Congo Attualità n. 153 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Analizzando il comunicato finale dell’incontro del 19 giugno tra i ministri congolese e ruandese degli Affari esteri e la lettera del ministro congolese degli Esteri, indirizzata nello stesso giorno, al Presidente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, entrambi sulla questione situazione del Kivu, all’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDCongo), si nota immediatamente una grande differenza tra i due documenti, sia a livello della forma che dei contenuti.
Il primo, per esempio, sottolinea la necessità di continuare nella lotta contro le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) e gli altri gruppi armati. Per il secondo, invece, la priorità è data alla necessità di debellare a breve termine la nuova ribellione del Movimento del 23 marzo (M23). Tale constatazione lascia intuire che, negli incontri bilaterali tra RDCongo e Ruanda, chi impone le regole del gioco è sempre la parte ruandese e mai la parte congolese che deve, invece, sempre subire e accettare i dettami del suo “interlocutore”.
Tuttavia sembra che sia l’Onu che la Comunità Internazionale stiano sempre più prendendo coscienza dell’ingiusta pretesa di egemonia e di dominio sulla RDCongo da parte dell’attuale regime ruandese.
Lo conferma la fuga di informazioni di un rapporto del gruppo degli esperti dell’Onu sull’attuale situazione del Kivu, all’Est del Paese. Il rapporto presenta le origini, la composizione e la dinamica del nuovo gruppo armato, il Movimento del 23 marzo (M23), costituito da militari che hanno disertato i ranghi dell’esercito nazionale sotto il comando del generale Bosco Ntaganda. Il gruppo degli esperti afferma di detenere le prove secondo cui tale gruppo è appoggiato militarmente, logisticamente ed economicamente dal regime ruandese. Alte personalità dell’esercito e della politica ruandese sarebbero implicati nell’appoggio fornito dal Ruanda al M23. Ciò che all’inizio si era rivelato come un semplice ammutinamento di militari congolesi sta ora assumendo la connotazione di un’aggressione ruandese.
Il rapporto è stato reso pubblico dal Consiglio di Sicurezza il 21 giugno, ma senza il capitolo e gli annessi relativi all’implicazione del Ruanda, a causa delle forti pressioni esercitate dal regime ruandese sugli Stati Uniti, membro permanente del Consiglio.
Secondo il parere del popolo congolese, tuttavia, come riportato dal quotidiano di Kinshasa, La Prospérité, il 26 giugno, «i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbero far pressione, affinché il rapporto delle Nazioni Unite sul sostegno estero al M23 sia pubblicato nella sua forma integrale e, una volta stabilite le responsabilità di certi Paesi vicini, si adottino le sanzioni adeguate nei loro confronti. I Congolesi non si accontentano più di “frasi superficiali”, pronunciate in un linguaggio troppo diplomatico, che non scoraggiano in alcun modo questo tipo di complicità che, va ricordato, è costata la vita di milioni di persone, lasciando ai sopravvissuti la sola possibilità di vagare continuamente attraverso la foresta e vivere come rifugiati nei paesi limitrofi o come sfollati all’interno del proprio paese. Troppo è troppo!».
Di fronte all’ennesimo tentativo di soffocare la verità e in un legittimo e sano spirito di nazionalismo, il Governo congolese dovrebbe sapere alzare la sua voce per rivendicare, davanti alla Comunità Internazionale, il rispetto della sua sovranità nazionale da parte del regime ruandese. Deve riuscire a liberarsi del giogo della sottomissione al potere di Kigali, sotto pena di essere accusato di complicità e di alto tradimento della Patria. Il dialogo è possibile solo a livello paritario.
Il Governo congolese, quindi, dovrebbe esigere dal Consiglio di Sicurezza e dalla Comunità Internazionale di:
– Pubblicare integralmente il rapporto degli esperti dell’Onu sui gruppi armati attivi all’Est del Paese.
– Esercitare una forte pressione sull’attuale regime ruandese, affinché accetti la tenuta di un dialogo inter ruandese inclusivo (Governo, opposizione interna, opposizione esterna) che potrebbe contribuire ad una maggiore democratizzazione del Paese e ad un processo di riconciliazione nazionale più autentica. Le conclusioni di tale dialogo inter ruandese inclusivo potrebbe quindi facilitare il ritorno dei rifugiati ruandesi e della maggior parte dei membri delle FDLR ancora presenti in RDCongo.
– Applicare al regime ruandese le sanzioni previste dal Consiglio di Sicurezza per i casi di violazione dell’embargo sulle armi a destinazione di gruppi armati operanti in RDCongo.
– Esigere dal Ruanda il ritiro immediato e senza condizioni di tutti i suoi connazionali che potrebbero dissimularsi all’interno del M23.
– Sorvegliare con maggiore attenzione i circuiti ruandesi di esportazione dei minerali, nei quali sono immessi, senza previa certificazione di origine, anche prodotti minerari congolesi, soprattutto cassiterite e coltan, esportati posteriormente dal Ruanda come produzione ruandese. Se vuole investire nel settore minerario del Kivu, il Ruanda lo può fare attraverso accordi commerciali bilaterali con il governo di Kinshasa, nel rispetto delle norme commerciali internazionali, della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale del Congo.
– Ridurre significativamente, o sospendere completamente, qualsiasi contributo internazionale al bilancio dello Stato ruandese che ancora dipende, in gran parte, dall’aiuto esterno.