Una situazione bloccata
Circa duecento membri delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato di origine ruandese ma presente nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), hanno deposto le armi e sono stati raggruppati a Walungu (Sud Kivu) e a Kanyabayonga (Nord Kivu). Secondo il programma stabilito dal governo congolese, essi avrebbero dovuto essere trasferiti lontano dalla frontiera con il Ruanda, dapprima a Kisangani (Provincia Orientale) e poi a Irebu (provincia dell’Equateur), per essere identificati in vista del loro rimpatrio volontario o della loro estradizione verso Paesi terzi disposti ad accoglierli. Tuttavia, essi hanno rifiutato il trasferimento, adducendo come motivo l’ostilità della popolazione locale che avrebbe dovuto accoglierli. Inoltre, le FDLR condizionano il loro rimpatrio volontario all’apertura, in Ruanda, di uno spazio politico che permetta loro di perseguire i loro obiettivi politici, trasformandosi in partito politico legalmente riconosciuto.
Quelli raggruppati a Kanyabayonga, nel Nord Kivu, hanno deposto le armi il 30 maggio scorso. Quelli raggruppati a Walungu, nel Sud Kivu, hanno deposto le armi l’8 giugno. Sono già passati quasi tre mesi, ma la procedura del loro trasferimento a Kisangani e a Irebu è finora bloccata. Tale constatazione lascia presagire che, qualora il governo congolese riuscisse a condurre a termine il loro trasferimento, la loro permanenza “temporanea” a Kisangani e a Irebu rischierebbe di protrarsi oltre il previsto e potrebbe, addirittura, diventare la loro destinazione “finale”. Infatti, la comunità internazionale potrebbe essere tentata di pensare che, lontano dalla frontiera con il Ruanda, le FDLR non costituiscano più una minaccia per il Ruanda e che, quindi, non sia più necessario rimpatriarli o inviarli in Paesi terzi diversi dalla RDCongo. Ma sarebbe una falsa soluzione, perché complicherebbe ancor più le relazioni tra la RDCongo e il Ruanda che potrebbe accusarla di essere complice con le FDLR. In tal caso, il Ruanda manterrebbe intatto l’alibi per poter continuare a intervenire politicamente e militarmente nella RDCongo.
Come uscire dall’impasse
Anche se sarebbe stato necessario averlo fatto prima, in questi tre mesi passati “invano”, ora è il momento di procedere direttamente all’identificazione dei membri delle FDLR raggruppati a Walungu e a Kanyabayonga, al loro rimpatrio volontario o alla loro estradizione in Paesi terzi, senza passare attraverso il loro trasferimento temporaneo a Kisangani e a Irebu.
Per facilitare il rimpatrio volontario, è necessario che la comunità internazionale faccia pressione sul Ruanda, affinché cessi di considerare globalmente le FDLR come dei genocidari. Essendo già trascorsi venti anni dal genocidio, tutti quelli che hanno un’età inferiore ai trentacinque anni, in quel tempo erano minorenni di età o non erano ancora nati. Quindi non possono essere accusati di genocidio. Affinché essi possano ritornare volontariamente al loro Paese, la comunità internazionale deve esigere che il Ruanda assicuri loro la sicurezza, la libertà e il rispetto dei loro diritti. A questo proposito, sarebbe necessario che il Ruanda accettasse che la comunità internazionale potesse essere implicata nella fase del loro reinserimento sociale.
È inoltre necessario che la comunità internazionale faccia pressione sulle FDLR affinché non continuino a ricorrere alle armi per rivendicazioni di tipo politico. I problemi politici tra Ruandesi vanno risolti in Ruanda, non in Congo. Per questo, le FDLR devono rientrare in Ruanda, sapendo che l’esito della loro lotta politica dipenderà in gran parte dalla loro capacità di inserirsi nella società ruandese. La pressione sulle FDLR comporterà inevitabilmente anche l’uso della forza nei confronti di quelli che non accetteranno il disarmo volontario e l’avvio di procedure giudiziarie nei confronti di quelli che si sono resi responsabili di crimini di genocidio, di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni dei diritti umani.
Per non costruire un castello su sabbie mobili
Se la comunità internazionale, l’Onu, l’UA, l’UE e il governo congolese possono fare molto per risolvere la questione delle FDLR, è altrettanto vero che il problema non potrà essere risolto senza l’implicazione responsabile del Ruanda. Come è stato fatto per la RDCongo, gli inviati speciali dell’Onu, dell’UA, degli USA e dell’UE per la Regione dei Grandi Laghi hanno il dovere di esigere dal Ruanda l’apertura di un dialogo interruandese cui partecipi il governo, l’opposizione politica interna ed esterna e la società civile, alla ricerca della “verità” su ciò che è realmente successo in Ruanda negli ultimi venticinque anni e in vista della democratizzazione del Paese, della convivenza pacifica tra le etnie hutu, tutsi e twa, la libertà di espressione e il rispetto dei diritti umani. Diversamente, il presunto ma tanto vantato progresso economico del Paese rischia di rivelarsi come un grande castello costruito sulle sabbie mobili.