Davvero un fiume le persone che hanno partecipato alla Via crucis del Venerdì santo nella nostra parrocchia di Nguba, alla periferia di Bukavu. Più numerose che alle altre Via crucis quaresimali, pur affollate.
Stavolta, il percorso è più lungo, dalla prossimità della frontiera con il Rwanda fino alla parrocchia, circa tre chilometri.
La strada principale delle invasioni e insieme la strada della vita quotidiana di tanta gente che entra e esce per comprare e vendere di qua e là della frontiera.
Gli amplificatori funzionano male e gran parte delle persone non sente nulla di quanto viene letto, pregato e cantato all’inizio della processione. Eppure, nessuno chiacchiera, tutti, adulti e bambini camminano in silenzio.
Dall’altra parte della strada, le croci laiche: donne, soprattutto donne, che trasportano sulla strada in salita verso la città enormi pesi. Su un grosso sacco pieno di farina è scritto il peso: 100 kg. Nella maggior parte dei casi, queste donne non sono che trasportatrici di pesi, per un magro guadagno. Altri passano, osservano, da qualche chiesa di diversa confessione escono canti e sermoni gridati di pastori.
La gente sente molto vicina la passione, il tradimento, l’oppressione, il dileggio, l’umiliazione, i colpi, l’ingiustizia, la morte subiti da Gesù. Una storia sentita almeno una volta all’anno e sempre nuova, sempre ascoltata con compassione, con espressioni di partecipazione appena accennate sulle labbra.
Medici interessati si aggirano da anni attorno al capezzale della Repubblica Democratica del Congo, quel che è certo è che prendono la parcella. Propongono, applicano terapie costose e di scarsa efficacia. Il malato, infatti, continua a star male. L’Est della RD Congo è come bloccato da una cappa di ingiustizia, di insicurezza, di non protezione della popolazione, di miseria, nella quale emergono, forti, un nucleo di ricchi cittadini che non cessa di costruire case a più piani in città e appena fuori.
Rifiuto con tutte le mie forze di pensarmi venuta a benedire le croci, a dire che portino pazienza, che un giorno, nel mondo a venire, Dio farà giustizia. Vorrei svegliare l’indignazione che tenta di dormire per la quotidianità e banalità del male.
La popolazione, insieme a tanti appassionati di giustizia nel mondo, ha bussato alle porte dei potenti internazionali. Ha detto le soluzioni semplici, non costose, che potrebbero aprire la porta alla pace, ricondurre i due milioni di sfollati a casa e aprire possibilità di una vita degna per tutti.
I grandi hanno le loro visioni delle cose e non ascoltano. Proprio ieri, una nuova soluzione militare presa dall’ONU: una forza internazionale con mandato offensivo contro i gruppi ribelli. È il teatro che continua, dice un animatore della società civile. Oseranno forse entrare in foreste che non conoscono?
Ancora una volta si svicola dalla strada maestra che è essenzialmente politica, di poco costo, ma che metterebbe il dito sulla piaga degli interessi anche occidentali: sanzioni serie nei confronti dei dirigenti di Rwanda e Uganda, fomentatori e alimentatori di pseudo ribellioni congolesi e longa manus delle multinazionali alla ricerca dei minerali, petrolio, legno, terre dell’est della RD Congo a prezzi stracciati.
Saranno gli anni che avanzano o l’esiguità dei risultati, ma stasera, in questo stare di noi tutti vicino al sepolcro di Gesù, mi sembra che alla fine in questo mondo avido e di conseguenza cieco non resti che questo: stare coi vinti. Per tutto il tempo della passione, morte e sepoltura che ci vuole. Stare anche se niente sembra cambiare e i forti trionfano. Stare anche senza accanirsi per un cambiamento. Stare e basta, cogliendo e cercando di seminare nella notte fredda germi di futuro e accettando di non vederlo che nei germogli. Anche in noi stessi.
Teresina Caffi, missionaria di Maria
Bukavu, 29 marzo 2013.