Rwanda Attualità – edizione Febbraio

IL RAPPORTO DI OSSERVAZIONE BALISTICA SULL’ATTENTATO DEL 1994 CONTRO L’AEREO DEL PRESIDENTE RUANDESE JUVENAL HABYARIMANA

 

SOMMARIO

INTRODUZIONE

1. LA PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO

2. GLI ELEMENTI DI PROVA APPORTATI DAGLI ESPERTI

3. LE REAZIONI DELL’OPPOSIZIONE RUANDESE

4. LA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO

5. GLI INTERROGATIVI CHE PERSISTONO ANCHE DOPO IL RAPPORTO

INTRODUZIONE

Il 10 gennaio i giudici francesi Trévidic e Poux hanno comunicato alle parti interessate un rapporto di esperti sull’abbattimento, il 6 aprile 1994, dell’aereo presidenziale ruandese, l’avvenimento che ha innescato il genocidio. Questo non è un rapporto dei giudici, ma un importante elemento inserito nel fascicolo di istruzione che contiene molte altre informazioni. Non è sorprendente che gli avvocati delle persone incriminate, sette ufficiali dell’esercito ruandese, abbiano sottolineato, nel corso di una conferenza stampa, gli elementi del rapporto che sembrano favorevoli ai loro clienti. Non c’è da meravigliarsi che abbiano dato una lettura selettiva e che abbiano dichiarato che “la verità ha vinto”. È anche normale che il governo ruandese abbia accolto il rapporto con soddisfazione e che abbia affermato che questa “verità scientifica” mette fine alle accuse portate contro di lui.

Ciò che è nettamente meno normale è il modo in cui la stampa e alcuni altri commentatori hanno subito tratto conclusioni sicure e definitive, quando non avevano ancora letto il rapporto, ancora coperto dal segreto istruttorio e non potevano che basarsi sulle dichiarazioni degli avvocati degli accusati e, forse, sulla loro convinzione personale. In tal modo, fanno dire al rapporto ciò che, in realtà, non dice, cioè che l’attentato è stato commesso dalle Forze Armate Ruandesi (FAR) di Habyarimana. Si sono dette delle parole talvolta aspre e definitive. Coloro che hanno osato suggerire che il Fronte Patriottico Ruandese (FPR) potrebbe essere dietro l’attentato sono accusati di negazionismo e coloro che non aderiscono a ciò che sembra essere improvvisamente diventato politicamente corretto, sono violentemente attaccati, o addirittura intimiditi.

 

1. LA PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO

Il rapporto dell’indagine balistica sull’attentato del 1994 contro l’aereo del presidente ruandese Juvenal Habyarimana, presentato a Parigi il 10 gennaio alle famiglie delle vittime (l’equipaggio e i passeggeri del Falcon 50 abbattuto a Kigali il 6 Aprile 1994) e agli avvocati di tutte le parti, indica, come possibile luogo del lancio dei missili, il campo militare di Kanombe, allora nelle mani delle Forze Armate Ruandesi (FAR), l’esercito del precedente governo. «Il lancio dei due missili, il secondo dei quali ha colpito l’aereo, può essere stato effettuato a partire dal campo di Kanombe, presso le case di cooperanti belgi. L’area di tiro che privilegiamo comprende il cimitero (…) e, più verosimilmente, la parte bassa del cimitero», si può, infatti, leggere in un estratto del rapporto pubblicato su Twitter da un giornalista indipendente, Frederic Helbert. Ma il rapporto non designa minimamente i possibili autori dell’attacco.

 

Un team per ricostruire le condizioni dell’attentato.

Nel mese di aprile 2010, i giudici Marc Trevidic e Nathalie Poux, succeduti al giudice dell’anti-terrorismo Jean-Louis Bruguière, designano un team di cinque esperti (in geometria, balistica, esplosivi, incendio e acustica), per determinare le possibili posizioni del lancio dei missili contro l’aereo presidenziale. I giudici Marc Trevidic e Nathalie Poux si sono recati in Ruanda con gli esperti nel settembre 2010 per ricostruire le circostanze dell’attentato. I due giudici hanno chiesto agli esperti di ricostruire la traiettoria delle Falcon 50 presidenziali, di individuare la sua posizione nel momento in cui è stato colpito, di determinare il tipo di missile utilizzato e le possibili modalità operative e di verificare il tutto con testimonianze e dati topografici.

 

Il campo militare di Kanombe designato come il luogo più probabile del lancio dei missili.

Secondo gli esperti, i missili lanciati sono degli SA-16, di fabbricazione russa e hanno colpito l’aereo sotto l’ala sinistra, nelle vicinanze dei serbatoi. L’impatto ha immediatamente causato l’esplosione del Falcon. I tecnici in balistica, che hanno studiato le eventuali traiettorie, hanno escluso quattro possibilità, ritenendone due, entrambe riferite al Campo di Kanombe. L’esperto in acustica ha avuto un ruolo importante. In modo particolare, ha studiato l’ambiente e la diffusione dei suoni sul sito per verificare due importanti testimonianze. La prima è quella del Dr. Massimo Parush, un medico militare belga che dice di aver sentito, quella sera, il suono di un soffio e di avere visto una striscia arancione. La seconda è quella di un militare francese, il colonnello de Saint-Quentin. Questo ufficiale, che abitava nel campo di Kanombe, ha sempre detto di avere chiaramente sentito il suono della partenza dei lanci dei due missili. Secondo l’esperto in acustica, la fattoria di Masaka, l’altro sito evocato come luogo possibile per l’organizzazione dell’attentato, è troppo lontana e il suono non sarebbe potuto arrivare in modo così chiaro alle orecchie del colonnello. Se i missili fossero stati lanciati dalla collina di Masaka, non sarebbero stati uditi chiaramente da Kanombe e il rumore sarebbe arrivato alle orecchie dei testimoni dopo aver visto l’esplosione dell’aereo. I missili non possono dunque che essere stati lanciati dal campo o nelle sue vicinanze.

 

Le prime dichiarazioni degli avvocati delle parti.

Gli avvocati di sette accusati di essere implicati nel caso e stretti collaboratori dell’attuale presidente ruandese Paul Kagame, hanno interpretato il rapporto come un’inchiesta che scagiona i loro clienti e hanno chiesto ai giudici incaricati delle indagini di archiviare le accuse mosse contro di loro. Da parte sua, Jean-Yves Dupeux, avvocato dei due figli del presidente Habyarimana, ha dichiarato che «ciò che il rapporto afferma è che, secondo le constatazioni, i tiri non possono provenire da Masaka, ciò che non designa necessariamente il campo avverso», cioè quello degli estremisti hutu. Anche l’avvocato della vedova Habyarimana, Philippe Meilhac, si è dimostrato cauto sulle conclusioni da trarre da questo rapporto tecnico circa l’identità dei tiratori. «C’è una forma di novità a proposito del presunto luogo di tiro dei missili che hanno abbattuto l’aereo, ma ci sono anche molte conferme», ha detto. Ha portato l’esempio delle conclusioni sul modello dei missili utilizzati, i SA-16 di progettazione sovietica, affermando: «I SA-16 sono facili da trasportare e sono lanciati a spalla, ma il loro maneggio richiede particolari competenze, che nessun militare delle Forze Armate Rwandesi [FAR, fedeli al potere] possedeva».

 

Le prime reazioni del governo ruandese.

Per il governo ruandese, il rapporto degli esperti “rende giustizia” al Ruanda. In una sua dichiarazione, il ministro degli Esteri, Louise Mushikiwabo, ha dichiarato che «è ormai chiaro a tutti che l’attentato contro l’aereo è stato un colpo di stato guidato da estremisti hutu che non erano d’accordo con Habyarimana, per i suoi tentativi di stabilire un dialogo con i ribelli tutsi di allora. Assistiti dai loro consulenti, questi estremisti hutu avevano il controllo del campo militare di Kanombe», aggiungendo che il suo paese attende quindi una “archiviazione” del fascicolo riguardante i collaboratori del capo dello Stato, Paul Kagame, ancora sotto accusa in relazione con l’inchiesta francese sulla morte dell’ex presidente Habyarimana.

 

L’inchiesta non è ancora terminata.

L’indagine non è ancora finita: se sa da dove sono partiti i tiri, il giudice Trevidic deve ancora cercare gli autori dell’attentato e scoprire chi, la sera del 6 aprile, si trovava nel recinto del campo della guardia presidenziale. Il rapporto conclude che i tiri non possono tecnicamente provenire dalle basi occupate dalle forze del Fronte Patriottico Ruandese (RPF) di Paul Kagame situate intorno all’aeroporto. Ma non ha formalmente designato i militari dell’esercito governativo di quel periodo. Gli esperti ritengono inoltre che i tiratori fossero molto esperti, rilanciando così l’ipotesi dell’implicazione di esperti stranieri, agenti segreti o mercenari, nell’operazione del lancio dei missili. Secondo gli avvocati dei collaboratori dell’attuale presidente (Paul Kagame), Maingain e Forster, è possibile che alcuni militari delle FAR siano stati adeguatamente addestrati per maneggiare i lancia missili, ma la pista più probabile è quella secondo cui gli autori dell’attentato siano militari o mercenari stranieri.

 

Due opposte teorie.

La sera del 6 aprile 1994, il Falcon 50, con a bordo il presidente ruandese Juvenal Habyarimana e il suo omologo burundese Cyprien Ntaryamira, fu abbattuto durante l’atterraggio a Kigali mediante il lancio di due missili. L’attentato è considerato come l’elemento che ha innescato il genocidio ruandese, durante il quale furono uccise almeno 800.000 persone.

Nel 2006, l’inchiesta del giudice francese Jean-Louis Bruguiere aveva addossato la responsabilità dell’attentato ad un commando del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr), la ribellione tutsi guidata, nel 1994, dall’attuale presidente Paul Kagame e da quattro anni in aperta guerra contro il regime di Habyarimana. Secondo l’inchiesta di Bruguière, partendo dal parlamento ruandese, dove il FPR aveva un distaccamento di 600 militari e infiltrandosi attraverso il dispositivo delle Forze Armate Ruandesi (FAR, lealisti), alcuni elementi del FPR, si sarebbero appostati sulla collina di Masaka, che domina l’aeroporto a est della pista. In seguito a tale rapporto, Kigali aveva interrotto le relazioni diplomatiche con la Francia.

Al contrario, il rapporto di un’inchiesta ruandese del 2009 afferma che i missili sono stati lanciati dal campo militare di Kanombe, un’importante base delle FAR, adiacente all’aeroporto e alla residenza presidenziale a sud-est, dov’è “impossibile immaginare”che militari del FPR abbiano potuto infiltrarsi. La tesi ruandese attribuisce la responsabilità dell’attentato ad estremisti hutu delle FAR che, per facilitare un colpo di stato, hanno voluto sbarazzarsi del presidente Habyarimana, considerato troppo moderato.

 

Rottura e ripresa delle relazioni diplomatiche tra Kigali e Parigi.

La presenza di un equipaggio francese a bordo del velivolo aveva dato avvio ad un’inchiesta francese. In seguito all’indagine condotta dal giudice della sezione di antiterrorismo, Jean-Louis Brughiere, nel 2006 furono emessi nove mandati di cattura contro altrettanti membri del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) e stretti collaboratori del presidente Kagame.

L’emissione dei mandati di cattura aveva portato alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Kigali e Parigi. Le relazioni tra i due Paesi hanno cominciato a migliorare quando, dopo l’audizione giudiziaria di uno degli accusati, nel 2008, e di altri sei nel 2010, sette mandati di cattura sono stati sospesi, anche se gli atti d’accusa restano ancora vigenti. Altri due accusati, uno in fuga e l’altro probabilmente deceduto, rimangono ancora soggetto dei mandati di cattura emessi in Francia.

La visita del presidente francese Nicolas Sarkozy a Kigali, nel febbraio 2010, aveva avviato un processo di riconciliazione, confermato dalla visita di Paul Kagame a Parigi nel settembre 2011. Simbolico e strategico, il riavvicinamento tra i due paesi risultava conveniente per entrambi: da una parte, il caso ruandese contribuiva a rovinare l’immagine della Francia sul continente africano e, dall’altra, il calo della fiducia dei Paesi anglosassoni rischiava di sancire l’isolamento del regime ruandese sul piano internazionale.

Nel febbraio 2010, a Kigali, Nicolas Sarkozy aveva riconosciuto una “forma di cecità” per non aver visto la “natura genocidaria” del regime di Habyarimana, sostenuto a tutti costi da Parigi. In cambio, in visita ufficiale a Parigi nel settembre 2011, Paul Kagame assicurava di non aspettarsi che la Francia chiedesse “scusa”, mentre a Kigali si era disposti ad assopire le accuse portate contro importanti personalità francesi per la loro presunta implicazione nel genocidio.

 

2. GLI ELEMENTI DI PROVA APPORTATI DAGLI ESPERTI

Emmanuel Neretse fornisce alcuni chiarimenti circa il termine “Kanombe”:

1. Kanombe – Comune: si tratta del comune di Kanombe, uno dei 144 comuni della Repubblica del Ruanda prima del 2002.

2. Kanombe – Settore: Il comune di Kanombe era diviso in dieci settori amministrativi, fra cui quello di Kanombe.

3. Kanombe – Zona militare: è nel settore di Kanombe che, nel 1960, era stata istituita una vasta zona militare di un centinaio di ettari 100. Questa zona confina, ad est, con la collina di Masaka, da cui è separata da una palude di circa 1 km, A sud, confina con il settore di Busanza. Ad ovest, confina con l’aeroporto. A nord è delimitata dal prolungamento di una strada parallela alla pista dell’aeroporto. Fino ad aprile 1994, la zona militare comprendeva:

a) – una caserma militare con edifici amministrativi, magazzini, officine, garage, abitazioni dei sottufficiali e dei soldati;

– Un quartiere per gli ufficiali e le loro residenze

– Un Ospedale.

b) Dei campi per i lavori comunitari per lo sviluppo (Umuganda). Questi terreni si estendevano dal quartiere degli ufficiali fino alla vallata di demarcazione tra i tre settori di Masaka, Kanombe e Busanza. Queste aree (acquitrini, campi e boschi per i lavori comunitari) non erano né recintati, né sorvegliati.

c) Un campo da tiro per armi leggere, costruita nella valle che separa il settore di Kanombe da quello di Busanza.

d) Un cimitero militare, che si trova sulla collina di Busanza, a sud della caserma. Era accessibile tramite la strada che costeggia la pista dell’aeroporto da sud. Il cimitero non era né recintato, né sorvegliato.

4. Kanombe: campo militare. Si tratta dell’area descritta nel § 3. a).

Solo quest’area era recintata e gli ingressi controllati. Solo la lettura attenta del rapporto tecnico e, in particolare, le coordinate esatte del luogo da cui sono stati lanciati i missili, potranno indicare se gli esperti hanno designato la caserma, o i campi per il lavoro comunitario, o il campo da tiro o il cimitero.

A prima lettura, il rapporto ha rivelato che il punto designato come probabile luogo del lancio dei missili si situa nella zona militare di Kanombe, ma non all’interno del campo militare propriamente detto, bensì ad est del fianco della collina di Busanza, precisamente nel boschetto situato tra la collina di Masaka, il quartiere degli ufficiali distrettuali, la vallata di Nyarugunga e il cimitero militare di Kanombe.

Sapendo ora che i due missili SAM 16, di cui uno ha colpito il Falcon 50 presidenziale, sono stati lanciati dalla zona militare di Kanombe, gli inquirenti dovranno spiegare perché i due tubi lanciamissili sono stati scoperti a 3 km di distanza, sulla collina di Masaka, separata dal luogo di tiro da una zona incolta e acquitrinosa. Ma, soprattutto, dovranno saper rispondere alla fondamentale domanda: “Chi ha sparato contro l’aereo del presidente Habyarimana il 6 aprile 1994?”. Con l’integrità e la professionalità, unanimemente riconosciute al giudice Trévidic, si spera di ottenere, un giorno, la risposta, a condizione che la passione e la politica non mettano i bastoni tra le ruote del carro di giustizia.

 

Le quattro certezze individuate dagli esperti.

Secondo le prime informazioni raccolte da Jambonews, gli esperti hanno individuato quattro certezze.

La prima certezza è che l’aereo è stato abbattuto da un missile portabile SA-16 (SAM 16) di fabbricazione sovietica.

La seconda certezza è che sono stati lanciati due missili, ma uno solo ha colpito l’aereo.

La terza certezza è che i reattori non sono stati colpiti dai missili e sono rimasti intatti.

La quarta certezza è che è stata colpita l’ala sinistra del velivolo. L’analisi del relitto mostra, infatti, che il missile ha colpito il serbatoio dell’ala sinistra.

A partire da questi elementi, la missione degli esperti è stata quella di determinare il luogo da cui i missili sono stati sparati. All’inizio, sono stati identificati sei luoghi come possibili punti di partenza dei missili e, per identificare il luogo più probabile, gli esperti hanno proceduto per eliminazione. Secondo i periti, la posizione ideale per un tiratore esperto era quella di Masaka (sia la fattoria che la vallata). Ma gli esperti hanno ritenuto di dover scartare tale pista per due fattori determinanti.

Il primo elemento è il racconto di tre testimoni di primo piano, un militare francese e due medici militari belgi, presenti quel giorno nel Campo di Kanombe, che hanno dichiarato di avere sentito il sibilo di partenza dei missili. L’esperto di acustica ha affermato che, dal campo di Kanombe, era praticamente impossibile sentire il sibilo dei missili se fossero stati sparati da Masaka, che si trova a più di 3 km. di distanza. Egli ritiene inoltre che, data la distanza, l’aereo avrebbe raggiunto il suolo prima che i testimoni sentissero il sibilo della partenza dei missili.

Il secondo elemento è il punto di impatto del missile sul velivolo, cioè l’ala sinistra. Secondo gli esperti, i missili sono attratti dal calore del loro obiettivo. Quando l’aereo è stato abbattuto, aveva già superato la collina di Masaka, il che significa che se il missile fosse provenuto da dietro (da Masaka dunque), avrebbe raggiunto il reattore e non l’ala sinistra.

Quindi, la conclusione degli esperti è che il missile provenisse dal davanti e che abbia colpito poi l’ala sinistra. Alla luce di questi elementi ritenuti determinanti, gli esperti hanno stabilito che i missili siano quindi “probabilmente” partiti da una delle due posizioni individuate nel campo militare Kanombe.

Un altro chiarimento apportato dagli esperti è che i Sam 16 utilizzati per abbattere l’aereo siano stati lanciati da specialisti, perché il loro maneggio richiede una formazione completa di almeno 50 – 60 ore. I periti affermano anche che i tiratori erano sicuramente due.

Al termine della presentazione del rapporto, il giudice Marc Trevidic, che ha letto alternativamente con Nathalie Poux le conclusioni degli esperti, ha annunciato che entrambe le parti interessate hanno tre mesi di tempo per formulare osservazioni sul rapporto stesso e che possono richiedere un’ulteriore inchiesta.

Dopo aver raccolto tutte le osservazioni, i giudici Trevidic e Poux dovranno esaminare questo rapporto tecnico alla luce degli altri elementi del fascicolo, in particolare le numerose testimonianze. Nell’attesa delle conclusioni delle indagini dei giudici, nessuno è dichiarato innocente e nessuno è dichiarato colpevole da questo rapporto, soprattutto perché questo non è il ruolo degli esperti. Spetta ai giudici Trevidic e Poux, a conclusione delle indagini, fare un rapporto completo su una possibile implicazione di membri del FPR, sospettati dalla giustizia francese di essere gli autori dell’attentato o, in caso contrario, sulla necessità di formulare un’accusa contro altri sospetti.

 

Colette Braeckman si sofferma sulla questione del rumore del soffio di partenza dei missili.

Il Dott. Massimo Pasuch, anestesista e militare belga in Ruanda, risiedeva nel campo militare di Kanombe. I ricordi del tenente colonnello Pasuch sono ancora vivi: “la vetrata della mia sala da pranzo apriva la visuale su una vallata che scende verso una zona acquitrinosa attraversata dal fiume Nyabarongo. Era una zona poco trafficata e il cui accesso era stato vietato dai militari due mesi prima”. Il medico ricorda che la cena del 6 aprile fu interrotta da un rumore strano: “Ho sentito il soffio del lancio di un missile. Abbiamo poi visto due striature rosse nel cielo. Pochi istanti dopo abbiamo sentito il tuono di una grande esplosione e abbiamo visto una palla di fuoco che si è schiantata, infine, a 400 metri da casa mia. Era l’aereo del presidente Habyarimana”. Pasuch continua: “Secondo me, ero sicuro che il tiro fosse partito da quella zona acquitrinosa, dove nessuno poteva entrare e dove un commando aveva avuto tutto il tempo per prendere posizione e prepararsi”. Secondo l’ufficiale Pasuch, “è stata un’operazione ben preparata, perché si trattava di colpire un aeromobile in volo e in fase di atterraggio. Solo dei professionisti potevano realizzare un colpo simile”.

Anche il luogotenente colonnello francese Grégoire de Saint Quintin, che abitava in una casa all’interno del campo militare di Kanombe, vicino a quella dei belgi, ha confermato che anche lui aveva sentito il suono del soffio che indica la partenza dei missili.

Sembra che il suono del soffio che caratterizza la partenza dei missili sia un elemento essenziale delle indagini del giudice Trevidic. Lì sul posto, l’ingegnere acustico ha ricostruito le condizioni acustiche e climatiche di quella sera del 6 aprile trovando, tra l’altro, la direzione e la velocità del vento. Ha così potuto tracciare il perimetro all’interno del quale si sarebbe potuto sentire il suono della partenza dei missili e ha concluso che, se diversi testimoni residenti nel campo militare di Kanombe ricordano il suono del soffio, non avrebbero potuto sentirlo se fosse provenuto dalla collina di Masaka, a lungo indicata come il luogo da cui erano partiti i tiri dei missili.

 

3. LE REAZIONI DELL’OPPOSIZIONE RUANDESE

Faustin Twagiramungu, Presidente del RDI-Ruanda Rwiza, respinge l’ipotesi di una relazione diretta di causa – effetto tra il presunto luogo del tiro dei missili e l’identificazione automatica degli estremisti hutu come presunti autori dell’attentato. Secondo lui, ormai spetta al giudice Trevidic far piena luce, non solo sul luogo di lancio dei missili, ma anche sull’identificazione precisa dei responsabili di questo attentato che ha attivato il peggior crimine, che è quello del genocidio ruandese.

Theogène Rudasingwa, ex segretario generale del FPR ed ex capo della segreteria di Paul Kagame, dopo aver ricordato di avere affermato, il 1 ° ottobre 2011, che lo stesso Paul Kagame gli aveva riferito di essere egli stesso responsabile del lancio dei missili che hanno colpito l’aereo presidenziale il 6 aprile 1994, ha sottolineato che, secondo il rapporto, a) gli esperti si orientano più verso la versione secondo cui il missile che abbatté l’aereo sarebbe stato lanciato dalle vicinanze di Kanombe, a Kigali e b) i missili erano di fabbricazione russa ed erano stati venduti dall’Unione Sovietica. A questo proposito, Rudasingwa sottolinea che: 1. Il fatto che i missili siano stati sparati in prossimità della zona di Kanombe non vuol dire che Kagame non abbia ordinato l’attentato, 2. Il fatto che i missili siano di origine sovietica è un elemento tecnico essenziale per determinare il vero mandante. Egli ha, inoltre, ribadito di avere più volte affermato che Paul Kagame è stato il mandante dell’attentato contro l’aereo presidenziale e di averne le prove. Per questo, è sempre rimasto in attesa che un giudice lo convocasse per comunicargliele. Egli spera che, in questi tre mesi, il giudice Trévidic lo convochi per ricevere anche la sua testimonianza e inserirla nel fascicolo dell’inchiesta come un elemento nuovo.

Il Congresso Nazionale Ruandese (CNR), costituito da ex compagni d’armi del presidente Paul Kagame, e le Forze Democratiche Unite (FDU), dopo aver affermato che il rapporto tecnico ha preso in considerazione sei potenziali siti per il lancio dei missili, continuano a credere ancora nella responsabilità del FPR sull’attentato dell’aprile 1994. Le due organizzazioni affermano: “Considerando il livello di dispiegamento e di infiltrazione di agenti segreti nella città di Kigali e dintorni da parte della ribellione, rimaniamo convinti che il FPR fosse in grado di preparare una tale operazione a partire dalla maggior parte dei sei punti sospetti menzionati nel rapporto tecnico”. Secondo le due organizzazioni, in passato ci sono stati diversi rapporti contrastanti sull’attentato terroristico in questione e solo una commissione di inchiesta internazionale composta di esperti provenienti da diversi paesi potrà spianerà la strada ad una giustizia finora negata.

 

4. LA PUBBLICAZIONE DEL RAPPORTO

Ora che la perizia è disponibile su Internet, si può proporne un’analisi. Essa conduce a conclusioni molto meno sicure rispetto a quelle che si sono sentite nelle ultime settimane.

Prodotto nel quadro delle indagini aperte in Francia il 27 marzo 1998, in seguito ad una denuncia presentata dalla famiglia del pilota francese deceduto, Jean-Pierre Minaberry, a riguardo dell’attentato contro il Falcon 50 di Juvenal Habyarimana, il rapporto degli esperti determina la probabile posizione del tiro e conferma la natura dei missili utilizzati il 6 aprile 1994. Tuttavia, la perizia, di 328 pagine, non identifica gli autori del crimine.

Gli esperti hanno preso in considerazione sei possibili zone di tiro. Tre di queste si trovano nel perimetro del campo militare di Kanombe, che ospitava il Battaglione Paracadutisti ed era adiacente alla villa di Juvenal Habyarimana. Anche la quarta, chiamata “il granaio”, si trova vicino alla residenza presidenziale. Le altre due rimanenti sono ubicate sulla collina di Masaka, in quel tempo in territorio controllato dalle FAR.

Durante il loro viaggio in Ruanda, gli esperti hanno sentito dodici testimoni ed effettuato, nelle sei zone selezionate, le indagini geometriche, topografiche acustiche, necessarie per verificare le loro diverse ipotesi. La perizia porta alle seguenti conclusioni:

– Identificazione delle armi utilizzate: a partire da 53 possibilità, la perizia ha proceduto per eliminazione. Alcune armi sono state escluse a causa della data di fabbricazione, altre perché non corrispondevano al tipo di impatto notato sul relitto del velivolo, o perché non possono essere utilizzate di notte. Alla fine, è stato ritenuto solo il missile antiaereo di fabbricazione sovietica SA16. Gli esperti indicano che i tiratori erano due, distanti circa sei metri l’uno dall’altro, ciascuno con un missile. Essi sottolineano, infine, che «l’uso di questo materiale antiaereo richiede una buona preparazione e un serio addestramento. Non è un dilettante o un novizio che può usare correttamente questi missili. Per diventare un tiratore efficace, occorrono almeno 70 tiri, cioè da 50 a 60 ore, per avere una buona comprensione dell’arma».

– Individuazione della zona di tiro più probabile. Gli esperti stimano che le posizioni di tiro di Masaka sono quelle ideali: «È da queste due posizioni che la probabilità di colpire l’aereo è la più elevata rispetto a tutte le posizioni di tiro studiate». Le posizioni di Kanombe sono meno buone: «La probabilità di colpire l’aeromobile è inferiore a quella delle posizioni di tiro di Masaka. Era, tuttavia, sufficiente, affinché almeno uno dei due missili colpisse l’aereo». Tuttavia, alla fine, l’ipotesi di Masaka è stata scartata: un tiro da questo luogo avrebbe raggiunto il motore sinistro e non avrebbe colpito la parte inferiore dell’ala, perché, lanciato da dietro, il missile sarebbe stato attirato dal calore dei tre reattori posteriori dell’aereo, fanno notare gli esperti. Soprattutto, il sibilo del tiro non sarebbe stato sentito nel modo descritto dai testimoni, una coppia belga e i loro ospiti, che stavano cenando, quella sera, a casa loro, all’interno del campo militare di Kanombe.

Il rapporto conclude: «Le varie possibilità emerse dagli studi condotti consentono di privilegiare come zona di tiro più probabile il sito di Kanombe. In questa zona, sono comprese le posizioni 2 e 6, (…), cioè, l’attuale cimitero e la zona sottostante il cimitero, in uno spazio compreso tra le facciate posteriori delle tre case dei cittadini belgi, tra cui quella dei coniugi Pasuch, e la cima della collina che domina la valle del Nyagarongo. Il fatto di avere privilegiato queste due posizioni non significa che i missili non sono potuti essere tecnicamente lanciati da un perimetro un più esteso. Si può tenere in conto anche un’area estesa verso est e verso sud, di circa un centinaio di metri o anche di più, a condizione di avere un campo aperto verso l’asse di approccio del velivolo». Tale margine discrezionale è importante, in quanto permette di prendere in considerazione anche l’ipotesi secondo cui i tiratori abbiano potuto appostarsi fuori del perimetro del campo militare Kanombe.

Secondo Filip Reyntjens, professore presso l’Università di Anversa, il rapporto tecnico degli esperti tenta di fornire delle risposte a due domande fondamentali: il luogo da cui sono stati sparati i missili e il tipo dei missili utilizzati. Due dati tecnici permettono agli esperti di designare le posizioni più probabili del tiro: da una parte, il punto di impatto del missile che ha colpito l’aereo, dall’altra, dei dati acustici sulla rumorosità del sibilo di partenza dei missili udito da dei testimoni. Si noti che l’esperto di acustica non ha visitato il sito, ma ha effettuato una simulazione in un campo militare in Francia. Per quanto riguarda la posizione in cui l’aereo è stato colpito, gli esperti si basano sulla traiettoria normale di atterraggio, quando invece l’aereo sarebbe potuto essere deviato dal lancio del primo missile, o il pilota avrebbe potuto eseguire una manovra diversa per evitare di essere colpito, due possibilità cui fa riferimento anche il rapporto stesso. Su questa doppia base tecnica, la perizia si concentra su due posizioni all’interno del settore militare di Kanombe, il cimitero e un luogo situato più in basso del cimitero, pur rilevando che l’area Masaka sul prolungamento dei luoghi ritenuti come più probabili.

Gli esperti ritengono anche che la posizione di Masaka è la migliore tra quelle studiate e che quelle selezionate offrono una probabilità meno elevata per colpire l’aereo ma sufficiente affinché uno dei due missili possa colpire l’aereo. A questo proposito, occorre ricordare alcuni punti. In primo luogo, contrariamente a quanto molti commentatori hanno affermato, questi luoghi non si trovano all’interno del campo militare di Kanombe (ciò che con ogni probabilità designerebbe le FAR), ma ai limiti estremi di un grande settore militare di cento ettari. Questa zona non è recintata, né sorvegliata. Gli esperti ritengono, inoltre, che il perimetro del lancio potrebbe estendersi verso Est o il Sud, per un centinaio di metri o più, ciò che situerebbe il luogo di tiro al di fuori del settore militare.

Inoltre, due importanti testimoni citati nel rapporto hanno visto le scie dei missili attraverso la vetrata sul retro della casa che si trova all’estremità del settore e che è orientata verso la valle di Masaka. In una dichiarazione fatta davanti al tribunale militare belga il 13 aprile 1994, una settimana dopo i fatti, il colonnello medico Daubresse dichiara di aver visto “Guardando verso est (cioè verso i dintorni di Masaka), salire da destra verso sinistra, un proiettile spinto da una fiammata rossa-arancione” ad una distanza massima di cinque chilometri e una distanza minima di un chilometro (le due località ritenute dagli esperti sono a 116 e 203 metri rispettivamente dalla casa). Questa osservazione è confermata il giorno stesso dal suo collega, il colonnello medico Pasuch. Questi due testimoni non situano, dunque, la partenza dei missili all’interno del settore militare, ma nella direzione della valle di Masaka.

Infine, poiché il luogo detto “La fattoria” nella valle vicina a Masaka è stato citato molte volte come luogo di partenza dei missili, è sorprendente che nessun testimone di Masaka sia stato ascoltato dagli esperti e che le loro dichiarazioni non siano state verificate dal punto di vista acustico. Ma nell’ottobre 1994, dei testimoni di Masaka avevano già affermato di aver visto i missili partire dalle vicinanze di “La fattoria”, e questo in un momento in cui non ci si rendeva ancora conto dell’importanza della posizione di partenza dei missili. Questo dimostra che il rapporto tecnico non corrisponde necessariamente alle osservazioni di testimoni oculari, e spetterà ai giudici di istruzione valutare il valore probatorio di questi dati contrastanti.

Per quanto riguarda i missili utilizzati, la perizia stabilisce, per eliminazione, la probabilità che si tratti di SA16 di origine sovietica. Gli esperti sottolineano che la loro conclusione non è condizionata dalla scoperta, nei pressi di “La fattoria” poche settimane dopo l’attentato, di due tubi lancia missili SA16. Gli esperti osservano che sono necessarie da 50 a 60 ore di formazione, per poter essere capaci di usare queste armi e che un inesperto non è può manipolare un tale sistema. Le ex FAR non avevano missili antiaerei, benché avessero cercato invano di acquistarne, mentre il FPR ne aveva usato durante la guerra. Il giudice Bruguiere aveva già stabilito che i missili, i cui tubi di lancio erano stati trovati nei pressi di “La fattoria” erano stati venduti dall’Unione Sovietica all’Uganda. Fonti altolocate dell’esercito ugandese hanno dichiarato che facevano parte di un lotto ceduto in seguito al FPR.

Queste poche constatazioni dimostrano, semplicemente, che coloro che subito hanno affermato che con il rapporto degli esperti “la verità è ormai conosciuta”, in realtà rivelano di semplificare troppo la storia.

Reyntjens conclude: «Anche se continuo a pensare che gli indizi designano più il FPR che le FAR come autori dell’attentato, non pretendo di conoscere la verità. Spetterà ai giudici Trévidic e Poux di decidere, al termine della loro istruzione, sulla base di tutti gli elementi del fascicolo e, soprattutto, in maniera indipendente, se sarà necessario o no trasmettere il fascicolo per eventuali procedure giudiziarie».

 

5. GLI INTERROGATIVI CHE PERSISTONO ANCHE DOPO IL RAPPORTO

André Guichaoua ha l’impressione che molti interventi sulla pubblicazione del rapporto si sono svolti un po’ abusivamente, perché il rapporto stesso non rivela chi sono gli autori dell’attentato e non esonera da un’eventuale responsabilità coloro che sono finora accusati. Ciò non significa che ciò non accadrà, ma per ora, non si dispone di tali elementi ed è necessario rispettare il ritmo e le procedure della giustizia. Ci sono degli interrogativi che Guichaoua continua a porsi anche dopo la pubblicazione di questo rapporto. Se si convalida l’idea che sono stati degli hutu i responsabili dell’attentato del 6 aprile 1994, rimangono ancora delle zone d’ombra. Si tratta di due teorie generalmente sostenute a questo proposito. Secondo la prima, dietro l’attentato ci sarebbe la famiglia della moglie del presidente. Ma l’unico che era in grado di organizzarlo, il colonnello Elie Sagatwa, fratello della vedova Habyarimana, è morto con il presidente nell’attentato stesso. È quindi difficile dare credito a tale tsi. La seconda tesi è quella di ufficiali estremisti, ma il capo di stato maggiore dell’esercito è morto anche lui nell’attentato. Secondo Guichaoua, queste due persone non erano dei “jihadisti” ed è, quindi, impensabile che si siano sacrificati per la loro causa. Occorreranno dunque ulteriori prove più precise, per potere sostenere tali affermazioni.

Secondo Hervé Cheuzeville, dalla fine degli anni ’90 fino ai primi anni 2000, era la tesi di un atto commesso da “estremisti hutu” che prevaleva ed era divulgata dai principali mezzi internazionali di comunicazione. È stato solo poco a poco che si è iniziato ad evocare un’altra possibilità: quella di un atto perpetrato da uomini del FPR per ordine di Paul Kagame. Tale versione è stata ampiamente diffusa in seguito ai lavori del giudice Bruguière, il predecessore del giudice Trévidic. Per fare un po’ di chiarezza, occorrerebbe prendere in considerazione una serie di elementi importanti.

1. Secondo la teoria che mette in causa gli “estremisti hutu”, il presidente Habyarimana sarebbe stato assassinato perché aveva fatto delle concessioni troppo grandi durante i negoziati di Arusha. Temendo che il FPR entrasse a far parte del governo di transizione, gli estremisti avrebbero deciso di prendere il potere mediante un colpo di stato. Per questo, occorreva eliminare il presidente. Tuttavia, tutti i testimoni hanno confermato il panico e la disorganizzazione che regnava in ciò che rimaneva del governo ruandese nelle ore che seguirono la morte di Habyarimana. Quelli che, il giorno dopo, dovevano prendere le redini del potere erano chiaramente stati presi alla sprovvista dall’evento. Erano totalmente impreparati e disorganizzati.

Si sa che tale operazione non può essere improvvisata. Deve essere pianificata durante settimane o mesi in anticipo. Di solito, l’organigramma del nuovo potere è già pronto ancor prima che il colpo di stato abbia luogo. Non è stato così il 6 aprile 1994 in Ruanda. I vertici dello stato erano stati annientati dall’attentato e uomini di secondaria importanza sono stati ritrovati in primo piano senza essere preparati, come il colonnello Bagosora, direttore dell’Ufficio del Ministro della difesa. Invece, l’offensiva lanciata dal FPR la notte stessa dell’attentato era tutt’altro che improvvisata. Un’offensiva generale deve necessariamente essere accuratamente preparata, con mesi di anticipo. In particolare, la logistica deve essere già pronta (carburante, munizioni, trasporti e comunicazioni). Il coordinamento tra le unità e tra i diversi servizi deve essere scrupolosamente previsto. E, infine, gli stessi soldati devono essere già pronti e dispiegati nei posti giusti e nei tempi appropriati. Quindi, l’offensiva generale del FPR non può essere stata decisa come reazione alla morte del presidente Habyarimana, ma molto tempo prima, in previsione della sua morte.

2. Elementi del FPR si trovavano già da mesi a Kigali, secondo gli accordi di Arusha. Erano di stanza presso il CND, il parlamento ruandese e, scortati dalle forze delle Nazioni Unite, compivano regolarmente dei viaggi di andata e ritorno tra il territorio occupato dal FPR, al nord, e la capitale. Non è quindi inconcepibile che i soldati del FPR, probabilmente travestiti da soldati governativi, siano stati in grado di avvicinarsi all’aeroporto per sparare i missili contro l’aereo presidenziale in fase di atterraggio.

3. I missili: è stato confermato che i missili erano di origine sovietica. L’esercito ruandese non ne era in possesso, contrariamente all’esercito ugandese. A questo proposito, è necessario ricordare che il FPR era un ramo della NRA, l’Esercito del presidente ugandese Museveni. È una sezione dell’esercito ugandese composta di soldati e ufficiali ruandesi con uniformi militari ugandesi e con armi dell’esercito ugandese che, il 1° ottobre 1990, ha attaccato il Ruanda a partire dal territorio ugandese, innescando una guerra che doveva portare il FPR al potere. Per tutta la durata della guerra, il FPR disponeva di basi in Uganda, reclutava militari in Uganda e riceveva armi, equipaggiamento e rinforzi dall’Uganda. Sarebbe, dunque, inconcepibile pensare che i missili che hanno abbattuto l’aereo del presidente Habyarimana sono stati forniti al FPR dall’Uganda?

4. Le conclusioni del rapporto degli esperti incaricati dal giudice Trévidic indicano che i missili sono stati sparati dal campo militare di Kanombe. In base alla configurazione topografica di Kigali, Kanombe non è solo un campo militare. È soprattutto un quartiere di Kigali situato su una collina chiamata Kanombe, che si trova vicino all’aeroporto. Se è difficile ammettere che soldati del FPR abbiano sparato i missili dal campo militare Kanombe, è però possibile che essi abbiano operato a partire dalla collina di Kanombe. Ciò che non contraddirebbe le conclusioni della perizia.

Secondo Bernard Lugan, il rapporto degli esperti tecnici (balistica, acustica, ecc.,) incaricati di identificare il possibile luogo da cui sono stati sparati i missili che, il 6 aprile 1994, hanno abbattuto l’aereo del presidente Habyarimana, è solo un elemento del voluminoso fascicolo riguardante l’attentato contro il capo dello stato ruandese. Semplice tappa dell’intera procedura, non consente alcuna estrapolazione, perché non dice chi ha o non ha abbattuto l’aereo presidenziale.

Quindi torniamo ai fatti. Il 6 Aprile 1994, verso le 20h30, mentre stava atterrando all’aeroporto di Kigali, l’aereo del presidente hutu Juvenal Habyarimana fu abbattuto da due missili portatili SAM 16, i cui numeri di serie erano rispettivamente 04-87-04814 e 04-87 – 04835. Come è stato ribadito dal TPIR, l’esercito ruandese non aveva tali missili in dotazione. Fabbricati in URSS, erano parte di un lotto di 40 missili SA 16 Igla consegnato all’esercito ugandese qualche anno prima. Per la cronaca, prima della guerra civile ruandese, Paul Kagame e i suoi principali collaboratori erano alti ufficiali dell’esercito ugandese e, dal 1990 al 1994, l’Uganda non era solo la loro base di appoggio, ma anche l’arsenale dell’APR.

Due teorie opposte:

1) Quella dell’attentato commesso da “estremisti hutu” che avrebbe assassinato il presidente che viaggiava a bordo del velivolo, per innescare un genocidio che avevano pianificato e preparato. La principale debolezza di questa tesi è che il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR), in tutti i verdetti sui “maggiori responsabili del genocidio”, sia in prima istanza che in appello, ha chiaramente stabilito che non c’era stato alcun accordo previo per commettere il genocidio e che, dunque, esso non era stato programmato.

2) Quella di un attentato da parte del FPR, su ordine del generale Kagame, per decapitare il governo ruandese ed avere un pretesto per prendere militarmente il potere. Etno-matematicamente parlando, in effetti, le elezioni previste sotto la supervisione dell’ONU, avrebbero dato una vittoria automatica degli Hutu (+ – 90% della popolazione) sui Tutsi (+ -10%) e ciò nonostante le loro divisioni. Questa tesi è quella del giudice Bruguiere.

 

Questo rapporto tecnico mette in discussione l’inchiesta condotta dal giudice Bruguière?

No, perché l’unica novità riguarda il luogo del lancio dei due missili. Secondo il rapporto degli esperti, questa posizione si situerebbe “probabilmente” nel perimetro del “sito di Kanombe”, cioè ad una distanza di solo due o tre chilometri dalla fattoria di Masaka, identificata dal giudice Bruguière, secondo diverse testimonianze, come luogo del tiro. Per quanto riguarda il campo di Kanombe, esso non era il “santuario” della guardia presidenziale, il cui principale campo base era situato nel centro di Kigali, di fronte al CND, caserma della APR sin dalla firma degli accordi di Arusha. Il campo di Kanombe era un ampio spazio, chiuso parzialmente da filo spinato spesso caduto al suolo, di fronte alla collina di Masaka, da cui era separato da un terreno incolto e da boschetti. Era facile entrarvi, se non si passava dall’ingresso principale. È, quindi, possibile che un commando del FPR sia potuto entrarvi.

I giudici Trévidic e Poux dovranno ora confrontare questa perizia con gli altri elementi contenuti nel fascicolo. Dovranno quindi affrontare la questione dei tubi dei due missili ritrovati a Masaka. Dovranno confrontare l’attuale perizia con le testimonianze contenute nel fascicolo del giudice Bruguière che descrivono, con grande precisione e con una quantità impressionante di dettagli, il luogo di tiro, cioè Masaka, i nomi dei due tiratori e dei membri della loro scorta e le modalità dell’operazione. Non sarà che alla fine della loro indagine, non prima di diversi mesi, che i giudici potranno presentare il loro rapporto finale. Fino a quel momento, tutto rischia di essere speculazione, disinformazione, propaganda, “fumo negli occhi”.

Johan Swinnen, ambasciatore belga in Ruanda durante i tragici anni (1990-1994), ha accettato di condividere la sua analisi in un’intervista accordata a Le Vif / L’Express.

– Domanda: Questo nuovo rapporto tecnico sembra incriminare più gli estremisti hutu che i ribelli tutsi del FPR, ora al potere. Che ne pensa?

– Risposta: Questo è un rapporto intermedio. Estrapolare dei paragrafi, come fanno alcuni, per designare già i tiratori, è inaccettabile. Forse sono stati degli estremisti hutu. Ma non escluderei la possibilità di un attentato organizzato dal FPR. Voleva prendere il potere? È certo che, essendo in minoranza, non voleva sentir parlare di elezioni, tuttavia previste negli accordi di Arusha del 1993. Il problema oggi è che il dibattito è quasi impossibile. Chiunque fa un’osservazione o fa una domanda, è subito accusato di revisionismo e di negazionismo. Sono stanco di questi antagonismi, più ideologici che fondati, tra esperti, politici, diplomatici, Ruandesi o Europei. Il metodo migliore sarebbe un’inchiesta obiettiva e commissionata a livello internazionale.

– D: Secondo lei, il genocidio è stato pianificato?

– R: Nei miei rapporti all’inizio del 1994, non ho mai usato il termine “genocidio”. Ho, invece, spesso evocato il rischio di una tragica destabilizzazione, a causa delle milizie, della distribuzione di armi, della provocazione proveniente dalla radio RTLM, per non parlare della radicalizzazione conseguente all’assassinio, nell’ottobre 1993, del Presidente del Burundi Melchior Ndadaye, il primo Hutu ad essere eletto democraticamente.

– D: Come si spiega allora l’ampiezza dei massacri?

– R: La tensione era al suo apice. I ribelli del FPR avevano costretto più di un milione di persone a fuggire dai loro villaggi. Sfollati, vivevano in condizioni indicibili. Tutti caddero nella trappola della radicalizzazione e dell’estremismo: l’odio si era impossessato sia degli Hutu che dei Tutsi! Sono l’unico diplomatico ad essermi recato a Mulindi per dire a Kagame che doveva mettere a tacere anche la radio Muhabura, se volevo ottenere qualcosa dalla RTLM. Anche Muhabura era una radio della morte. Ma in quel momento, le organizzazioni dei diritti umani guardavano solo da una parte. Certo, non dobbiamo ingannarci. Sono degli estremisti hutu che hanno commesso il genocidio. Come hanno potuto fare tutto questo? Quali sono state le responsabilità del FPR? Occorre farsi queste domande.