LA RICOMPARSA DEL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)
Rivalità regionali, politica dei Paesi donatori e blocco del processo di pace (1ª parte)
Ebuteli – Gruppo di studio sul Congo (GEC) – Rapporto agosto 2024
INDICE
RIASSUNTO
INTRODUZIONE
1. IL CONTESTO STORICO
1.1. Prologo: la sconfitta del primo M23 (2012-2013)
2. LA RICOMPARSA DELL’M23 (2021 – 2023)
2.1. La gestione dell’M23: un governo più debole di un M23 sconfitto
2.2. La ricomparsa dell’M23
2.3. Negoziare – combattere – negoziare: escalation e diplomazia
2.4. Riavvicinamento tra l’Uganda e il Ruanda; Alleanze dell’esercito congolese con dei gruppi armati
2.5. La risposta internazionale: i processi di pace di Nairobi e di Luanda
2.6. L’offensiva dell’esercito congolese (da ottobre 2022)
RIASSUNTO
Nel mese di novembre 2021, il gruppo armato del Movimento del 23 marzo (M23) ha ripreso le ostilità nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e, più precisamente, nella provincia del Nord Kivu. Da allora, circa 1,7 milioni di persone sono state costrette a fuggire dai loro villaggi, il che ha contribuito ad aggravare la crisi umanitaria.
L’M23 è diventato il perno delle rivalità geopolitiche tra la RDC, il Ruanda e l’Uganda.
L’impulso principale della ripresa delle ostilità da parte dell’M23 sembra essere esterno alla RDC. L’M23 appare come un mezzo nelle mani del Ruanda che ha voluto manifestare il proprio dissenso nei confronti dell’Uganda e la debolezza dello Stato congolese ha aggravato questa crisi, che ha radici profonde anche a livello locale. Anche dopo il miglioramento, all’inizio del 2022, delle relazioni tra i due paesi, il Ruanda e l’Uganda, l’appoggio ruandese all’M23 è continuato ed è aumentato man mano che questo gruppo armato guadagnava terreno. La reazione del governo congolese ha ulteriormente peggiorato la crisi in corso.
In seguito all’inefficacia del suo esercito, il governo congolese è ricorso all’intervento di società di sicurezza private e alla collaborazione di gruppi armati locali e stranieri. Il fatto che questi gruppi armati e l’M23 reclutano i loro combattenti su basi etniche ha intensificato le tensioni tra le varie comunità etniche e le violenze contro le popolazioni civili.
Contrariamente alle narrazioni del governo ruandese e dello stesso M23, secondo cui l’M23 ha ripreso le ostilità in reazione alla violenza anti-tutsi e alla collaborazione tra il governo congolese e le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), è piuttosto la ripresa delle ostilità da parte dell’M23 che ha portato al rafforzamento di questi fenomeni. Infatti, si può affermare che è stato l’M23 ad esacerbare quei mali da esso citati e non il contrario, cioè che l’M23 sia ricomparso in reazione a quei mali. Tuttavia, è pur sempre necessario che il governo congolese condanni e sanzioni tutti gli atteggiamenti di incitamento all’odio, anche all’interno della sua coalizione politica, e cessi il suo appoggio ai gruppi armati.
La reazione internazionale è stata molto e troppo debole. Benché quasi tutti i principali Paesi occidentali abbiano condannato pubblicamente l’appoggio del Ruanda all’M23, queste condanne non hanno avuto conseguenze materiali significative sul regime ruandese. Dato che i Paesi occidentali forniscono al Ruanda ingenti aiuti esterni, equivalenti al 74% del suo bilancio, il non avere utilizzato questo dato, nonostante le informazioni di cui dispongono, conferisce loro una notevole parte di responsabilità nell’attuale crisi dell’Est della RDC. Ci si sarebbe aspettato che essi avessero potuto pensare a qualche tipo di sanzioni nei confronti di questo Paese. Non è stato così. Anzi, è successo l’esatto contrario. Nonostante la ripresa delle ostilità da parte dell’M23 appoggiato dal Ruanda, il Regno Unito ha firmato un controverso accordo con il Ruanda per l’estradizione dei richiedenti asilo; il Commonwealth ha tenuto la sua riunione semestrale dei capi di stato a Kigali; l’Unione Europea (UE) ha fornito 20 milioni di euro all’esercito ruandese (Rwanda Defence Force / RDF), come aiuto per le sue operazioni in Mozambico e le Nazioni Unite hanno organizzato una serie di incontri in Ruanda.
Per affrontare la crisi e cercare di trovare soluzioni, sono state avviate due iniziative complementari. La prima a Nairobi (capitale del Kenia), guidata dalla Comunità dell’Africa dell’Est (EAC). Essa si concentra sulla dimensione nazionale e ha due componenti: la facilitazione di trattative tra il governo congolese e i gruppi armati locali da una parte e il dispiegamento – seppure per un breve periodo – di un contingente militare, la Forza Regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EACRF) dall’atra. La seconda, che si svolge a Luanda (capitale dell’Angola) sotto gli auspici dell’Unione Africana (UA) e con la mediazione del presidente angolano, cerca di risolvere diplomaticamente la crisi esistente tra la RDC e il Ruanda, che si accusano vicendevolmente di appoggiare i loro rispettivi gruppi armati di opposizione, il Movimento del 23 marzo (M23) e le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR). Tutte e due queste iniziative di pace incontrano grandi difficoltà.
L’EACRF si è ritirata alla fine del 2023 su richiesta del governo congolese, che l’ha accusata di passività nei confronti dell’M23, ed è stata progressivamente sostituita dalla Missione della Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe nella RDC (SAMIDRC), una forza militare della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC).
La situazione rimane ancora bloccata, perché c’è un disaccordo fondamentale. Da parte sua, il governo congolese considera l’M23 come un movimento politico militare fomentato e appoggiato illegalmente dal Ruanda e rifiuta ogni tipo di negoziati con esso. La Comunità internazione, l’ONU e i paesi della regione auspicano invece un compromesso negoziato tra il governo congolese e l’M23, convinti che la soluzione definitiva al conflitto non può essere di tipo militare, ma politico.
Per uscire da questo impasse, considerato il ruolo svolto dal Ruanda nell’attuale crisi dell’M23, l’aumento della pressione, anche finanziaria, sul Ruanda, da parte della comunità internazionale sarebbe il primo passo più ovvio per costringere il Ruanda a ritirare le sue truppe dal territorio congolese e a mettere fine al suo appoggio all’M23, costringendo in tal modo quest’ultimo a ritirarsi dalle posizioni che attualmente occupa e ad aderire al programma di disarmo e di reinserimento sociale.
Anche il governo congolese ha delle responsabilità, dal momento in cui l’M23 non è che un elemento di una crisi molto più ampia. Se non è stato il sentimento anti-tutsi a provocare questa nuova guerra, si nota però che un certo tipo di pregiudizi nei confronti di questa comunità era già presente in passato e si è intensificato a partire dalla ripresa delle ostilità da parte dell’M23. Il governo congolese dovrebbe pertanto condannare la discriminazione e promuovere il ritorno di quelle decine di migliaia di Tutsi che vivono ancora nei campi profughi allestiti nei paesi vicini. Più in generale, dovrebbe investire nella riconciliazione delle comunità etniche e nella riforma agraria. In effetti, da quando la guerra è iniziata a metà degli anni 1990, poco è stato fatto per affrontare questi problemi. Più in generale, il governo congolese dovrebbe intraprendere un’iniziativa politica di dialogo con tutti i gruppi armati – ce ne sono più di un centinaio nell’est della RDC – che comprenda il disarmo e il reinserimento sociale dei loro membri, la riconciliazione delle varie comunità etniche, il ritorno dei rifugiati, lo sviluppo economico e la riforma del settore della sicurezza. È chiaro che l’approccio attuale della gestione della crisi non ha funzionato e che occorre adottarne uno nuovo, con maggiore determinazione e volontà politica.
INTRODUZIONE
Dopo più di otto anni di relativa inattività, l’M23 è ricomparso nel Nord Kivu a partire da novembre 2021. Da allora, nonostante le varie iniziative diplomatiche, questo gruppo armato si è notevolmente rafforzato, passando da un gruppo di poche dozzine di combattenti confinati ai piedi del Monte Sabinyo, nei pressi della frontiera tra la RDC, il Ruanda e l’Uganda, a una forza militare di migliaia di combattenti, che occupano attualmente ampie zone della provincia del Nord Kivu.
Al momento della stesura di questo rapporto, l’M23 controlla importanti località del Nord Kivu, tra cui Rutshuru, Kanyabayonga, Kitshanga e Masisi, oltre tutti gli accessi stradali alle città di Sake e di Goma.
L’M23 non è l’unico gruppo armato presente nell’est della RDC. Ce ne sono più di un centinaio, tra cui l’Alleanza delle Forze Democratiche (ADF) e la Cooperativa per lo Sviluppo del Congo CODECO). Tuttavia, è l’M23 che ha attirato su di sé la maggiore attenzione. Nessun altro gruppo controlla e amministra un territorio così vasto e strategico, come riesce a fare l’M23, che minaccia di occupare anche la città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. Nessun altro gruppo armato, oltre l’M23, usufruisce di un appoggio così significativo da parte di un governo estero. L’M23 rappresenta anche un forte simbolismo, dato il ruolo svolto dai suoi dirigenti nelle passate ribellioni.
Questo studio analitico tenta di situare l’M23 nel suo contesto storico, politico nazionale e geopolitico regionale. In particolare, cerca di comprendere i fattori che hanno condotto all’appoggio del governo ruandese a questo gruppo armato, all’inefficacia delle operazioni intraprese dal governo congolese e al fallimento delle iniziative di pace promosse dalla comunità internazionale.
Il rapporto è suddiviso in tre parti. Nella prima si ripercorre la storia del Movimento del 23 marzo (M23) a partire dal suo inizio nel 2012, con particolare attenzione al periodo più recente. Nella seconda parte, si analizzano le azioni e gli interessi delle diverse parti in conflitto, al fine di comprendere meglio perché non si sia ancora arrivati a una soluzione della crisi. Il rapporto si conclude con alcune considerazioni di tipo politico.
1. IL CONTESTO STORICO
1.1. Prologo: la sconfitta del primo M23 (2012-2013)
L’M23 è sorto in aprile 2012 in seguito a un ammutinamento di ufficiali dell’esercito congolese, prevalentemente di lingua ruandese e in servizio nel Nord Kivu e nel Sud Kivu. Molti di loro erano ex membri di altri movimenti politico-militari precedenti appoggiati dal Ruanda e attivi nel Kivu. Bosco Ntaganda, Sultani Makenga e la maggior parte degli altri alti ufficiali erano stati membri prima del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), che prese il potere in Ruanda nel 1994, poi dell’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo / AFDL (1996-1997), del Raggruppamento Congolese per la Democrazia / RCD (1998-2003) e, infine, del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo / CNDP (2004-2008).
Quest’ultimo, il CNDP, era stato smantellato in seguito a un accordo tra esso e la RDC firmato il 23 marzo 2009, data che ha poi dato il nome all’M23. Il suo comandante, Laurent Nkunda, era stato arrestato e posto agli arresti domiciliari a Kigali, mentre i suoi ufficiali avevano ottenuto incarichi di rilievo all’interno delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) nel Nord Kivu e nel Sud Kivu. Bosco Ntaganda fu nominato vice comandante delle operazioni militari nell’est della RDC e Sultani Makenga vice comandante della regione militare del Sud Kivu.
Due fattori principali portarono alla creazione dell’M23 tre anni dopo l’accordo del 2009, cioè nel 2012. In primo luogo, il governo congolese voleva sbarazzarsi di quegli ufficiali dell’ex CNDP che, in seguito all’accordo del 2009, avevano preso il controllo su ampie fasce dell’esercito stanziato nel Kivu. All’inizio del 2012, Kinshasa aveva iniziato a pianificare l’invio di molti ufficiali di alto rango fuori dal Kivu, in altre province dello Stato. In secondo luogo, dopo le caotiche elezioni del 2011, nella volontà di affermare la sua “legittimità” politica e sotto la pressione internazionale, il presidente Joseph Kabila aveva preso dei provvedimenti per fare arrestare il generale Bosco Ntaganda (ex CNDP), per il quale la Corte Penale Internazionale (CPI) ) aveva emesso un mandato di cattura internazionale.
Appoggiato dal governo ruandese, l’M23 era riuscito a conquistare la città di Rutchuru in luglio 2012 e la città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, in novembre 2012. La caduta di Goma nelle mani dell’M23 aveva provocato una forte reazione internazionale e aveva segnato l’inizio della fine dell’M23 stesso, costretto a ritirarsi dalla città otto giorni dopo. Infatti, nel frattempo, il Ruanda era stato sottoposto a intense pressioni diplomatiche da parte della comunità internazionale, pressioni che si erano concretizzate nella sospensione di un aiuto di oltre 200 milioni di dollari, ciò che aveva indotto Kigali a mettere fine al suo appoggio all’M23.
Sotto la pressione militare dell’esercito congolese appoggiato dalla Forza della Brigata di Intervento (FIB) della MONUSCO, composta da 3.000 soldati provenienti da Sud Africa, Tanzania e Malawi, privato dell’appoggio del Ruanda e dilaniato da un conflitto interno di leadership tra Makenga e Ntaganda, l’M23 fu costretto a fuggire oltre le frontiere congolesi e a riconoscere la propria sconfitta il 5 novembre 2013. L’M23 si è trovato così diviso in due fazioni, una guidata da Sultani Makenga e basata in Uganda, l’altra guidata da Jean-Marie Runiga e basata in Ruanda.
Tuttavia, sotto la pressione dei paesi della regione dei Grandi Laghi e della comunità internazionale e dopo brevi trattative, nel mese di dicembre 2013 , il governo congolese e l’M23 firmarono due dichiarazioni separate che, secondo il governo, non erano degli accordi vincolanti. Secondo la sua dichiarazione, il governo congolese avrebbe concesso a certi membri dell’M23 un’amnistia per atti di guerra e di insurrezione nel caso in cui avessero rispettato determinate condizioni e avrebbe assicurato il ritorno dei rifugiati e la restituzione delle loro proprietà. Il governo congolese non ha mai adempiuto gli impegni assunti in quella sua dichiarazione; la minaccia militare dell’M23 era scomparsa e il governo non vedeva la necessità di applicare dei provvedimenti che avrebbero potuto comportare delle riforme politicamente costose o addirittura pericolose.
Nel frattempo, molti combattenti delle due fazioni dell’M23 hanno deposto le armi e sono ritornati a casa loro nel Kivu, mentre alcune centinaia sono rimasti in campi militari del Ruanda e dell’Uganda. Tuttavia, nel 2016, alcune decine di combattenti M23 guidati da Sultani Makenga hanno lasciato l’Uganda e si sono stabiliti nella RDC, sulle pendici del monte Sabinyo. Negli anni successivi, questo gruppo si è varie volte scontrato con l’esercito congolese, fino ad abbattere due suoi elicotteri nel 2017, ma la sua presenza è rimasta nei limiti di una piccola zona per vari anni.
2. LA RICOMPARSA DELL’M23 (2021 – 2023)
2.1. La gestione dell’M23: un governo più debole di un M23 sconfitto
In gennaio 2019, in seguito a controverse elezioni presidenziali, Félix Tshisekedi ha prestato giuramento come nuovo Presidente della Repubblica. La maggior parte degli osservatori concorda sul fatto che, nelle elezioni, egli sia arrivato secondo e che abbia concluso un accordo con il presidente uscente Joseph Kabila.
L’accordo ha concesso a Tshisekedi la presidenza, ma ha permesso alla coalizione dell’ex presidente Kabila di conservare la maggioranza parlamentare e di ottenere molti ministeri, sia nel governo nazionale che nei governi provinciali. I primi anni dell’amministrazione Tshisekedi avrebbero potuto essere l’occasione buona per affrontare e risolvere il problema dell’M23 perché, in quel periodo, esso si trovava in una situazione di debolezza. Tuttavia, la mancanza di una minaccia imminente da parte dell’M23 nei confronti del governo centrale ha impedito a quest’ultimo di percepire la necessità e l’urgenza di dovere risolvere la questione M23 in modo definitivo.
Dato che molti dirigenti dell’M23 erano fuggiti in Ruanda e in Uganda, il governo congolese ha ritenuto normale tendere la mano a questi due Paesi. Un primo incontro ha avuto luogo a Kigali nel mese di ottobre 2019, tra Delphin Kahimbi, capo dei servizi di intelligence all’interno dell’esercito congolese, Jean-Marie Runiga, responsabile politico dell’ex M23 fuggito in Ruanda, e Anaclet Kalibata, direttore del Servizio nazionale di intelligence e di sicurezza ruandese (NISS). Essi si accordarono sul principio che i membri dell’ex M23 potessero essere reintegrati nell’esercito congolese, con i gradi acquisiti durante la ribellione e dopo un periodo di riqualificazione. In una riunione successiva, sempre in ottobre 2019, essi concordarono una tabella di marcia sui seguenti punti: la revoca dei mandati di arresto emessi contro i dirigenti dell’M23, la liberazione dei membri dell’M23 arrestati per insurrezione e la reintegrazione, nell’esercito congolese e nei servizi dei parchi nazionali, di quei membri dell’M23 che si trovassero nelle condizioni concordate.
Tuttavia, questa tabella di marcia non è stata sufficientemente eseguita, il che ha contribuito ad alimentare le tensioni sul terreno. Nel mese di luglio 2020, i combattenti dell’M23 si sono scontrati con l’esercito congolese, uccidendo tre persone. Poi, in ottobre 2020, una delegazione dell’M23 si è recata a Kinshasa. Essa era composta da Lawrence Kanyuka, consigliere politico e portavoce del movimento, Bosco Mberabagabo, detto “Castro”, responsabile della sicurezza e dell’intelligence, e Benjamin Mbonimpa, segretario esecutivo del gruppo. Benché abbiano aspettato vari mesi per essere ricevuti, alla fine essi hanno incontrato il ministro degli Interni, Gilbert Kankonde. Secondo gli estratti di una lettera successivamente pubblicata dall’M23 in febbraio 2021, il ministro Kankonde avrebbe chiesto alla Presidenza della Repubblica di sbloccare 1,3 milioni di dollari, per portare a termine la procedura della loro “resa” entro nove mesi. Non è certo che questi fondi siano stati sbloccati. Dopo aver trascorso quasi un anno a Kinshasa, la delegazione dell’M23 è ripartita per il Kivu in ottobre 2021.
Nel frattempo, il 4 luglio 2021, il presidente Tshisekedi aveva firmato un decreto relativo a un nuovo Programma di Disarmo, Smobilitazione, Ripresa Comunitaria e Stabilizzazione (P-DDRCS) e aveva nominato Tommy Tambwe Rudima come suo coordinatore. Questo programma avrebbe dovuto sostituire il precedente programma di disarmo dei gruppi armati e creare un nuovo quadro di stabilizzazione. La nuova strategia DDR escludeva qualsiasi tipo di amnistia per “crimini di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e qualsiasi altra grave violazione dei diritti umani” e qualsiasi tipo di reintegrazione collettiva dei gruppi armati nell’esercito congolese. Si tratta di due decisioni che avrebbero poi ostacolato eventuali trattative con l’M23. Questi due nuovi orientamenti possono essere interpretati come retroattivi, con la conseguenza che ogni accordo precedente tra il governo e i gruppi armati che contravvenga a queste due nuove disposizioni dovrebbe essere considerato nullo o rinegoziato. Ciò ha quindi rimesso in discussione la tabella di marcia di Kigali del 2019, che prevedeva la reintegrazione in blocco dell’M23 nell’esercito congolese.
2.2. La ricomparsa dell’M23
Il presidente Félix Tshisekedi è salito al potere promettendo che la priorità del suo mandato presidenziale sarebbe stata quelle di porre fine a tutti i conflitti esistenti nel Paese e ha dichiarato di essere “pronto a morire per la pace”. Tuttavia, nel paese, l’insicurezza non ha fatto che aumentare: durante i primi due anni del suo mandato, gli sfollati interni sono aumentati da 5.010.000 a 6.100.000 persone e, per quanto riguarda il Nord Kivu, il Sud Kivu e l’Ituri, la media mensile delle persone civili uccise è aumentata da 132 a 199 vittime.
Il 7 novembre 2021, l’M23 ha attaccato le postazioni dell’esercito congolese nei villaggi di Ndiza, Chanzu e Runyoni, sui fianchi settentrionale e occidentale del Monte Sabinyo, nei pressi della frontiera tra la RDC, il Ruanda e l’Uganda. Quattro militari dell’esercito restano uccisi.
Evidentemente, l’M23 era rimasto frustrato e deluso per la mancanza di progressi nei negoziati con Kinshasa.
Tuttavia, l’impulso principale a questa sua ripresa delle armi è stato dato dalla geopolitica regionale. Il fattore determinante è stato la tensione tra i governi ugandese e ruandese.
Da diversi mesi, Kampala (Uganda) e Kinshasa (RDC) stavano discutendo un piano di collaborazione economica. Il 16 giugno 2021, i due governi avevano firmato un contratto per la riabilitazione di due strade sul territorio congolese: la Kasindi-Beni-Butembo e la Bunagana-Goma, da parte di una società ugandese. La seconda strada si trova a pochi chilometri dalla frontiera ruandese. Inoltre, nel mese di ottobre 2021, i governi ugandese e congolese avevano firmato un memorandum d’intesa che prevedeva delle operazioni militari per assicurare la protezione dei mezzi e del personale addetto alla riparazione delle due strade.
Il 16 novembre, la situazione è drammaticamente cambiata. In un attentato a Kampala (Uganda), almeno quattro persone erano state uccise e 37 ferite, tra cui 27 agenti di polizia. Le autorità ugandesi avevano subito accusato l’Alleanza delle Forze Democratiche (ADF), un gruppo armato di ispirazione islamica e di origine ugandese attivo nel Nord Kivu. Anche lo Stato Islamico, al quale sono affiliate le ADF, aveva rivendicato l’attentato. Pochi giorni dopo l’attentato di Kampala, il presidente congolese Félix Tshisekedi ha concesso al governo ugandese l’autorizzazione per effettuare un’operazione militare contro le ADF in territorio congolese.
Il 20 e 21 novembre, l’M23 ha intensificato i suoi attacchi: un centinaio di combattenti pesantemente armati hanno attaccato la base del Parco Nazionale dei Virunga situata a Bukima, da dove molti turisti partono per andare a vedere i gorilla di montagna.
Il 25 novembre, secondo una fonte diplomatica, il presidente ruandese, Paul Kagame, presente a Kinshasa nell’ambito di un vertice dell’Unione africana, ha chiesto a Félix Tshisekedi di abbandonare il progetto di riabilitazione del tratto stradale Bunagana-Goma.
Il 30 novembre, l’esercito ugandese ha comunque iniziato le sue operazioni militari sul territorio congolese. Denominata “Shujja” (“eroe” in swahili), l’operazione provoca un grave deterioramento dei rapporti tra l’Uganda e il Ruanda.
All’inizio di dicembre 2021, con il tacito accordo di Kinshasa, anche l’esercito burundese dispiega le sue truppe nel Sud Kivu, per combattere e sconfiggere un altro gruppo armato, il RED-Tabara, di origine burundese.
Il 13 dicembre 2021, la polizia nazionale congolese e quella ruandese hanno firmato un memorandum d’intesa per combattere, tra l’altro, “il terrorismo jihadista, il traffico di droga e il contrabbando dei minerali”. Secondo un comunicato stampa della polizia ruandese, si sarebbe dovuto creare un’unità operativa congiunta con sede a Goma. Questo accordo, però, ha suscitato un grande scalpore nell’opinione pubblica congolese. Il 20 dicembre, a Goma, è stata organizzata una manifestazione contro la presenza della Polizia ruandese in territorio congolese. Durante la manifestazione, sono morti tre manifestanti e un agente di polizia. In seguito a questo incidente e nel corso di una conferenza stampa, la Polizia Nazionale Congolese (PNC) ha smentito l’informazione secondo la quale la polizia ruandese sarebbe intervenuta sul territorio congolese, mettendo così in discussione l’accordo firmato.
Queste dinamiche simultanee hanno fatto sì che il governo ruandese si sentisse vulnerabile e isolato dagli altri Paesi della regione. In quel tempo, alcuni agenti dell’intelligence ruandese avevano affermato di temere che l’Uganda utilizzasse la sua presenza nella RDC per destabilizzare il loro paese. Negli ultimi anni, i due paesi (il Ruanda e l’Uganda) si sono accusati a vicenda di tentativi di destabilizzazione dei loro rispettivi Paesi, mediante appoggio ai loro rispettivi gruppi armati di opposizione, sequestri di persone e infiltrazioni di agenti dell’intelligence.
Quando, a fine 2021, l’Uganda e il Burundi hanno iniziato le loro operazioni militari nella RDC, il Ruanda si è sentito come sotto assedio.
L’8 febbraio 2022, in un discorso pronunciato durante l’insediamento del suo governo, il presidente ruandese Paul Kagame ha lanciato ai Paesi limitrofi il seguente avvertimento: «Non auguriamo a nessuno meno sicurezza e meno pace. Ma se voi volete combattere contro di noi, anche noi lo faremo. (…) Non è assolutamente un problema per noi. Abbiamo infatti dei professionisti che lo sanno fare bene. Qui o altrove. (…) La nostra filosofia [è]: là da dove viene il fuoco è là dove noi lo troveremo. (…) Il motivo per cui noi vigiliamo sulla RDC è che le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) e altri gruppi armati della RDC possano unirsi alle ADF (…). Gestiremo la situazione in modo appropriato. Siamo ancora nella fase della comprensione e della ricerca di un modo che possa permetterci di essere tutti d’accordo sul problema». Poche settimane dopo, l’M23 ha intensificato le sue operazioni con l’appoggio dell’esercito ruandese.
2.3. Negoziare – combattere – negoziare: escalation e diplomazia
La prima grande battaglia ha avuto luogo il 28 marzo 2022, a Bunagana, città strategica situata sulla frontiera con l’Uganda. Secondo il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla RDC, l’M23 vi aveva dispiegato circa 400 combattenti. Il 29 marzo, un elicottero della MONUSCO è stato colpito da proiettili provenienti da una collina controllata dall’M23 e si è schiantato al suolo, provocando la morte di otto caschi blu. Secondo diverse fonti locali, durante questi scontri tra l’M23 e l’esercito congolese, sarebbe intervenuto anche l’esercito ugandese, per assicurare la sicurezza delle attrezzature che, in febbraio, l’Uganda aveva già inviato a Bunagana per iniziare i lavori di riabilitazione delle strade. È stato durante questa offensiva che il governo congolese ha accusato pubblicamente, per la prima volta, il Ruanda di appoggiare l’M23.
È in questo momento che sono aumentate le pressioni sul governo congolese, affinché avviasse delle negoziazioni con l’M23.
L’8 aprile 2022, a Nairobi (Kenia), in occasione di un incontro tra Félix Tshisekedi, Paul Kagame, Yoweri Museveni e Uhuru Kenyatta, la delegazione congolese ha accettato il principio di negoziati con l’M23. Il coordinatore congolese del meccanismo nazionale di monitoraggio, Claude Ibalanky, si è recato a Kampala il 20 aprile 2022, per avviare queste trattative, che sarebbero poi proseguite a Nairobi dove, in un nuovo incontro, i Capi di Stato della RDC, del Kenya, del Burundi, dell’Uganda e del Ruanda, quest’ultimo rappresentato dal suo ministro degli Esteri, hanno concordato un ambizioso processo di pace a due binari: il governo congolese ha accettato di avviare delle trattative con i gruppi armati dell’est della RDC, mentre i Paesi della regione dei Grandi Laghi Africani si sono impegnati a fornire delle truppe, in vista di eventuali operazioni militari contro quei gruppi che rifiutassero di deporre le armi.
Una delegazione dell’M23 si era già recata a Nairobi. La delegazione governativa congolese, imbarazzata di dover sedersi allo stesso tavolo degli insorti e di legittimarli, ha rapidamente cambiato posizione, rifiutandosi di avviare trattative con loro. Il 22 aprile, il governo congolese ha abbandonato la via delle trattative con l’M23, per avviare delle “consultazioni” estese ad una quarantina di altri gruppi armati, ciò che gli avrebbe permesso di sminuire l’importanza dell’M23.
Nel frattempo, il 23 aprile, nel Nord Kivu l’M23 ha attaccato una postazione dell’esercito congolese. La delegazione del governo congolese presente a Nairobi ha quindi approfittato di questa “aggressione”, per interrompere le trattative con l’M23. È in questo momento che il presidente Félix Tshisekedi ha trasferito la gestione del dossier M23 da Claude Ibalanky, che aveva avviato le discussioni con questo gruppo, a Serge Tshibangu, uno dei suoi consiglieri e sostenitore di una linea più intransigente.
2.4. Riavvicinamento tra l’Uganda e il Ruanda; Alleanze dell’esercito congolese con dei gruppi armati
Il 25 aprile 2022, pochi giorni dopo il vertice di Nairobi, il presidente Paul Kagame, che non vi aveva partecipato, ha visitato l’Uganda per la prima volta dal 2018. Ha incontrato il suo omologo Yoweri Museveni, ciò che sembra marcare la fine di un periodo di tensione tra i due paesi e suggellare un riavvicinamento, iniziato in occasione della visita del figlio di Museveni, il generale Muhoozi Kainerugaba, a Kigali il mese precedente. Se le tensioni tra il Ruanda e l’Uganda hanno contribuito a provocare la ricomparsa dell’M23, il loro riavvicinamento non ha tuttavia posto fine alla guerra dell’M23.
Di fronte alla potenza militare dell’M23 appoggiato dall’esercito ruandese, l’esercito congolese ha stretto una serie di alleanze opportunistiche con dei gruppi armati locali. Il 9 maggio 2022, a Pinga, territorio di Walikale, diversi gruppi armati locali, tra cui l’APCLS, il CMC/FDP, l’NDC-R e l’ANCDH hanno firmato un accordo e si sono impegnati a porre fine alle loro diatribe e alla loro lotta contro l’esercito nazionale. All’incontro erano presenti un colonnello dell’esercito congolese, Salomon Tokolonga, e dei rappresentanti delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).
Il 12 maggio 2022, il presidente Félix Tshisekedi si è pubblicamente espresso contro questa strategia, dichiarando “non spegniamo il fuoco con la benzina”. Questo discorso, tuttavia, non è stato seguito da sanzioni contro le persone implicate. Il colonnello Tokolonga è ancora in carica e, secondo un rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite, dei combattenti del CMC/FDP, dell’APCLS e delle FDLR hanno combattuto a fianco dell’esercito congolese tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2022. Secondo quanto riferito, il 9 giugno 2022, gli esperti delle Nazioni Unite avrebbero visto dei membri di gruppi armati anche nel campo militare di Rumangabo, insieme ai militari dell’esercito congolese. Anche GEC/Ebuteli ha raccolto delle testimonianze secondo le quali l’esercito congolese avrebbe fornito armi e munizioni ai gruppi armati sopra citati.
Per rimediare alla debolezza dell’esercito nazionale, oltre a ricorrere a queste alleanze, il governo ha fatto appello anche a compagnie militari private. Agemira, una società relativamente poco conosciuta con sede in Bulgaria e registrata localmente come Agemira RDC, ha iniziato a collaborare con l’esercito congolese nel 2022, fornendo aerei da combattimento Sukhoi Su-25 e ampliando successivamente i suoi servizi. Anche la società rumena Asociatia RALF, che collabora con la società locale Congo Protection, ha iniziato ad operare nella zona di Goma nel mese di dicembre 2022.
2.5. La risposta internazionale: i processi di pace di Nairobi e di Luanda
Anche se il governo congolese ha intensificato le sue operazioni militari, è tuttavia rimasto impegnato nel campo della diplomazia. A Nairobi (Kenia) si sono proseguiti gli incontri per istituire la Forza Regionale della Comunità dell’Africa dell’Est (EACRF). Il 19 giugno 2022, i capi di stato maggiore degli eserciti dei Paesi membri dell’EAC hanno approvato un piano programmatico, secondo il quale, a ciascun Stato membro, è stata assegnata una zona operativa nel Nord e Sud Kivu, in vista dello smantellamento di quei gruppi armati che rifiutassero di deporre volontariamente le armi. Le truppe del Burundi e della Tanzania (quest’ultima però non aveva ancora confermato la propria partecipazione) sono state destinate al Sud Kivu e al Maniema; quelle del Kenya sono state incaricate della parte meridionale del Nord Kivu, dove si trova l’M23; quelle dell’Uganda sono state destinate alla parte settentrionale del Nord Kivu e all’Ituri e quelle del Sud Sudan alle province Uélés. Ogni paese doveva finanziare le proprie operazioni.
Nel documento finale si specificava inoltre che il Ruanda avrebbe dovuto dispiegare le proprie truppe nel Nord e nel Sud Kivu, ma la RDC ha rifiutato la loro presenza sul suo territorio, ciò che ha irritato ancor di più Kigali.
Mentre l’EACRF faticava a progredire, a causa delle difficoltà economiche e, soprattutto, della complessità delle relazioni esistenti tra i vari paesi membri dell’EAC, nel mese di luglio 2022, l’Unione Africana (UA) ha nominato il presidente angolano João Lourenço mediatore in questa crisi e ha organizzato un primo vertice a Luanda (capitale dell’Angola) l’8 luglio 2022. Mentre l’iniziativa dell’EAC avrebbe dovuto facilitare le discussioni tra le parti congolesi (governo e gruppi armati) in conflitto, l’iniziativa complementare di Luanda era riservata al dialogo tra gli Stati, soprattutto la RDC e il Ruanda. Ciò ha portato all’adozione di una road-map che prevedeva il ritiro dell’M23 e la “revisione e attuazione” della “tabella di marcia” firmata congiuntamente a Kigali nel 2019 e relativa al rimpatrio dei combattenti dell’M23 che erano fuggiti in Ruanda e Uganda e alla loro reintegrazione nell’esercito congolese e nel Corpo delle Guardie Forestali dei Parchi Nazionali.
In settembre 2022 è intervenuto anche il governo francese. Il 16 settembre 2022, i capi dei servizi segreti della RDC e del Ruanda, Jean-Hervé Mbelu Biosha e Joseph Nzabamwita, si sono incontrati a Parigi. Il 21 settembre, il presidente francese Emmanuel Macron ha organizzato un incontro tra i due presidenti, Félix Tshisekedi e Paul Kagame, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Secondo diverse fonti diplomatiche, confermate in parte da successive dichiarazioni dello stesso Macron, un possibile accordo prevedeva i seguenti elementi: la fine della collaborazione tra l’esercito congolese e le FDLR e il ritiro dell’M23 sulle sue posizioni anteriori ad aprile 2022. L’M23 avrebbe quindi dovuto ritirarsi anche da Bunagana. La componente keniota della forza militare dell’EAC occuperebbe quindi le posizioni abbandonate dall’M23, nell’attesa dell’inizio di trattative tra il governo congolese e l’M23..
L’8 settembre, 2022, gli stati membri dell’EAC hanno firmato a Kinshasa un accordo per la legalizzazione del dispiegamento dell’EACRF. Tuttavia, non si era ancora arrivati a un consenso sulla forma che avrebbe potuto assumere il processo di pace e ancor meno sulla soluzione del conflitto. I paesi dell’Africa dell’Est spingevano per una soluzione politica, convinti che la situazione militare sul terreno non lasciava altra possibilità di scelta. Secondo il governo congolese, l’impasse sul campo militare era il risultato di un intervento militare ruandese illegittimo in appoggio all’M23. Sempre secondo il governo congolese, “nessun negoziato con l’M23” sarebbe stato accettato e l’unica soluzione viabile sarebbe quella del ritiro dell’M23 sulle sue posizioni iniziali, nei pressi del monte Sabinyo.
Tuttavia, in seguito al continuo fallimento delle operazioni militari dell’esercito congolese contro l’M23, le iniziative regionali hanno subito un’accelerazione.
Il 12 novembre 2022, a Goma, è iniziato il dispiegamento del contingente keniota dell’EACRF, incaricato di contrastare l’avanzata dell’M23. Ciò nonostante, il numero relativamente basso dei suoi componenti – 900 al massimo, secondo l’autorizzazione del parlamento keniano – e l’ambiguità del suo mandato non ne hanno fatto una forza deterrente credibile agli occhi dell’M23, che ha continuato la sua avanzata.
Il 23 novembre 2022, a Luanda (Angola), si è svolto un nuovo vertice regionale, in cui si è chiesto all’M23 di ritirarsi sulle sue “posizioni iniziali”, sul Monte Sabinyo. In caso contrario, “i Capi di Stato dell’EAC avrebbero ordinato alla forza regionale di usare la forza per costringerli a sottomettersi”. Tuttavia, il governo keniano, il cui esercito avrebbe dovuto attuare l’operazione, non era presente all’incontro. L’ultimatum dato all’M23 è scaduto il 27 novembre 2022, senza reazioni diplomatiche o militari da parte dei Paesi della regione.
Il 23 dicembre 2022, l’M23 si è ritirato da alcune sue postazioni di Kibumba, un villaggio a nord della città di Goma e le ha cedute al contingente keniano dell’EACRF. Ma questo ritiro dell’M23 è stato solo apparente, perché ha mantenuto la maggior parte delle sue posizioni.
Nel frattempo, l’iniziativa di pace di Nairobi si è sempre più affievolita e l’M23 ha continuato a guadagnare terreno
Il 4 febbraio 2023, un nuovo vertice dei capi di stato dell’EAC si è quindi tenuto a Bujumbura (Burundi). Secondo la dichiarazione finale del vertice, «la situazione nell’est della RDC è una questione regionale che non può essere risolta che attraverso un’iniziativa di tipo politico» ed è perciò necessario «intensificare il dialogo tra tutte le parti implicate». Il giorno successivo, il ministro degli Esteri congolese, Christophe Lutundula, ha rilasciato una dichiarazione per manifestare il suo disaccordo con tale affermazione, sostenendo che «il mandato della Forza Regionale è, inequivocabilmente, offensivo». Il giorno successivo, a Goma (Nord Kivu), la società civile ha organizzato delle manifestazioni contro l’inerzia dell’EACRF.
Il 9 febbraio 2023, i capi di stato maggiore dell’EAC, riuniti a Nairobi (Kenia), hanno proposto una riconfigurazione dell’EACRF. D’ora in poi tutti i contingenti della forza, e non più solo le truppe keniane, dovrebbero dispiegarsi nell’area operativa dell’M23.
Le prime truppe burundesi hanno iniziato il loro dispiegamento il 4 marzo 2023, stabilendosi sulla parte occidentale della zona occupata dall’M23. Quelle ugandesi sono entrate il 31 marzo, attraverso la frontiera di Bunagana e si sono stabilite sulla parte nord-est e quelle sud-sudanesi hanno raggiunto l’8 aprile il campo militare di Rumangabo, situato nell’area controllata dall’M23.
Il dispiegamento dell’EACRF ha contribuito ad affievolire, per un certo tempo, gli scontri tra l’esercito congolese (FARDC) e l’M23. Tra aprile e ottobre 2023, infatti, le linee del fronte non hanno subito variazioni significative.
In quel periodo, l’M23 si era temporaneamente ritirato da alcune sue posizioni, tra cui quella di Mweso. Ma era ben lungi dal ritirarsi nelle sue posizioni iniziali sul Monte Sabinyo, come suggeriva la road map di Luanda. Infatti, in alcune zone in cui erano state dispiegate delle truppe dell’EACRF, l’M23 conservava ancora le sue truppe e una sua propria amministrazione.
Insoddisfatto per l’inefficacia dell’EACRF, il governo congolese si è rivolto alla Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC), sperando in un appoggio più consistente.
L’8 maggio 2023, in occasione di un vertice dei capi di stato a Windhoek, la SADC ha annunciato di aver approvato il dispiegamento di una forza militare “a sostegno della RDC, per ripristinare la pace e la stabilità nell’est della RDC”.
Alla fine del 2023, le truppe dell’EACRF hanno lasciato la RDC su richiesta del governo congolese, che ha rifiutato di rinnovare il loro mandato. Il governo congolese le ha accusate di passività, se non di complicità con l’M23.
Il 15 dicembre 2023, la Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC) con la quale il governo congolese aveva già iniziato delle trattative, ha dispiegato una sua Missione della nella Repubblica Democratica del Congo (SAMIDRC), composta da truppe tanzaniane, malawiane e sudafricane.
In febbraio 2024, dopo il fallimento dell’incontro tra i due presidenti della RDC e del Ruanda ad Addis Abeba, in occasione di un vertice dei leader dell’UA, la diplomazia angolana ha tentato di rilanciare i colloqui tra i due Paesi. Il presidente angolano ha dapprima incontrato i due presidenti congolese e ruandese separatamente. In seguito, nel mese di marzo 2024, a Luanda (Angola) si è svolto un incontro tra i ministri degli Esteri della RDC, del Ruanda e dell’Angola che avrebbe dovuto precedere un vertice tra i rispettivi capi di Stato. In questo incontro, e sotto la pressione dei Paesi finanziatori, tra cui gli Stati Uniti, la RDC ha accettato di preparare un piano per la neutralizzazione delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR). È solo in seguito all’attuazione di questo piano che Kigali potrebbe “rivedere le misure adottate per la sua difesa e sicurezza”. I presidenti del Ruanda e della RDC si sarebbero dovuti incontrare a Luanda per un nuovo vertice che, al momento della stesura di questo rapporto, non ha ancora avuto luogo.
2.6. L’offensiva dell’esercito congolese (da ottobre 2022)
Nonostante l’inefficacia dell’EACRF, il governo congolese non ha rinunciato all’opzione militare per sconfiggere l’M23.
Il 20 ottobre 2022, l’esercito congolese ha ripreso a combattere contro l’M23 nel territorio di Rutshuru. L’offensiva non ha raggiunto i risultati sperati e l’M23 ha rapidamente guadagnato terreno. Nel corso del mese successivo, l’M23 ha più che triplicato il territorio sotto suo controllo. Ha conquistato le città di Rutshuru e di Kiwanja il 29 ottobre 2022 e ha preso il controllo di un tratto della Strada Nazionale 2, interrompendo il traffico tra Goma e le città di Béni e di Butembo, situate più a nord, rendendo Goma maggiormente dipendente dal commercio con il Ruanda. L’M23 ha poi avanzato in tre direzioni: a sud, verso Goma, fermandosi a una ventina di chilometri dalla città; a nord, verso la frontiera di Ishasha, zona controllata da ribelli ruandesi del RUD; a ovest, verso Tongo, roccaforte delle FDLR, attraverso il Parco Nazionale dei Virunga.
L’avanzata dell’M23 è stata possibile grazie al significativo appoggio esterno del Ruanda. Le foto scattate mediante droni, in occasione dei combattimenti di Rugari il 30 ottobre 2022, riprendono vari soldati con attrezzature simili a quelle dell’esercito ruandese. Questo appoggio è stato confermato in modo indipendente dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla RDC in tre rapporti consecutivi. Anche il governo degli Stati Uniti ha ripetutamente denunciato la presenza di truppe ruandesi sul suolo congolese e, in agosto 2023, ha imposto delle sanzioni contro il generale ruandese Andrew Nyamvumba, per l’appoggio fornito all’M23.
L’esercito congolese non è riuscito ad opporre alcuna resistenza all’M23 e ha fatto ricorso a diversi gruppi armati locali che, generalmente, reclutano le loro leve tra la popolazione locale, secondo criteri etnici. In seguito a questa decisione dell’esercito congolese e per reagire alle imboscate tesegli dai gruppi armati, l’M23 ha iniziato a prendere di mira la popolazione civile, organizzando delle rappresaglie contro di essa. Ad esempio, a Rushovu (14 novembre) e a Kanaba (17 novembre), un gruppo armato locale ha attaccato l’M23, uccidendo molti suoi membri. Per vendetta, il 29 e il 30 novembre 2022, l’M23 è entrato nei villaggi di Kishishe e di Bambu e ha ucciso diverse decine di persone civili.
Nonostante ciò, il governo congolese ha continuato ad appoggiare i gruppi armati locali contro l’M23. Il 6 marzo 2023, il ministro dell’Istruzione superiore, Butondo Muhindo Nzangi, ha annunciato che i gruppi armati locali sarebbero stati mobilitati come riservisti dell’esercito congolese e che avrebbero quindi beneficiato dello stesso trattamento riservato ai militari dell’esercito. Poco dopo, il 4 maggio 2023, il parlamento ha approvato una legge sulla creazione di un corpo di riservisti. La legge e i vari discorsi di responsabili governativi hanno incoraggiato la creazione di nuovi gruppi armati conosciuti sotto il termine generico di “Wazalendo” (“patrioti” in swahili). Molti di questi nuovi gruppi sono nati in zone situate in prossimità delle posizioni dell’M23, ma ce ne sono anche nei territori di Beni e di Lubero, lontano dalle linee del fronte. Il termine è stato utilizzato anche per designare gruppi armati già esistenti che combattono a fianco dell’esercito, come le milizie hutu del CMC di Dominique Ndaruhutse, o l’NDC-R di Guidon Shimiray, quest’ultimo a capo di una coalizione di vari gruppi armati conosciuta come “Rete dei Patrioti Resistenti Congolesi”.
Inoltre, le compagnie militari private hanno continuato la loro attività. Secondo una fonte interna a una di esse, alla fine di maggio 2023, esse disponevano complessivamente di circa 900 uomini attivi nel Nord Kivu e stavano addestrando dei soldati congolesi nella base militare di Mubambiro, vicino alla città di Goma.
Durante questo periodo, il governo congolese ha acquistato almeno tre droni da combattimento, di fabbricazione cinese e custoditi presso l’aeroporto di Kavumu, vicino a Bukavu (Sud Kivu). Due sono stati abbattuti e il terzo si è schiantato al suolo.
Nel mese di marzo 2024, l’M23 ha avanzato verso nord, occupando vaste zone del territorio di Rutshuru, tra cui Rwindi e Vitshumbi, presso il Lago Edoardo. L’esercito congolese si era ritirato verso Kanyabayonga ancor prima dell’arrivo dell’M23 in tali località. Alla fine di giugno 2024, l’M23 ha ulteriormente avanzato verso Nord, prendendo il controllo delle località di Kanyabayonga e di Kirumba, entrando così nel territorio di Lubero per la prima volta nella storia di questo movimento. Queste avanzate dell’M23 sono state possibili grazie al continuo e diretto appoggio dell’esercito ruandese. Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla RDC, redatto in aprile 2024, sul territorio congolese c’erano almeno 3.000 o 4.000 soldati dell’esercito ruandese, un numero senz’altro superiore ai circa 3.000 combattenti dell’M23.