Congo Attualità 173 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Le due delegazioni del governo congolese e del gruppo armato denominato Movimento del 23 marzo (M23), riunite a Kampala in seguito alla guerra iniziata dall’M23 nel Nord Kivu, hanno approvato l’ordine del giorno dei loro incontri. I lavori sono quindi proseguiti con la lettura di una dichiarazione della delegazione dell’M23, in cui il gruppo armato ha esposto una serie di rivendicazioni cui ha risposto, il giorno dopo, la delegazione del governo.
L’arroganza dei primi due punti.
Il primo punto dell’ordine del giorno si riferisce alla valutazione degli accordi del 23 marzo 2009 tra l’allora gruppo armato denominato Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) e il governo congolese, per “porre fine” alla guerra del 2008, iniziata dallo stesso CNDP. In quell’accordo, nell’articolo 1, il CNDP si impegnava ad abbandonare la lotta armata, a trasformarsi in partito politico e a continuare la sua lotta attraverso la via politica, nel rispetto della costituzione, delle Istituzioni e delle leggi dello Stato. Il governo si era impegnato a integrare le truppe e i rappresentanti civili del CNDP rispettivamente nell’esercito nazionale e nell’amministrazione e nella vita politica dello Stato.
L’M23 afferma di avere preso le armi perché il governo non ha rispettato tale accordo. La realtà sembra smentire tale accusa: le truppe del CNDP erano state integrate nell’esercito e la sua ala politica era stata riconosciuta come partito politico, addirittura accettato come membro della Maggioranza Presidenziale (MP). Sarebbe stato logico che, nel caso di un mancato adempimento da parte del governo, fosse stato il CNDP stesso a chiedere, in sede politica, come previsto dall’accordo, una valutazione dell’accordo stesso, ma non l’ha fatto. Anzi, ha ripreso la guerra attraverso l’M23. Ciò che sorprende e che sembra contraddittorio è che alcuni membri del CNDP, partito politico, fanno addirittura parte della delegazione governativa di Kampala.
È significativo che, nella sua dichiarazione, l’M23 dedichi solo 5 righe, su un totale di 13 pagine, al primo punto dell’ordine del giorno, intitolato “valutazione dell’accordo del 23 marzo 2009”. L’M23 non poteva fare diversamente, per due ragioni: perché non è firmatario di tale accordo e perché lui stesso, prendendo le armi, ha violato l’articolo 1 dello stesso accordo.
L’M23 dedica solo una pagina e mezza al secondo punto relativo alle questioni di sicurezza, mescolando, tra l’altro, problematiche nazionali a proprie rivendicazioni già contenute nell’accordo del 23 marzo 2009.
Evitare gli errori del passato.
A questo proposito, il governo non deve in alcun modo ripetere gli errori commessi nel 2009. La delegazione del governo non può, per esempio, accettare di concedere l’amnistia a chi ne ha già usufruito nel 2009. Sarebbe garantire loro l’impunità e incoraggiarli alla recidiva.
Se è necessaria una profonda riforma dell’esercito nazionale, come giustamente ribadito dallo stesso M23, il governo non può più accettare di integrarvi le truppe dell’M23, come fece con il CNDP nel 2009. Se lo facesse, non farebbe altro che consegnare l’esercito, ancora una volta, alle “forze negative” (così l’ONU ha qualificato l’M23), ipotecandone ulteriormente il comando, giacché l’M23 esige che il governo riconosca ai suoi ufficiali militari, nuovamente reintegrati, i gradi attualizzati che hanno ottenuto durante il periodo di quest’ultima guerra. No, non si può fare una riforma dell’esercito, integrandovi miliziani, disertori, terroristi e criminali, molti dei quali sono oggetto di sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu o di mandati di arresto internazionali emessi dalla Corte Penale Internazionale.
Ciò che la delegazione del Governo a Kampala deve riuscire ad ottenere è porre fine a quel circolo vizioso di ribellioni – negoziati che permette a certi signori della guerra di accumulare, progressivamente e con la forza delle armi, sempre più potere militare, economico e politico, come è avvenuto negli ultimi 16 anni a partire dal 1996: all’AFDL è succeduto l’RCD, all’RCD è succeduto il CNDP, al CNDP è succeduto l’M23, all’M23, se non si interrompe la spirale del ricorso alle armi, succederà… l’M24.
La follia del terzo punto.
L’M23 dedica la maggior parte della sua dichiarazioni alle questioni politiche, sociali ed economiche del Paese. In questo bisogna riconoscere all’M23 un elevato grado di abilità e di scaltrezza: privo di consenso popolare, a causa di una guerra che ha danneggiato soprattutto la popolazione, l’M23 ha tentato di ricuperare, a suo favore, le aspirazioni del popolo stesso e, soprattutto, le rivendicazioni politiche dell’opposizione. Ha quindi deciso di colpire il governo nei suoi punti più deboli e oscuri, tra cui la mancanza di legittimità popolare in seguito ai brogli elettorali di novembre 2011, la corruzione, la crisi economica, la mancata riforma della giustizia e dell’esercito incapace, quest’ultimo, di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale.
Siamo seri!
Si tratta di problematiche che hanno una portata nazionale e che non possono essere oggetto di “negoziazioni private” tra le due delegazioni del governo e dell’M23. Il luogo appropriato per trovare una soluzione a queste problematiche è un dibattito nazionale cui possano partecipare il governo, il parlamento, l’opposizione politica e la società civile. Mentre una sua delegazione si trova a Kampala con l’M23, il governo deve accelerare, a Kinshasa, i preparativi di questo dialogo inclusivo tra le istituzioni della Stato e le forze vive della Nazione, per risolvere le questioni fondamentali della crisi e togliere, in tal modo, all’M23 ogni pretesto per continuare a destabilizzare il Paese. Tale dialogo non dovrà lasciare alcun spazio ad autoritarismi di maggioranza, a rivincite politiche o a una nuova suddivisione del potere tra falchi e colombe, ma dovrà essere un luogo di un confronto aperto e schietto nella ricerca di soluzioni idonee ai problemi reali che impediscono il Paese di camminare verso la democrazia, la pace, la giustizia e il rispetto dei diritti umani.