Editoriale a cura della Rete Pace per il Congo
Due pretesi vincitori
Il 20 dicembre 2011, Joseph Kabila ha prestato giuramento come Presidente della Repubblica. Ma Etienne Tshsekedi ha annuncia che farà la stessa cosa, domani, venerdì 23 dicembre, nello Stadio dei Martiri a Kinshasa.
Fra i Paesi esteri, nessuno vuole mettere in dubbio la vittoria di Kabila. La Comunità internazionale, particolarmente gli stati o le istituzioni più vicini alla RD Congo, come USA, Gran Bretagna, Belgio, Unione Europea, hanno mostrato di accogliere a denti stretti il preteso esito delle urne, dichiarando dapprima di sperare in una verifica dei risultati da parte della Corte suprema di Giustizia e infine disertando la cerimonia d’investitura, cui hanno delegato i loro ambasciatori. I governi africani hanno delegato i loro ministri. Solo Mugabe dello Zimbabwe era presente, anche lui rimasto disinvoltamente al potere dopo elezioni discutibili.
Dopo il voto, Tshisekedi non ha fatto discorsi incitanti alla violenza, ma ha rifiutato di ricorrere alla Corte, considerata pro-Kabila, è rimasto sulla sua pretesa di vittoria e dichiara procedere di conseguenza, senza dialogo con l’avversario. L’UDPS, il suo partito, propone manifestazioni pacifiche nel Paese. Lo saranno realmente? Come reagirà l’antagonista, che gestisce forze militari spesso senza scrupoli? Che ne sarà della gente? Non farà forse la fine dell’erba calpestata dai due elefanti che si battono?
Scivolando verso una violenza generalizzata
Che oltre a irregolarità dovute a carenze organizzative, ci siano state delle frodi è universalmente dichiarato dagli osservatori. Che queste frodi siano state in maniera importante commesse dai Kabilisti, è pure voce unanime. Che la mano dura l’abbia finora usata il presidente uscente è pure un dato di fatto.
Che succederà ora? Il rischio è l’impedimento con le maniere forti del raduno di domani allo Stadio dei Martiri, il rischio sono altri uccisi, che s’aggiungeranno alle decine di uccisi queste settimane da parte di esercito e polizia. Il rischio è che tutto il Paese s’infiammi. Non esiste nel Paese una figura carismatica come un Martin Luther King, che mobiliti e educhi a una lotta nonviolenta. Esiste piuttosto in molti il senso di essere arrivati al limite della sopportazione, che può portare a scelte radicali.
Al contempo, all’est, un sedicente movimento di resistenza all’occupazione lancia i suoi proclami invitando alla mobilitazione generale e armata, per finirla una buona volta con l’occupazione del Paese da parte di Ruanda e Uganda e dei loro padrini in America e in Europa, e con l’esproprio delle sue ricchezze.
La via violenta ha sufficientemente provato alle popolazioni dell’Est del Paese di portare con sé sofferenza enorme, distruzioni e lutti. Nella lotta armata, gli ideali più puri si sono generalmente corrotti, al punto che alla fine la popolazione si è trovata fra banditi da ogni parte. Ciò che potrebbe però far sorgere una nuova manovalanza per i massacri è la condizione di miseria e di mancanza di lavoro in cui versa la maggior parte dei giovani.
La fragilità della popolazione dell’Ovest nei confronti di una nuova avventura armata è invece il fatto di non aver conosciuto se non di striscio la guerra e di aver spesso sentito come lontane e quasi estranee le sofferenze dell’Est.
Cercare alternative
A tutti in questo momento è chiesto di riflettere, di cercare, proporre e mettere in atto strategie alternative.
Non è più il momento di sostenere l’uno o l’altro candidato perché ritenuto migliore. C’è stato un voto. Sostenere l’uno o l’altro, a questo punto ha senso solo in base a prove precise circa l’esito delle votazioni. Inoltre, dopo il pronunciamento della Commissione Elettorale Nazionale Indipendente confermato dalla Corte Suprema di Giustizia, quale spazio resta di manovra?
Anche se non avesse un effetto pratico, per rispetto alla verità e alla giustizia, occorre comunque ritrovare la verità delle urne. Almeno un po’, perché certe irregolarità sono irrimediabili. Un annullamento delle elezioni è una strada ormai impercorribile, anche per il costo economico di un nuovo processo elettorale. Del resto, la frana è cominciata il 15 gennaio 2011 quando passò la modifica costituzionale che abolì il secondo turno delle elezioni presidenziali.
Tenuto conto delle proposte avanzate da Paesi, associazioni e reti e singole persone, come Pace per il Congo facciamo le seguenti proposte:
A immediata scadenza:
1. Si esiga con tutta energia al Presidente Joseph Kabila e al suo Governo di non ricorrere a misure di violenza indiscriminata e sproporzionata per reprimere l’espressione della popolazione civile, cui l’esercito e la polizia dello Stato sono al servizio.
2. Sia chiesto ai due contendenti e alle forze politiche ad essi alleate un dialogo nello sforzo di chiarezza e per il bene del Paese.
3. Si potrebbe rivedere il conteggio dei risultati degli uffici di voto, grazie anche alla presenza di migliaia di osservatori nazionali al momento del voto e del conteggio. In questo momento di polarizzazione, sembrerebbe utile l’aiuto di una commissione internazionale di verifica, accettata dalle due parti, con una scadenza ben precisa.
4. Dovrebbe subito essere messa in atto una vigilanza accurata nei riguardi del conteggio dei voti delle elezioni legislative, dato che già si denunciano consistenti brogli.
5. Tenendo conto del numero comunque importante di consensi riconosciuti a Tshisekedi, una pressione internazionale dovrebbe essere fatta su Joseph Kabila perché si trovi una forma di condivisione del potere, se non con Tshisekedi stesso, dato il suo linguaggio aut-aut, almeno con qualcuno del suo partito.
6. La democrazia agisca nel controllo degli eletti, attraverso l’impegno formativo di tutti: società civile, istituzioni educative e confessioni religiose.
In prospettiva:
7. Tutte le istituzioni educative, religiose e laiche, si mettano all’opera per far avanzare la democrazia attraverso una formazione ed esperienze di base.
8. Si faccia del resto del processo elettorale una scuola per i futuri appuntamenti che riguarderanno l’intero Paese.
Che la stampa e i responsabili politici internazionali non lascino sola la RD Congo in questo momento cruciale. Sul parziale fallimento di questo processo elettorale pesa anche una lunga storia di sfruttamento internazionale delle ricchezze del Paese e un’ambiguità della politica internazionale che si piega ai dettami dell’interesse. Si avvitano allora processi malati che rendono più arduo per un popolo il cammino verso la libertà.