Congo Attualità n. 172 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Sono ripresi a Kampala i colloqui tra il governo congolese e il gruppo armato denominato Movimento del 23 Marzo (M23). Alcune notizie hanno suscitato un certo scalpore.
Uno strano “cessate il fuoco”.
L’M23 che, con fermezza, condizionava la ripresa degli incontri alla firma di un cessate il fuoco bilaterale, si è poi detto disposto a proseguire gli incontri, anche se il governo non ha accettato di sottoscrivere al cessate il fuoco. Ha addirittura annunciato un cessate il fuoco unilaterale. Molti si interrogano su questo cambiamento di atteggiamento da parte dell’M23.
Secondo alcuni osservatori, esso è dovuto all’aumento della pressione esercitata dalla comunità internazionale. Il 31 dicembre, il Consiglio di Sicurezza aveva iscritto sulla lista delle sanzioni (congelamento dei beni e interdizione di viaggiare all’estero) i nomi di altre due importanti personalità dell’M23, tra cui Jean-Marie Runiga, responsabile politico del movimento. L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e l’Unione Africana (UA) stanno, inoltre, progettando un rafforzamento del mandato della Monusco e l’invio di una Forza Internazionale Neutra nell’est della RDCongo, il che mette lo stesso M23 alle strette.
Secondo altri osservatori, se l’M23 ha apparentemente ceduto davanti all’intransigenza del governo, è perché avrebbe già ricevuto, dal governo stesso, la promessa di future concessioni (ruoli importanti in seno all’esercito e alle istituzioni politiche, nell’amministrazione territoriale e in certe istituzioni economiche dello Stato).
Altri osservatori ancora pensano che si tratti di un’abile strategia. Questa “concessione” da parte dell’M23, certamente non gratuita, sarebbe la premessa per ottenere dal governo, in un immediato futuro, l’accoglimento delle sue richieste. Sarebbe dunque una forma di ricatto nella logica del dare per esigere (do ut des). La delegazione governativa dovrà fare allora molta attenzione per non cadere nel tranello teso.
Complicità.
In questa seconda fase dei colloqui, si è notata la presenza, nella delegazione dell’M23, di una nota personalità dell’opposizione politica congolese, il deputato nazionale Roger Lumbala.
Egli nega di avere aderito al movimento, afferma di condividerne solo gli obiettivi e giustifica la sua presenza nella delegazione per il semplice fatto di essere stato invitato come membro dell’opposizione. Non è facile stabilire il punto limite tra la condivisione degli obiettivi e l’adesione al movimento, soprattutto considerando che egli è stato presentato addirittura come vice presidente della delegazione dello stesso M23. Già da mesi era sospettato dal governo congolese di collaborare con l’M23 e di avere avuto rapporti con autorità ruandesi accusate dall’Onu di appoggiare l’M23.
Secondo le sue dichiarazioni, uno degli obiettivi dell’M23 è quello di far cadere il presidente Kabila a causa del suo malgoverno. Si tratta di una rivendicazione certamente legittima, ma è triste constatare come una personalità politica, per di più deputato della Repubblica, non abbia ancora capito che l’unica via democratica che conduce all’alternanza del potere non è quella della violenza e della guerra, ma quella di elezioni libere e trasparenti. Secondo il principio della “par condicio”, quest’ultimo principio (la conquista del potere attraverso elezioni libere e trasparenti) vale anche per coloro che detengono il potere attualmente, in seguito a un processo elettorale caratterizzato da innumerevoli brogli ed irregolarità.
Spesso si accusa il presidente Kabila di alto tradimento della Nazione, perché ritenuto complice con il regime ruandese che, per continuare a trarre vantaggi economici dallo sfruttamento illegale dei minerali, opera per la spartizione del Paese in piccole entità, su cui esercitare la sua influenza politica, militare ed economica. In questo contesto, è assurdo pretendere di volere mettere fine all’attuale regime congolese al servizio degli interessi ruandesi, rivolgendosi ad un gruppo armato appoggiato dallo stesso regime ruandese, come dimostrato dalle testimonianze locali e dai vari rapporti internazionali. Secondo questa logica, qualsiasi nuovo eventuale regime congolese rimarrebbe sempre succube di quello ruandese. Cambierebbero solo nomi e sigle, ma il vero problema rimarrebbe irrisolto. Infatti, se sull’onda delle successive vittorie militari, facilitate dall’appoggio ruandese e ugandese, l’M23 a ampliato il campo delle sue rivendicazioni e ha ricuperato le aspettative dell’opposizione, fra cui la verità delle urne, la difesa dei diritti umani e il miglioramento delle condizioni sociali, non è certo per il bene del popolo congolese, ma per indossare una maschera che, nascondendo la sua vera identità, gli permetta di farsi accettare e di accrescere il suo prestigio e la sua forza.
Contraddizioni.
Nella delegazione governativa le cose non vanno meglio. Vi si nota la presenza di alcuni membri del CNDP, firmatario degli accordi del 23 marzo 2009. Secondo molti osservatori, l’M23 è una fazione dissidente, se non la nuova ala militare del CNDP. Quindi l’M23 e il CNDP sarebbero la stessa realtà. Considerata dall’esterno, la posizione del governo congolese risulta ambigua e contraddittoria, se non complice. Risulta difficile comprendere come il governo possa affrontare con fermezza l’M23, gruppo armato avversario e collaborare, nello stesso tempo, con il CNDP, suo corrispondente politico. Il governo congolese dovrebbe chiarire tale questione.
La necessaria coesione nazionale.
In questa situazione, è difficile aspettarsi un esito positivo dagli incontri di Kampala. Per dire NO all’M23 e ai suoi complici, interni ed esterni, bisognerà trovare un’alternativa sulla linea della coesione nazionale, non attorno ad una delle Istituzioni dello Stato, tutte peraltro in profonda crisi di legittimità politica, in seguito ai brogli elettorali del novembre 2011, ma intorno alla richiesta di pace, di giustizia e di rispetto dei diritti umani espressa dall’intera popolazione e alla salvaguardia della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale della Nazione. Sono questi valori fondamentali, non la guerra dell’M23, che possono permettere al popolo congolese di avanzare sul cammino della democratizzazione del Paese.