INDICE
EDITORIALE: Quando il ricorso alla riconciliazione diventa abusivo
1. NOTIZIE
2. IL DIALOGO TRA IL GOVERNO E L’M23 A KAMPALA
3. QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA
4. UNA FORZA INTERNAZIONALE PER DISARMARE I GRUPPI ARMATI
EDITORIALE: Quando il ricorso alla riconciliazione diventa abusivo
1. NOTIZIE
Il 3 febbraio, in una nota pubblicata a Kinshasa, una nuova coalizione di circa 12 gruppi armati, attivi principalmente nel Sud Kivu, nell’est della RDCongo, ha annunciato la sua creazione, a metà gennaio, con l’obiettivo di rovesciare il regime del presidente Joseph Kabila, rieletto alla fine del 2011 in seguito ad elezioni contestate. L’Unione delle Forze Rivoluzionarie del Congo (UFRC) si è definita come un movimento “politico-militare” con sede a Bukavu, capitale della provincia del Sud Kivu. Nella sua nota del 25 gennaio, inviata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, Gustave Bagayamukwe Taji, Presidente del Comitato di coordinamento della coalizione, chiede “le dimissioni del presidente Kabila, la creazione di organismi nazionali di transizione, l’organizzazione di elezioni democratiche e, infine, la riforma dei servizi della difesa e della sicurezza”. Egli ha anche chiesto “l’avvio di procedure giudiziarie, per alto tradimento, contro Joseph Kabila”, accusato per i brogli elettorali che hanno caratterizzato le contestate elezioni del 28 novembre 2011. L’UFRC assicura che “ben presto potrà dirigere la provincia del Sud Kivu, in attesa delle dimissioni effettive dell’attuale regime”. L’UFRC si è detto “favorevole all’annullamento dell’invio di una forza esterna, per quanto neutra possa essere, per assicurare la pace nella regione”.
Candidato parlamentare n. 154 nelle legislative di novembre 2011 per la città di Bukavu, Gustave Bagayamukwe Taji, non era stato eletto, come centinaia di altri candidati, deputato nazionale. Alla testa dell’UFRC, egli è anche presidente dell’Associazione per la difesa degli interessi della città di Bukavu, ADIB. Bisogna dunque concludere che ha preso le armi per difendere gli interessi di Bukavu? O appartiene a quel gruppo di politicanti senza scrupoli che, per giustificare la loro impresa criminale, non cessano di fondare le loro rivendicazioni su elezioni mal organizzate?
Gustave Bagayamukwe è stato arrestato dai servizi di sicurezza, il 10 febbraio, alle 5:00 del mattino, a Uvira, e trasferito direttamente a Bukavu, capoluogo del sud Kivu, poi a Kinshasa.[1]
Il 5 febbraio, i capi di cinque gruppi armati che operano nel territorio di Masisi (Nord Kivu) hanno firmato un patto di non aggressione per porre fine ai conflitti etnici nel territorio. I firmatari di tale patto di non-aggressione sono: le Forze per la Difesa dei Diritti Umani (FDDH/ Nyatura), il Movimento d’Azione per il Cambiamento (Mac), l’Alleanza dei Patrioti per un Congo libero e sovrano (APCLS ), il Raia Mutomboki e un ramo di disertori delle FARDC. Dopo la firma di questo accordo, le milizie citate hanno stabilito una coalizione denominata Alleanza dei Patrioti Contro la Balcanizzazione del Congo (APCBCO). L’obiettivo della coalizione è di porre fine ai conflitti etnici tra gli Hunde, i Nyanga, i Tembo e le popolazioni hutu della regione del Masisi. L’APCBCO è coordinata da Janvier Kalahiri, capo dell’APCLS. Vice coordinatori sono Bwira, dei Raia Mutomboki, e Kapoki, dei Nyatura. Il governo provinciale del Nord Kivu e la società civile hanno accolto con favore questa iniziativa e sperano che sia attuata.[2]
2. IL DIALOGO TRA IL GOVERNO E L’M23 A KAMPALA
Il 30 gennaio, la delicata questione dei temi dell’ordine del giorno del dialogo è, ancora una volta, alla base di un braccio di ferro tra la delegazione di Kinshasa e quella dell’M23. Quest’ultimo vuole discutere di tutte le questioni, incluse quelle politiche, ciò che il governo tenta di evitare. Secondo la delegazione del Governo, essendo terminata la fase di valutazione dell’accordo del 23 marzo 2009, il resto dell’ordine del giorno dovrebbe essere discusso a Kinshasa. La delegazione dell’M23 non è di questo parere.
Per potere continuare il dialogo, la mediazione ugandese ha proposto di formare due commissioni miste che dovrebbero lavorare contemporaneamente, ciascuna con un numero uguale di rappresentanti dell’M23 e di Kinshasa. Una dovrebbe trattare la questione relativa alla sicurezza, l’altra dovrebbe approfondire le problematiche politiche, economiche e sociali. La delegazione governativa ha mostrato il suo disaccordo nei confronti di tale metodologia che conduce necessariamente a un dibattito sulla politica generale del Paese. Secondo il Governo, l’obiettivo del dialogo dovrebbe essere quello di cercare le cause per le quali l’M23 ha preso le armi e trovare, quindi, delle soluzioni. Secondo alcuni osservatori, questo nuovo approccio sarebbe un modo, per il facilitatore, di rispondere positivamente alle richieste dell’M23, che certamente non intende lasciarsi scappare l’occasione per mettere tutto in questione a Kinshasa. La mediazione ugandese dovrà cercare un compromesso tra le due parti.[3]
L’M23 ha trasmesso al facilitatore del dialogo un documento relativo al secondo punto dell’ordine del giorno sulla questione della sicurezza. In questo documento, firmato a Kampala il 27 gennaio 2013 da François Ruchogoza, segretario esecutivo dell’M23 e capo della delegazione, l’M23 dichiara che vuole combattere con il governo e le forze armate congolesi contro le forze negative. Qualificato come forza negativa dalla CIRGL, dall’UA e dall’ONU, l’M23 si scagiona e si pone al di sopra delle altre forze negative. Per riportare la sicurezza, l’M23 propone la sua integrazione nell’esercito nazionale (FARDC) e la creazione di un segretariato nazionale per la sicurezza e i servizi segreti (SNSR) che unirà l’ANR e la DGM. Per quanto riguarda l’esercito e la polizia, l’M23 chiede il riconoscimento formale dei gradi dei suoi militari, posti di responsabilità a livello degli stati maggiori delle regioni militari e la creazione di brigate indipendenti. L’M23 chiede di combattere fianco a fianco con le FARDC per il disarmo e il rimpatrio delle forze negative, come le FDLR, l’ADF-Nalu, l’LRA, l’FNL e i gruppi nazionali armati, essendo la logistica delle operazioni a carico del governo. A tal fine, per le province del Nord Kivu, Sud Kivu, Maniema, Provincia Orientale e Nord Katanga, l’M23 chiede un’organizzazione mista dei servizi segreti (Joint Intelligence Team) in collaborazione con l’Uganda, il Ruanda e il Burundi. Secondo numerose fonti, la delegazione governativa respinge il documento dell’M23 e terrà conto solo di alcuni punti.[4]
Il 4 febbraio, si è iniziato l’esame del terzo e penultimo punto dell’ordine del giorno relativo alle questioni politiche, sociali ed economiche.
L’M23 ha presentato le sue rivendicazioni sulla violazione della Costituzione da parte del governo e ha proposto l’annullamento delle elezioni del 28 novembre 2011, lo scioglimento del Senato e delle Assemblee provinciali e l’istituzione di un Consiglio Nazionale di Transizione congolese (un governo di transizione). Propone la creazione di una Commissione indipendente per i diritti dell’uomo, la creazione di un ministero competente per le questioni relative alla riconciliazione e la promulgazione di una legge contro la xenofobia e per la protezione della minoranza. Chiede anche un’amnistia per gli atti di guerra e di insurrezione commessi dal 7 maggio 2009. L’M23 chiede l’annullamento del decreto legge che vieta lo sfruttamento illegale e l’esportazione clandestina di minerali nell’est della RDCongo, la creazione di una commissione speciale mista per l’integrazione della RDCongo nella Comunità dell’Africana dell’Est (CAE) e l’attuazione del Patto per la pace, la sicurezza, la stabilità e lo sviluppo nella regione dei Grandi Laghi, la creazione di un programma per la ricostruzione e lo sviluppo che possa facilitare la sicurezza e le condizioni socio-economiche per il ritorno volontario degli sfollati interni e dei rifugiati e, infine, la riabilitazione di Roger Lumbala come deputato nazionale.
La delegazione del governo di Kinshasa si è incontrata per formulare risposte di valutazione e di risoluzione a tali proposte.[5]
Il 5 febbraio, i delegati del governo ha affermato che il grosso del lavoro è già stato completato e che il numero dei delegati dell’M23 e del governo dovrebbe passare da 30 a 12 per ogni delegazione. «Ciò che resta da fare è un lavoro tecnico e per questo basta un gruppo di tecnici», ha dichiarato Vila Konde Kikanda, deputato nazionale per il Nord Kivu. «Spetta al mediatore ugandese fare la sintesi», ha detto il deputato Oscar Nsamane, che ha precisato: «L’M23 ha presentato le sue richieste e proposte e il governo ha risposto. A questo punto, il facilitatore avrà il punto di vista dei ribelli, lo confronterà con quello del governo e trarrà le conclusioni». Ma secondo la delegazione dell’M23, questa diminuzione del numero di delegati «dovrà essere decisa tra le due parti». Dal momento che i negoziati sono entrati in una fase di stallo, Kinshasa ha finalmente deciso di fare rientrare i membri politici della sua delegazione e lasciare sul posto solo il gruppo degli esperti per proseguire i lavori in commissione e le discussioni con i rappresentanti dell’M23. Su questa decisione del governo congolese hanno influito anche altri motivi, tra cui quello delle spese per la logistica, perché sarebbe Kinshasa che pagherebbe tutto, anche per la delegazione dell’M23.[6]
Il 6 febbraio, secondo un comunicato stampa della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL), il governo congolese e l’M23 hanno esaminato e adottato il rapporto sulla valutazione dell’accordo di pace firmato il 23 marzo 2009 tra Kinshasa e il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP). Secondo il comunicato, entrambe le parti si sono infine espresse sull’attuazione, articolo per articolo, di tale accordo. Il facilitatore del dialogo, Cripsus Kiyonga, ministro ugandese della Difesa, ha raggruppato le disposizioni dell’accordo in tre categorie. Si tratta delle disposizioni pienamente attuate, quelle parzialmente attuate e quelle non trattate bene.
Cripsus Kiyonga ha osservato che, sui 35 punti dell’accordo Goma, il governo ne ha pienamente realizzati quindici. Ha citato, ad esempio, l’integrazione dei militari del CNDP nelle FARDC, la mutazione del CNDP, allora movimento politico-militare in partito politico, l’istituzione dei comitati locali permanenti di conciliazione. Otto punti sono stati parzialmente realizzati. Dodici punti, invece, non sono mai stati realizzati. Tra questi, la creazione di una polizia di prossimità e il ritorno dei rifugiati in patria. Il comunicato stampa della CIRGL afferma che entrambe le parti concordano sul fatto che l’accordo del 23 marzo 2009 è ancora attuale e che le due delegazioni hanno raccomandato l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio e di verifica.
Secondo il parlamentare Mashako Mamba, che ha guidato la sezione umanitaria del programma Amani, le ripetute guerre provocate sempre dalle stesse persone non hanno permesso la piena realizzazione degli accordi di Goma. Il Ministro della Difesa ugandese Crispus Kiyonga si è detto ottimista. Secondo lui, la firma di questo primo documento è un passo importante per continuare il dialogo, affermando che: «Il dialogo si sta svolgendo in uno spirito di riconciliazione» e che «i leader di entrambe le parti si sono impegnati a continuarlo». Nei prossimi giorni, le due delegazioni dovranno affrontare le questioni della sicurezza e le questioni politiche, sociali ed economiche del Paese. Questo è il punto debole. Dal lato di Kinshasa, il senatore Mulaila ha già dichiarato: «Non risponderemo positivamente alle richieste che non tengano conto della Costituzione».[7]
Diversi elementi del documento firmato a Kampala alla fine della settimana scorsa, lasciano presagire che sarà molto difficile applicarne alcuni punti come, per esempio, l’integrazione dei soldati dell’M23 nell’esercito regolare. Secondo il testo, tutti i soldati ribelli saranno integrati con il grado di “maggiore”, per poi essere dispiegati in tutto il Paese. Questo punto è quello che aveva già bloccato la realizzazione degli accordi del 2009, poiché gli ex ribelli del CNDP si sono sempre rifiutati di allontanarsi dal Kivu, con il pretesto di difendere la loro comunità (Tutsi) minacciata. Altro punto difficile da applicare: i capi dei ribelli. Secondo il documento, le autorità congolesi esprimono la loro volontà di arrestare i comandanti ricercati per mandati di cattura nazionali ed internazionali. È una soluzione per impedire la reintegrazione dei leader ribelli nell’esercito regolare, ma non sarà certamente accettata dagli interessati. È difficile, infatti, immaginare che Bosco Ntaganda, Sultani Makenga Innocent Zimurinda o Baudouin Ngaruye si arrendino per essere giudicati dalla giustizia congolese. Sembra, dunque, molto improbabile che i colloqui di Kampala possano giungere ad un accordo soddisfacente per tutti. Nella migliore delle ipotesi, le due parti firmeranno un mini-accordo senza alcuna consistenza, che verrà subito dimenticato al primo scontro militare sul campo. Nel peggiore dei casi, non si firmerà alcun accordo e presto si riprenderà il linguaggio delle armi, giacché l’M23 si trova a pochi chilometri dal centro di Goma, capoluogo del Nord Kivu, pronti a riprendere la città.[8]
L’Associazione Africana per la difesa dei diritti umani (ASADHO) si dice preoccupata per l’annuncio di una possibile riconciliazione tra l’M23 e il governo della RDCongo. Pur ricordando che nessuno può opporsi alla riconciliazione tra Congolesi, l’ASADHO ritiene che tutti i ribelli dell’M23 e i militari delle Forze Armate della RDCongo (FARDC), che si sono resi colpevoli di gravi violazioni dei diritti dell’uomo (crimini internazionali, assassini, uccisioni, esecuzioni sommarie, stupri di donne e ragazze, saccheggi di beni pubblici e privati …) prima, durante e dopo la presa della città di Goma il 20 novembre 2012, devono rispondere delle loro azioni davanti alla giustizia. Per ASADHO, la riconciliazione non dovrebbe consacrare l’impunità di coloro che sono colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani. Per questo, ASADHO raccomanda al governo congolese di astenersi da qualsiasi accordo con l’M23 che implichi l’impunità per tutti coloro che si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani prima, durante e dopo la presa di Goma da parte dell’M23. L’Ong chiede, inoltre, alla Corte penale internazionale di aprire un’inchiesta sui crimini internazionali commessi nell’est della RDCongo.[9]
3. QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA
In un’intervista rilasciata al settimanale francese Jeune Afrique, a proposito della situazione di insicurezza nell’est della RDCongo, il Segretario Generale del Forum dei Parlamenti della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (FP-CIRGL) ed ex vice-presidente del Senato del Ruanda, Prosper Higiro, si pronuncia a favore di una “cooperazione rafforzata” per gestire al meglio le conseguenze attuali della delimitazione delle frontiere avvenuta nel 1886. Secondo lui, le due attuali iniziative, il dialogo tra il governo e l’M23 a Kampala e la proposta avanzata dall’Unione Africana e dalle Nazioni Unite di una forza internazionale neutra – o di una forza di rapido intervento – per disarmare i gruppi armati del Kivu, tra cui l’M23, non sono contraddittorie ma complementari. La forza internazionale neutra non combatterà solo l’M23, ma anche gli altri gruppi armati. Quindi, se a Kampala si arrivasse ad un accordo prima del dispiegamento di questa forza, non sarà più necessario far fronte all’M23. In questo caso, la forza internazionale neutra attaccherà solo gli altri gruppi armati. Si può credere che le due delegazioni del governo congolese e dell’M23 arrivino ad un accordo prima del dispiegamento della forza internazionale neutra. Per superare le ripetute crisi nella regione dei Grandi Laghi, occorre riflettere sulle cause profonde dell’insicurezza che esiste nella regione dei Grandi Laghi. Si dovrà cercare tali cause nei fattori storici legati alla delimitazione delle frontiere, ma anche nel modo di governare. La colonizzazione ha lasciato, nella regione, alcune situazioni difficili e problematiche. Non è detto che si debba tornare ai tempi della conferenza di Berlino per ridefinire le frontiere, ma sarà necessario gestire le conseguenze di questa delimitazione ereditata. In altre parole, occorrerà occuparsi seriamente di quelle zone in cui uno stesso gruppo etnico si trova a vivere in entrambi i lati della frontiera. Per questo, è necessaria una cooperazione rafforzata tra i paesi interessati, al fine di gestire i rischi e le possibili conseguenze lasciate da questi fattori storici.[10]
In una lettera datata 11 gennaio 2013 e indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, il presidente ugandese Yoweri Museveni Kaguta scrive:
«Circa il piano di lavoro proposto per la pace e la sicurezza nella RDCongo e nella regione dei Grandi Laghi, che mi ha mandato in dicembre 2012, sono d’accordo con le proposte fatte circa gli impegni che devono essere assunti dal governo della RDCongo, dalla regione dei Grandi Laghi e dalla comunità internazionale.
Tuttavia, ci sono tre aspetti critici che dovrebbero essere tenuti in considerazione nel piano di lavoro, se si vuole risolvere il problema della RDC a lungo termine.
1. I diritti di cittadinanza per certi gruppi etnici congolesi devono essere rispettati e garantiti. Agire diversamente significherebbe che questi gruppi continuerebbero, in modo intermittente, a lottare per il riconoscimento dei loro diritti in quanto cittadini della RDCongo. Durante il tempo di Mobutu, alcuni gruppi tutsi erano stati dichiarati non-congolesi. L’attuale governo (del presidente Joseph Kabila) non ha assunto la posizione del Presidente Mobutu sulla non congolità dei Banyarwanda. Tuttavia, i Banyarwanda congolesi continuano a lamentarsi delle campagne di odio tollerate dal governo. Questo problema dovrebbe essere discusso e risolto.
2. La questione delle forze negative che continuano a utilizzare il territorio della RDCongo come piattaforme per destabilizzare i Paesi vicini,
3. Lo squilibrato uso e la diversa applicazione delle istituzioni del sistema di giustizia internazionale e, in particolare, le disposizioni della Corte penale internazionale e il regime delle sanzioni delle Nazioni Unite. Anche se la lotta contro l’impunità è buona e accettabile, essa dovrebbe essere applicata in modo uguale a tutte le parti e la ricerca della pace dovrebbe precedere la giustizia.
Nel piano di lavoro proposto, quindi, i problemi sollevati nei punti (1) e (2) dovrebbero essere inclusi come obblighi della RDCongo e quelli sollevati nel punto (3) dovrebbero essere aggiunti agli obblighi della comunità internazionale».
Molto diverso sembra essere il punto di vista della popolazione.
A Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, la guerra non ha mai bloccato l’andirivieni tra la RDCongo e il Ruanda. Per molti Congolesi, i vicini Ruandesi sono dei fratelli. A Bukavu, la frontiera tra il Ruanda e la RDCongo è sempre rimasta aperta, anche quando l’M23 aveva occupato la città di Goma, capoluogo del Nord Kivu, e minacciava di prendere anche Bukavu. Gli scambi tra i due paesi hanno continuato come al solito. «Non abbiamo nessun problema con i Ruandesi come popolo, sono i nostri fratelli, i nostri vicini di casa», ha detto un insegnante congolese che lavora in Ruanda e ha continuato ad andarvi ogni giorno. «Se c’è qualche Ruandese che causa problemi al nostro paese, non dobbiamo generalizzare e colpevolizzare tutti gli altri», aggiunge Guy-Noël, un agente umanitario e residente a Bukavu. «Siamo e resteremo degli eterni vicini. Ci sono dei Ruandesi che lavorano qui in Congo e dei Congolesi che vivono e lavorano in Ruanda. È quindi inutile guardarci con sospetto. Non si tratta di un problema tra due popoli, ma tra politici che vogliono difendere i loro interessi», insiste un giovane che sta attraversando la frontiera con i suoi amici per prendere un drink al “piccolo colle”, un bar di Kamembe, in Ruanda.
Ciò non impedisce che degli abitanti di Bukavu abbiano un certo risentimento nei confronti dei ribelli del gruppo armato dell’M23, perché temono che commettano le stesse violenze che avevano commesso le truppe di Laurent Nkunda quando invasero la città, nel giugno 2004. I Congolesi temono il gruppo armato dell’M23, perché hanno più volte subito le nefaste conseguenze della guerra e non la vogliono più. «Il problema è che l’M23 ha preso le armi. Anche noi insegnanti viviamo in situazioni molto difficili e, da anni, siamo ignorati dal governo. Dobbiamo, quindi, per questo prendere le armi anche noi per farci sentire? No, noi non vogliamo la guerra», protesta un insegnante di Bukavu. Sulla sua moto, Sylvestre, un taxista di Gisenyi (Rwanda), esclama: «Penso che questa situazione di guerra sia alimentata dai politici, non da noi cittadini comuni. Che i politici ci lascino in pace». Tra i suoi clienti più fedeli ci sono molti Congolesi che fanno la spola tra la RDCongo e il Ruanda. «La tendenza delle autorità ruandesi e ugandesi è di proteggere e favorire una sola comunità e questo non mi piace», dice un giovane studente. «Se si guarda a come vive la gente comune, non si capisce perché i politici ruandesi e ugandesi fomentino la guerra in Congo», dice sorpreso Musa Nzamu, uno studente congolese presso l’Università Libera dei Paesi dei Grandi Laghi (ULPGL) di Goma, nel Nord Kivu, che passa, senza alcuna difficoltà, attraverso il Ruanda, per rientrare a casa sua a Uvira, nel Sud Kivu.[11]
C’è una domanda che ricorre spesso per chi segue le vicende del popolo congolese: “Perché tutte le grandi guerre del Congo iniziano sempre nell’est del Paese?”.
1. Secondo l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy e l’ex consigliere del Dipartimento di Stato americano per gli affari africani Herman Cohen, la Rdcongo è un Paese grande, ricco di risorse naturali e con una densità demografica relativamente bassa. Il Ruanda, invece, è un Paese piccolo, povero di risorse naturali e con un’alta densità demografica.
Per risolvere i suoi problemi di mancanza di risorse e di spazio, il Ruanda ha adottato una politica di espansionismo verso il Congo e una strategia di occupazione militare e demografica delle due province congolesi del Nord e Sud Kivu. La guerra serve per far fuggire la popolazione autoctona dalle sue terre e per sostituirla, gradualmente, con l’eccedenza della popolazione ruandese. Con il pretesto della lotta contro gli “Hutu genocidari” fuggiti in Congo nel 1994 e che minaccerebbero la sopravvivenza dei “Banyaruanda Tutsi”, il Ruanda crea continue “ribellioni dall’etichetta congolese” che hanno come obiettivo ufficiale la difesa della popolazione tutsi, ma come fine occulto l’infiltrazione di militari e popolazioni ruandesi in territorio congolese. In questo contesto, la tattica dell’iniziare la guerra per costringere il governo a negoziare serve a infiltrare l’esercito nazionale, i servizi di sicurezza e le istituzioni politiche del Paese, per indebolirlo e prenderne il controllo.
2. Benché il Ruanda e l’Uganda appaiano in primo piano nella destabilizzazione della RDCongo, essi non sono però che pedine nelle mani delle grandi potenze occidentali e delle multinazionali in cerca dei minerali e del petrolio di cui è ricco il sottosuolo congolese. Nonostante le linee direttrici dell’OCSE e la legge americana Dodd-Frank, ma in mancanza di una legislazione internazionale comune sul commercio dei minerali, nell’est della RDCongo esso è controllato da una rete mafiosa composta di commercianti, intermediari, politici e militari che alimentano il contrabbando, via i Paesi limitrofi, soprattutto il Ruanda, l’Uganda e il Burundi e, conseguentemente, l’evasione fiscale.
3. Se il Congo vuole salvaguardare la sua sovranità nazionale e la sua integrità territoriale dovrà trattare non tanto con l’M23, ultimo anello della catena di destabilizzazione del Paese, ma direttamente con i Paesi Occidentali, soprattutto con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, affinché
a. esercitino la loro influenza sul Ruanda e sull’Uganda, per impedire loro di interferire nella vita politica ed economica della RDCongo e di destabilizzare l’est del Paese creando, armando e appoggiando gruppi armati nell’est della RDCongo.
b. promuovano una legislazione internazionale sulla tracciabilità dei minerali, per impedire che le multinazionali occidentali siano alla base di un commercio minerario illegale e fonte di conflitti armati nella RDCongo.
4. UNA FORZA INTERNAZIONALE PER DISARMARE I GRUPPI ARMATI
Il 30 gennaio, in una conferenza stampa a Kinshasa, il portavoce della Missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (Monusco), il tenente colonnello Felix Bass, ha dichiarato che i militari che comporranno la forza di rapido intervento da inviare nell’est della RDCongo, non saranno presi dalle truppe della Monusco. Secondo lui, questa forza, che è un’iniziativa della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e della Comunità dei Paesi dell’Africa australe (SADC), sarà composta da militari provenienti da una brigata della SADC. Il tenente colonnello Felix Bass ha spiegato che questa forza sarà composta da 2.500 militari, alcuni dei quali provenienti dalla “Brigata in Standby” della SADC, già pronta a intervenire. L’ufficiale ha aggiunto che la Tanzania e il Sud Africa si sono impegnati a contribuire alla creazione di questa task force cui potrà essere assegnato anche un battaglione di caschi blu sudafricani della Monusco.
Il tenente colonnello Bass ha, infine, sottolineato che, «come al solito, la Monusco sarà a fianco e potrebbe integrare le sue forze [nella forza d’intervento] una volta che l’accordo di base, che doveva essere firmato ad Addis Abeba, sarà approvato». La firma di questo accordo per la pace nell’est della RDCongo, prevista per il 24 gennaio ad Addis Abeba, in occasione del vertice dell’Unione Africana, era stata rinviata a causa di un disaccordo tra i Capi di Stato della sub-regione circa il comando e la composizione della forza di rapido intervento.[12]
Il 6 febbraio, dopo una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a New York, il vice Segretario Generale delle Nazioni Unite e incaricato delle operazioni di mantenimento della pace, Hervé Ladsous, ha affermato di sperare che l’accordo quadro sulla pace nell’est della RDCongo possa essere firmato nelle prossime settimane. L’accordo, che doveva essere firmato il 28 gennaio ad Addis Abeba, prevede che ogni paesi della regione rispetti la sovranità nazionale di tutti gli altri Paesi limitrofi e che si rafforzi la cooperazione regionale per affrontare i problemi di insicurezza. L’accordo vieta ai diversi paesi di sostenere i gruppi armati e li impegna di porre fine all’impunità dei criminali di guerra. Secondo Hervé Ladsous, «l’accordo chiarirebbe gli obblighi della RDCongo per la riforma del settore della sicurezza e delle forze armate e riaffermerebbe l’autorità dello Stato sulle sue province dell’est». Inizialmente negoziato da otto Paesi (RDCongo, Rwanda, Burundi, Angola, Uganda, Congo – Brazzaville, Sudafrica e Tanzania), l’accordo potrebbe essere firmato, alla fine del mese di febbraio, anche da altri tre Paesi (Repubblica Centrafricana, Zambia e Sud Sudan). Nel contesto dell’attuazione di tale accordo e a proposito dell’invio di una forza internazionale neutra per imporre la pace nelle province del Kivu, Hervé Ladsous ha rievocato l’idea di creare una nuova brigata internazionale in seno alla Monusco. Composta da 2.500 unità, tale brigata dovrebbe combattere contro i gruppi armati attivi nell’est della RDCongo.[13]
L’8 febbraio, al termine di un vertice straordinario tenutosi a Maputo (Mozambico), cui ha partecipato anche il presidente congolese Joseph Kabila, la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC) ha deciso di inviare una forza di pace nella RDCongo, con il mandato di combattere i gruppi armati attivi nell’est del Paese. Questa decisione permetterà di facilitare l’attuazione del piano regionale per la pace nell’est della RDCongo proposto dalle Nazioni Unite. Secondo i leader della SADC, questa forza di 4.000 uomini avrebbe una propria struttura di comando e regole di ingaggio proprie, anche se gerarchicamente farà riferimento alle Nazioni Unite. È stato deciso che, a differenza della Monusco che non ha l’autorizzazione di combattere, la forza internazionale neutra avrà un nuovo tipo di mandato e combatterà chiunque cerchi di destabilizzare la situazione nell’est della RDCongo. Tuttavia, non è ancora stata concordata alcuna data circa il suo dispiegamento. Il segretario generale della SADC, Tomaz Salomao, ha indicato che la Tanzania, il Sud Africa, il Malawi e lo Zimbabwe hanno promesso l’invio di loro truppe.[14]
[1] Cf AFP – Jeune Afrique, 03.02.’13; Kléber Kungu – L’Observateur – Kinshasa, 04.02.’13; Radio Okapi, 10.02.’13
[2] Cf Radio Okapi, 09.02.’13
[3] Cf RFI, 31.01.’13
[4] Cf L’Avenir Quotidien – Kinshasa – Africatime, 01.02.’13
[5] Cf L’Avenir – Kinshasa, 06.02.’13
[6] Cf Radio Okapi, 06.02.’13; RFI, 06.02.’13; Alain Diasso – Les Dépêches de Brazzaville – Kinshasa, 05.02.’13
[7] Cf Radio Okapi, 06.02.’13; RFI, 07.02.’13
[8] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia, 11.02.’13
[9] Cf Gode Kalonji Mukendi – La Tempête des Tropiques – Kinshasa, 11.02.’13
[10] Cf Trésor Kibangula – Jeuneafrique.com, 31.01.’13
[11] Cf Paul Durand et Trésor Makunya Muhindo – Syfia Grands Lacs, 10.12.’12
[12] Cf Radio Okapi, 31.01.’13
[13] Cf Radio Okapi, 07.02,’13
[14] Cf AFP – Maputo, 08.02.’13