Congo Attualità n. 234

RAPPORTO FINALE 2014 DEL GRUPPO DEGLI ESPERTI DELL’ONU

PER LA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Gennaio 2015[1]

INDICE

  1. LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)

  2. LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR)

  3. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)

  4. LE VIOLAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO E DEI DIRITTI UMANI

  5. LO SFRUTTAMENTO ILLEGALE DELLE RISORSE NATURALI

  6. LE RACCOMANDAZIONI

 

1. LE FORZE DEMOCRATICHE ALLEATE (ADF)

In gennaio 2014, l’esercito congolese ha lanciato l’operazione Sukola I contro le ADF, un gruppo armato d’origine ugandese. Anche se, nella prima metà del 2014, le ADF hanno subito diverse sconfitte, quasi tutti i loro capi sono ancora in vita. Il loro leader, Jamil Mukulu, oggetto di sanzioni da parte dell’Onu, è scomparso nel mese di aprile con altri venti ufficiali. Il suo vice, Seka Baluku, è ora al comando di diverse suddivisioni delle ADF che dispongono di altri ufficiali importanti.
Le ADF hanno ancora la capacità di riorganizzarsi e di rafforzarsi, come hanno già fatto dopo operazioni simili effettuate nel 2005 e nel 2010.

Non partecipando direttamente ai combattimenti, i comandanti del gruppo sono per lo più sopravvissuti anche all’operazione del 2014. Inoltre, le reti di reclutamento, di sostegno e di finanziamento delle ADF sono rimaste quasi intatte.

Il gruppo degli esperti dell’Onu non ha ottenuto prove credibili che dimostrino l’esistenza di legami tra le ADF e gruppi terroristici stranieri, come Al-Qaida, Shabab o Boko Haram.

a. Scissione delle ADF in due gruppi

All’inizio di aprile 2014, mentre l’esercito si avvicinava a Madina, principale centro e ultima roccaforte delle ADF, queste si sono divise in due gruppi.

Un gruppo, guidato da Jamil Mukulu, ha lasciato il campo di Madina in piena notte, pochi giorni prima dell’arrivo dell’esercito congolese, il 16 e 17 aprile. Mukulu è partito con una trentina di persone, tra cui circa 17 ufficiali e la maggior parte dei membri della sua famiglia. Alla fine di novembre 2014, non si sapeva ancora dove si trovassero Mukulu e le trenta persone che lo accompagnavano. Secondo alcune testimonianze, Mukulu e il suo gruppo si troverebbero ancora nel Nord Kivu, in qualche zona compresa tra il nord-est di Beni e la città di Butembo.

Dopo la partenza del gruppo di Mukulu, Seka Baluku ha preso il comando dei membri rimanenti.
Ha subito lasciato il campo di Madina, dove si trovavano ancora tra 1.000 e 1.200 persone, per stabilirsi nel campo AKBG, a circa 2 chilometri. In maggio e giugno, davanti all’avanzata dell’esercito congolese, il gruppo di Baluku si è ritirato all’interno della foresta.

Tuttavia, in un attacco a sorpresa, l’esercito ha ucciso decine di soldati e componenti civili delle ADF. A metà giugno, il gruppo di Baluku era già molto indebolito e meno numeroso, perché aveva subito molte perdite durante i combattimenti, ma anche perché un certo numero dei suoi membri aveva approfittato dei continui spostamenti del gruppo per disertare. Secondo diverse fonti, nel 2014, tra 200 e 300 persone sono fuggite dal gruppo.

Trovandosi sempre più lontano dalle reti di appoggio e di rifornimento, da fine giugno ad agosto 2014, il gruppo di Baluku ha attraversato un periodo di difficoltà economiche. Almeno 200 persone, la maggior parte bambini, sono morti di fame. Alla fine di luglio, le ADF abbandonavano nella foresta i bambini, le donne e gli uomini troppo deboli o malati che non riuscivano a proseguire a piedi. Durante questo periodo, Seka Baluku ha suddiviso il suo gruppo in almeno tre fazioni, che si sono riavvicinate alla strada Beni-Oicha-Eringeti. Alla fine di agosto, questi piccoli gruppi hanno iniziato a saccheggiare le fattorie e i villaggi in cerca di cibo. Le ADF si facevano portare viveri e altri prodotti di prima necessità, di notte, mediante “intermediari” o motociclisti.

Il numero effettivo delle ADF si sarebbe ridotto a circa 150 – 200 persone: una trentina di soldati, 30-40 comandanti (che non partecipavano ai combattimenti), più donne e bambini. I soldati non avevano più armi e munizioni e non avevano più accesso alle fonti di approvvigionamento.

b. Reti di appoggio

Le ADF disponevano di reti di reclutamento, di appoggio e di finanziamento ben organizzate, che hanno permesso loro di sopravvivere e di riorganizzarsi dopo le operazioni militari del 2005 e 2010. Queste reti, i cui membri sono agenti delle ADF, si estendono dall’est della RDCongo (Oicha, Beni, Butembo, Goma, Bukavu e Uvira) fino all’Uganda, al Ruanda e all’Inghilterra. Alla fine di novembre 2014, queste reti di appoggio erano ancora in gran parte intatte.

Reclutamento

Le ADF dispongono di una vasta rete di reclutamento in Uganda e nella RDCongo, i cui agenti riescono, con la persuasione, l’inganno o false promesse, a convincere certi individui ad aderire volontariamente al gruppo armato. Nonostante le operazioni militari contro le ADF, la rete di reclutamento ha continuato ad operare anche nel 2014.

Il gruppo armato è composto principalmente da Ugandesi e da Congolesi (seconda nazionalità più rappresentata all’interno del gruppo). Ci sono anche alcuni keniani, ruandesi, burundesi e tanzaniani.
Le ADF utilizzavano tre metodi per reclutare dei musulmani. Il primo era quello di incoraggiare i loro membri a convincere, di solito per telefono o per lettera, i membri delle loro famiglie ad arruolarsi. Il secondo era quello di reclutare direttamente degli individui, e le loro famiglie, che non avevano alcun legame con il gruppo. Il terzo era quello di reclutare individui o famiglie nelle moschee o nelle scuole islamiche, attraverso il clero (gli imam).

Le ADF usano ancora tre metodi per arruolare nuove reclute con la forza. Sequestrano delle persone, di solito civili non musulmani, che vivono o lavorano in prossimità dei territori che controllano e li costringono a vivere nei loro campi come Bazana (persone sequestrate e ridotte in schiavitù) o a diventare soldati. Attirano altre persone promettendo loro un’istruzione gratuita con la possibilità di studiare all’estero. Infine, possono sedurre le loro future reclute con la promessa di un lavoro ben rimunerato o di un business lucrativo.

Ventidue ex combattenti ugandesi, intervistati sulle persone che li hanno inizialmente contattati, hanno nominato 18 diversi reclutatori. I 22 ex-combattenti provenivano da 12 diversi distretti dell’Uganda e,  per arrivare nella RDCongo, 20 di loro erano passati per Kampala.

Il percorso più frequente dall’Uganda fino alla RDCongo era quello che iniziava a Kampala, passava per la città di Kasese, situata nell’Uganda occidentale e per le città di frontiera di Bwera e Kasindi, per arrivare infine a Beni. Un secondo percorso partiva da Kampala, attraversava il sud-ovest dell’Uganda e il Ruanda, per arrivare a Goma, da dove le reclute erano trasportate verso il nord, passando per Butembo e Beni. Da qui, venivano trasportate, di notte, spesso su una moto, ma a volte anche in auto, fino ad un punto di incontro lungo la strada Mbau – Kamango. Lì, dei soldati armati delle ADF li conducevano, a piedi, attraverso la foresta, fino al loro accampamento. Una terza via, meno battuta rispetto alle altre due, iniziava a Kampala, passava per Fort Portal, Bundibugyo e, al di là del confine, per Nobili e Kamango, da dove le reclute erano condotte, attraverso la foresta, fino ai loro accampamenti.

Tre ex combattenti congolesi sono stati intervistati dal gruppo. Il primo, di Bukavu, era stato sedotto con false promesse di studi in Canada; il secondo era stato reclutato nella città di Butembo; il terzo era stato rapito nei pressi di Mbau.

Una volta arrivati all’accampamento, gli uomini ricevevano un addestramento militare, di solito nel battaglione del comandante Ibrahim. Sedici ex combattenti hanno dichiarato di essere stati addestrati da Rafiki, nove hanno affermato di essere stati addestrati da Werason, sette da Udongo e quattro da Kalume. Le ADF hanno continuato ad addestrare nuove reclute anche dopo aprile 2014, quando già si stavano spostando.

Appoggio materiale

Le ADF sono state in grado di sopravvivere nella foresta grazie alla loro rete di appoggio materiale, attiva nella RDCongo, in Uganda e in Ruanda. Oltre ad acquistare merci e consegnarle al gruppo armato, i membri di questa rete hanno facilitato anche gli spostamenti dei suoi capi e il trasporto delle sue reclute. Le ADF hanno raramente utilizzato la loro rete per il loro rifornimento in armi e munizioni, accontentandosi di quelle di cui riuscivano ad impossessarsi durante gli attacchi contro le postazioni dell’esercito congolese.

Negli ultimi anni, almeno fino ad aprile 2014, le ADF hanno continuamente ricevuto consegne di cibo, medicine, vestiti, sapone, petrolio per le lampade, pile per le torce e denaro in contanti. Nel 2012 e nel 2013, l’accampamento di Madina era rifornito più volte alla settimana.

Le ADF sono sopravvissute coltivando frutta e verdura nei pressi dei loro accampamenti e saccheggiando viveri nei villaggi vicini, ma hanno dovuto comprare sale, fagioli, riso, zucchero e altre materie prime per mantenere 1.500 – 2.000 persone.

Benjamin Kisokeranyo, stretto consigliere di Jamil Mukulu, era incaricato di redigere le liste della spesa che erano poi utilizzate dagli agenti delle ADF per acquistare i vari prodotti ad Eringeti, Oicha, Beni e Butembo.

Il gruppo di esperti ha identificato alcuni agenti della rete di appoggio materiale alle ADF che operano fuori degli accampamenti: Okapi, uno dei principali agenti del gruppo armato nella zona di Beni e Butembo; Shengazi Yalala (noto anche come Shenga Yalala), uno dei principali agenti del gruppo armato, molto vicino a Jamil Mukulu; Saidi, che inviava reclute e approvvigionamenti fino agli accampamenti e un certo Kaberebere.

Gli agenti delle ADF inviavano le merci durante la notte e le consegnavano in certi punti d’incontro situati lungo le strade Mbau- Oicha e Mbau- Kamango. La merce era trasportata a bordo di diverse moto o di un veicolo e veniva consegnata in un luogo concordato in anticipo, dove diversi uomini stavano aspettando sul ciglio della strada per scaricarla rapidamente. Dei portabagagli, sotto scorta armata, aspettavano nelle vicinanze, per trasportarla fino all’accampamento.

Appoggio finanziario

Le ADF dispongono di una rete di appoggio finanziario che include fonti locali e internazionali di fondi. Per il loro finanziamento, le ADF hanno usufruito anche di trasferimenti di fondi internazionali. Aisha Namutebi, una donna di origine ugandese ma con nazionalità inglese e residente a Londra, ha inviato degli aiuti finanziari a due agenti delle ADF residenti nella RDCongo: Estha Furaha Bulabula, di Goma e Yusufu Majuto Shabani, di Beni.

In aprile 2013, la Namutebi aveva inviato 1.500 $ a Estha Furaha Bulabula.

Dati forniti da Western Union dimostrano che, tra giugno 2013 e giugno 2014, sotto 17 nomi diversi e da 11 uffici di Londra, la Namutebi ha effettuato 21 trasferimenti bancari destinati a Shabani, per un importo complessivo di 13.471 dollari.

Nel 2014, le ADF hanno rubato all’esercito congolese dei soldi destinati al pagamento dei salari dei militari. Il 30 e il 31 maggio, nei pressi di Eringeti, il gruppo armato ha teso un agguato a dei soldati congolesi, rubando uno zaino pieno di soldi (circa 80 mila dollari).

Il gruppo armato si è finanziato anche mediante il commercio del legname disponibile nella zona che controllava.

c. Violazioni dei diritti umani

Le ADF praticano varie forme di tortura e di trattamenti crudeli, inumani o degradanti all’interno del sistema giudiziario. Guidato da Jamil Mukulu e da Seka Baluku, il sistema giudiziario prevede, anche per semplici frasi dette ma ritenute sovversive, pene molto dure, come la crocifissione, la morte per lapidazione, le percosse, la prigionia in fosse o in celle sotterranee, il supplizio della “vergine di ferro”, la privazione di cibo durante la prigionia e l’esecuzione sommaria. I piccoli furti erano punibili con l’amputazione di una mano, e lo stupro o il tentato stupro con l’amputazione di un piede e di una mano.

Anche nel 2014, le ADF hanno continuato a sequestrare dei civili. I rapiti, chiamati Bazana, sono ridotti in schiavitù. Nei rapimenti, gli uomini erano spesso uccisi dopo essere stato utilizzati per trasportare il bottino di rapine effettuate nei villaggi, mentre le donne e i bambini erano generalmente condotti nell’accampamento di Madina. I Bazana erano sistematicamente incarcerati, vivevano in condizioni disumane, erano costretti a convertirsi all’Islam e obbligati a lavori coatti. Le donne e le ragazze sono state forzatamente sposate a membri delle ADF.

Le ADF impongono la conversione all’Islam. Ai non musulmani era data la possibilità di scegliere tra la conversione o la morte; chi non accettava subito di convertirsi veniva imprigionato per un paio di giorni per dargli il tempo di rifletterci sopra.

2. LE FORZE DEMOCRATICHE PER LA LIBERAZIONE DEL RUANDA (FDLR)

a. Mancato rispetto degli impegni presi per un disarmo volontario

La constatazione finale degli esperti delle Nazioni Unite è chiara: le FDLR, un gruppo armato d’origine ruandese, non hanno dimostrato alcuna chiara volontà di deporre le armi. I membri delle FDLR che si sono consegnati non sono graduati, per lo più sono anziani e con armi in cattivo stato. I capi delle FDLR hanno inviato nei campi di transito dei combattenti a loro non necessari. Anche se i capi militari hanno il controllo effettivo sulle loro truppe, sono però divisi tra una vecchia guardia, alcuni dei quali sono accusati di genocidio, e una generazione più giovane, favorevole ad una negoziazione.

Inoltre, dice il rapporto, le FDLR hanno anche collegamenti politici, ma non con la RNC del generale Kayumba Nyamwasa, come Kigali afferma. Non ci sono le prove di un appoggio finanziario o materiale, dichiarano gli esperti. Eppure, gli ultimi processi, come quello del terrore o quello del cantante Kizito Mihigo, partono dal postulato che questi due gruppi collaborano insieme.

Tuttavia, il gruppo di esperti ha potuto verificare alcune delle affermazioni del governo ruandese su alcuni viaggi dei capi delle FDLR in Tanzania o di trasferimenti di denaro dalla stessa Tanzania.

b. A proposito di eventuali operazioni militari contro le FDLR

A proposito di eventuali operazioni militari contro le FDLR, gli esperti sottolineano due tipi di problemi: le complicità locali tra l’esercito congolese e le FDLR, ma anche la presenza di rifugiati ruandesi a lato dei combattenti. Secondo il rapporto, vi è una collaborazione delle FDLR con degli ufficiali locali dell’esercito congolese per il commercio di carbone, legname e oro, fonti di reddito per i ribelli hutu ruandesi. Tale reddito può  ammontare a centinaia di migliaia di dollari. Merci in cambio delle quali le FDLR otterrebbero munizioni dalle FARDC. Infine, il gruppo di esperti afferma che, data la vicinanza geografica tra rifugiati ruandesi e combattenti delle FDLR, eventuali operazioni militari potrebbero causare numerose vittime civili e ingenti spostamenti di popolazioni.

3. IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)

Il rimpatrio dei membri del M23, un gruppo armato congolese appoggiato dal Ruanda, è stato ostacolato da disaccordi sulle modalità della concessione dell’amnistia per casi d’insurrezione, atti di guerra e infrazioni politiche e dell’identificazione della nazionalità dei membri del M23. Inoltre, ancora molte incertezze rimangono sul destino degli ex dirigenti politici e militari del M23 soggetti a sanzioni internazionali o a mandati di arresto internazionali emessi dalla RDCongo nel 2013, come Sultani Makenga, Innocent Kaina, Jean-Marie Runiga Lugerero, Eric Badege, Innocent Zimurinda e Baudoin Ngaruye.

a. Provvedimenti già presi

In seguito alla promulgazione di una legge sull’amnistia, nel febbraio 2014, il governo congolese ha inviato delle delegazioni in Uganda (maggio) e in Ruanda (luglio), per incontrare i responsabili del M23 e per distribuire i moduli di richiesta di amnistia. Secondo la legge, il governo ha cessato di accettare le richieste di amnistia a metà agosto 2014. In novembre, un alto responsabile dei servizi segreti congolesi ha dichiarato al gruppo di esperti che il governo aveva concesso l’amnistia a 559 ex combattenti congolesi del M23 che si trovavano in Ruanda e in Uganda. Egli ha aggiunto che il governo stava analizzando ulteriori richieste, ma non ne ha specificato il numero complessivo. Secondo la Monusco, in Ruanda sono state raccolte 453 richieste di amnistia e in Uganda 1.678.
Due sono i principali punti di disaccordo tra il governo congolese e il M23.

Il governo congolese ritiene che le richieste di amnistia da parte dei membri del M23 possano essere accettate o respinte, secondo i dati in possesso delle autorità congolesi, mentre il M23 ritiene che l’amnistia debba essere concessa a tutti quelli che hanno firmato il modulo, dopo averne accettato le condizioni.
L’altro pomo della discordia è la nazionalità degli ex ufficiali e membri del M23. Il governo sostiene che, essendoci tra loro molti stranieri, si devono prendere in considerazione solo le richieste di amnistia inoltrate da quelli che possiedono la nazionalità congolese. Il governo congolese ha dichiarato di essere pronto a rimpatriare immediatamente quelli che già sono stati amnistiati. Il piano stabilito prevede che gli ex combattenti amnistiati siano trasferiti a Kamina (Katanga). Rimane senza risposta il destino riservato agli ex dirigenti del M23 esclusi dall’amnistia. Dei responsabili dei Servizi segreti congolesi non hanno accettato di rivelare il numero dei membri del M23 esclusi dall’amnistia, né la loro identità.

b. Conseguenze del ritardo accumulato

Il ritardo accumulato nel processo di rimpatrio ha avuto diverse conseguenze, tra cui il fatto che centinaia di membri del M23 hanno lasciato i centri di accantonamento in Ruanda e hanno potuto muoversi all’interno del Ruanda o rientrare spontaneamente in territorio congolese. Il governo del Ruanda ha riferito che, fino al 25 agosto, 320 membri del M23 erano fuggiti dai campi di Ngoma e Gisovu (280 ex combattenti e 40 ex dirigenti politici), cioè il 42% dei 767 membri del M23 che, secondo il governo ruandese, si trovavano nei due campi. Se alcuni di quelli che sono fuggiti dai campi di accoglienza sono rimasti in Ruanda con le loro famiglie, altri sono tornati spontaneamente nella RDCongo. Tutti questi non hanno potuto ottenere il modulo di richiesta di amnistia e rischiano di essere reclutati da altri gruppi armati nella RDCongo. Alcuni ex combattenti (la maggior parte degli ufficiali superiori) erano stati autorizzati dalle autorità ruandesi a lasciare i campi per motivi personali. Sarebbe il caso di Eric Badege, d’Innocent Zimurinda e di Baudouin Ngaruye, soggetti a sanzioni internazionali.

4. LE VIOLAZIONI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO E DEI DIRITTI UMANI

a. Bambini soldato

Tra gennaio e settembre 2014, nel Nord -Kivu, il centro di accoglienza per i minorenni associati a gruppi armati ha ricevuto 1.125 bambini e adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 17 anni (143 ragazze e 982 ragazzi) provenienti da 22 gruppi armati diversi. Di questi, 464 (41%) sono stati reclutati nel 2014, 408 (36%) nel 2013 e 97 (9%) nel 2012. Quasi tutti erano originari dei territori di Rutshuru (536, 48%) o di Masisi (499, 44%).

Delle 143 ragazze, 39 (27%) erano servite come mogli di combattenti, 31 (22%) erano soldatesse e  73 (51%) erano state assegnate a diversi posti di lavoro, compresa la cucina.

Dei 982 ragazzi, 691 (70%) erano stati utilizzati come combattenti e avevano svolto vari compiti, tra cui i combattimenti contro il nemico, il trasporto di armi, munizioni e amuleti protettivi durante i combattimenti, il furto di viveri in fattorie e villaggi, la guardia degli ufficiali militari e delle basi militari, lo spionaggio contro il nemico e la trasmissione dei messaggi. Gli altri 291 (30%) erano stati utilizzati come manodopera per la coltivazione di campi, la cucina, il trasporto dell’acqua, la lavanderia e la pulizia.

322 hanno affermato di essere stati reclutati dalle FDLR. 145 hanno menzionato le FDLR / Forze Combattimenti Abacunguzi (FDLR/FOCA); 11, il gruppo dissidente delle FDLR denominato Raggruppamento per l’Unità e la Democrazia (RUD) e 6, il gruppo FDLR Soki; 170 hanno indicato le “FDLR” in generale, senza specificarne la fazione.

306 provenivano da due fazioni dei Nyatura: la Forza di Difesa per i Diritti Umani (FDDH) e Nyatura-Integrato.

b. Violenze sessuali

La violenza sessuale, tra cui il matrimonio forzato, resta un grave problema nell’est della RDCongo. Durante i primi sei mesi del 2014, nel solo Nord-Kivu, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione ha identificato 2.774 casi di violenza sessuale, in cui i civili erano implicati in circa il 70% dei casi, i militari e gli agenti di polizia in circa il 15% dei casi e i membri di gruppi armati in circa il 15% dei casi.

5. LO SFRUTTAMENTO ILLEGALE DELLE RISORSE NATURALI

a. Stagno, tantalio e tungsteno

Il Gruppo d’esperti ha condotto due studi sullo stagno, tantalio e tungsteno  estratti a Rubaya (Nord -Kivu) e a Shabunda (Sud Kivu). Ha confermando che i minerali di Rubaya continuavano ad essere oggetto di contrabbando ed esportati in Ruanda con la complicità di ufficiali dell’esercito congolese. A Shabunda, il Gruppo ha constatato che una fazione dei Raia Mutomboki controllava una zona ricca di miniere di cassiterite e che si dedicava al commercio di questo minerale.

Il gruppo di esperti ha raccolto delle prove che dimostrano che le etichette comunemente utilizzate per la tracciabilità dei minerali nella catena di approvvigionamento sono oggetto di un traffico illegale. Il gruppo è riuscito ad ottenere due di queste etichette a Bukavu (RDCongo) e altre due a Gisenyi (Ruanda). In questo modo, dei minerali provenienti  da siti non omologati, come quelli della regione di Shabunda, controllati dai Raia Mutomboki, possono facilmente entrare nella catena mondiale di approvvigionamento, perché muniti di queste etichette acquistate sul mercato nero.

La circolazione illegale di etichette che dovrebbero garantire la tracciabilità dei minerali dimostra che, nel sistema, ci sono degli errori che permettono il contrabbando e che devono, quindi, essere corretti.

Rubaya

Nella regione di Rubaya (Nord -Kivu), i siti di estrazione certificati come “verdi” sono sette. La Società Mineraria Bisunzu (SMB) ne detiene i titoli di proprietà ma, in realtà, non controlla che la miniera D2 di Bibatama. La Cooperativa dei Minatori artigianali del Masisi (Cooperamma) controlla gli altri sei siti. La Cooperamma e la SMB hanno firmato un accordo con cui la Cooperamma si è impegnata a vendere tutta la sua produzione alla SMB.

Il 28 ottobre, il Gruppo d’esperti si è recato a Rubaya per verificare il sistema di imballaggio e di etichettatura utilizzato nei siti controllati dalla Cooperamma. Secondo la procedura stabilita dalla iniziativa per la catena d’approvvigionamento dei minerali, i responsabili della miniera devono apporre, a Rubaya, due etichette su ogni sacchetto di minerale, una che indica la miniera d’origine e la seconda il nome del commerciante. Durante la sua visita, il gruppo di esperti ha rilevato che l’etichetta del commerciante è apposta altrove, presso l’ufficio della Cooperamma, a Goma (a 55 km da Rubaya) perché, per motivi di sicurezza, i commercianti non vogliono portare contanti alla miniera.
Il gruppo ha visitato tre importanti posti di lavaggio dove i minerali sono lavati per l’ultima volta, prima di essere asciugati, imballati ed etichettati. Questi tre posti di lavaggio non si trovano in prossimità del sito di estrazione, ma nel villaggio di Rubaya. Inoltre, il minerale è talvolta trattato e asciugato in case private a Rubaya, perché nei posti di lavaggio non c’è abbastanza spazio per lasciarli asciugare. Per di più, presso i siti in cui il minerale viene lavato e asciugato, normalmente non ci sono agenti dei servizi minerari dello Stato. Questi agenti arrivano quando sono chiamati dai commercianti, per apporre sui sacchi le etichette che indicano la miniera d’origine.

Secondo il gruppo di esperti, questo modo di procedere può facilitare il contrabbando dei minerali.
Infatti, le autorità minerarie provinciali hanno dichiarato al gruppo che, tra febbraio e agosto 2014, avevano sequestrato nove carichi di minerali partiti di contrabbando dal Masisi. Tuttavia, tre funzionari del posto di controllo di Mubambiro e un agente di polizia stanziato a Sake hanno affermato che, spesso, i minerali del territorio di Masisi sequestrati sono immediatamente rimessi in circolo, per ordine di un’alta autorità dello Stato.

L’ufficio della Divisione Provinciale delle miniere, a Rubaya, ha fornito al gruppo dei dati sul calo della produzione ufficiale del coltan. La produzione totale delle miniere di Rubaya era di 135 tonnellate di coltan in maggio, 79 tonnellate in giugno, 70 tonnellate in settembre e 57 tonnellate in ottobre. Tre commercianti e un minatore di Rubaya hanno attribuito il calo della produzione ufficiale alla stagione delle piogge, ma tre commercianti hanno aggiunto che questa diminuzione è dovuta anche al contrabbando.

Il gruppo ha esaminato le cause del contrabbando con tre commercianti che operano a Rubaya e con un dipendente della Cooperamma. Le fonti hanno detto che la SMB acquista i minerali ad un prezzo inferiore di circa il 20% rispetto a quello offerto da acquirenti in Ruanda. Le stesse fonti hanno anche detto che, avendo a volte la SMB pagato in ritardo, alcuni commercianti hanno preferito vendere il minerale illegalmente.

Ruanda

La maggior parte dei minerali estratti a Rubaya passano in Ruanda di contrabbando, pratica facilitata dal fatto che, sul mercato nero, si possono trovare facilmente delle etichette ruandesi e i relativi documenti che possono essere acquistati sul mercato nero e utilizzati per introdurre nella catena di approvvigionamento internazionale i minerali contrabbandati o rubati.

Il gruppo ha identificato i diversi prezzi di vendita delle etichette illegali, secondo il peso totale dei sacchi da far passare di contrabbando. Generalmente, un sacco pesa da 60 a 70 kg. Il prezzo è di 300 franchi ruandesi (equivalenti a 0,44 dollari) per ogni chilo di coltan esportato in grandi quantità (ad esempio 500 kg) e di 400 franchi ruandesi (equivalenti a 0,58 dollari) per ogni chilogrammo di coltan esportato in piccole quantità (ad esempio da 100 a 200 kg).

Il principale minerale di contrabbando che passa per Goma è il coltan bianco, che viene prodotto solo nella RDCongo. Una volta in Ruanda, il coltan bianco è mescolato con del coltan nero prodotto in Ruanda, poi è immesso sul mercato internazionale tramite alcune società minerarie ruandesi, tra cui la CIMIEX e l’Union Mines.

Shabunda

I gruppi armati e il commercio illegale dei minerali sono due realtà che, nel territorio di Shabunda (Sud – Kivu), vanno di pari passo. Il gruppo degli esperti dell’Onu ha confermato che la fazione Raia Mutomboki del “generale” Juriste Kikuni riscuote tasse illegali sulle attività economiche della zona, incluso sul commercio della cassiterite. Inoltre, nessuna miniera di Shabunda è omologata e, quindi, tutta la produzione e il commercio di minerali sono tecnicamente illegali. Tuttavia, i minerali estratti dalle miniere della località di Mapimo, nel territorio di Shabunda, sono comunque costantemente trasportati a Bukavu, in elicottero, a partire dall’aeroporto della città di Shabunda e i minerali prodotti nelle miniere della località di Lulingu, sempre nel territorio di Shabunda, sono inviati a Bukavu per via aerea, a partire dall’aeroporto di Tchonka, situato nei pressi di Lulingu.

Il Gruppo ha consultato i rapporti dei voli in partenza dagli aeroporti di Tchonka e di Shabunda e ha scoperto che, nel 2014, sette compagnie aeree hanno trasportato della cassiterite a Bukavu a bordo di 10 aerei. Il Gruppo ha osservato che, eccetto Goma Express e Business Aviation, due società iscritte sulla lista nera del governo congolese, tutte le altre società operano legalmente, perché sono in possesso dei documenti e permessi necessari per il trasporto della cassiterite. Ma il trasporto di minerali prodotti e commercializzati illegalmente contrasta con la raccomandazione internazionale circa l’applicazione del principio di precauzione.

La consultazione dei rapporti dei voli in partenza da Shabunda dal 1° gennaio al 23 ottobre 2014 ha permesso di constatare che sono stati inviati a Bukavu 35.347 chilogrammi di cassiterite.

Lulingu

La località di Lulingu (Territorio di Shabunda) ha molte miniere di cassiterite. Questa zona è controllata dalla fazione Kikuni dei Raia Mutomboki, che riscuote le tasse sul commercio delle merci, tra cui la cassiterite. Anche l’ufficio territoriale del ministero provinciale delle Miniere versava a Kikuni il 20% del suo fatturato.

Consultando le liste dei voli in partenza dall’aeroporto di Tchonka dal 1° gennaio al 23 ottobre 2014, il Gruppo degli esperti ha constatato che un totale di 177.323 kg di cassiterite sono stati trasportati a Bukavu e che queste spedizioni erano state autorizzate dalle autorità minerarie di Lulingu. Kikuni esigeva 350 franchi (0,39 dollari) per ogni sacco di minerale in partenza dall’aeroporto di Tchonka.

A Bukavu, il gruppo ha controllato gli stock di minerali provenienti da Shabunda e Lulingu. I commercianti e le autorità minerarie hanno dichiarato al gruppo che questi minerali non erano ancora stati esportati e che erano ancora in deposito presso alcuni magazzini, ma non sono stati in grado di localizzare nessuno di questi depositi.

Inoltre, sempre a Bukavu, il Gruppo è riuscito ad ottenere due etichette e i documenti relativi che autorizzano l’esportazione legale dei minerali nell’ambito del sistema dell’iniziativa relativa alla catena di approvvigionamento dello stagno. Il ritrovamento di queste etichette a Bukavu significa che, una volta che i minerali provenienti da Shabunda e da Lulingu arrivano a Bukavu, essi possono essere etichettati e certificati come provenienti da una miniera certificata come “non associata ad alcun conflitto” e venduti legalmente sul mercato internazionale.

b. Oro

Il Gruppo degli esperti ha potuto confermare che, in mancanza di misure di precauzione e di tracciabilità dell’oro negli Emirati Arabi Uniti, in Uganda e nella RDCongo, l’oro prodotto in zone di conflitto e in siti minerari illegali può essere introdotto, senza alcuna difficoltà, nella catena internazionale della commercializzazione dell’oro. Il gruppo ha inoltre rilevato che l’oro prodotto nella RDCongo è introdotto in Uganda di contrabbando e che è acquistato da commercianti di Kampala, tra cui dei membri dei Consigli d’Amministrazione delle società Uganda Commercial Impex (UCI) e Machanga Limited, che sono iscritte nella lista delle entità oggetto di sanzioni.

RDCongo

Secondo le statistiche che il Governo congolese ha fornito al Gruppo, tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2014, cinque società hanno esportato 151 chilogrammi d’oro proveniente da miniere artigianali o da piccole miniere. Il gruppo degli esperti ritiene che questa cifra sia ben al di sotto della realtà.

Nel territorio di Shabunda, la produzione d’oro è aumentata da gennaio, grazie soprattutto all’uso di draghe (una quarantina) sul fiume Ulindi. Una draga può estrarre circa 60 grammi d’oro al giorno. Tuttavia, a volte capita che le draghe non estraggano nulla per diversi giorni.

I proprietari delle draghe e i commercianti pagano un tributo, in contanti o in oro, alle fazioni dei Raia Mutomboki di Sisawa, Kimba e Alexander. Dei proprietari di draghe affermano di aver dovuto pagare 1.700 $  per installare le loro draghe. L’oro di Shabunda è venduto a Bukavu.

In luglio 2014, nella zona d’oro di Misisi (Sud-Kivu), il Gruppo ha notato una posizione dell’esercito nazionale situata tra la zona di estrazione e la zona di trattamento del minerale, attraverso la quale i minatori e i trasportatori devono passare. Dei minatori hanno dichiarato al gruppo che dovevano pagare 500 franchi (0,56 dollari) al giorno, per potere passare attraverso questa posizione. I soldati presenti a Misisi in luglio 1012 appartenevano al 1012° reggimento comandato dal colonnello Samy Matumo.

Inoltre, a Misisi, degli ufficiali dell’esercito congolese, tra cui il colonnello Samy, hanno dei frantoi usati per frantumare le rocce per estrarne l’oro.

Uganda

L’oro prodotto nell’est della RDCongo è trasportato clandestinamente a Kampala (Uganda) e venduto a degli amministratori delle società UCI e Machanga Limited, che sono sotto il regime di sanzioni, e ad altri acquirenti. Il Gruppo degli esperti ha individuato cinque grandi commercianti di Kampala che hanno acquistato oro di contrabbando dalla RDCongo.

Gli amministratori d’UCI sono Jamnadas V. Lodhia, Kunal J. Lodhia, Jitendra J. Lodhia.
I Lodhia hanno rapporti d’affari con Shiva Reddy e comprano oro dando il seguente indirizzo: Plot 22, Kanjokya Street, Kampala. Si tratta dell’indirizzo di UCI e di Aurum Roses, un’altra società controllata dai Lodhia.

Nel mese di settembre 2014, il Gruppo ha visto arrivare una Nissan Pathfinder (grigio metallizzato) immatricolata nella RDCongo, all’indirizzo di cui sopra. Il veicolo era immatricolato a nome di  Baseke Bahemuka, alias Gad Bahemuka, un commerciante di oro, proprietario di un distributore di Bunia, nel distretto dell’Ituri.

Nel 2014, degli ex amministratori di Machanga Limited, tra cui Rajendra “Raju” Vaya, avevano acquistato illegalmente dell’oro esportato dalla RDCongo e importato in Uganda. Raju compra oro utilizzando il seguente indirizzo: 55A Plot, Upper Kololo Terrace, Kampala.

Un altro commerciante d’oro a Kampala è Sameer (Sammy) Bhimji. Compra oro esportato illegalmente dalla RDCongo, dando il seguente indirizzo: Plot 3, Clement Hill Road, Kampala. È l’indirizzo della società Midas All-Minerals. Bhimji è l’Amministratore Delegato di Midas All-Minerals; gli altri amministratori sono Lata Bhimji (un britannico) e la signora Hajati Anuna Omari (cittadina ugandese). Ufficialmente, né Midas All Minerals né Bhimji hanno compiuto esportazioni tra gennaio e ottobre 2014. Bhimji lavora anche con Ali Adnan.

Nel 2014, la società Silver Minerals ha commercializzato dell’oro esportato illegalmente dalla RDCongo e  illegalmente importato in Uganda. Silver Minerals acquista oro, dando il seguente indirizzo: Plot 190B Tufn el Drive, Kamwokya, Kampala. Tra gennaio e ottobre 2014, Silver Minerals ha ufficialmente esportato 0,5 kg di oro verso gli Emirati Arabi Uniti.

Emirati Arabi Uniti

Gli Emirati Arabi Uniti sono, da lungo tempo, uno dei paesi di destinazione dell’oro di contrabbando proveniente dalla RDCongo, passando attraverso i paesi limitrofi.

Nel mese di settembre 2014, il Gruppo degli esperti ha potuto constatare che dei gioiellieri del mercato dell’oro del quartiere di Deira, a Dubai, erano disposti a comprare oro proveniente dalla RDCongo senza porre alcuna domanda sulla sua origine, né esigere la ricevuta del pagamento dei dazi all’esportazione.

Quando il gruppo ha visitato il mercato dell’oro a Dubai, quattro gioiellieri hanno affermato che compravano oro proveniente dall’est della RDC senza alcuna difficoltà. Hanno spiegato che l’operazione richiede un solo giorno. Il cliente consegna l’oro (in polvere o in pepite) a un laboratorio del mercato per verificarne il tasso di purezza. L’oro viene poi fuso  in un’officina del mercato, ottenendone un lingotto che il cliente vende al gioielliere. I gioiellieri pagano in contanti e offrono 5 dollari in meno per grammo, rispetto alla quotazione internazionale del giorno.
Tutti i gioiellieri intervistati dal Gruppo hanno confermato che avevano bisogno solo di una carta d’identità e di un documento rilasciato dalla dogana dell’aeroporto di Dubai che, secondo loro, si ottiene facilmente. Un rappresentante di una raffineria di Dubai ha detto al gruppo che i doganieri degli EAU non fanno domande sull’origine di oro, né sul luogo dove sarebbe venduto.

6. RACCOMANDAZIONI

Al Governo congolese:

  1. a) Modificare il codice minerario, per vietare agli ufficiali e ai militari dell’esercito congolese di possedere, in tutto o in parte, frantoi e draghe;
  2. b) Perseguire in giustizia, dopo inchiesta, gli ufficiali e i militari dell’esercito congolese che violano il codice minerario e il codice militare, praticando il commercio dello stagno, del tantalio, del tungsteno e dell’oro e dedicandosi illegalmente alla produzione e alla vendita di legname e di carbone;
    c) interdire agli enti pubblici del territorio di Shabunda di pagare dei contributi al gruppo armato Raia Mutomboki.
  3. d) perseguire in giustizia, dopo inchiesta, le persone e le entità responsabili del reclutamento, dell’addestramento e dell’utilizzo di bambini soldato.

Al Governo ruandese:

Aprire un’inchiesta e perseguire in giustizia, se necessario, Kamico e le altre entità implicate nella vendita illegale di certificati d’origine e di documenti amministrativi necessari per la commercializzazione dello stagno, del tantalio e del tungsteno, e nel riciclaggio, in Ruanda, di prodotti minerari provenienti dalla RDCongo.

Alla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi:

Stabilire un dispositivo che permetta la tracciabilità dell’oro estratto nella regione e che comprenda delle linee guida per l’uso delle draghe.

Ai governi ugandese, congolese, britannico e ruandese:

Aprire delle inchieste sugli individui implicati nelle reti di finanziamento, di appoggio materiale e di reclutamento delle ADF e adottare le misure necessarie, affinché cessino di appoggiare tale gruppo.

Ai governi degli Emirati Arabi Uniti, dell’Uganda e della RDCongo:

Scambiare le informazioni, per garantire che il commercio dell’oro sia esercitato in conformità con le norme internazionali di trasparenza e di rispetto del principio di precauzione e imporre
l’obbligo di redigere, per ogni transazione, tutti i documenti giustificativi necessari, compreso il certificato di origine.

Al Consiglio di Sicurezza:

Chiedere alla Comunità dell’Africa Australe per lo Sviluppo, alla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi e al governo della Repubblica Democratica del Congo di rispettare rigorosamente le misure imposte dall’accordo del 2 luglio 2014, che prevedeva il completo disarmo e lo spostamento delle FDLR entro il 2 gennaio 2015 al più tardi.

Alla Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi e alla Comunità dell’Africa australe per lo sviluppo:

 Prendere i provvedimenti necessari per rimpatriare rapidamente gli ex combattenti e i rappresentanti politici del M23 e per risolvere la questione relativa al futuro di quelli che non hanno ottenuto l’amnistia da parte del governo congolese.

All’inviato Speciale del Segretario Generale per la Regione dei Grandi Laghi:
Stabilire, in collaborazione con le parti interessate, una procedura ben definita, per risolvere la questione dei rifugiati ruandesi ancora presenti nella RDC, a prescindere dalla questione delle FDLR.

[1] Testo integrale in francese: http://www.un.org/french/documents/view_doc.asp?symbol=S/2015/19