Il nuovo volto dei gruppi armati

Editoriale Congo Attualità n. 259 – a cura della Rete Pace per il Congo

Il gruppo di studio sul Congo (GEC), un progetto di ricerca guidato da Jason Stearns e da Christoph Vogel, ha fatto un’analisi sui gruppi armati dell’est della RDCongo. Lo studio ha rilevato una inquietante proliferazione, ma anche una frammentazione di queste milizie e una diminuzione dell’interferenza dei Paesi vicini sui due Kivu. I due ricercatori hanno notato che, nel mese di ottobre 2015, 69 gruppi armati erano ancora attivi nell’est della RDCongo, in un contesto umanitario fortemente degradato con 1,6 milioni di persone sfollate.

Piccoli gruppi, meno sostenuti dai Paesi vicini

Prima osservazione del gruppo di studio sul Congo: questi gruppi armati che, nel 2008, erano solo una ventina, si sono frammentati. La maggior parte di queste milizie sono dei piccoli gruppi comprendenti «non più di 200 membri, di solito reclutati su base etnica». I ricercatori hanno poi notato che l’ingerenza dei Paesi vicini sull’est della RDCongo «è al suo livello più basso». Secondo il rapporto del GEC, «per la prima volta dal 1996, il governo ruandese non ha un serio alleato nella zona. Anche se il Ruanda volesse intervenire di nuovo, non gli sarebbe tanto facile». Paradossalmente, i gruppi armati più forti attivi nella regione sono prevalentemente stranieri. In effetti, sul suolo congolese ci sono le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), le Forze Democratiche Alleate (ADF) ugandesi e le Forze Nazionali di Liberazione del Burundi (FNL).

FDLR, ADF, FNL …

– Il gruppo armato più forte è quello delle FDLR, comprendente tra i 1.000 e i 2.500 membri. Secondo il GEC, si tratta di una ribellione importante, ma «incapace d’intraprendere incursioni significative in Ruanda dal 2001».

– Un altro gruppo, molto più piccolo e con meno di 300 – 500 uomini, appare molto più pericoloso: si tratta delle ADF ugandesi, una milizia a carattere musulmano e inizialmente opposta al presidente ugandese Yoweri Museveni. Se questi ribelli, presenti nella RDCongo da oltre 20 anni, «hanno in gran parte abbandonato la loro ambizione di rovesciare il governo ugandese», sono però responsabili di molti massacri nella regione di Beni (Nord Kivu): almeno 600 morti dal mese di ottobre 2014.

Interrogato sulla tesi di alcune ONG locali secondo le quali le ADF sarebbero state rafforzate con reclute straniere e avrebbero preso, in questi ultimi mesi, una svolta “jihadista”, il generale Jean Baillaud, comandante ad interim della Monusco, ha dichiarato: «È un’ipotesi da prendere molto sul serio. Occorre verificarla. In questi ribelli, si nota una nuova aggressività. Il loro numero è aumentato. Hanno armi pesanti, mortai, mitragliatrici, molte munizioni. Non era così pochi mesi fa. E questo solleva la questione di chi li rifornisca (Al Shabbaab della Somalia? Gli ex membri dell’ex M23 fuggiti dal Kivu in Uganda dopo la loro sconfitta? Comandanti dello stesso esercito congolese?…). A complicare le cose, i combattenti uomini indossano uniformi delle FARDC, l’esercito regolare congolese e le donne combattenti indossano il velo islamico».

– Un terzo gruppo armato attivo, questa volta nel Sud Kivu, è quello burundese delle FNL Nzabampema (circa 150 uomini). Questa milizia è «implicata in furti di bestiame e in incursioni transfrontaliere a partire dalla loro base nella pianura del Ruzizi».

Frammentazione dei partiti politici e dell’esercito

Secondo Jason Stearns e Christoph Vogel, le cause della proliferazione dei gruppi armati sono molteplici. I due ricercatori sottolineano, in primo luogo, il fallimento dei vari programmi di smobilitazione del governo congolese, che non riesce ad offrire ai miliziani che vi aderiscono reali mezzi di sussistenza. Questo fallimento provoca spesso la scissione dei gruppi armati in diverse fazioni. Seconda causa: la frammentazione del panorama politico congolese in molteplici micro partiti, sull’onda dei vari accordi di pace e delle molteplici riconfigurazioni della maggioranza e dell’opposizione. Inoltre, i partiti politici usano spesso i gruppi armati come «un mezzo per intimidire i loro rivali e per rafforzare la loro reputazione di uomini forti». Anche l’esercito regolare si è frammentato in seguito alle successive operazioni di integrazione di gruppi ribelli nei suoi ranghi.

La sola soluzione militare non è sufficiente: necessario incrementare lo sviluppo economico

Secondo il GEC, a partire dalla rielezione contestata di Joseph Kabila nel novembre 2011, il governo ha cambiato la sua strategia nei confronti delle milizie. Kinshasa ha «smesso di negoziare in massa con i gruppi armati, seguendo il principio secondo cui i gruppi armati non debbono più essere ricompensati con il conferimento di gradi o con pagamenti in contanti». Con qualche eccezioni, l’esercito regolare ha dunque chiuso la porta all’integrazione delle ribellioni. Tuttavia, secondo i due ricercatori, la sola soluzione militare non è sufficiente. La componente dello sviluppo economico del Kivu è stata in gran parte dimenticato dalle autorità congolesi e le sanzioni contro i militari implicati nell’appoggio ai gruppi armati sono ancora troppo timide.

Gruppi meno pericolosi per Kinshasa, ma non per la popolazione locale

Meno forti ma più numerosi, i gruppi armati appaiono meno pericoloso per Kinshasa, ma non per le popolazioni locali che continuano a subire le loro angherie. I gruppi armati si sono trasformati in piccole imprese del crimine organizzato e del furto … unico mezzo di sopravvivenza in una zona, l’est del Paese, devastata da 20 anni di conflitti a ripetizione.[1]

[1] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 22.11.’15; AFP –Kinshasa, 01.12.’15