Esercito rivoluzionario del Congo (Arc): è questo il nuovo nome che si è dato il braccio armato del Movimento del 23 marzo (M23), la ribellione nata lo scorso aprile in Nord-Kivu. Il nome cambia ma non l’obiettivo, che rimane quello di respingere e sconfiggere ogni attacco delle Forze armate regolari congolesi (Fardc). A darne notizia dalla città feudo di Bunagana, al confine con l’Uganda, è Jean-Marie Runiga, responsabile politico del M23, aggiungendo che il colonnello Sultani Makenga è diventato generale di brigata del gruppo armato.
In quello che suona come uno slogan ma che in realtà è un appello rivolto a potenziali reclute, Runiga ha promesso che “se raggiungete l’M23 avrete stivali e uniformi”. Secondo testimoni locali e rapporti di esperti indipendenti dell’Onu, gli affiliati alla nuova ribellione – stimati in circa 1250 uomini – sono ben equipaggiati in armi ma anche in impermeabili e stivali di gomma che fanno invece difetto ai soldati congolesi, in una regione dove piogge abbondanti paralizzano in poche ore le operazioni militari. Per uniformi i combattenti indossano le divise verdi mimetiche dell’esercito regolare abbandonato pochi mesi fa o quelle a macchie marroni e verdi del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp, tutsi), l’ex ribellione di Bosco Ntaganda integrata nell’esercito dopo gli accordi di pace del 2009. Gli stivali invece sono di gomma nera, gli stessi che calzavano i soldati dell’Alleanza delle forze democratiche per la liberazione del Congo (Afdl) – il gruppo nato nell’Est del Congo che nel 1997 destituì il regime di Mobutu – e gli uomini del Fronte patriottico ruandese (Fpr) che fece crollare il potere di Kigali e mise fine al genocidio del 1994.
Vecchie divise ma presentate come nuove dalla direzione del neo Esercito rivoluzionario del Congo che critica Kinshasa per non aver ancora intavolato “negoziati diretti” e per “ingannare la nostra vigilanza con aperture a possibili negoziati mentre sta riorganizzando il proprio esercito integrando nuove unità”. Sul terreno l’M23 è riuscito a sconfiggere le Fardc, prendendo il controllo di un’ampia fetta del territorio di Rutshuru, confinante con Rwanda e Uganda, dove ha insediato ‘governi’ locali e percepisce dalla gente varie tasse e imposte. Onu e ong accusano la milizia, che gode del sostegno politico-militare del Rwanda e dell’Uganda, di reclutamento forzato di civili, anche tra i minorenni. Da alcune settimane i combattimenti sono stati interrotti anche se formalmente nessuna tregua è stata siglata tra le due parti.
“Chiediamo al governo di cessare ogni velleità bellicista e di tornare a sedersi al tavolo negoziale. Nel caso contrario l’M23 si difenderà” ha minacciato Runiga, denunciando la cooperazione dell’esercito congolese con gruppi armati locali e stranieri, tra cui le Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr, ribellione hutu ricercata da Kigali, ndr), contro alcune sue posizioni. Parole che contraddicono le voci messe in circolazione qualche giorno fa dal colonnello Olivier Hamuli – portavoce dell’esercito congolese – in merito ad un presunto avvicinamento tra Fdlr e M23; una versione dei fatti subito negata da Vianney Kazarama, portavoce del M23.
La scorsa settimana, la guida politica della ribellione ha sottolineato “l’incapacità del governo congolese a garantire la sicurezza delle popolazioni nei territori che amministra”, facendo soprattutto riferimento alla situazione del capoluogo di Goma: “Dove ci sono vittime in continuazione e laddove c’è insicurezza l’M23 potrebbe entrare in azione per proteggere la gente” ha avvertito Runiga.
Il conflitto riaccesosi sette mesi fa nella provincia orientale del Nord-Kivu ha già causato almeno 390.000 sfollati interni e 60.000 rifugiati in Uganda e Rwanda.
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