SOMMARIO
EDITORIALE: Alla ricerca della verità delle urne
1. LA SOCIETÀ CIVILE DENUNCIA UCCISIONI E SEQUESTRI
2. IL “GIURAMENTO” DI ETIENNE TSHISEKEDI
3. IL SACCHEGGIO DELLA SEDE DELL’UDPS A LIMETE
4. LA COMPILAZIONE DEI RISULTATI DELLE LEGISLATIVE
LA RIPRESA DEL SERVIZIO TELEFONICO PER SMS
5. IL PRESIDENTE DEL SENATO VITTIMA DI UN’AGGRESSIONE A PARIGI
EDITORIALE
1. LA SOCIETÀ CIVILE DENUNCIA UCCISIONI E SEQUESTRI
Il 21 dicembre, in una dichiarazione intitolata “Contro la caccia alle streghe”, l’Ong per la difesa dei diritti umani la Voce dei Senza Voce (VSV) ha denunciato una serie di sequestri e scomparse di persone, registrati sin da qualche giorno prima della proclamazione dei risultati provvisori delle elezioni presidenziali del 28 novembre.
Infatti, la VSV è stata informata di sequestri di varie persone attuati da uomini armati vestiti con divisa della Polizia Nazionale (PN), dell’esercito (FARDC) e della Guardia Repubblicana (GR).
Alcune vittime sono state portate via per una destinazione sconosciuta. Altre sono detenute in celle dell’Agenzia Nazionale dei Servizi Segreti (ANR), della Polizia Militare (PM)/Camp Kokolo, dello Stato Maggiore dei servizi segreti militari (ex DEMIAP), del campo militare colonnello Tshatshi, del Palais de Marbre e GLM.
Le vittime sono private delle visite e sarebbero oggetto di tortura e altri maltrattamenti inumani o degradanti. Le vittime sono state sospettate di appartenere al partito di opposizione, l’UDPS.
La VSV esige:
– La fine della caccia alle streghe su tutto il territorio del Paese;
– Il ritrovamento di tutte le persone vittime di sequestro o detenzione e la preservazione della loro vita, inclusa l’integrità fisica e psicologica;
– L’immediata liberazione delle vittime detenute o, in caso di gravi infrazioni commesse, il loro trasferimento presso i tribunali competenti;
– L’apertura di un’inchiesta indipendente per far luce sui casi di sequestri, detenzioni illegali e tortura, al fine di punirne gli autori e i mandatari;
– La sicurezza di tutte le persone e dei loro beni, indipendentemente dall’appartenenza politica, etnica e provinciale.
Il 22 dicembre, l’ONG Human Rights Watch (Hrw) ha accusato, in un suo rapporto, le forze di sicurezza del regime di Joseph Kabila di aver ucciso “almeno 24 persone” e di averne “arbitrariamente” arrestate varie decine, tra il 9 e il 14 dicembre.
Venti sono state uccise “a Kinshasa, due nel Nord Kivu (est) e due nel Kasai occidentale (centro)”, ha affermato l’ONG per i diritti umani, che denuncia in modo particolare la polizia e la Guardia Repubblicana, responsabile della sicurezza presso la Presidenza.
HRW dichiara che dalla contestata rielezione di Joseph Kabila, il 9 dicembre, “le forze di sicurezza non hanno esitato a sparare sulla folla, con lo scopo di impedire lo svolgimento di manifestazioni di protesta contro il risultato elettorale“.
Human Rights Watch ha constatato che tra le persone uccise c’erano militanti e sostenitori dell’opposizione, ma anche persone fermate per strada o arrestate nelle loro case. Tra le vittime di Kinshasa, ci sono anche una donna di 21 anni e sua nipote di otto anni, entrambi colpite a morte il giorno della proclamazione dei risultati elettorali, mentre la polizia sparava su una folla di sostenitori dell’opposizione.
Secondo Anneke Van Woudenberg, ricercatrice di HRW per l’Africa, “queste manovre sanguinose contribuiscono a minare il processo elettorale e danno l’impressione che il governo è disposto a tutto per restare al potere”. Hrw, che “sta verificando decine di segnalazioni di altri omicidi e attacchi perpetrati dalle forze di sicurezza“, ha dichiarato che il bilancio della repressione in corso può essere maggiore. “Sembra che la polizia e le altre forze di sicurezza cerchino di nascondere la vera entità delle uccisioni, facendo rapidamente scomparire i corpi delle vittime”, assicura l’Ong. Alcune fonti avrebbero rivelato a Hrw che “il governo aveva dato istruzioni agli ospedali e obitori di non dare informazioni sul numero dei morti o sulle persone ferite né ai membri delle loro famiglie, né ai gruppi per la difesa dei diritti umani, né al personale delle Nazioni Unite“. Alcune famiglie hanno trovato i corpi dei loro cari in obitori ubicati lontano da Kinshasa, ciò che lascia pensare che molti corpi siano stati trasportati in zone remote.
Omicidi dunque, ma non solo. Dal 9 dicembre, le forze di sicurezza hanno impedito ogni forma di raggruppamento, bloccando “con la forza quei gruppi dell’opposizione che tentavano di organizzare manifestazioni pacifiche contro le irregolarità constatate nelle elezioni” presidenziali. Secondo il comunicato di HRW, esse “hanno arrestato un certo numero di organizzatori di tali manifestazioni con false accuse di minaccia alla sicurezza nazionale”.
Human Rights Watch propone che “le Nazioni Unite e i partner internazionali della RDC chiedano urgentemente al governo congolese di riprendere in mano il controllo delle sue forze di sicurezza”.
Secondo HRW, “il governo deve ordinare l’immediato rilascio di tutte le persone detenute e avviare un’inchiesta imparziale, per determinare le responsabilità per quanto riguarda gli omicidi commessi, gli arresti illegali e i maltrattamenti inflitti ai detenuti“.
2. IL “GIURAMENTO” DI ETIENNE TSHISEKEDI
Il 23 dicembre, a Kinshasa, le autorità congolesi hanno vietato la manifestazione prevista dall’opposizione per la cerimonia di “giuramento” di Etienne Tshisekedi. «Non ci sarà nessuna manifestazione, perché è stata vietata. C’è già un presidente eletto che ha prestato giuramento. Non si può prestare giuramento di nuovo, sarebbe un atto di sovversione. È necessario impedire tale atto, perché contrario alla Costituzione», ha affermato una fonte prossima al capo della polizia congolese.
Intorno allo stadio dei Martiri, si notava un vasto dispiegamento della polizia e la presenza di quattro carri armati della Guardia Repubblicana.
La polizia ha isolato il quartiere Limete, a est della capitale, dove si trova la casa di Tshisekedi, non lontano dalla sede del suo partito, l’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS).
La polizia ha sistematicamente disperso con gas lacrimogeni i manifestanti che tentavano di raggrupparsi nei pressi della casa di Etienne Tshisekedi e dello stadio dei Martiri.
Varie decine di persone sono state arrestate.
Il resto della città era calmo, i negozi erano aperti e i taxi circolavano. L’invito ufficiale per la “cerimonia di giuramento del presidente eletto, Sig. Tshisekedi”, dal titolo: “Presidenza della Repubblica, protocollo di Stato”, forniva un programma dettagliato della mattinata, compreso l’arrivo dettagliato di “alte autorità militari e della polizia nazionale”, “alti magistrati”, “ambasciatori” e “presidenti e delegazioni di paesi amici”.
A metà pomeriggio, nell’impossibilità di raggiungere lo stadio dei Martiri, Tshisekedi ha prestato giuramento in casa sua, alla presenza di decine di suoi sostenitori e leader politici dell’opposizione.
“Io, Etienne Tshisekedi Wa Mulumba, eletto Presidente della Repubblica Democratica del Congo, giuro solennemente davanti a Dio e alla Nazione: di osservare e difendere la Costituzione e le leggi della Repubblica, di mantenere la sua indipendenza e l’integrità del suo territorio e di salvaguardare l’unità nazionale “, ha dichiarato Tshisekedi, con la mano destra alzata e la mano sinistra sulla Bibbia.
In una breve dichiarazione finale, egli ha annunciato, la pubblicazione, nei giorni seguenti, di un “programma di governo”. Eccetto nei dintorni dello stadio dei Martiri, anche nel pomeriggio la città è rimasta calma, i negozi erano aperti e i taxi in servizio.
Il 27 dicembre, in una conferenza stampa tenuta nella parrocchia di Nostra Signora di Fatima, il segretario generale dell’UDPS, Jacquemin Shabani ha affermato che sette persone sono state uccise e oltre 540 sono state arrestate il 23 dicembre, durante gli scontri tra polizia e attivisti dell’UDPS che volevano recarsi allo stadio dei Martiri, per partecipare alla cerimonia di giuramento di Tshisekedi.
Secondo Jacquemain Shabani, le persone decedute, alcune già identificate e altre non ancora, sono state ritrovate nei pressi dello stadio dei Martiri, del ponte Kasavubu, dell’incrocio dei viali Masimanimba a Matonge, Etiopia e Inzia a Kasavubu e alla sede dell’UDPS a Limete.
Il capo della polizia nazionale, il generale Bisengimana, ha tuttavia negato i fatti: “Rispetto agli eventi del 23 dicembre, ci sono stati degli arresti. Ma sono stati rilasciati il giorno seguente. Per quanto riguarda le persone uccise, non lo so. A parte la persona che è deceduta, folgorata, nel comune di Kalamu, a causa di cavo elettrico scoperto“. Shabani ha affermato che il partito farà di tutto, affinché gli autori e i mandanti siano portati dinanzi alle autorità giudiziarie competenti, sia a livello nazionale che internazionale, tra cui la Corte Penale Internazionale (CPI).
L’UDPS a fornito una lista delle vittime del venerdì 23 dicembre 2011
A. Lista delle persone uccise
1. SUMBI BABY, ucciso presso lo Stadio dei Martiri.
2. KABONGO LUSAMBA, ucciso presso il ponte Kasavubu.
3. KILOMONP MASIKAMA, ucciso all’incrocio di viale MASIMANIMBA, à Matonge.
4, 5 e 6: tre persone non identificate uccise all’incrocio dei viali Etiopia e INZIA, comune di Kasavubu; i corpi sono stati portati via dalla Guardia Repubblicana.
7. KINGOTOLO, ucciso alla sede dell’UDPS, durante il saccheggio.
B. Lista delle persone scomparse
1. MUTOMBO DONAT
2. BRUNO KONGOLU MPOYI
3. NYENGELE ILUNGA Gustave
4. BOBO Nvubu Charles, alias PITCHA
C. Bilancio degli arresti
1. PIR/KASAVUBU: 85
2. COMMUNE KASAVUBU: 35
3. CAMP LUFUNGULA: 110
4. ANR: 60
5. CAMP TSHATSHI: 12
6. MALUKU (SIFORCO): 73
7. CIRCO: 80
8. POLICE KINGABWA (Point chaud): 30
9. POLICE TP (Kingabwa): 56
10. COMMUNE KALAMU: 32
11. COMMUNE DE BARUMBU: 13
12. DISTRICT MATETE: 25
13. DISTRICT TSHANGU: 35
14. CENTRAL: 36
3. IL SACCHEGGIO DELLA SEDE DELL’UDPS A LIMETE
Il 23 dicembre, quando il distretto di Limete in cui risiede Etienne Tshisekedi era completamente sotto il controllo della polizia, uomini non identificati hanno saccheggiato la sede dell’UDPS.
Alcuni testimoni riferiscono di aver visto delle camionette bianche, simili a quelle della polizia, parcheggiate in mezzo alle case della decima strada.
I loro occupanti, degli uomini in borghese, sono poi entrati nella sede dell’UDPS e hanno portato via documenti, computer, mobili ed elettrodomestici.
Secondo il Segretario Generale dell’UDPS, Jacquemin Shabani, i beni rubati sono stati portati presso la sede della polizia di intervento rapido, che si trova in viale Vittoria, quartiere di Matonge, nel comune di Kalamu.
Secondo le dichiarazioni dell’UDPS, durante il saccheggio è rimasto ucciso anche un membro del partito, Kingotolo.
L’attacco è avvenuto durante la notte, poche ore dopo il “giuramento” di Etienne Tshisekedi nella sua residenza, situata nella stessa zona della sede del partito. Jacquemin Shabani, ha ribadito la decisione del suo partito di presentare una denuncia presso le autorità giudiziarie competenti.
Il 26 dicembre, è stato ritirato a Etienne Tshisekedi il corpo di guardia assegnatogli per la sua sicurezza nel quadro della protezione dei candidati alle elezioni presidenziali. Per ora, il presidente Tshisekedi è protetto solo dalla sua guardia abituale.
Il 30 dicembre nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso la parrocchia di Nostra Signora di Fatima, il segretario generale dell’UDPS, Jacquemain Shabani, ha denunciato le numerose restrizioni imposte dalle forze di sicurezza nel bloccare l’accesso alla residenza di Etienne Tschisekedi, situata nel quartiere di Limete. Infatti, sia il domicilio del leader dell’UDPS che tutta la zona circostante sono ancora sotto rigoroso controllo della polizia.
L’UDPS parla addirittura di “detenzione domiciliare” per descrivere l’isolamento in cui Tschisekedi è mantenuto. “Etienne Tschisekedi è privato della sua libertà, nonostante tutte le smentite da parte dei membri del governo… Secondo fonti concordanti e credibili, l’insicurezza creata attorno alla sua residenza ha come obiettivo nascosto il suo isolamento, con l’intenzione di eliminarlo fisicamente o di portarlo in un luogo sconosciuto“, ha detto in sostanza Jacquemain Shabani.
Da parte sua, il governo nega e ribadisce che la polizia è lì per proteggere la popolazione. In seguito ad un incontro con una delegazione dell’opposizione, il vice primo ministro e ministro degli interni e della sicurezza, Adolphe Lumanu, ha annunciato che l’apparato di sicurezza creato tra il 20 e il 23 dicembre intorno alla residenza di Etienne Tshisekedi, sarà ridotto dopo valutazione delle modalità pratiche. Per il ministro degli interni, il leader dell’UDPS è libero e il dispositivo di sicurezza è stato predisposto nell’interesse dell’ordine pubblico e della protezione di Tshisekedi stesso.
Il 31 dicembre, dalla sua residenza a Kinshasa, dove una trentina di persone si erano recate per presentargli i loro auguri, Etienne Tshisekedi ha dichiarato alla stampa che “non c’è assolutamente alcuna crisi” in RDCongo, di cui si è proclamato “presidente eletto”, contestando la discussa vittoria del Capo dello Stato uscente Joseph Kabila.
“Non c’è assolutamente nessuna crisi alla guida del Congo”, ha dichiarato alla stampa il leader dell’UDPS, precisando: “Per governare occorrono due cose. Prima di tutto, è necessario avere la legittimità, e io l’ho già ricevuta dal popolo congolese. La seconda cosa necessaria è ciò che si chiama l’imperium, cioè il controllo sulla forza pubblica. Le cose si sistemeranno. Non c’è crisi alcuna crisi ai vertici del Congo“.
Etienne Tshisekedi ha poi sottolineato la necessità di “dar tempo” alle forze di sicurezza, affinché “capiscano che la legittimità ha cambiato persona: non è più Kabila, ma Tshisekedi” che dirige la RDCongo.
Circa l’arrivo degli esperti internazionali per monitorare la compilazione dei risultati delle legislative, Tshisekedi si chiede: “Che cosa vengono a fare? Su quale base potranno prendere decisioni? I verbali elettorali sono stati tutti falsificati. Verranno per perdere tempo. Arrivano come turisti“.
4. LA COMPILAZIONE DEI RISULTATI DELLE LEGISLATIVE
Dopo le polemiche sui risultati ufficiali delle elezioni presidenziali, tutt’altro che estinte, sono ora in discussione i risultati delle elezioni legislative.
Organizzate contemporaneamente alle presidenziali del 28 novembre, anch’esse sono oggetto di controversia. I candidati, testimoni e osservatori dichiarano che i risultati finora pubblicati non riflettono la verità delle urne.
Questi risultati non sono conformi a quelli esposti nei seggi, il giorno dopo le elezioni.
Nella compilazione dei risultati delle legislative, i funzionari della CENI sono stati accusati di falsificare i risultati a favore di alcuni candidati.
I centri di raccolta dei risultati sono stati inondati da candidati che vi girano attorno come avvoltoi.
Alcuni funzionari della Ceni sono sotto pressione per invertire i risultati e tolgono voti ad alcuni candidati per aggiungerli ad altri.
Alcuni candidati sostengono di avere prove “schiaccianti” di falsificazione dei verbali elettorali a favore di alcuni candidati.
A volte i risultati arrivati al centro di raccolta non corrispondono a quelli registrati nei seggi elettorali. In alcuni distretti, i testimoni dei partiti sono esclusi dal conteggio dei voti e dalla compilazione dei risultati. Atti non patriottici e disonesti che mirano solo a distorcere il voto e a falsificare la verità delle urne.
Un’altra constatazione: l’esuberanza, la gioia anticipata, l’arroganza di alcuni candidati che già gridano a gran voce la loro “vittoria”. Ne sono assolutamente convinti, come se il voto non servisse più a nulla e, in un linguaggio pervertito, dicono che “non vedono come sia possibile che perdano le elezioni”, avendo già una lunga “esperienza” in questo tipo di competizione (sic). È come se tutto sia già stato previsto per falsificare la verità delle urne. Si è già fatto il letto per cascate di contestazioni, soprattutto sapendo che ci sono 18.386 candidati per i soli 500 seggi disponibili per la Camera dei deputati nazionali. I frustrati non sono necessariamente tutti dei chierichetti per accettare ingenuamente tali risultati. Si potrebbero quindi verificare scontri in molte province e la crisi politica, che si complica ogni giorno di più, non potrà che aumentare.
Il 16 dicembre, la Ceni ha deciso di interrompere temporaneamente il lavoro di raccolta dei risultati delle legislative in tutti i centri locali di compilazione dei risultati (CLCR). Il vicepresidente della commissione, Jacques Djoli, dichiara che la decisione è stata presa per “cercare di reimpostare l’attività degli impiegati, al fine di garantire l’espressione della sociologia elettorale come espressa nelle urne“. Ha inoltre annunciato la firma di un accordo tecnico con la Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione della RDC (MONUSCO), al fine di limitare probabili manipolazioni dei risultati presso i centri locali di compilazione dei risultati (CLCR).
Il 21 dicembre, la Ceni ha sospeso la compilazione dei risultati delle legislative fino all’arrivo di equipe di supervisione e di supporto tecnico a livello internazionale. In un comunicato, la Ceni riferisce di “numerose denunce ricevute da parte di candidati e organizzazioni politiche“. La CENI aveva iniziato a pubblicare sul suo sito web i risultati provvisori di trenta circoscrizioni, ma la pubblicazione dei risultati delle altre 140 circoscrizioni resta “subordinata alla presa in esame delle contestazioni pervenute e risolte”. La Ceni ordina, inoltre, ai centri locali di compilazione dei risultati che hanno già completato le operazioni di compilazione e inviato i verbali e i fogli di compilazione, di “non esporre i risultati” fino alla loro conferma. Ma ha dichiarato che continuerà a pubblicare i risultati parziali dei centri che hanno completato la compilazione, trasmesso e affisso i risultati e le cui operazioni non sono state oggetto di contestazione. La Ceni afferma, inoltre, che non pubblicherà i risultati contestati, finché non ha preso in esame le contestazioni stesse.
Jacques Djoli, vice presidente della CENI, ha sottolineato, in particolare, la “enorme pressione” esercitata sui CLCR dai 19.000 candidati che si sono presentati per solo 500 seggi disponibili all’Assemblea nazionale dei Deputati.
Secondo lui, la Missione delle Nazioni Unite nella RDC (MONUSCO) dovrebbe ora lavorare in “collaborazione” con le equipe della CENI per la compilazione dei risultati e la Gran Bretagna e gli Stati Uniti potrebbero fornire un aiuto.
Richiesto dalla Ceni, il gruppo tecnico internazionale l’aiuterà a convalidare i risultati delle legislative già compilati, a prendere in esame le varie contestazioni dei risultati e ad appoggiare le equipe che operano nel settore.
Secondo Martin Munkokole, membro dell’opposizione, la decisione presa dalla Ceni di sospendere la compilazione dei risultati elettorali sarebbe dovuto essere presa in precedenza e per le due elezioni, perché sono entrambi marcate da irregolarità.
Il 27 dicembre, la Ceni ha annunciato la ripresa della compilazione dei risultati delle legislative per l’indomani, 28 dicembre, ancor prima dell’arrivo degli esperti internazionali attesi in vista di assicurare la trasparenza delle operazioni. La CENI ha aggiunto che continuerà la pubblicazione dei risultati che non sono oggetto di una contestazione ritenuta documentata.
Sono in corso delle discussioni con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che hanno offerto l’assistenza tecnica di esperti, ma né la Ceni, né le autorità di questi paesi non sono ancora in grado di precisare la data di arrivo, il mandato specifico e il numero di questi esperti. Un funzionario del Dipartimento di Stato americano ha affermato che l’Agenzia Federale americana per l’assistenza allo sviluppo, l’USAID, sta contattando diverse organizzazioni e che il gruppo degli esperti arriverà a Kinshasa nella prima settimana di gennaio. Non ha, però, specificato se questi esperti proverranno da organizzazioni come il Centro Carter, l’International Republican Institute e il National Democratic Institute, che hanno esperienza in questo campo.
La ripresa della compilazione dei risultati delle legislative da parte dei CLCR, prima dell’arrivo degli esperti internazionali, ha sollevato una serie di interrogativi. È questione di tempo? Tesi plausibile ma negoziabile.
La CENI guadagnerebbe molto in fiducia e credibilità, se ritardasse di qualche giorno la pubblicazione dei risultati prevista per il 13 Gennaio 2012. L’ha già fatto per le elezioni presidenziali. Perché non con le legislative? Per il campo di Etienne Tshisekedi, gli esperti dovrebbero interessarsi anche dei risultati delle presidenziali. “È un po’ strano far venire degli internazionali solo per le legislative. La stessa problematica riguarda anche le elezioni presidenziali. Le due elezioni si sono svolte lo stesso giorno e negli stessi seggi elettorali. Non si può dunque separare le due elezioni”, ha affermato Albert Moleka, responsabile della segreteria di Etienne Tshisekedi.
Il 3 gennaio, la CENI ha pubblicato i risultati parziali delle elezioni legislative relativi a 89 su 169 circoscrizioni elettorali. Sono così già noti 219 dei 500 Deputati che compongono la prossima Assemblea Nazionale.
Il Partito del Popolo per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD), della Maggioranza Presidenziale (MP), risulterebbe in testa con 32 deputati, seguito dall’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS) di Etienne Tshisekedi, con venti deputati. Il PPPD, un partito della MP creato alla vigilia delle elezioni presidenziali e legislative del 28 novembre, otterrebbe 16 seggi.
Il Movimento per la Liberazione del Congo (MLC) di Jean-Pierre Bemba avrebbe già tre deputati.
Il Movimento Sociale per il Rinnovamento (MSR), il Partito Lumumbista Unificato (Palu) e l’Alleanza per il rinnovamento del Congo (ARC), tre partiti che hanno sostenuto la candidatura di Joseph Kabila nelle elezioni presidenziali, hanno ottenuto rispettivamente dodici, nove e otto deputati.
L’Unione per la Nazione Congolese (UNC) di Vital Kamerhe e l’Unione delle Forze per il Cambiamento (UFC) di Leon Kengo wa Dondo, due partiti dell’opposizione, hanno già ottenuto sei e tre seggi rispettivamente.
Il 4 gennaio, alcuni esperti internazionali sono arrivati a Kinshasa per studiare la fattibilità di una revisione più ampia del processo di compilazione dei risultati delle elezioni parlamentari del 28 novembre. Si tratta di un piccolo team di esperti elettorali forniti da due organizzazioni statunitensi, il National Democratic Institute (NDI) e la Fondazione Internazionale per i Sistemi Elettorali (IFES). Dovrebbe rimanere nella RDCongo per un periodo di circa tre settimane.
La cerimonia di giuramento di Joseph Kabila, il 20 dicembre, si è svolta in un clamoroso deserto diplomatico. I Capi di Stato – tra cui quelli africani – hanno delegato i propri primi ministri o loro ministri o gli ambasciatori già in sede. Perché queste assenze? Poiché le elezioni presidenziali del 28 novembre non sono state credibili, afferma Vital Kamerhe, membro dell’opposizione. All’origine di queste grandi diserzioni internazionali, ci stanno naturalmente i rapporti molto critici degli osservatori elettorali dell’Unione Europea e del Centro Carter.
Come uscire dall’impasse? I due principali avversari di Joseph Kabila, Etienne Tshisekedi e Vital Kamerhe, propongono che la comunità internazionale contribuisca a costituire una “commmissione di verifica” dei risultati delle elezioni presidenziali. Si dovrebbe riesaminare tutto: le liste degli elettori, i voti per derogazione e, naturalmente, il conteggio delle schede elettorali.
“Abbiamo bisogno di questa commissione per rifare il conteggio dei voti”, ha dichiarato Kamerhe. Anche tre ONG americane, International Crisis Group, Enough Project e Eastern Congo Initiative promuovono l’idea di una mediazione internazionale. Ma il campo Kabila non vuole sentirne parlare.
E, quindi, le capitali occidentali hanno deciso di mantenere un basso profilo. “Il riconteggio dei voti delle elezioni presidenziali non è possibile“, dice un alto diplomatico a Parigi. Tuttavia, la Francia sta facendo pressione, affinché si possa arrivare ad un conteggio meno disastroso dei voti delle legislative [che hanno avuto luogo lo stesso giorno delle presidenziali]”.
Kamerhe replica immediatamente: “Le elezioni legislative e presidenziali hanno avuto luogo lo stesso giorno e negli stessi seggi elettorali. Se si accetta la proposta della venuta di esperti internazionali per contare i voti delle legislative, perché impedire che si faccia la stessa operazione per le presidenziali?”. Questo episodio la dice lunga sull’imbarazzo dell’Occidente. Sanno che la rielezione di Joseph Kabila è stata “disastrosa”. Ma non vogliono rimescolare le carte. “Ci sono troppi rischi di un nuovo conflitto armato”, dicono alcuni. “Tshisekedi non è frequentabile, non è come Ouattara della Costa d’Avorio“, affermano altri. A Bruxelles, Parigi e Washington, si comincia a pensare: “Se il conteggio delle legislative è trasparente, l’opposizione potrà forse essere in maggioranza alla Camera dei Deputati. Kabila sarà dunque costretto a convivere con un primo ministro che l’obbligherà ad una migliore governabilità“. È lo scenario del Kenya o dello Zimbabwe. Non è poi così sicuro che i milioni di congolesi che hanno votato per Tshisekedi siano d’accordo.
5. LA RIPRESA DEL SERVIZIO TELEFONICO PER SMS
Il 28 dicembre, il governo ha revocato la sospensione del servizio di messaggeria telefonica per SMS. Lo ha detto il presidente del comitato degli operatori di telecomunicazioni della Federazione delle Imprese Congolesi (FEC), Tharcisse Munkidji.
Il governo congolese raccomanda tuttavia agli operatori di telefonia cellulare (Vodacom, Airtel, TIGO, CTC SuperCell, STANDARD TELECOM), di identificare tutti i loro abbonati al fine di agevolare “il governo nel prendere decisioni in materia di ordine pubblico”, ha dichiarato Tharcisse Munkidji.
Egli ha precisato che gli operatori delle aziende delle telecomunicazioni dovranno identificare le perdite economiche durante il periodo di sospensione del servizio e concordare con il governo un risarcimento.
Il servizio SMS era stato sospeso il 3 dicembre, per decisione del governo. Il Vice Primo Ministro e Ministro degli Interni, Adolphe Lumanu, aveva affermato tale misura precauzionale era stata presa per mantenere l’ordine pubblico durante il processo elettorale, evitando la diffusione di voci infondate e, in particolare, di “falsi risultati” circa le elezioni presidenziali del 28 novembre.
Reporters sans frontières (RSF) aveva già inviato, il 22 dicembre, al Vice Primo Ministro e Ministro degli Interni e della Sicurezza, Adolphe Lumanu Mulenda Buana N’sefu, una lettera aperta in cui l’Ong attirava “l’attenzione sul carattere liberticida e abusivo di una tale misura”.
Secondo RSF, “il blocco totale dei servizi di messaggistica telefonica è stata una reazione eccessiva che ricorda le pratiche di certi regimi repressivi. Con l’implementazione di una tale misura, la RDCongo si è aggiunta alla lista dei Paesi che hanno sospeso le telecomunicazioni per mettere a tacere le proteste della popolazione, come l’Egitto, la Siria, la Libia e il Kazakhstan. L’attuale situazione nella RDCongo, tuttavia, non ha precedenti, perché la sospensione delle reti di comunicazione in altri paesi non ha mai superato il periodo di un paio di giorni“. Reporters Sans Frontières dichiara che “il blocco dei servizi telefonici di messaggistica è stata una grave violazione dei diritti garantiti dalla Costituzione e dai trattati internazionali sui diritti umani ratificati dalla RDCongo. I diritti fondamentali alla libera comunicazione e al libero flusso di informazioni sono stati violati da questo provvedimento che ha addirittura ostacolato il lavoro degli osservatori elettorali“. Infine, in nome della libertà di espressione e del diritto di informazione, l’organizzazione ha chiesto al Governo di “adottare le misure necessarie per ripristinare la rete di messaggistica telefonica al più presto possibile“.
Il 28 dicembre, nel suo rapporto annuale del 2011 dal titolo “La libertà di stampa durante le elezioni”, l’Ong per la difesa dei diritti umani Giornalisti in Pericolo (JED) ha denunciato 160 casi di violazioni della libertà di stampa nella RDCongo, di cui circa la metà sono stati registrati durante il periodo elettorale, soprattutto da ottobre a dicembre. Nel 2010, JED aveva registrato 87 casi.
Secondo l’ONG congolese, la repressione sui mezzi di comunicazione e giornalisti si rivela in minacce e arresti di giornalisti, attacchi contro le sedi dei media (giornali, radio e televisione), sospensioni di emissioni e chiusura degli enti prossimi all’opposizione”.
JED elenca i 160 casi:
1 giornalista ucciso a Kirumba nel Nord Kivu nel giugno 2011
42 arresti di giornalisti
57 casi di minacce e attacchi contro giornalisti
43 casi di censura e restrizioni alla circolazione delle informazioni
17 casi di pressione sui mezzi di informazione
Facendo il confronto tra il 2006 e il 2011 [due anni elettorali], Jed relazione rileva che il numero di violazioni della libertà di stampa è passato da 125 a 160, con un incremento di 35 casi.
“Assistiamo oggi ad un forte deterioramento della libertà di stampa“, ha affermato il Segretario esecutivo della Jed, Tshivis Tshivuadi. Nella parte del suo discorso dedicata all’analisi dell’atteggiamento dei media durante la campagna elettorale, Jed rileva che “nel loro insieme, i media congolesi sono caduti in una frenesia propagandistica che ha occultato il vero dibattito democratico sui candidati e sui programmi“. Jed denuncia anche “la deriva propagandistica degli organi di informazione, tra cui quelli pubblici, a volte marcata da parole e discorsi di incitamento all’odio e alla violenza, in un clima di tensione e di intolleranza politica“.
Secondo Jed, diversi politici e responsabili dei servizi di sicurezza hanno interferito sull’attività dei mezzi di comunicazione durante la campagna elettorale e anche nel periodo post elettorale, in violazione delle prerogative attribuite al Consiglio per i mezzi di comunicazione (CSAC). Queste interferenze, afferma Jed, hanno contribuito al fallimento di tale organismo nell’attuazione della sua missione di protezione del diritto del popolo all’informazione e di promozione della professionalità dei mezzi di informazione.
Jed cita anche il caso dei media chiusi o sospesi oltre i termini, citando Canal Futur TV, Radio Lisanga TV e altri due mezzi di comunicazione in Kasai orientale.
6. IL PRESIDENTE DEL SENATO, VITTIMA DI UN’AGGRESSIONE A PARIGI
Il 31 dicembre, il presidente del Senato, Léon Kengo wa Dondo è stato vittima di un’aggressione, a Parigi, nel corso di una visita privata non segnalata alle autorità francesi che non avevano, quindi, preso particolari misure di sicurezza. Alle17h00 GMT, Kengo era arrivato in treno da Bruxelles a Parigi, Gare du Nord, dove lo aspettava un’auto con autista. Quando stava per salire a bordo del veicolo, è stato aggredito e picchiato da persone connazionali.
“Deploriamo l’aggressione subita da Leon Kengo Wa Dondo“, ha dichiarato Bernard Valero, portavoce del ministero francese degli Esteri, sottolineando però che egli “era arrivato in Francia nel contesto di un viaggio privato di cui le autorità francesi non erano state informate. La polizia gli ha prestato aiuto il più presto possibile e le autorità francesi hanno provveduto a che fosse immediatamente ricoverato in ospedale, per le cure mediche necessarie“.
Riunito in sessione speciale, il Comitato centrale del Senato congolese ha condannato “quest’atto barbarico” e ha chiesto alla diaspora congolese “di Francia, Belgio e Regno Unito di fare propri i valori repubblicani per esprimere attraverso i canali legali le loro rivendicazioni, sia politiche che sociali”.
L’UDPS di Etienne Tshisekedi ha smentito l’implicazione dei suoi militanti nell’attacco al Presidente del Senato Leon Kengo wa Dondo. Serge Mayamba, segretario nazionale dell’UDPS per le relazioni con le forze politiche e sociali, ha deplorato e condannato il “deprecabile” atto e ha affermato che si dovrebbe parlare di Congolesi all’estero piuttosto che di militanti dell’UDPS. “I Congolesi dell’estero attaccano tutti coloro che lavorano contro i loro interessi. Vogliono il cambiamento e lottano per la democrazia e la costituzione di uno Stato di diritto nella RDC. Si tratta di un fenomeno di presa di coscienza da parte del popolo congolese”, ha detto aggiungendo che l’UDPS è sempre stato contro la violenza.
Secondo alcuni osservatori, gli aggressori potrebbero essere certi membri della diaspora congolese che si oppongono al presidente Joseph Kabila e sono più favorevoli a Etienne Tshisekedi. È in corso un’inchiesta della polizia francese.
Leon Kengo aveva chiesto l’annullamento delle elezioni presidenziali, a causa delle irregolarità e frodi constatate. Ma aveva partecipato alla cerimonia del giuramento di Joseph Kabila, il 20 dicembre, forse perché presidente ancora in funzione del Senato. Per i “combattenti” della diaspora, “l’oppositore della 25ª ora” tornerà ad appoggiare Joseph Kabila. Infatti, molte voci fanno il suo nome come prossimo primo ministro di Joseph Kabila. Un modo come un altro per il “presidente rieletto” di fare un “gesto” a basso prezzo nei confronti dell’opposizione.