Editoriale Congo Attualità n. 213 – a cura della Rete Pace per il Congo
L’11 febbraio, il Capo dello Stato, Joseph Kabila, ha promulgato la legge sull’amnistia per i fatti d’insurrezione, i fatti di guerra e le infrazioni politiche commessi sul territorio congolese commessi nel periodo compreso tra il 18 febbraio 2006, data della promulgazione della Costituzione, e il 20 dicembre 2013, data della scadenza dell’ultimatum dato a tutti i gruppi armati per deporre le armi.
Sono esclusi dal campo di applicazione della legge i crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra, il terrorismo, gli atti di tortura, i trattamenti crudeli, disumani o degradanti, lo stupro e altre forme di violenza sessuale, il reclutamento e l’utilizzazione di bambini soldato e tutte le altre violazioni gravi dei diritti umani.
Si tratta di una legge molto breve e sintetica (7 articoli in tutto), quindi molto generica e, forse, difficile da interpretare e da applicare.
Secondo l’avvocato Hamuly Réty, «la legge sull’amnistia sarà inapplicabile, perché si basa sull’arbitrarietà. La legge infatti non si pronuncia su chi dovrà stabilire chi ha commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità, stupri, violenze sessuali e reclutamento di bambini soldato. Non potranno essere i politici a decidere su queste questioni, ma piuttosto la giustizia». Per questo, Hamuly Réty auspica la creazione di un tribunale speciale per i crimini commessi nella RDCongo.
Strane categorie
Nel testo della legge, si intende per:
1. fatti d’insurrezione, tutti gli atti di violenza collettiva commessi attraverso minacce o il ricorso alle armi, con il fine di rivoltarsi contro l’ordine costituito per esprimere una rivendicazione o un malcontento;
2. fatti di guerra, gli atti inerenti alle operazioni militari conformi alle leggi e consuetudini di guerra che, in occasione di un conflitto armato, hanno causato un danno a terzi;
3. infrazioni politiche:
– le azioni che attentano contro l’esistenza, l’organizzazione e il funzionamento dei pubblici poteri;
– gli atti illegali di amministrazione e di gestione del territorio, il cui mobile e/o le cui circostanze rivestono un carattere politico.
Non è facile capire il senso di tali categorie, soprattutto perché rischiano di nascondere gravi violazioni dei diritti umani, della Costituzione, della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, perpetrate in nome di interessi economici (saccheggio delle risorse naturali) e politici (controllo sul territorio mediante l’instaurazione di un’amministrazione parallela a quella dello Stato) di persone e di gruppi di potere ben conosciuti. Inoltre, sembrano legittimare il ricorso alla violenza e alle armi da parte di alcuni gruppi, a scapito del diritto alla protesta pacifica e legittima della popolazione.
Tali categorie non servono che a nascondere realtà molto più drammatiche: invasione straniera, occupazione militare del territorio, sfruttamento illegale delle risorse naturali, traffico illegale di armi, terrorismo, banditismo.
Il rischio è che tutti gli atti che dovrebbero essere classificati nella categoria dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità, oggetto di sanzioni da parte di tribunali nazionali e internazionali, siano improvvisamente trasformati in semplici atti di guerra o d’insurrezione, oggetto d’amnistia. È incomprensibile che individui che hanno disertato l’esercito, hanno ucciso, violentato e saccheggiato siano improvvisamente riammessi nella società civile, attraverso un’amnistia concessa in nome di una cosiddetta coesione nazionale. No! Questa ingiustizia è durata troppo a lungo. È ora di finirla.
Una legge fatta su misura dell’M23
Il presidente del meccanismo nazionale di controllo sull’applicazione degli accordi di Addis Abeba, François Muamba, spiega che, a differenza di altri accordi di pace, «non si tratta di un’amnistia in blocco per i ribelli dell’M23, ma un’amnistia individuale concessa caso per caso». Per quanto riguarda gli alti responsabili dell’M23, secondo François Muamba, «200-300 persone sono oggetto di sanzioni internazionali e sospettate di crimini di guerra e non sono, quindi, ammissibili all’amnistia».
Secondo Boniface Musavuli, un attivista dei diritti umani, «ad eccezione di un piccolo gruppo di individui, i 1.600 membri dell’M23 fuggiti in Uganda e gli altri 700 fuggiti in Ruanda, dati riportati dalle autorità dei due paesi, ritorneranno tranquillamente in Congo e continueranno a vivere indisturbati tra la popolazione che hanno martirizzato per ben 19 mesi».
Secondo altri osservatori, questa legge sull’amnistia favorirà tre categorie di membri dell’M23 che ormai potranno sfuggire facilmente alla giustizia.
La prima categoria è quella delle persone che si suppone non siano implicate in “crimini gravi”. Queste persone, la maggioranza, ritorneranno in RDCongo e saranno certamente reinserite nella società civile e, addirittura, reintegrate nelle istituzioni dello Stato (esercito, amministrazione, …).
La seconda categoria è quella dei membri dell’M23 che sono in carcere. Essi saranno liberati in virtù degli impegni di Nairobi che prevedono la liberazione dei prigionieri membri dell’M23 (impegno n.3).
La terza categoria è quella delle persone il cui nome appare in varie liste, tra cui quella sulle sanzioni da parte dell’Onu. Queste persone non ritorneranno in RDCongo e continueranno a vivere in libertà in Ruanda e in Uganda.
Alla fine, tutti i membri dell’M23 rimarranno in libertà, nonostante le atrocità che hanno commesso (massacri, stupri e saccheggi). E ciò in virtù di una legge approvata dal parlamento congolese, promulgata dal presidente della Repubblica e applaudita dalla comunità internazionale. La legge sull’amnistia rischia, dunque, di confermare il regno dell’impunità. Una vera vergogna!
Trasformare un errore in opportunità
Spetterà al Governo e al Presidente della Repubblica evitare tali bassezze e riuscire ad approfittare di una legge sbagliata per trasformarla in un’opportunità per far venire alla luce la verità, rendere la giustizia e favorire la riconciliazione nazionale.