Editoriale Congo Attualità n. 218 – a cura della Rete Pace per il Congo
Scontri tra militari ruandesi e congolesi sulla linea di frontiera
L’11 giugno, militari congolesi e ruandesi si sono scontrati sulla collina Kanyesheja, nella località di Kabagana II, a circa 30 chilometri a nord di Goma (Nord Kivu).
Come sempre, ciascuna delle due parti accusa l’altra di esserne la causa. Secondo fonti congolesi, le Forze Armate della RDCongo (FARDC) avrebbero risposto ad una provocazione delle Forze di Difesa del Ruanda (FDR) che avrebbero tentato di occupare la collina di Kanyesheja sul territorio congolese. Secondo fonti ruandesi, dei militari congolesi avrebbero attraversato il confine per rubare delle mucche e, sorpresi da una pattuglia ruandese, avrebbero reagito sparando contro di essa.
Violazione dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale di un Paese
Questa zona di confine, e in particolare la posizione militare di Kanyesheja, è stata più volte oggetto di tensione tra il Ruanda e la RDCongo. Motivo: un presunto problema di delimitazione della frontiera tra i due Paesi.
Tuttavia, Deo Makombe, capo del raggruppamento di Buhumba, si dice sicuro che «Kanyesheza appartiene alla RDCongo» e precisa che i cippi di confine ci sono ancora, anche se spesso sono nascosti sotto la vegetazione o sepolti dalla terra.
Secondo il GPS nelle mani di un capitano congolese, non ci sono dubbi: la collina di Kanyesheza è sicuramente situata in territorio congolese. Il GPS indica che il confine internazionale tra la RDCongo e il Ruanda si trova a circa un chilometro di distanza. Tuttavia, a soli cinquecento metri di distanza, si vedono dei soldati ruandesi che hanno preso posizione al bordo di un boschetto di eucalipti, anche se tentano di nascondersi.
Un tenente dell’esercito congolese destinato, da quattro mesi, al controllo della frontiera tra la RDCongo e il Ruanda, racconta: «È sempre la stessa cosa. I militari ruandesi si dispiegano lungo la frontiera come se stessero per attaccare. Avanzano fino a pochi metri dalla nostra postazione, ci dicono che quell’albero appartiene a loro e che dobbiamo tagliarlo, volenti o nolenti». L’eucalipto è ancora lì, ma le dispute si ripetono continuamente, due o tre volte alla settimana. Il caso si risolve attraverso un dialogo più o meno cortese, dice l’ufficiale, lamentandosi delle continue “provocazioni” e “minacce” da parte dei militari ruandesi. «Ci accusano di non essere Congolesi e di appartenere alle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), una milizia hutu ruandese installata in Congo, i cui membri sono spesso accusati di aver partecipato genocidio ruandese del 1994», dice l’ufficiale congolese, nativo di Kinshasa.
A Buhumba, un villaggio congolese alla frontiera con il Ruanda, gli abitanti hanno un’idea abbastanza chiara circa i recenti incidenti avvenuti alla frontiera con il Ruanda. «I Ruandesi vogliono impossessarsi della collina di Kanyesheza, perché dicono che appartiene a loro», ha detto un anziano del villaggio, Jean Bizoza.
Falso pretesto e vero obiettivo
In realtà, il regime ruandese vorrebbe continuare a controllare il Kivu come ai tempi dell’AFDL, del RCD, del CNDP e del M23. Si tratta di gruppi armati creati, equipaggiati e finanziati dal Ruanda e presentati come “ribellioni interne congolesi”. Attraverso di essi, il Ruanda si assicurava il controllo sul Kivu. Essendo questa strategia stata smascherata, il Ruanda avrebbe ora deciso di far intervenire direttamente le sue truppe e procederebbe passo dopo passo, occupando collina dopo collina e proseguendo verso i villaggi successivi. Le terre e i minerali del Kivu sono la sua ossessione, anche se avanza il pretesto della sicurezza del Paese, di fronte alla minaccia delle FDLR, un gruppo armato di Hutu ruandesi fuggiti in Congo dopo il genocidio del 1994.
In realtà, le FDLR sono piuttosto una minaccia nei confronti della popolazione congolese, vittima dei loro intollerabili soprusi: arresti arbitrari, furti di prodotti agricoli, minacce di morte, incendi di villaggi e torture fisiche.
Il regime ruandese, invece, trae enormi profitti dalla presenza delle FDLR in Congo perché, controllando gran parte del commercio illegale dei minerali, esse ne favoriscono anche l’esportazione clandestina verso il Ruanda, dove vengono certificati, etichettati ed esportati come produzione ruandese. Ecco perché il Ruanda non accetta un dialogo con le FDLR, un dialogo che potrebbe facilitare il loro rimpatrio. Se le FDLR ritornassero in patria, il regime ruandese non avrebbe più alcun pretesto per intervenire in Congo e sarebbe costretto a rinunciare alla manna dei minerali congolesi.
Per una soluzione alla crisi
Nelle ultime settimane, quasi 200 membri delle FDLR si sono arresi all’esercito congolese e alla Missione dell’Onu in Congo. Quelli che saranno disposti a tornare in Ruanda saranno rimpatriati nel quadro del programma di disarmo e reinserimento già previsto. Gli altri saranno allontanati dalla frontiera ruandese e trasferiti temporaneamente verso l’interno del Congo, nell’attesa di trovare dei Paesi terzi disposti ad accoglierli. Si tratta di due proposte probabilmente difficili da realizzare.
La prima, perché saranno pochi i membri delle FDLR ad essere disposti ad essere rimpatriati in un paese, benché sia il loro, retto da un regime dittatoriale che non lascia alcun spazio alla libertà politica e di espressione. I recenti propositi tenuti pubblicamente da Paul Kagame contro l’opposizione non possono che confermarli nei loro timori.
La seconda, perché molti politici e membri della società civile della RDCongo sono assolutamente contrari al loro trasferimento verso l’interno del Paese, perché temono un aumento dell’insicurezza in una situazione già estremamente instabile e perché, conoscendo i tempi lunghi della diplomazia internazionale, prevedono un “prolungamento indeterminato” della loro “ricollocazione provvisoria”, in attesa di trovare dei Paesi terzi disposti ad accoglierli.
È questo il momento opportuno affinché gli inviati speciali dell’ONU, dell’UA, dell’UE e degli USA per la Regione dei Grandi Laghi
– esercitino una forte pressione sul regime ruandese affinché, qualora ci fosse un reale problema di delimitazione della frontiera, cessi di intervenire militarmente e affronti l’eventuale problema a livello diplomatico, direttamente con le autorità congolesi o attraverso la loro mediazione, con l’apporto del Meccanismo Congiunto di Verifica delle frontiere istituito dalla Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL).
– promuovano, sotto il loro auspicio, un dialogo tra governo congolese, governo ruandese e rappresentanti delle FDLR, in cui si concordino le condizioni per un ritorno immediato e diretto dei membri delle FDLR in patria o del loro trasferimento in una Paese terzo, senza ricorrere a tappe intermedie di “ricollocazione provvisoria” all’interno del territorio congolese.