Editoriale Congo Attualità n. 190 – a cura della Rete Pace per il Congo
Concertazioni che non convincono.
La convocazione di un forum nazionale cui parteciperanno membri della maggioranza, dell’opposizione e della società civile sembra ormai imminente. Secondo un decreto emesso dal Presidente della Repubblica, si tratta di un «incontro tra tutte le forze della realtà socio-politica della Nazione, per riflettere, approfondire e dibattere, liberamente e senza alcuna coercizione, su tutti i modi e i mezzi per consolidare la coesione nazionale, rafforzare ed estendere l’autorità dello Stato su tutto il territorio nazionale, porre fine ai ripetuti cicli di violenza nella parte orientale del paese, scongiurare qualsiasi tentativo di destabilizzazione delle istituzioni e accelerare lo sviluppo del paese, nella pace e nella concordia».
Secondo il decreto presidenziale, l’obiettivo del forum sarebbe dunque il consolidamento di una coesione nazionale che possa permettere vie concrete per porre fine ai cicli di violenza che continuamente si susseguono nell’est del Paese.
Per far fronte a tale emergenza, è del tutto normale che maggioranza al potere, opposizione politica e società civile si incontrino, per approfondire le cause della violenza e cercare soluzioni adeguate. Ciò presuppone che le diverse parti superino, nel confronto e nel dialogo, le loro legittime divergenze, per il bene della Nazione.
La realtà è tuttavia molto più complessa, a causa del contesto politico conseguente alle elezioni presidenziali e legislative del mese di novembre 2011. Caratterizzate da innumerevoli irregolarità e da gravi brogli elettorali, le elezioni hanno dato origine ad una profonda crisi politica che l’opposizione chiama di “legittimità”.
Questo è il punto “debole” delle prossime concertazioni nazionali: come può la “maggioranza” al potere chiedere all’opposizione uno sforzo per la coesione nazionale quando è, essa stessa, sospettata di “illegittimità”. Questo tipo di problematica è ignorato dal decreto presidenziale e, addirittura, negato dalla maggioranza al potere. Ma l’opposizione, almeno due dei maggiori partiti, l’UDPS e l’UNC, non la pensano così e, anzi, esigono che sia al centro del dibattito delle concertazioni nazionali. Finora, infatti, non hanno ancora aderito all’iniziativa.
La conseguenza è chiara: quella coesione nazionale, tanto auspicata per poter risolvere la “crisi di violenza” che sta attraversando l’Est del Paese, non sarà affatto possibile perché, con l’assenza di questi due grandi partiti dell’opposizione dalle concertazioni nazionali, maggioranza e opposizione continueranno ad essere divise sulla “crisi di legittimità” sul versante politico.
Governo di unità nazionale?.
Per sbloccare questa situazione, Léon Kengo wa Dondo, presidente del Senato, presidente di un partito di opposizione e membro del comitato di presidenza delle concertazioni nazionali ha osato proporre la formazione di un nuovo “governo di unità nazionale”, espressione di una nuova maggioranza comprendente membri dell’attuale maggioranza presidenziale, dell’opposizione e della società civile. Secondo Kengo wa Dondo, agendo nel rispetto dell’attuale costituzione, il nuovo governo dovrebbe realizzare le proposte che emergeranno dalle prossime concertazioni nazionali. A prima vista, può sembrare una proposta attraente e, addirittura, convincente. Infatti, vari partiti dell’opposizione hanno già abboccato l’amo e hanno manifestato la loro adesione alle concertazioni nazionali. Ad un’analisi un po’ più profonda, però, si può constatare che tale proposta rimane ancora nella logica della spartizione della torta del potere, della ricerca di privilegi e dell’arricchimento personale. In questa logica, anche i gruppi armati, incluso il Movimento del 23 marzo (M23), potranno rivendicare la loro fetta. Niente di strano che, nonostante sia responsabile di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità e di continue violazioni dei diritti umani, l’M23 rivendichi il ministero della difesa o quello per la tutela dei diritti umani o il comando dello stato maggiore generale dell’esercito contro cui oggi sta combattendo. In questo caso, convocate per riportare la pace all’est del Paese, le concertazioni nazionali non raggiungerebbero in alcun modo il loro obiettivo, ma terminerebbero semplicemente con il concedere, ancora una volta, un “premio di riconoscimento” ai nemici della pace. No, un tale “governo di unità nazionale” sarebbe troppo pericoloso e rischioso, perché potrebbe ben presto trasformarsi in una specie di “governo di transizione” che renderebbe caduca l’attuale legislatura e potrebbe essere utilizzato come arma a doppio taglio: da parte dell’attuale maggioranza, per perpetuarsi nel potere, e da parte del presidente Kabila, per ripresentarsi alle elezioni del 2016, benché la Costituzione affermi che il presidente della Repubblica è eletto per un mandato di cinque anni rinnovabile una sola volta.
Le questioni che contano.
Ciò che le prossime concertazioni nazionali dovrebbero evitare ad ogni costo è il rischio di un semplice ampliamento dell’attuale maggioranza presidenziale (in parlamento e nel governo) a favore di una nuova maggioranza che, seppur includendo alcuni partiti dell’opposizione e la società civile, rimarrebbe ancora chiusa nella logica di potere e non del bene comune della Nazione.
Le prossime concertazioni nazionali dovrebbero invece preoccuparsi soprattutto delle urgenze cui il Paese deve far fronte: la questione dei gruppi armati, soprattutto nell’est del Paese, responsabili di tanta violenza (massacri, stupri, furti, sfollati, bambini soldato), la gestione delle risorse naturali (minerarie, petrolifere, forestali e agricole), la questione sociale (disoccupazione, salari insufficienti, soprattutto quelli dei militari, degli insegnanti e dei dipendenti statali, inadeguatezza del sistema sanitario e scolastico, mancanza di acqua potabile e di energia elettrica, insufficienza di strade e trasporti), il deficit di democrazia (elezioni viziate, mancanza di dibattito parlamentare, violazione dei diritti umani), la questione della governabilità (corruzione, malversazioni di beni pubblici, conflitti di interessi, impunità), la politica estera, soprattutto in relazione con alcuni Paesi limitrofi (il Ruanda e l’Uganda) che, mediante il loro appoggio ai gruppi armati, violano la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della Nazione.
Ciò che il Popolo si aspetta dalle concertazioni nazionali è una proposta chiara di soluzioni concrete ed efficaci a questi nodi critici della vita nazionale. Spetterà all’attuale governo applicare le soluzioni proposte. Se si dovesse pensare opportuno affidarne l’applicazione ad un nuovo governo, espressione di una nuova corresponsabilità, potrebbe trattarsi di un governo più “efficace” di fronte alle numerose sfide sociali e politiche del Paese, con un mandato esplicitamente e ufficialmente limitato alla scadenza dell’attuale legislatura, in conformità con la Costituzione.