Congo Attualità n. 170 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Un passo avanti.
Il 13 dicembre, il Parlamento Europeo ha adottato all’unanimità una risoluzione d’urgenza, la n. 2012/2907(RSP), sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo (RDCongo).
Si tratta di un significativo passo in avanti in quanto, per la prima volta forse, il Parlamento Europeo cita espressamente il Ruanda come Paese che, secondo gli elementi di prova procurati dal gruppo degli esperti dell’Onu nel suo ultimo rapporto sulla RDCongo, apporta un appoggio diretto al gruppo armato denominato Movimento del 23 Marzo (M23), fornendogli assistenza militare: armi, munizioni, logistica e truppe.
… in un nugolo d’ambiguità
Si tratta tuttavia di un passo in avanti timido, incerto e ambiguo. Infatti, nelle linee immediatamente seguenti, la risoluzione constata che sia il Ruanda che l’Uganda hanno smentito le informazioni relative a tale appoggio. L’ambiguità diventa ancora più patente quando, nel punto n. 2, la risoluzione «condanna con forza gli attacchi condotti dall’M23 e si oppone a qualsiasi intervento straniero nel conflitto», ma nel punto immediatamente dopo,, semplicemente «invita i governi del Ruanda e dell’Uganda a cessare di appoggiare il gruppo ribelle denominato M23». L’ambiguità sta proprio nel fatto che la risoluzione mentre condanna con forza l’M23 non condanna in alcun modo il Ruanda e l’Uganda, che gli forniscono l’appoggio militare, limitandosi semplicemente a invitarli a mettere fine a tale appoggio, senza accennare ad una minima condanna.
…fino alla contraddizione
L’ambiguità si trasforma inevitabilmente in ipocrisia, o quanto meno in contraddizione quando, nel punto 4, la risoluzione «ribadisce il diritto inalienabile e imprescrittibile della RDCongo al rispetto della sua sovranità e dell’integrità del suo territorio». Gli europarlamentari sembrano non accorgersi che è proprio fornendo armi e truppe all’M23 che il Ruanda e l’Uganda stanno conducendo una guerra d’aggressione e d’invasione della RDCongo, violando sotto gli occhi di tutti la sua sovranità nazionale e la sua integrità territoriale, cosa che meriterebbe una serie di sanzioni immediate da parte dell’ONU, dell’Unione Europea e della Comunità internazionale. La risoluzione però non vi accenna minimamente.
Un pasticcio, per finire.
L’ambiguità diventa pasticcio quando, nei paragrafi 5, 6 e 7, la risoluzione «accoglie con favore gli sforzi fatti dagli Stati membri della CIRGL… invita tutte le parti implicate della regione a contribuire, in buona fede, per una soluzione pacifica… chiede l’attuazione immediata del piano di uscita dalla crisi concordato a Kampala il 24 novembre 2012… e sottolinea l’importanza di un corretto funzionamento del meccanismo congiunto di verifica» posto in atto dalla CIRGL. Non si capisce come il Parlamento Europeo possa ancora continuare a credere nella “buona fede” del Ruanda e dell’Uganda quando, nonostante tutte le denunce, continuano ancora, anche negli ultimi giorni, ad inviare loro truppe sul territorio congolese per dar man forte all’M23. Attraverso un atto di magia, la risoluzione ha repentinamente trasformato dei piromani in pompieri. Per non avere esplicitamente condannato l’ingerenza del Ruanda e dell’Uganda negli affari congolesi, la risoluzione ha trasformato una guerra di aggressione esterna in un conflitto interno prettamente congolese. Accettando che l’Uganda, stretto alleato del Ruanda, entrambi implicati nel conflitto, possa svolgere un ruolo di mediazione tra il governo congolese e l’M23, la risoluzione costringe la vittima ad accettare le condizioni imposte dai suoi aggressori. Accettando che il Ruanda e l’Uganda facciano parte del meccanismo congiunto di verifica istituito dalla CIRGL, la risoluzione permette loro di avere accesso a tutte le informazioni militari e strategiche della RDCongo e, quindi, di vincere la loro guerra di aggressione contro la RDCongo e condotta sotto l’etichetta dell’M23.
Vie alternative.
– La crisi della Regione dei Grandi Laghi si risolverà nella misura in cui anche l’occidente oserà affrontare in maniera onesta la questione del commercio internazionale dei minerali provenienti da questa zona. La guerra del Congo è soprattutto una guerra per l’accaparramento dei minerali di cui è ricco il sottosuolo dell’est della RDCongo. La risoluzione sembra avere intrapreso il cammino giusto quando «invita l’Unione Africana e i paesi della regione dei Grandi Laghi a prendere ulteriori misure contro lo sfruttamento illegale e il commercio delle risorse naturali, una delle ragioni alla base della proliferazione e del traffico delle armi, chiede un accesso trasparente alle risorse naturali nella RDCongo e maggiori misure giuridiche per garantire una migliore tracciabilità dei minerali stessi». Ma si dovrebbe andare oltre, rivedendo certi contratti commerciali stipulati bilateralmente con gli Stati della Regione dei Grandi Laghi e, soprattutto, monitorando e, se fosse il caso, sanzionando certi contratti firmati dalle multinazionali che hanno la loro sede in occidente e, in particolare, nel Canada o in paradisi fiscali.
– La crisi della Regione dei Grandi Laghi si risolverà nella misura in cui l’occidente interromperà la sua collaborazione con Paesi della Regione dei Grandi Laghi che fomentano il conflitto.
Le grandi potenze dichiarano facilmente guerra al terrorismo internazionale, ufficialmente per motivi di sicurezza, in realtà, per difendere i loro interessi economici in una certa regione. Ma si servono di Paesi terzi per combatterlo. È noto, per esempio, che truppe ruandesi e ugandesi fanno parte di cosiddette “missioni di pace” dell’Onu in Somalia, Sud Sudan e Darfour. Risulta almeno contradditorio che l’Onu accetti nelle sue “missioni di pace” delle truppe provenienti da questi due Paesi aggressori della RDCongo. La risoluzione avrebbe potuto inviare un segnale forte al Ruanda e all’Uganda se avesse chiesto al Consiglio di Sicurezza di porre fine alla sua collaborazione militare con questi due Paesi implicati.
– La crisi della Regione dei Grandi Laghi si risolverà nella misura in cui l’occidente cesserà di sostenere i regimi dittatoriali locali con mire espansionistiche e deciderà di imporre loro severe sanzioni. Si sa che il regime ruandese vuole mantenere un controllo militare, politico ed economico sulle due provincie del Nord e Sud Kivu e che l’Uganda fa altrettanto nei confronti della Provincia Orientale e del distretto dell’Ituri, in particolare. La risoluzione si limita a prendere timidamente atto del fatto che «gli Stai Uniti, il Regno Unito, la Germania, l’Olanda, la Svezia e l’Unione Europea hanno sospeso una parte del loro aiuto al Ruanda, in seguito al rapporto delle Nazioni Unite», senza però prendere atto che tali timide misure non hanno avuto conseguenze significative sull’atteggiamento del Ruanda stesso. La risoluzione sarebbe dovuta arrivare ad una netta condanna del regime ruandese e imporgli sanzioni più severe, come un embargo sulle armi, la sospensione del commercio minerario e l’avvio di procedure giudiziarie nei confronti delle personalità implicate nell’appoggio all’M23, in particolare e nell’ingerenza ruandese sulla vita politica, militare ed economica congolese, in generale.