Quando negoziare prende il sopravvento sull’agire

Editoriale Congo Attualità n. 198 – a cura della Rete Pace per il Congo

Per risolvere il conflitto dell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), l’Onu e la Comunità Internazionale hanno voluto privilegiare una negoziazione politica tra il governo congolese e il Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato appoggiato dal Ruanda e dall’Uganda. Finora, però, l’Onu e la Comunità Internazionale seguivano le trattative a distanza, senza parteciparvi direttamente. Solo il 16 ottobre, l’Inviata Speciale del Segretario Generale dell’Onu per la Regione dei Grandi Laghi, Mary Robinson, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’Onu per la RDCongo e capo della Monusco, Martin Kobler, l’inviato statunitense, Russ Feingold, il coordinatore europeo per la regione dei Grandi Laghi, Koen Vervaeke  sono arrivati ​​a Kampala per parteciparvi in modo diretto.

Le questioni cruciali.

In quattro giorni di intenso lavoro hanno potuto prendere atto delle posizioni sia del governo che dell’M23 circa due questioni cruciali: l’amnistia per i membri dell’M23, l’integrazione dei militari dell’M23 nell’esercito nazionale e l’integrazione delle personalità politiche dell’M23 nella vita politica del Paese.

Per quanto riguarda l’amnistia, secondo il governo non può in alcun modo riguardare i crimini di guerra, gli atti di genocidio e i crimini contro l’umanità, fra cui la violenza sessuale e l’arruolamento di minori. Ne rimarrebbero, dunque esclusi, tutti coloro che sono oggetto di sanzioni da parte dell’Onu e degli Stati Uniti, coloro che sono ricercati dalla giustizia congolese e internazionale e coloro che sono citati nei vari rapporti dell’Onu e delle Ong per la difesa dei diritti umani. Sempre secondo il governo, per quanto riguarda gli atti di guerra e di insurrezione, l’amnistia sarà concessa caso per caso e soggetta a condizioni il cui non rispetto comporterà automaticamente l’annullamento dell’amnistia. L’M23, invece, esige un’amnistia totale e collettiva.

Per quanto riguarda l’eventuale integrazione dei militari dell’M23 nelle FARDC, il governo congolese propone che si proceda caso per caso e nel rigoroso rispetto delle leggi della Repubblica, compresa la legge sulle FARDC e lo statuto del militare. Kinshasa propone, inoltre, che i soldati dell’M23 che potrebbero essere reintegrati nell’esercito regolare siano assegnati a province lontane dai territori dell’Ituri, del Nord-Kivu e del Sud-Kivu, dove hanno finora operato. L’M23 esige, invece, che tutti i suoi soldati siano reintegrati nelle FARDC e dispiegati solo nell’est del Paese.

Per quanto riguarda l’integrazione delle personalità politiche dell’M23 nella vita politica del Paese, la delegazione dell’M23 rivendica posti politici a livello locale, provinciale, nazionale e internazionale, ma la delegazione del governo si è opposta a tale richiesta che  condurrebbe a una specie di spartizione del potere.

L’ombra della complicità.

Del tutto deplorevole è stato l’atteggiamento della mediazione ugandese che ha proposto, come soluzione, un’amnistia collettiva “temporanea”, in vista della quale ha addirittura chiesto alla RDCongo di usare della sua sovranità per ottenere l’annullamento delle sanzioni delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti d’America contro i membri dell’M23. Oltre all’amnistia, la mediazione ugandese ha proposto la reintegrazione di tutti i militari dell’M23 nell’esercito congolese e il loro dispiegamento nel solo Kivu, nell’est del Paese. Una proposta, quindi, totalmente favorevole all’M23, implicato, come risulta da un recente rapporto di Enough Project, in un commercio illegale dell’oro che frutta all’M23 e agli altri gruppi armati del Kivu ben 500 milioni di $ all’anno per una quantità di circa 12 tonnellate d’oro esportato di contrabbando verso gli Emirati Arabi Uniti, attraverso l’Uganda stesso e il Burundi.

Un’attitudine poco costruttiva.

In tale situazione, le trattative di Kampala sono state, logicamente, sospese per un’ennesima volta.

È da sperare che l’Onu e la Comunità Internazionale abbiano finalmente aperto gli occhi e che si siano accorti che non è affatto possibile dialogare o negoziare con l’M23, tanto meno firmare un accordo.

Significative a questo proposito le dichiarazioni della vice portavoce del Dipartimento di Stato americano, Marie Harf: «gli Stati Uniti sono preoccupati per il fatto che l’M23 ritardi deliberatamente le trattative e che non negozi in buona fede». Ribadendo che l’accordo finale non dovrebbe concedere alcuna amnistia ai dirigenti dell’M23, Marie Harf ha addirittura chiesto all’M23 di «dimostrare il proprio impegno per raggiungere una soluzione pacifica alla crisi, accettando un accordo che permetta il disarmo immediato e la smobilitazione dell’M23 e che le persone implicate in violazioni dei diritti umani ne rendano conto davanti alla giustizia».

Inoltre, secondo il portavoce del ministero francese degli affari esteri a Parigi, il rappresentante speciale del Segretario Generale dell’Onu per la RDCongo, Martin Kobler, nel suo rapporto sulla situazione nella RDCongo presentato al Consiglio di Sicurezza, avrebbe affermato che «la mancanza di risultati positivi nelle trattative di Kampala è dovuta soprattutto all’attitudine poca costruttiva della delegazione dell’M23».

L’Onu e la Comunità Internazionale hanno avuto la possibilità di conoscere meglio l’M23: dire una cosa per ottenerne un’altra. Poche settimane fa, lo stesso presidente dell’M23, Bertrand Bisimwa, ufficialmente e apertamente dichiarava che ciò che l’M23 voleva non era l’amnistia e la reintegrazione nell’esercito regolare e nella vita politica del Paese, ma la neutralizzazione delle FDLR e il ritorno dei rifugiati in patria. In realtà, ciò che l’M23 esige è l’impunità, attraverso un’amnistia totale e collettiva e il controllo sull’esercito nazionale, attraverso la reintegrazione dei suoi miliziani. La strategia dell’M23 è quella del “negoziare per prendere tempo e preparare la guerra“: a Kampala (Uganda) discute, a Rutshuru (est della RDCongo) scava trincee, riceve rinforzi militari dal Ruanda e dall’Uganda e spara contro gli elicotteri della Monusco.

Chiusa una finestra, se ne apre un’altra.

Fine agosto, all’indomani della vittoria delle Fardc e della brigata d’intervento della Monusco sull’M23 a Kibati, con la ripresa della collina delle tre antenne, Mary Robinson aveva affermato che si era aperta una “finestra” per un dialogo politico con l’M23, in vista di un accordo definitivo. Ora che quella finestra si è socchiusa per un’ennesima volta, Mary Robinson dovrà dedurne le conseguenze: adottare la stessa strategia dell’M23, ma in senso contrario: “appoggiare l’opzione militare per costringere l’M23 a negoziare responsabilmente“.

In questa nuova fase, le FARDC, sostenute dalla brigata d’intervento della Monusco, sembrano avere il vento in poppa e accumulano vittoria su vittoria: a Kibumba, Kiwanja, Rutshuru, Rugari e Rumangabo. Non ci si dovrebbe quindi fermare. Sembra assolutamente necessario continuare fino alla liberazione totale! Esponenti dell’Onu parlano già di una possibile fine militare dell’M23.

Quando le FARDC avranno liberato tutto l’est della RDCongo dall’oppressione e dalla tirannia dell’M23 e dei suoi alleati ruandesi e ugandesi, quando l’ala militare dell’M23 sarà stata neutralizzata sul territorio congolese, quando le FARDC e la Polizia Nazionale avranno consolidato la loro presenza sui territori liberati e potranno garantire la sicurezza della popolazione, quando si sarà instaurata una nuova amministrazione locale, quando sarà assicurato il controllo delle frontiere, allora, e solo allora, si potrà riprendere il dialogo con rappresentanti dell’ala politica dell’M23 e continuare a discutere sul futuro, nel caso in cui essa sopravviva alla fine dell’ala militare. Constatando il fallimento dei negoziati di Kampala, sarebbe opportuno chiudere tale fase e aprire un nuovo dialogo, a Kinshasa o a Goma, tra Governo, Istituzioni Politiche e Società Civile dei due Kivu e ala politica dell’M23, con la mediazione del rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu nella RDCongo.

In questo momento tanto critico, gli inviati speciali dell’Onu, dell’Unione Africana, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nella Regione dei Grandi Laghi dovrebbero fare tutto il possibile per accompagnare ed appoggiare il Governo congolese e l’esercito regolare nella loro lotta contro i gruppi armati e, soprattutto, per fare rispettare gli accordi di Addis Abeba che, firmati da tutti i Paesi della Regione, inclusi il Ruanda e l’Uganda,  prevedono, tra l’altro, il rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale della RDCongo, la non ingerenza negli affari interni della RDCongo e la cessazione totale di ogni tipo di appoggio, militare e logistico, ai gruppi armati che operano sul territorio congolese.