Congo Attualità n. 165 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
No al tutti contro tutti.
Nel Nord Kivu, all’est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), la situazione si fa sempre più complessa. Il movimento del 23 Marzo (M23), un gruppo armato appoggiato dal Ruanda e dall’Uganda, occupa militarmente il territorio di Rutchuru, riorganizza la sua struttura militare, conclude alleanze con altri gruppi armati e minaccia di riprendere le ostilità, se il governo congolese non accetta trattative. Da parte sua, il governo sta procedendo all’integrazione di altri gruppi armati nelle file dell’esercito nazionale. La comunità internazionale non va oltre le dichiarazioni ufficiali di condanna e non decide alcuna sanzione nei confronti degli aggressori: il Ruanda e l’Uganda, via l’M23. I Paesi membri della Conferenza Internazionale per la Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) stentano a mettere in piedi una forza internazionale neutra per combattere i vari gruppi armati, tra cui l’M23 e le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).
A proposito della CIRGL, che sta tentando di aprire un dialogo, anche se indiretto, tra il governo congolese e l’M23, si comincia a ritenere “quasi ipotetica” la possibilità di una soluzione regionale, per il semplice fatto che alcuni protagonisti della regione dei Grandi Laghi, il Ruanda e l’Uganda in particolare, sono direttamente implicati nel conflitto, attraverso il loro appoggio a una delle parti.
Ciò che si deve assolutamente evitare è un eventuale scontro tra due grandi blocchi: da una parte, l’M23 e gruppi alleati e dall’altra, l’esercito nazionale rinforzato mediante l’integrazione in esso di altri gruppi armati. Sarebbe trasformare una guerra di aggressione in una guerra civile.
Una presenza pervasiva
Per risolvere la crisi, la comunità internazionale raccomanda al governo congolese di accelerare la riforma dei servizi di sicurezza e di continuare il dialogo con i Paesi vicini, soprattutto con il Ruanda.
Per quanto riguarda la riforma dell’esercito, della polizia e dei servizi segreti, va notato che, almeno nelle due province del Nord e Sud Kivu, il comando è nelle mani di ufficiali ruandofoni che hanno fatto parte dei successivi movimenti ribelli appoggiati dal Ruanda sin dal 1996: l’AFDL, l’RCD, le FRF e il CNDP, integrati nell’esercito nazionale.
Si constata la stessa situazione a livello politico. Molti parlamentari e, addirittura, vari ministri, provengono dall’AFDL e dal RCD. Lo stesso attuale presidente della Repubblica, Joseph Kabila, durante la prima guerra (1996-1997) era membro dell’AFDL.
Le più alte istituzioni politiche dello Stato, i servizi di sicurezza (esercito, polizia e servizi segreti) e l’amministrazione fanno parte di un sistema fondato sull’AFDL-RCD, instaurato progressivamente attraverso le varie guerre condotte in territorio congolese dagli eserciti del Ruanda e dell’Uganda, sotto copertura di movimenti ribelli locali e con l’appoggio di certi Paesi occidentali (Stati Uniti e Regno Unito, in particolare).
Attraverso successive aggressioni e invasioni del territorio congolese, il Ruanda e l’Uganda sono diventati una forza di occupazione militare, economica e politica dell’Est della RDCongo.
Andare alle radici
La questione fondamentale è quindi come potere uscire da questo sistema AFDL-RCD. Non è affatto facile! Basti ricordare che, quando il Presidente Laurent Désiré Kabila, messo alla guida dell’AFDL proprio dal Ruanda, decise di prendere le distanze dai nuovi padroni e di rendersi autonomo, il Ruanda creò l’RCD e cominciò la seconda guerra (1998-2003). Egli stesso fu assassinato nel gennaio 2001.
Il popolo congolese ha cercato di uscire dal sistema AFDL-RCD per mezzo delle elezioni di novembre 2011, ma è stato impedito dallo stesso sistema che ha fatto ricorso ai brogli elettorali per mantenersi al potere, con la complicità della comunità internazionale.
Per uscire dal sistema AFDL-RCD e porre fine alla guerra nella RDCongo, la via politica non violenta delle elezioni è sicuramente la più democratica. Per questo, è importante continuare a lottare per una ristrutturazione radicale della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (CENI) che possa permettere elezioni davvero libere, trasparenti e credibili.
Ma è anche necessario andare all’origine del sistema stesso: il regime ruandese e i Paesi occidentali, soprattutto anglosassoni, che ancora lo appoggiano, per permettere alle loro multinazionali di potere usufruire a basso prezzo dei minerali della RDCongo. È necessario che i Paesi occidentali comprendano che il loro progresso tecnico ed economico non può fondarsi su un libero mercato assassino subappaltato al regime dittatoriale ruandese che crea sempre nuovi gruppi armati e suscita continui movimenti ribelli nella RDCongo.
Gran parte della Società Civile, congolese e internazionale, è convinta che, per uscire dal sistema AFDL-RCD instaurato nella RDCongo, sia necessario togliere l’appoggio all’attuale regime ruandese che ne è all’origine e sanzionarlo. È solo a queste condizioni che la RDCongo e il Ruanda potranno ritornare a dialogare insieme su un piano paritario e a collaborare per lo sviluppo economico, sociale e culturale di entrambi i Popoli.