“La popolazione del Nord Kivu va di delusione in delusione. Col passare delle settimane si stanno affievolendo le speranze deposte nei negoziati di Kampala, che finora non hanno portato soluzioni concrete ai nostri annosi problemi. A questa delusione si è aggiunta la mancata firma ad Addis Abeba di un’intesa per il dispiegamento di una forza di interposizione dalla quale una parte della gente si aspettava una nuova garanzia di sicurezza”: lo dice alla MISNA monsignor Louis de Gonzague, vicario generale della diocesi di Goma, il capoluogo del Nord Kivu occupato lo scorso novembre dalla ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), nel giorno in cui dovrebbero riprendere i colloqui nella capitale ugandese, nella cornice della Conferenza internazionale dei Grandi Laghi (Cirgl).
“Qui il problema più grande è l’insicurezza diffusa e quotidiana. Ufficialmente i ribelli si sono ritirati ma di fatto ogni giorno crimini e furti vengono commessi per non parlare dell’impossibilità di spostarsi per le strade delle provincie” aggiunge il prelato, riferendo dell’uccisione domenica scorsa alle ore 19 di un capo quartiere nonchè stretto collaboratore della sua parrocchia dello Spirito Santo, in pieno centro. “E’ stato abbattuto mentre tornava a casa da uomini in uniforme. Abbiamo cercato di portarlo in ospedale ma purtroppo non c’è stato niente da fare” prosegue il vicario di Goma.
Da canto suo, in dichiarazioni rilasciate all’emittente locale ‘Radio Okapi’, Omar Kavota, vice-presidente della società civile del Nord Kivu, ha denunciato “l’indifferenza dei capi di Stato dei paesi dei Grandi Laghi, dell’Africa australe e dell’Unione Africana” per la mancata firma a Addis Abeba, a margine del vertice continentale, di un accordo sulla pace nell’est del Congo. “Pensavamo che fosse arrivata l’ora del sollievo e invece… siamo rimasti sorpresi per quanto successo” ha aggiunto l’esponente della società civile della martoriata provincia confinante con Rwanda e Uganda. Nella capitale etiopica è stata respinta da alcuni paesi africani – a cominciare dal Sudafrica – la proposta di costituire una forza Onu ad hoc per lottare contro l’M23, ma nel comunicare il mancato accordo il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, non ha fornito alcuna spiegazione. Nell’est del Congo sono già dispiegati da anni i caschi blu della Monusco, la più numerosa e costosa missione di peacekeeping al mondo spesso criticata per la sua inefficienza. Rivolgendosi alla comunità internazionale, Kavota ha auspicato “compassione e solidarietà nei confronti di milioni di persone sfollate, uccise, stuprate e rapite”, dai numerosi gruppi armati che imperversano nella provincia. A Ki-moon il vice-presidente della società civile del Nord Kivu ha invece chiesto “un nuovo piano di pace” per la Repubblica democratica del Congo.
Da oggi gli sguardi dei congolesi sono nuovamente rivolti verso Kampala, dove i mediatori dei Grandi Laghi dovrebbero riproporre il progetto di forza neutrale africana, già sul tavolo da un anno, da dispiegare lungo gli instabili confini tra Congo, Rwanda e Uganda e in prima fila nella lotta all’M23. Ma a Kampala il mediatore nonché ministro ugandese della Difesa, Crispus Kiyonga, dovrà superare le “divergenze persistenti” tra la delegazione del governo di Kinshasa e quella dei ribelli per evitare un fallimento dei colloqui. Oltre a denunciare la mancata applicazione degli accordi firmati nel marzo 2009, l’M23 sta portando avanti rivendicazioni più politiche che minacciano direttamente la sopravivenza delle istituzioni congolesi. Denunciando “brogli su vasta scala” durante l’ultima tornata elettorale del 2011, i ribelli continuano a chiedere l’annullamento dei risultati, lo scioglimento del Senato e delle assemblee provinciali, le dimissioni dei governatori e la creazione di un Consiglio nazionale di transizione che guiderà il paese fino a un nuovo voto. Per l’esecutivo le istanze dei ribelli sono soltanto “un grande scherzo”.
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