Il dialogo chiede verità e giustizia

Congo Attualità n. 164 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo

 

Rivendicazioni fuori luogo

Nel Nord Kivu, la situazione sta peggiorando. Il movimento del 23 marzo (M23), un gruppo armato appoggiato militarmente e logisticamente dal Ruanda e dall’Uganda, ha occupato altri villaggi e si sta alleando con alcune fazioni di altri gruppi armati, Mai-Mai e Fdlr, presenti nella zona.

Per risolvere la crisi, l’M23 chiede delle negoziazioni dirette con il governo congolese e la comunità internazionale raccomanda al governo di continuare il dialogo con i Paesi vicini, soprattutto con il Ruanda.

All’inizio, in maggio 2012, l’M23 rivendicava la piena attuazione degli accordi conclusi il 23 marzo 2009 tra l’allora Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), un movimento ribelle anch’esso appoggiato dal Ruanda, e  il Governo Congolese.

Un’eventuale valutazione dell’applicazione di tale accordo, dovrebbe però essere fatta dal Governo e dallo stesso CNDP e non dall’M23, che non è firmatario, perché in quel tempo ancora non esisteva, essendo nato ufficialmente il 6 giugno 2012.

In quell’accordo, il CNDP si impegnava a trasformarsi in partito politico e a “continuare la ricerca di soluzioni alle sue preoccupazioni attraverso vie prettamente politiche e nel rispetto dell’ordine istituzionale e delle leggi della Repubblica” (art. 1.1). Il CNDP si è effettivamente trasformato in partito politico, è stato riconosciuto in quanto tale presso il Ministero degli Interni e in dicembre 2010 è addirittura diventato membro della Maggioranza Presidenziale (MP).

È in questa condizione che il CNDP avrebbe potuto legittimamente chiedere una valutazione dell’attuazione degli accordi del 23 marzo 2009 ma, riprendendo le armi via l’M23, il CNDP perde tutta la sua credibilità e si colloca nell’illegalità.

Grazie agli accordi del 2009, il CNDP aveva ottenuto un controllo quasi totale sul comando dell’esercito nazionale, soprattutto all’Est del Paese. Ciò che il CNDP non è riuscito ad ottenere, invece, è il suo pieno inserimento nelle istituzioni politiche, soprattutto a livello nazionale. Aderendo alla maggioranza presidenziale un anno prima delle elezioni di novembre 2011, certamente il CNDP si aspettava qualche ministero in seno al Governo centrale.

Forse è questo l’obiettivo che l’M23 si prefigge di raggiungere mediante la sua nuova rivendicazione, non contenuta negli accordi del 23 marzo 2009, sulla “verità delle urne”.

Un’altra rivendicazione dell’M23 potrebbe essere la sospensione della decisione del Governo di arrestare Bosco Ntaganda, protetto dalla legge sull’amnistia, promulgata in seguito agli accordi del 2009. Ma l’M23 forse dimentica che dalla legge sull’amnistia sono esclusi i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità che, secondo il diritto internazionale, sono imprescrittibili e per i quali Bosco Ntaganda è ricercato dalla Corte Penale Internazionale (CPI). L’M23 non può confondere l’amnistia con l’impunità.

Un altro obiettivo dell’M23 potrebbe essere quello di bloccare lo spostamento delle truppe ruandofone ex CNDP dal Kivu verso altre province del Paese, con il pretesto della difesa della loro tribù tutsi dagli attacchi degli hutu delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR). In realtà, ciò che l’M23 vuole ottenere è rimanere nel Kivu e mantenervi il controllo militare, per continuare il lucroso commercio minerario in complicità con il Ruanda.

Facendo ricorso alle armi, l’M23 dimostra apertamente di non essere certo un movimento democratico a favore del popolo congolese, bensì un gruppo terrorista con il quale non si può e non si deve trattare. Se vuole negoziare, non ha che abbandonare le armi, riconsegnare tutto il territorio occupato alle autorità congolesi e accettare un dialogo inclusivo a livello nazionale con il governo e tutte le forze della nazione: il Parlamento, l’opposizione politica e la società civile.

 

Orecchie da mercante

Per quanto riguarda la comunità internazionale, essa si è finora limitata a condannare, in forma generica, senza citarne il nome, l’appoggio del regime ruandese all’M23. E’ invece il momento che inizi a riconoscere e a condannare, non solo l’ingerenza, ma anche l’aggressione diretta e l’occupazione evidente della RDCongo da parte del Ruanda. Insieme a grande parte della società civile internazionale, riteniamo sia arrivato il momento di staccare la spina a un regime dittatoriale responsabile di troppi crimini di guerra e contro l’umanità commessi sia all’interno del suo Paese che in territorio congolese. La società civile e le Ong non cessano di chiedere sanzioni contro di esso. Sarebbe il momento di passare alla fase della loro attuazione.

Nonostante tali richieste, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha comunque deciso di assegnare un seggio non permanente al Ruanda all’interno del suo Consiglio di Sicurezza. Tale decisione è stata presa solo pochi giorni dopo che il gruppo degli esperti dell’Onu per la RDCongo ha presentato al comitato per le sanzioni il suo rapporto finale sulla diretta implicazione del Ruanda stesso nel conflitto provocato dall’M23, nell’Est della RDCongo. Sulla decisione ha sicuramente influito il fatto che l’Unione Africana (in complicità con lo stesso Ruanda?) non aveva presentato una candidatura alternativa e che il Ruanda è il 6° maggior contribuente di truppe per le Nazioni Unite. Molti osservatori affermano che gli interessi dell’Onu hanno preso il sopravvento sul diritto del popolo congolese alla pace.

Altrettanto deludente è il fatto che l’Unione Europea non abbia appoggiato la candidatura dei tre prigionieri politici ruandesi: Victoire Ingabire Umuhoza, Bernard Ntaganda e Déogratias Mushayidi, al Premio Sakharov edizione 2012, un premio concesso a persone od organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e della libertà di espressione.

La Comunità Internazionale, l’ONU e l’UE in particolare, hanno così perso due buone occasioni per prendere le distanze, in modo chiaro e netto, pacificamente ed efficacemente, senza spendere un Euro o Dollaro, dall’attuale regime ruandese che è alla base di una vasta azione di destabilizzazione della RDCongo e dell’intera Regione dei Grandi Laghi.

Gran parte della Società Civile è convinta che, per mettere fine definitivamente al conflitto all’Est della RDCongo, sia necessario cessare di appoggiare l’attuale regime ruandese che ne è all’origine. È da 16 anni, dal 1996, che il Ruanda invade continuamente la RDCongo per appoggiare direttamente i vari movimenti ribelli dell’AFDL, del RCD, del CNDP e, ora, dell’M23. Lo comprovano i numerosi rapporti del Consiglio di Sicurezza. Cos’altro attendono l’ONU e l’UE per decidere precise sanzioni contro il regime ruandese?