesa degli Innocenti (UPDI) hanno attaccato e preso il controllo sul villaggio di Kanune, in cui le FDLR-Rud si erano concentrate. Kanune è una località situata tra il raggruppamento di Tama e quello di Ikobo, al confine tra i territori di Lubero e Walikale. 9 FDLR e 1 Mai-Mai sono stati uccisi sul campo di battaglia.[11]

Secondo l’ASADHO, da metà ottobre a metà dicembre, nei due raggruppamenti di Ikobo e di Kisimba, a nord del territorio di Walikale, i ribelli ruandesi delle FDLR hanno ucciso 27 civili, alcuni con armi, altri a colpi di machete. Hanno incendiato 2.650 case nel raggruppamento di Ikobo e 650 nel raggruppamento di Kisimba. Le FDLR hanno voluto vendicarsi degli attacchi che i Mai-Mai (NDC e UPDI) avevano precedentemente condotto contro le loro postazioni.[12]

Il 16 dicembre le FDLR hanno ucciso un abitante di Miriki a Mukeberwa, nel raggruppamento di Itala, nel territorio di Lubero e altri 3 a Misambo, il 17 dicembre, mentre erano nei loro campi.[13]

Il 19 dicembre, le FDLR si sono scontrate con i Mai-Mai / UPDI a Mumbangwe, nel raggruppamento di Itala, nel territorio di Lubero. Tre miliziani delle FDLR sono stati uccisi.[14]

Il 22 dicembre, i miliziani mai-Mai dell’Unione dei Patrioti per la Difesa degli Innocenti (UPDI) hanno di nuovo attaccato i miliziani delle FDLR a Buleusa, nel raggruppamento di Ikobo, territorio di Walikale. Il bilancio provvisorio degli scontri sarebbe di cinque morti, tra cui quattro FDLR e 1 miliziano Mai-Mai. Dopo aver cacciato le FDLR dal villaggio, i Mai-Mai hanno ripreso il controllo su Buleusa. Il mese scorso, i Mai-Mai avevano affrontato le FDLR nello stesso villaggio e li avevano cacciati. Ma, poiché i miliziani Mai-Mai si erano ritirati dal villaggio per continuare a combattere le FDLR in altri villaggi, le FDLR erano ritornate ad occupare di nuovo Buleusa.[15]

Il 22 dicembre, 16 cadaveri sono stati ritrovati a Buleusa, nel raggruppamento di Ikobo, territorio di Walikale. Altri 12 corpi sono stati ritrovati a Mashuta, sempre nel raggruppamento di Ikobo. Tra le vittime, quattro erano di Luofu e una di Kanyabayonga. Inoltre, a Mukeberwa, nel raggruppamento di Itala, in territorio di Lubero, sono stati scoperti altri 5 corpi di persone uccise dalle FDLR. Di questi cinque, due erano di Luofu. I massacri hanno avuto luogo tra il 16 e il 21 dicembre. Alcuni corpi ritrovati erano già in stato di decomposizione. Le persone uccise sarebbero, per lo più, degli ostaggi, dei prigionieri, dei sequestrati o degli arrestati su ordine del colonnello Kizito, membro delle FDLR-FOCA.[16]

Il 23 dicembre, uomini armati presumibilmente membri delle FDLR hanno attaccato un minibus proveniente da Butembo e diretto a Goma, sequestrando 14 persone a Kabasha, nel territorio di Rutshuru. Una pattuglia delle FARDC e delle guardie forestali dell’ICCN ha inseguito i sequestratori e è riuscita a liberare 11 ostaggi.[17]

Il 26 dicembre, verso le 4h30 del mattino, i Mai-Mai / UPDI di Marungu Muliro hanno attaccato i Mai-Mai / PARECO di Kakule Sikuli Lafontaine (alleati delle FDLR), a Mbuavinywa e a Kanyatsi, nel raggruppamento di Tama, a sud del territorio di Lubero. I combattimenti sono cessati poche ore dopo, verso le 7h00.[18]

Il 27 dicembre, reagendo alle sconfitte loro inflitte dai Mai-Mai / UPDI a Mbuavinywa e a Kanyatsi, le FDLR / PARECO hanno attaccato, verso le 6h00 del mattino, la postazione dei Mai-Mai / UPDI di Ihavula, nel raggruppamento di Tama, a sud del territorio di Lubero. I combattimenti sono durati circa tre ore. Il bilancio provvisorio è di 7 morti, di cui 4 erano membri della Coalizione FDLR / PARECO e 3 dell’UPDI.[19]

Il 6 gennaio, durante la notte, quattordici persone sono state uccise in un attacco delle FDLR che sembrano aver preso di mira la comunità Nande. L’attacco è avvenuto a Miriki, nel raggruppamento di Itala, a sud del territorio di Lubero, a circa 110 km a nord di Goma. Tra i 14 civili massacrati sono stati segnalati 7 donne, un uomo e sei bambini. Altre nove persone sono state gravemente ferite, soprattutto bambini. Solo posteriormente, si è appreso che, tra i nove feriti, uno è deceduto all’ospedale di Kayna, dove era stato trasferito. Il 7 gennaio, al mattino, i giovani ha nno eretto barricate sulle strade di Miriki, per denunciare la passività delle FARDC e della MONUSCO che non hanno saputo impedire il massacro in una zona tuttavia sotto loro controllo. In un alterco tra i giovani manifestanti e i soldati dispiegati per disperdere i manifestanti e ristabilire l’ordine, un manifestante sarebbe stato ucciso, colpito da un proiettile sparato da un soldato delle FARDC. Il totale dei morti sarebbe così passato da 14 a 16 persone. Nel frattempo, il villaggio di Miriki si è svuotato dei suoi abitanti. Intere famiglie sono fuggite verso Luofu, Kayna, Kanyabayonga e Kirumba. Secondo la società civile locale, l’attacco delle FDLR avrebbe una dimensione comunitaria, perché «tutte le vittime sono della stessa etnia Nande». In questa zona, già da mesi le autorità nande si opporrebbero al ritorno degli sfollati hutu congolesi, accusandoli di connivenza con le FDLR.[20]

Anche il portavoce della MONUSCO, Charles Bambara, ha evocato delle tensioni etniche che sarebbero all’origine dell’attacco perpetrato dalla milizia ruandese delle FDLR: «Nelle ultime settimane, gli sfollati hutu congolesi presenti sul territorio di Lubero non avevano cibo a sufficienza e hanno saccheggiato le coltivazioni dei vicini, il che ha aggravato ancor più la tensione e ha certamente spinto le FDLR, che in qualche modo sostengono gli Hutu congolesi, ad intervenire per difendere la loro causa».

Ma le FDLR smentiscono qualsiasi loro implicazione nell’attacco di Miriki. La Forge Fils Bazeye, portavoce delle FDLR, ha dichiarato: «Deploriamo questo massacro e non ne siamo responsabili. Non siamo presenti a Miriki. Tutto ciò che possiamo consigliare è un’inchiesta internazionale neutrale per determinare le responsabilità di questo atroce massacro». Da parte sua, la MONUSCO ha riferito di avere già inviato sul luogo una missione d’inchiesta.[21]

L’arresto di Ladislas Ntaganzwa

Il 9 dicembre, il Meccanismo per i Tribunali Penali Internazionali (MTPI) delle Nazioni Unite ha annunciato l’arresto di Ladislas Ntaganzwa, uno dei nove presunti genocidari ruandesi ancora ricercati. «Le autorità congolesi hanno arrestato, oggi [9 dicembre], Ladislas Ntaganzwa», ha annunciato davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, a New York, Hassan Bubacar Jallow, Procuratore del MTPI, struttura basata ad Arusha (Tanzania) e incaricata di completare i lavori del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR) e di quello per l’ex Jugoslavia (TPIY), ormai giunti alla fine dei loro rispettivi mandati.

Un portavoce dell’esercito congolese nel Nord Kivu, il capitano William Djike, ha affermato che «Ntaganzwa è stato arrestato in seguito a un’offensiva militare contro una posizione delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), dov’è localizzata la residenza del generale Sylvestre Mudacumura, capo militare di questo gruppo armato». «Abbiamo ucciso quattro FDLR (…) e gli altri sono fuggiti. Durante la notte tra il 5 e il 6 dicembre, la Polizia Nazionale Congolese di Nyanzale (a 60 km a nord di Goma) ha arrestato Ladislas Ntaganzwa e l’ha portato a Goma il 9 dicembre», ha aggiunto l’ufficiale.

Tuttavia, fonti della polizia hanno indicato che Ladislas Ntaganzwa sarebbe stato arrestato dai suoi stessi compagni, il 3 dicembre, a Kiyeye, un villaggio situato a 10 chilometri a ovest di Nyanzale, nel territorio di Rutshuru. Dopo il suo arresto, Ladislas Ntanganzwa sarebbe stato consegnato alla Polizia Nazionale Congolese (PNC) dai suoi stessi compagni. Egli si era rifugiato a Kiyeye, dopo essere fuggito dal raggruppamento d’Ikobo, del territorio di Walikale, a causa dell’offensiva intrapresa dalla coalizione Mai-Mai formata dal NDC/Rinnovato e dall’Unione dei Patrioti per la Difesa degli Innocenti (UPDI) il 22 novembre contro le FDLR localizzati in quella zona. Secondo fonti locali, Ladislas Ntanganzwa è stato presentato alla polizia l’8 dicembre come un “autore di atti di genocidio”. Tuttavia, le ragioni del suo arresto e della sua consegna alla polizia nazionale congolese da parte dei suoi compagni di Nyanzale, non sono ancora ben stabilite.

Ladislas Ntaganzwa fa parte di un gruppo di nove presunti responsabili del genocidio ruandese ancora ricercati dal TPIR. Per l’arresto di Ntaganzwa, e degli altri otto fuggitivi: Félicien Kabuga, Augustin Bizimana, Protais Mpiranya, Fulgence Kayishema, Pheneas Munyarugarama, Aloys Ndimbati, Ryandikayo e Charles Sikubwabo era stata fissata una ricompensa di 5 milioni di $.

Dopo aver ringraziato le autorità congolesi per l’arresto di Ntaganza, Hassan Bubacar Jallow ha chiesto loro di trasferire, “senza indugio”, il sospetto verso il Ruanda, dal momento che il TPIR ha già deferito il suo dossier alla giustizia ruandese. Ladislas Ntaganzwa è accusato di cospirazione per commettere genocidio, genocidio, complicità in genocidio, istigazione diretta e pubblica a commettere il genocidio e crimini contro l’umanità.

Da parte sua, il ministro congolese della Giustizia, Alexis Thambwe Mwamba, ha dichiarato che, volendo le autorità di Kinshasa interrogare dapprima l’arrestato, sono state prese tutte le misure necessarie per trasferirlo a Kinshasa. Ha aggiunto che la giustizia congolese informerà il governo ruandese che aveva emesso un mandato di arresto internazionale contro Ntaganza. Egli ha sottolineato che, «trattandosi di un membro importante delle FDLR, il suo arresto dimostra la determinazione del governo congolese nella lotta contro le FDLR. Il Governo congolese concederà la sua estradizione verso il Ruanda, ma coglierà l’occasione per porre tale questione anche al Ruanda, a proposito di alcune persone contro cui il governo congolese ha emesso dei mandati di cattura internazionali e che, malgrado ciò, continuano a risiedere in Ruanda».

Sindaco della località di Nyakizu, nel sud del Ruanda, durante i massacri del 1994, Ladislas Ntaganzwa avrebbe in quel tempo incitato ad uccidere dei Tutsi. Ma l’interessato ha respinto tale accusa. Nel 2.000, egli avrebbe aderito alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). «Ladislas Ntaganzwa non è membro delle FDLR e non era nemmeno sotto la nostra protezione», ha affermato il portavoce delle FDLR, La Forge Fils Bazeye, aggiungendo: «Altrimenti, non l’avrebbero preso in questo modo». L’11 dicembre, Ladislas Ntaganzwa è stato trasferito a Kinshasa, per essere interrogato dalla giustizia congolese.[22]

L’11 dicembre, il CEPADHO si è congratulato con l’esercito e i servizi di sicurezza congolesi per l’arresto di Ladislas Ntaganzwa, ritenendo che questo fatto contribuirà notevolmente all’instaurazione della pace, della sicurezza e della giustizia nella regione. Il CEPADHO ritiene tuttavia che, prima di consegnare Ladislas Ntangazwa al suo Paese, lo Stato congolese debba esigere dal Ruanda una controparte. In nome della reciprocità, il CEPADHO chiede che prima di ogni estradizione di Ladislas Ntangazwe al Ruanda, la Repubblica Democratica del Congo debba esigere dal Ruanda stesso l’estradizione dell’ex generale Laurent Nkunda e di altri criminali ricercati dalla giustizia congolese, tra cui Jean Marie Runiga, i colonnelli Baudouin Ngaruye, Eric Badege e Innocent Zimurinda, finora ospitati dal Ruanda. Il CEPADHO ricorda che è inaccettabile che la RDCongo serva da cane da caccia o da poliziotto per conto di altri paesi che stanno palesemente violando gli accordi di cooperazione giudiziaria e le convenzioni di buon vicinato.[23]

Gli ex FDLR acquartierati a Kisangani

Il 12 dicembre, gli Inviati Speciali dell’Unione europea, dell’Unione africana, degli Stati Uniti d’America e delle Nazioni Unite per la Regione dei Grandi Laghi e il capo della Monusco si sono recati a Kisangani per incontrare gli ex combattenti delle FDLR acquartierati presso il campo militare “tenente generale Bauma”, situato a 10 chilometri dal centro della città. La delegazione ha raccomandato a questi ex combattenti di ritornare in Ruanda, la loro patria, senza condizioni. La comunità internazionale ha promesso di facilitare il loro ritorno in Ruanda in un contesto umanitario. Koen Vervaeke, inviato speciale dell’Unione europea nella regione dei Grandi Laghi, ha assicurato: «Possiamo aiutare dal punto di vista umanitario, per facilitare il loro reinserimento in Ruanda, loro paese d’origine. Per loro, rimanere qui non è una soluzione». Nonostante questa promessa, gli ex combattenti FDLR hanno affermato di non volere ritornare in Ruanda e hanno chiesto che si trovi un paese terzo, che non sia il Ruanda, disposto ad accoglierli. Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Maman Sidikou, ha promesso di ritornare a Kisangani per approfondire la questione.[24]

c. Il Movimento del 23 marzo (M23)

Due anni dopo la firma delle dichiarazioni di Nairobi, tra le diverse centinaia di ex combattenti dell’ex Movimento del 23 marzo (M23) rifugiati in Uganda e in Ruanda, solo circa 180 sono rientrati nella RDCongo. La CIRGL aveva fissato il 15 dicembre 2015 come data limite per la fine del rimpatrio di questi ex combattenti. Da parte loro, le autorità congolesi hanno denunciato l’infiltrazione di ex ribelli del M23 nell’est della RDCongo, ciò che il movimento stesso smentisce. Si parla di oltre 1.000 ex combattenti e civili dell’M23 che sarebbero letteralmente scomparsi dall’Uganda e dal Ruanda.

Dei circa 1.740 registrati in Uganda, non ne resterebbero che 640. Se 185 sono già ritornati in Congo, gli altri 900 sarebbero svaniti nel nulla. «Ci è stato detto che sono in famiglia, che hanno ottenuto un permesso di assenza, che non sono prigionieri e che, quindi, sono liberi», ha dichiarato Francois Mwamba, coordinatore del meccanismo di controllo dell’attuazione dell’accordo quadro di Addis Abeba. Per quanto riguarda quelli che erano fuggiti in Ruanda, circa 600, solo 450 erano stati registrati. Ma oggi, secondo un osservatore internazionale, non si sa più nulla di loro.

Secondo François Mwamba, il problema è la malafede del M23, i cui membri si starebbero infiltrando nel nord del Nord-Kivu e nel Sud-Kivu: «i servizi della sicurezza congolsi hanno effettivamente individuato la presenza di queste persone sia nell’estremo nord del Nord-Kivu che nel Sud-Kivu». Nel Sud Kivu, si tratterrebbe di ex combattenti del M23 che collaborerebbero con “degli infiltrati burundesi provenienti dal Ruanda”. Uno dei più recenti casi citati è l’arresto di un operatore radiofonico presentato come un ex membro del M23 e di due ufficiali burundesi disertori. Le autorità congolesi parlano anche di infiltrati burundesi in possesso di certificati elettorali congolesi nuovi. Esse affermano di sospettare che questi certificati elettorali provengano ​​da lotti elettorali rubati dal M23 nel Rutshuru e nel Masisi dopo le elezioni del 2011.

Per quanto riguarda la regione di Beni, nel Nord Kivu, ancora una volta Kinshasa fa riferimento a “infiltrazioni legate al deterioramento della sicurezza”. «È una menzogna per nascondere la propria responsabilità nei massacri», ribatte il M23. «A Rutshuru, sappiamo che ci sono, ma sono ritornati in modo pacifico», afferma una fonte ufficiale. «Si tratta di quelli che sono stati espulsi dal movimento, per tradimento, nel dicembre 2013 e che collaborano con Kinshasa», afferma il M23.[25]

Gli ex combattenti del M23 hanno smentito di avere dei rapporti con i ribelli burundesi che si sarebbero infiltrati sul suolo congolese. I Servizi segreti congolesi avevano affermato di aver intercettato e catturato 36 di questi ribelli burundesi che, interrogati, avevano dichiarato di avere dei legami con il M23.

C’è, in primo luogo, la questione relativa ai certificati elettorali congolesi ritrovati tra i documenti di vari di questi presunti infiltrati. Secondo le autorità congolesi, questi certificati elettorali erano stati rubati dal M23 nel Nord Kivu, e poi trasportati in Rwanda … dove sarebbero stati distribuiti. Falso, ha risposto Elie Mutela, direttore di gabinetto della Presidenza del M23: «Il M23 non ha mai rubato dei certificati elettorali. Il M23 è stato creato un anno dopo le elezioni. Come poteva il M23 ottenere dei certificati elettorali un anno dopo le elezioni? Praticamente, si tratta di una menzogna». Ma non è tutto. Sempre secondo i servizi segreti congolesi, tra i Burundesi infiltrati arrestati lo scorso settembre, tre appartenevano al M23. Compreso il capitano Adalbert Rugamba che, in passato, aveva lavorato nell’esercito congolese con Sultani Makenga, in seguito diventato Capo di Stato Maggiore del M23. Ma, secondo Elia Mutela, ciò non rappresenta alcun motivo di prova: «Il capitano di cui si è parlato non appartiene al M23. Se fu membro delle FARDC, non per questo ogni collega del generale Makenga deve essere considerato come appartenente al M23. Si tratterrebbe di una falsa logica».[26]

Il 16 dicembre, in occasione della conferenza stampa settimanale delle Nazioni Unite, la responsabile della sezione smobilitazione, disarmo, rimpatrio, reinserimento e reintegrazione (DDRRR) della Monusco, Taz Greyling, ha affermato che solo dodici ex combattenti dell’ex M23, su novecento che erano attesi, sono stati rimpatriati in Congo entro la data limite dell’ultimatum emesso dalla Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) per il rimpatrio di questi ex combattenti. La pressione esercitata da alcuni leader dell’ex M23 avrebbe ostacolato il rimpatrio degli altri ex combattenti. «A livello del comando del M-23, c’è stata una grande indifferenza, atti d’intimidazione, disinformazione e ostruzione di accesso», ha dichiarato Taz Greyling.

Attualmente, sempre secondo la stessa fonte, 573 ex membri del M23 si trovano nella RDCongo, compresi i 12 rimpatriati durante l’ultimatum, e circa 1.500 si trovano ancora fuori, tra cui 1.039 in Uganda e 440 in Ruanda. Una delegazione congolese si trova nella capitale ugandese, Kampala, da circa due settimane, per identificare gli ex combattenti del M23 acquartierati presso il campo militare di Bihanga e per facilitare il rimpatrio volontario di coloro che desiderano ritornare nella RDCongo. La delegazione è composta dal Generale Kalume, inviato speciale del Capo dello Stato nella regione dei Grandi Laghi, dal vice capo di stato maggiore responsabile dei servizi di intelligence e del processo DDR3 del governo e dai rappresentanti del Meccanismo di controllo dell’esecuzione degli accordi di Nairobi.[27]

d. I Mai-Mai

Il 1° gennaio, a Shabunda (Sud Kivu), dieci combattenti appartenenti a diverse fazioni dei Raia Mutomboki si sono arresi al 3309° reggimento delle FARDC. Questi miliziani apparterrebbero alle fazioni di Nisawa Songa, Makombo e Kimba.

Invece, nel territorio di Kalehe (Sud Kivu) nove signori della guerra occupano ancora almeno sette villaggi, tra cui Chabunda e Lukando, nel raggruppamento di Kalima. Nello stesso raggruppamento, cinque capi Raia Mutomboki hanno posto il loro stato maggiore militare a Mushenge e a Ekingi. Secondo la società civile locale, si tratta di Bwale Hamakombo, Tumaini Kapitwa, Gyeme Munono, Masahani e Mungoro Matofali. Altri villaggi occupati da gruppi armati sono: Lailai, nel raggruppamento di Mubuku; Musenyi, nel raggruppamento di Buloho; Ramba, nella foresta di Kinono e Mashere. Secondo fonti locali, sarebbero occupati dai Raia Mutomboki di Shukuru, recentemente espulso da Katasomwa dalle FARDC, dai Raia Mutomboki di Butachibera, dai Mai-Mai Nyatura (Alleati delle FDLR) e dai Raia Mutomboki di Mweke.

Le autorità territoriali hanno confermato l’occupazione di tutte queste entità, tuttavia hanno affermato che sono in corso delle operazioni militari per neutralizzare tutti questi gruppi. Ma nel frattempo, le popolazioni che vivono in queste zone occupate continuano a subire quotidianamente soprusi, saccheggi e arresti arbitrari da parte di questi stessi miliziani che controllano anche i piccoli mercati locali.[28]

Il 4 gennaio, a Mbuavinywa, nel raggruppamento di Tama, a sud del territorio di Lubero (Nord Kivu), i Maï-Maï PARECO (milizia alleata con le FDLR) hanno arrestato tre giovani che erano andati a lavorare nei loro campi. Gli elementi del PARECO avrebbero legato le vittime per condurle nel loro campo militare di Karambi, a quasi 15 km a est di Mbuavinywa. Sarebbero stati torturati.[29]

Il 5 gennaio, a Ziralo, in territorio Kalehe, nella provincia del Sud Kivu, i soldati delle FARDC hanno ucciso sei combattenti Nyatura e catturato un altro. Hanno recuperato anche delle armi. Dopo violenti scontri tra le FARDC e i Nyatura, iniziati il 30 dicembre, a Ziralo è tornata la calma.[30]

2. VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI

L’8 dicembre, l’Associazione Africana per la Difesa dei Diritti Umani (ASADHO / Nord Kivu) ha affermato, in un comunicato, di avere documentato diversi casi di violazione dei diritti umani nel territorio Beni, avvenuti dal mese di gennaio fino al mese di dicembre 2015. Secondo il suo rapporto, l’associazione riferisce di 350 persone uccise a colpi di machete e armi da fuoco, 12 casi di attacchi a caserme delle FARDC, 20 agguati contro persone civili sulle strade Oïcha – Eringeti e Mbau – Kamango, più di 100 persone scomparse, due stazioni radio chiuse e un’altra incendiata. Il comunicato precisa che questa situazione ha causato la fuga di più di trenta-cinque mila persone, rimaste senza assistenza umanitaria e la chiusura di 15 scuole e 7 centri sanitari. L’ASADHO chiede un’indagine internazionale per trovare i veri colpevoli. Il comunicato raccomanda al governo congolese di mettere a disposizione delle FARDC le risorse necessarie per permettere loro di porre fine all’insicurezza in questa parte del Nord Kivu. L’ASADHO chiede anche l’accelerazione della richiesta di estradizione di Jamil Mukulu, capo delle ADF e la ripresa delle operazioni Sokola I contro questi ribelli ugandesi.[31]

Il 16 dicembre, Human Rights Watch (HRW) ha pubblicato un rapporto secondo il quale, nel 2015, si sono registrati almeno 175 casi di persone sequestrate da vari gruppi armati. La stragrande maggioranza dei sequestri documentati sono constatati nel territorio di Rutshuru, nel nord Kivu.

Tra altri casi, HRW riporta quello del 2 settembre, quando uomini armati hanno sequestrato una studentessa di 27 anni nei pressi dell’ospedale generale di Goma e l’hanno portata in foresta, dov’è stata detenuta con altri ostaggi. Secondo la testimonianza della ragazza, i sequestratori picchiavano e maltrattavano gli ostaggi, talvolta torturandoli con baionette infuocate. «Un giorno, quando abbiamo chiesto del cibo, hanno scelto uno di noi e l’hanno ucciso tagliandogli la gola. Poi ci hanno detto: “se volete mangiare, ecco la carne”», ha raccontato la ragazza a Human Rights Watch, aggiungendo di essere stata detenuta nove giorni e di essere stata rilasciato dopo che la sua famiglia abbia pagato un riscatto.

Nei casi documentati da Human Rights Watch, i sequestratori hanno chiesto dei riscatti che vanno dai 200 ai 30.000 dollari per ostaggio, anche se le somme versate erano spesso molto inferiori rispetto a quelle richieste. Le fonti di informazioni cui HRW ha fatto ricorso hanno indicato che i sequestratori operano di solito in gruppi di dieci o più persone e che sono spesso armati di kalashnikov o di altre armi d’assalto. Molti di loro indossano uniformi militari e sembrano appartenere, o essere appartenuti, ad uno dei molti gruppi armati ancora attivi nell’est della RDCongo. I sequestratori seguono spesso una procedura simile: picchiano, frustano e minacciano di morte i loro ostaggi, per obbligarli a chiamare i loro parenti o datori di lavoro, al fine di convincerli a pagare un riscatto per la loro liberazione. In alcuni casi, si tratta di sequestri di un singolo ostaggio e in altri casi si tratta di un gruppo di ostaggi. Per negoziare il pagamento dei riscatti, i sequestratori usano i telefoni cellulari delle vittime o i loro propri telefoni. Per mettere fine alla piaga dei sequestri, HRW ha chiesto alle autorità congolesi di creare un’unità speciale di polizia.[32]

[1] Cf Kimp – Le Phare – Kinshasa, 28.12.’15

[2] Cf RFI, 17.12.’15

[3] Cf Kandolo M. – Forum des As – Kinshasa, 24.12.’15

[4] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 17 décembre 2015

[5] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 21 décembre 2015

[6] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 21 décembre 2015

[7] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 24 décembre 2015

[8] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 26 décembre 2015

[9] Cf Radio Okapi, 27.12.’15

[10] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 08 décembre 2015

[11] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 11 décembre 2015

[12] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 18 décembre 2015

[13] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 20 décembre 2015

[14] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 20 décembre 2015

[15] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 22 décembre 2015

[16] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 23 décembre 2015

[17] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 23 décembre 2015

[18] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 26 décembre 2015

[19] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 27 décembre 2015

[20] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 7 janvier 2016; AFP – Africatime, 07.01.’16; RFI, 07.01.’16

[21] Cf RFI, 08.01.’16

[22] Cf AFP – Jeune Afrique, 10 et 11.12.’15 ; Radio Okapi, 10.12.’15 ; RFI, 10 et 11.12.’15

[23] Cf CEPADHO – Communiqué de presse de l’11 décembre 2015

[24] Cf Radio Okapi, 12.12.’15

[25] Cf RFI, 13 et 14.12.’15

[26] Cf RFI, 08.01.’16

[27] Cf Radio Okapi, 16.12.’15

[28] Cf Radio Okapi, 02.01.’16

[29] Cf CEPADHO – Bulletin d’Information du 5 janvier 2016

[30] Cf Radio Okapi, 06.01.’16

[31] Cf Radio Okapi, 11.12.’15

[32] Cf Radio Okapi, 17.12.’15