Congo Attualità n. 140 – Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Due avvenimenti significativi hanno avuto luogo il 16 febbraio a Kinshasa: la marcia dei cristiani e l’apertura dei lavori della “nuova” Camera dei Deputati.
Come tutti gli anni, i cristiani hanno voluto commemorare l’anniversario dell’uccisione dei “Martiri della Democrazia”, assassinati il 16 febbraio 1992 in occasione di una marcia pacifica organizzata per chiedere la riapertura della Conferenza Nazionale Sovrana (CNS). In linea con lo spirito di tale commemorazione, quest’anno i cristiani di Kinshasa volevano esprimere il loro dissenso nei confronti dei risultati elettorali come pubblicati dalla Commissione Elettorale e, in tal senso, richiedevano il ritorno alla “verità delle urne”.
Il 15 febbraio, alla vigilia della manifestazione, il Governatore della Città di Kinshasa l’ha interdetta, adducendo motivi banali, o almeno discutibili, come ad esempio, il ritardo con cui gli organizzatori hanno informato l’autorità e la mancanza di indicazioni sul percorso.
L’indomani mattina, il 16 febbraio, sfidando con ammirabile coraggio la proibizione, alcuni gruppi di cristiani hanno mantenuto il loro programma iniziale.
La polizia è intervenuta con gas lacrimogeni per disperderli e procedendo, inoltre, all’arresto di alcune persone, fra cui sacerdoti e religiose. Molte organizzazioni della Società civile e personalità politiche, sia nazionali che internazionali, hanno severamente condannato questo intervento repressivo perpetrato dalle forze dell’ordine contro civili, che avevano in mano solo bibbie, corani, corone di rosario, croci e immagini religiose ma che, esercitando il loro diritto alla libera espressione di opinione, erano assolutamente decisi ad esigere la “verità delle urne”.
Vari possono essere stati i motivi che hanno spinto le autorità ad interdire e reprimere la marcia dei cristiani. La manifestazione aveva, ottenuto la simpatia e l’appoggio dell’opposizione politica: il quasi sicuro successo della manifestazione dei cristiani sarebbe, quindi, andato a vantaggio dell’opposizione, a scapito della maggioranza al potere. Se questo tipo di lettura degli avvenimenti del 16 febbraio è confermato, la società civile dovrà forse tenerne conto per future iniziative. Ciò non toglie nulla all’assoluta necessità di condannare, con la più grande fermezza, la violazione, da parte delle autorità e delle forze dell’ordine, del diritto alla libera espressione dei cittadini, siano essi membri della società civile o dell’opposizione.
Il 16 febbraio, in seguito alla pubblicazione dei risultati provvisori delle elezioni legislative e conformemente alla Costituzione, è iniziata anche la sessione straordinaria della Camera dei Deputati. Uno degli obiettivi della sessione è quello di verificare e convalidare il mandato degli eletti, salvo restando le prossime disposizioni emanate dalla Corte Suprema di Giustizia, cui spetta confermare e convalidare, entro i due mesi, i risultati elettorali.
Nonostante la grande resistenza posta in atto dall’opposizione, le gravi denuncie provenienti dalla società civile e le severe critiche mosse dalla comunità internazionale, sembra che il treno stia partendo, anche se i conduttori non hanno la fiducia dei passeggeri. Due possono essere le possibilità: o ci si mette davanti al treno per impedirne la partenza, con le conseguenze a tutti già note (il rischio è quello di farsi schiacciare) o si sale a bordo e si entra nella cabina dei macchinisti, per cercare di riparare i guasti e dare maggiore sicurezza ai passeggeri.
Rifiutando i risultati come pubblicati dalla Commissione Elettorale, vari membri dell’opposizione, in particolare quelli dell’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS) di Etienne Tshisekedi, minacciano di non partecipare. Si tratta di una scelta politica legittima. Ma in questo modo, il Parlamento sarà abbandonato nelle sole mani della maggioranza, ciò che avrà delle conseguenze nefaste per quel popolo per il quale l’opposizione afferma di battersi: probabilmente, anche se in minoranza, un’opposizione istituzionale “parlamentare” sarebbe forse più efficace di un’opposizione non istituzionale “extra parlamentare”.