Congo Attualità n. 177 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Una rivoluzione di palazzo pianificata a Kigali.
Ciò che sta attualmente succedendo nelle zone occupate dal Movimento del 23 marzo (M23) fa pensare a un nuovo scenario pianificato a partire da Kigali. Data la pressione della comunità internazionale, ultimamente contraria alle interferenze del Ruanda negli affari interni della RDCongo, il regime di Kigali ha escogitato una rivoluzione di palazzo che distingue, da un lato, i cosiddetti ribelli “buoni”, cioè l’ala M23 di Makenga e, dall’altro, i ribelli “cattivi”, cioè quelli dell’ala M23 di Runiga. I primi sono presentati come favorevoli alla mano tesa di Kinshasa, mentre i secondi sono presentati come traditori al soldo del Ruanda. L’obiettivo non dichiarato della banda di Makenga è di infiltrarsi di nuovo nel sistema di difesa congolese e nelle istituzioni politiche del Paese, attraverso un nuovo accordo politico concluso a Kampala, Oyo, Addis Abeba o altrove. Se i Congolesi non aprono gli occhi, possono ritrovarsi di nuovo, come nel 1996, nel 2003 e nel 2009, con molti altri militari e agenti di sicurezza del Ruanda, non solo nell’alto comando dell’esercito nazionale, ma anche nei servizi speciali di sicurezza. In breve, il Ruanda sta giocando una nuova partita, in vista di una nuova alleanza tra Kinshasa e i “buoni” ribelli che darebbero l’impressione di essere liberi dalla sua tutela quando, invece, nel profondo, costituirebbero la base per l’infiltrazione di un nuovo cavallo di Troia.[1]
Una strategia a breve termine che dura da troppo tempo.
Sultani Makenga pensa che sia possibile rinegoziare gli accordi del 23 marzo con il governo congolese a favore dell’M23. Lo pensa e lo vuole. Makenga ritiene che l’obiettivo dell’M23 di “destabilizzare” il regime di Joseph Kabila non può essere raggiunto con un solo colpo. Occorre una strategia diversa. È necessario progredire per “tappe”, accordo dopo accordo, battaglia dopo battaglia. Secondo la corrente di Makenga, ora si deve firmare immediatamente un accordo “minimo” con Kabila, tornando poi alla carica sul campo militare, tra pochi mesi o qualche anno.
Secondo l’analista Kris Berwouts, Sultani Makenga sembra volere giocare la carta di Kinshasa e della comunità internazionale e sarebbe disposto a firmare un accordo con il governo congolese. Si parla addirittura della sua presunta volontà di arrestare Bosco Ntaganda. Makenga potrebbe, così, ingraziarsi Joseph Kabila, che aveva promesso alla comunità internazionale arrestarlo. L’arresto di Ntaganda da parte di Makenga potrebbe essere un affare «tutti e due vincitori» (“win-win”) sia per il capo dei ribelli, ma anche per il capo dello Stato congolese che ha bisogno di un riconoscimento internazionale dopo la sua contestata rielezione nel 2011.
È questo il gioco di poker che si sta tramando da oltre 15 anni nel Kivu e sempre con la stessa tattica: scindere le ribellioni, firmare accordi di pace, integrare uno dei gruppi rivali nell’esercito regolare … fino alla seguente guerra. Una strategia a breve termine che dura da troppo tempo.[2]
Due opportunità da non perdere per sconfiggere la ribellione.
Se Kinshasa accettasse di piegarsi di fronte a questa “nuova” situazione, dimostrerebbe ancora una volta la sua debolezza, se non la sua complicità.
Pur nella complessità della situazione e nell’incertezza del momento, il presidente Kabila ha nelle sue mani una potenziale opportunità straordinaria per vincere l’M23: la coesione di tutto il popolo congolese. Nel suo discorso del 15 dicembre 2012, egli aveva annunciato un’iniziativa per ricreare la coesione nazionale, in vista di risolvere la crisi in atto nell’est del Paese. È ormai evidente che l’unica via per ricreare la coesione nazionale è l’urgente convocazione di un “dialogo nazionale” con la partecipazione di tutte le forze del Paese: Governo, Parlamento (Maggioranza e opposizione), opposizione extraparlamentare e Società Civile. La crisi di insicurezza nell’est del Paese (una guerra di bassa intensità con fasi ripetitive) si innesta in una crisi generale di tutta la Nazione e la aggrava.
È all’interno di un dialogo a livello nazionale che il popolo congolese può cercare e proporre orientamenti e iniziative adatte per risolvere le ricorrenti crisi dell’est del Paese, assicurando il più rigoroso rispetto della Costituzione, procedendo alle riforme necessarie dei servizi di sicurezza (esercito, polizia e servizi segreti), della giustizia (istituzione della Corte Costituzionale, della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato), del sistema elettorale (una commissione elettorale più trasparente e più indipendente dai partiti politici) e garantendo una buona gestione delle risorse naturali (minerarie, petrolifere, forestali e agricole), in vista di un miglioramento delle condizioni sociali dell’intera popolazione (diritti umani, infrastrutture, educazione, sanità). La discussione su questi temi spetta al Popolo congolese nella sua totalità e non può essere oggetto di trattative tra il governo e un determinato gruppo armato. È questo dibattito a livello nazionale che potrà ricreare quella coesione nazionale necessaria per risolvere la questione dei gruppi armati.
Inoltre, Kinshasa dovrebbe far affidamento anche sull’intervento della Comunità Internazionale, dell’Onu in particolare, che ha promesso l’invio di una forza speciale che, con un mandato di “imposizione della pace”, dovrebbe combattere e disarmare tutti i gruppi armati attivi nell’est del Paese, compreso l’M23. Nel caso in cui questo gruppo armato riattaccasse la città di Goma, questo fatto obbligherebbe il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ad accelerare l’invio della forza prevista.
Il presidente Kabila e il Governo hanno ancora pochissimi giorni per decidere, ma sono ancora in tempo: resistere al ricatto del regime ruandese e dell’M23, facendo affidamento sull’invio della forza internazionale e, soprattutto, sulla coesione del popolo congolese che, da molto tempo, reclama una pace definitiva.