Editoriale Congo Attualità n. 227– a cura della Rete Pace per il Congo
Nel territorio di Beni, appartenente alla provincia del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), la situazione di estrema insicurezza sta diventando sempre più drammatica e davvero intollerabile: più di 250 persone assassinate e 88.500 sfollati nei soli ultimi due mesi. Chi sono i responsabili di tali atrocità? Difficile dirlo.
Le autorità civili e militari locali e la società civile del Nord Kivu attribuiscono queste violenze alle Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato d’origine ugandese. Ma da recenti inchieste appaiono nuovi elementi inquietanti.
Un certo Kakule Makambo Richard ha confessato di essere uno dei membri del gruppo responsabile dei massacri commessi sul territorio di Beni. Ex membro dell’APC, ex braccio armato del Raggruppamento Congolese per la Democrazia / Kisangani Movimento di Liberazione (RCD / KML) di Mbusa Nyamwisi, ha affermato di appartenere a un gruppo di 150 soldati comandati da un certo Katembo Masumbuko e il cui capo è il colonnello Birocho, membro delle Forze Armate della RDCongo (FARDC), recentemente condannato alla pena capitale nel processo sull’assassinio del defunto colonnello Mamadou Ndala.
Nel corso dell’inchiesta, sono stati arrestati almeno dieci operatori economici e notabili della città e del territorio di Beni. Tutti sono considerati prossimi al partito del RCD-KML, che le autorità accusano di essere coinvolto nei recenti attacchi nella zona di Beni.
Secondo la coordinazione dell’Ong Convenzione per il Rispetto dei Diritti Umani, con sede a Oicha, gli autori dei massacri parlano il kiganda, una delle tante lingue parlate in Uganda, il kiswahili, il kinyarwanda e il lingala, una delle lingue più parlate nella RDC. Le varie testimonianze raccolte in loco indicano che, dietro tutti questi continui massacri commessi nella regione di Beni, ci sono dei ribelli ugandesi appoggiati da alcuni ribelli ruandesi e congolesi.
Un rapporto redatto da dodici deputati della maggioranza e dell’opposizione getta una nuova luce sugli avvenimenti delle ultime settimane, in particolare sui limiti dell’esercito congolese sul posto.
Secondo tale rapporto, benché in diverse occasioni la popolazione locale e i servizi di intelligence avessero segnalato l’imminenza di possibili attacchi, non è mai stata presa alcuna disposizione di prevenzione. Inoltre, la polizia e l’esercito sono intervenuti sempre in ritardo. Più grave ancora, il rapporto cita diversi casi in cui certi ufficiali dell’esercito congolese hanno impedito ai loro militari subalterni di non intervenire. Perché queste contraddizioni? Non ci sarebbe forse un’implicazione di alcuni elementi dell’esercito o della polizia in questi massacri?
Nella loro analisi, alcuni osservatori della situazione della Regione dei Grandi Laghi arrivano a mettere in parallelo quattro elementi che, messi insieme, potrebbero essere alla base dei massacri di Beni: a) le ADF, b) l’apparizione di un nuovo gruppo armato denominato Forze Ecumeniche per la Liberazione del Congo (Forc), creato da Mbusa Nyamwisi, presidente del RCD / KML, c) i militari ruandofoni stanziati a Beni, d) il Movimento del 23 Marzo (M23).
- a) Secondo alcune stime, gli attuali effettivi delle ADF non supererebbero i 400 combattenti e, quindi, da soli, non potrebbero essere in grado di compiere tanti attacchi.
- b) Mbusa Nyamwisi era membro della delegazione del M23 nelle trattative tra il M23 e il governo congolese a Kampala (Uganda).
- c) I militari ruandofoni di Beni provengono dalle truppe del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), da cui provengono anche gli ex combattenti del M23. Tra i due gruppi, quindi, c’è un rapporto di simpatia, se non di collaborazione.
- d) Fuggiti in Ruanda e in Uganda dopo la loro sconfitta nel mese di novembre 2013, gli ex combattenti del M23 continuano a dimostrare il loro malcontento nei confronti del governo congolese, accusandolo di non mantenere gli impegni presi nelle dichiarazioni di Nairobi, firmate il 12 dicembre 2013.
Se le ADF sono sospettate di essere le principali responsabili dei massacri, tuttavia sarebbe inutile, se non nocivo, addossarne tutta la responsabilità solo su di loro.
Forse a qualcuno interessa fomentare, sotto la denominazione delle ADF, l’insicurezza e i massacri, per poi presentarsi come l’unico capace di riportare l’ordine e sobillare una nuova “ribellione”.
Una nuova guerra potrebbe dunque essere in gestazione partendo, questa volta, non da Goma (nel sud del Nord Kivu), ma da Beni (nel nord del Nord Kivu), ma sempre dietro la spinta delle solite forze politiche, militari ed etniche appoggiate da certi Paesi limitrofi. L’evolversi della situazione potrà confermarlo o smentirlo.
Per evitare che ciò accada, il rapporto dei deputati chiede l’istituzione d’una commissione parlamentare d’inchiesta per identificare gli istigatori delle violenze e la “sostituzione” dei membri dell’esercito, della polizia, di altri servizi di sicurezza e delle loro rispettive catene di comando con altri, provenienti dalle altre province del Paese.
Un deputato dell’opposizione, originario del Nord Kivu, sostiene che, per il caso di Beni, occorrono più commissioni di inchiesta, non solo una. Oltre ad un’inchiesta parlamentare, occorre anche un’inchiesta interna alle FARDC, per identificare i limiti delle operazioni militari in corso e le eventuali complicità di alcuni ufficiali. Inoltre, per maggiore credibilità, è necessaria anche un’inchiesta internazionale da parte delle Nazioni Unite. Di ciò che sta succedendo a Beni, dovrebbe interessarsi anche la Corte Penale Internazionale (CPI), perché si tratta di una vera e propria carneficina.