Congo Attualità n. 497

IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)

Questioni aperte, motivazioni, percezioni e impatti

Autori:
International Peace Information Service (IPIS)
Association pour le Développement des Initiatives Paysannes (ASSODIP)
Danish Institute for International Studies (DIIS)

Goma / Anvers / Copenhague, aprile 2024

https://ipisresearch.be/fr/publication/le-m23-version-2-enjeux-motivations-perceptions-et-impacts-locaux/

INDICE

RIASSUNTO
INTRODUZIONE
1. CONTESTO DELLA RICOMPARSA DELL’M23
1.1. Dal CNDP al 2° M23 passando attraverso il 1° M23
1.2. Contesto regionale e motivazioni locali
1.2.1. Contesto regionale
1.2.2. Motivazioni locali
1.3. Le problematiche dell’attuale governance delle terre e dell’autorità tradizionale
2. LA QUESTIONE DELL’ACCESSO ALLA TERRA NELL’ANALISI DELL’ATTUALE CONFLITTO DELL’M23 DA PARTE DELLE POPOLAZIONI LOCALI
3. L’INFILTRAZIONE DELLA GOVERNANCE LOCALE DIETRO L’AZIONE DELL’M23
4. LE ENTRATE FINANZIARIE DELL’M23
4.1. Il caso dei posti di blocco stradali
5. CONCLUSIONE

RIASSUNTO

Sconfitto nel 2013, il Movimento del 23 marzo (M23) ha ripreso le armi nel 2021 e, nel 2022, è riuscito a conquistare rapidamente vasti territori nel sud-est della provincia del Nord Kivu. Originariamente, l’M23 era stato creato nel 2012, in seguito all’ammutinamento di alcuni ufficiali militari dell’esercito congolese (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo / FARDC) che vi erano stati integrati in seguito ad un accordo firmato il 23 marzo 2009 tra il governo congolese e un precedente movimento politico militare, il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP). Nel 2021, l’M23 è riapparso accusando il governo congolese di non aver rispettato gli impegni presi nelle Dichiarazioni di Nairobi, firmate separatamente dopo la sua sconfitta nel 2013.
Questo studio evidenzia innanzitutto l’importanza del contesto regionale che sta alla base della situazione di insicurezza che caratterizza l’est della RDC, un contesto marcato da tensioni e problematiche relative all’economia, alla politica, all’insicurezza e alla crisi umanitaria.
Le relazioni tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo (RDC) si sono particolarmente deteriorate a partire dai tragici avvenimenti del genocidio del 1994 in Ruanda e dal rovesciamento, nel 1997, del regime del presidente congolese (allora zairese), Mobutu Sese Seko. Esse si sono ulteriormente aggravate in seguito all’appoggio del Ruanda a determinati movimenti politico-militari attivi nell’est della RDC, a partire dalla seconda metà degli anni 1990. Inoltre, l’est della RDC è vittima di una concorrenza economica e geopolitica esistente tra i paesi vicini della Regione dei Grandi Laghi, soprattutto per quanto riguarda l’accesso alle rotte dell’esportazione dei minerali. Questa concorrenza suscita nei Congolesi la convinzione secondo la quale  il loro paese è sfruttato dai paesi vicini che si arricchiscono sulle loro spalle. Questi stessi paesi, e soprattutto il Ruanda, sono accusati di appoggiare l’M23, permettendogli così di riprendere la lotta armata. Questo appoggio del Ruanda all’M23 ravviva, nei Congolesi, i timori di un espansionismo ruandese sul territorio congolese e di una “balcanizzazione” del Paese.
Benché l’appoggio dell’esercito ruandese sia particolarmente importante per la ricomparsa dell’M23, il movimento è tuttavia motivato anche da interessi e obiettivi propri. Questo studio evidenzia quindi le questioni, le problematiche e gli impatti della crisi dell’M23, attraverso il punto di vista degli attori locali del Nord Kivu.
Le radici storiche del conflitto dell’M23 risalgono al periodo coloniale e a quello immediatamente successivo all’indipendenza, quando l’accesso alla terra e al potere locale divennero questioni molto importanti e l’etnicità divenne un ulteriore fattore di tensione. Queste tensioni sono continuate durante i vari conflitti armati apparsi nel Nord Kivu a partire dagli anni 1990 fino ad oggi. Certi movimenti politico-militari come l’Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione (AFDL), il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD) e il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), avevano come obiettivo principale quello di proteggere la popolazione di lingua ruandese (tra cui la comunità tutsi), ma erano anche al servizio degli interessi economici, tra cui l’accesso alle terre, di persone che avevano stretti rapporti con il potere. L’attuale conflitto sta ravvivando quelle tensioni che contrappongono gli Hutu, e soprattutto i Tutsi, agli altri gruppi etnici della provincia.
Inoltre, c’è un grave problema di governance. Il dualismo esistente tra la legislazione moderna dello stato (legge agraria) e  il protrarsi del ruolo delle autorità tradizionali nella gestione delle terre, crea grande confusione e impedisce di garantire i diritti degli utilizzatori delle terre. A ciò si aggiunge la discriminazione nei confronti delle comunità qualificate come “non autoctone” (tra cui le popolazioni Tutsi e Hutu) per quanto concerne l’uso della terra. Ancor di più, lo Stato congolese non riesce a neutralizzare i gruppi armati che, anch’essi, interferiscono nei conflitti di tipo fondiario.
Questi diversi problemi rafforzano l’opinione, già in aumento prima della crisi dell’M23, secondo la quale l’unico modo per proteggere la proprietà delle proprie terre e le libertà individuali sia quello del ricorso alle armi. Di conseguenza, l’attuale guerra è percepita come un tentativo di mettere in sicurezza il controllo delle terre a lungo termine e, in modo particolare per l’M23, di difendere le terre acquistate dalla comunità “Tutsi”. Si constata infatti un legame tra gli ex movimenti politico-militari (come il RCD e il CNDP) che spesso, mediante operazioni di espropriazioni, si erano impossessati di terre appartenenti alla popolazione, e l’M23 che sarebbe intervenuto per difendere i nuovi proprietari. Molte persone intervistate nel Nord Kivu ritengono, infatti, che gran parte delle terre occupate da comunità percepite come “non autoctone” (spesso ruandofone) siano state indebitamente ottenute durante la guerra dell’RCD (1998-2003). Negli ultimi 30 anni, infatti, la popolazione del territorio del Masisi è stata vittima di sistematiche operazioni di espropriazioni di terre, spesso effettuate sotto l’apparenza di operazioni legali intraprese da personalità politiche e militari.
L’infiltrazione e il controllo del potere a livello locale sono indispensabili, perché sono le autorità tradizionali che garantiscono l’accesso alla terra. Inoltre, il controllo del potere (tradizionale) può aumentare la legittimità di una comunità. Tuttavia, nel territorio di Masisi, gli Hutu e i Tutsi non dispongono di alcuna autorità tradizionale che li rappresentino. È così che il controllo del potere è diventato una delle questioni importanti della guerra dell’M23.
La conquista del potere nelle zone occupate dall’M23 avviene, da un lato, mediante l’indebolimento delle autorità tradizionali legali esistenti (la maggior parte dei capi tradizionali hanno dovuto fuggire dagli attacchi dell’M23, soprattutto a partire da marzo 2022) e, dall’altro, attraverso la nomina di nuove autorità amministrative favorevoli all’M23. Tuttavia, l’indebolimento delle autorità tradizionali non è una novità. Esisteva ben prima dell’M23, soprattutto a causa di conflitti di successione, di leggi che indebolivano il potere tradizionale a favore del potere dello stato e del declino dell’autorità tradizionale presso le generazioni più giovani. La guerra attuale rafforza queste dinamiche, indebolendo così indirettamente la governance locale nel Nord Kivu.
Il mantenimento di una ribellione dalle dimensioni dell’M23 richiede ingenti finanziamenti. Oltre al sostegno esterno da parte dell’esercito ruandese, l’M23 ha adottato diversi mezzi per finanziarsi a livello locale, in particolare attraverso l’imposizione di tasse sulle attività commerciali e agricole, sulle famiglie e sui mezzi di trasporto; il prelevamento di una percentuale dei prodotti agricoli e i contributi di importanti personalità. Le tasse sono spesso accompagnate dall’emissione di uno scontrino come prova del pagamento effettuato. L’M23 è implicato anche nello sfruttamento illegale delle risorse naturali come, per esempio, la produzione e il commercio di legname e di carbone. L’imposizione delle tasse non serve solo per generare entrate, ma anche per consolidare la governance locale (le amministrazioni parallele) dell’M23, perché riproduce i metodi di tassazione specifici delle autorità che ha di fatto soppiantato.
Nella stessa logica, l’M23 ha istituito dei posti di blocco stradali e occupato dei posti di frontiera, sia per motivi di strategia militare che di consolidamento del controllo territoriale e di finanziamento. Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha stimato, ad esempio, che l’M23 ricavi circa 27.000 dollari al mese, esclusivamente dalle tasse di transito imposte ai pedoni che attraversavano la frontiera di Bunagana con merci. Inoltre, il commercio sulle diverse strade dell’interno della provincia è molto redditizio. Per esempio, le tasse imposte dall’M23 su camion e moto sulla strada Sake-Kilolirwe-Kitshanga (territorio di Masisi), potrebbero ammontare a 69.500 dollari al mese. L’occupazione del territorio da parte dell’M23 grava chiaramente sulla popolazione locale, sia dal punto di vista socioeconomico che in termini di sicurezza.

INTRODUZIONE

L’23 apparve per la prima volta nel 2012 e fu sconfitto nel 2013. La sua fine fu suggellata nelle Dichiarazioni di Nairobi, firmate separatamente dal governo e dallo stesso M23. Esse prevedevano, tra l’altro, l’amnistia e il reinserimento sociale dei combattenti dell’M23.
L’M23 è riapparso nel 2021, denunciando il mancato rispetto, da parte del governo, degli impegni assunti nelle Dichiarazioni di Nairobi del 2013 e aggiungendo altre rivendicazioni, come la protezione della comunità tutsi, la riforma dell’esercito congolese (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo / FARDC), la fine della corruzione e il miglioramento della governance.
In seguito alla sua ricomparsa nel 2021, l’M23 è riuscito a occupare vaste zone della provincia del Nord Kivu, in particolare nei territori di Rutshuru, Nyiragongo e Masisi. Vi è riuscito nonostante l’instaurazione della legge marziale, il dispiegamento di truppe della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), la presenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Congo (MONUSCO), il “rafforzamento” dell’esercito e la resistenza da parte di una moltitudine di gruppi armati locali riuniti sotto il nome di “Wazalendo”.
Questo studio si propone di analizzare le problematiche e gli impatti locali della crisi M23, con particolare riferimento alla popolazione rurale delle parti del Nord Kivu colpite dal conflitto.
Il contesto storico (il periodo coloniale, l’indipendenza e le guerre degli ultimi 30 anni) è molto importante per comprendere le cause profonde del conflitto e la ricomparsa dell’M23 oggi. Gli elementi chiave che hanno contribuito alla ripresa delle ostilità da parte dell’M23 sono non solo l’accesso alle risorse naturali e minerarie, come spesso viene detto, ma soprattutto l’accesso alla terra e il controllo del potere. Tuttavia, le risorse naturali e le opportunità economiche rappresentate dall’est del Congo hanno sicuramente una grande influenza sulle tensioni politiche esistenti tra i paesi della regione dei Grandi Laghi. A ciò si aggiungono le preoccupazioni per la sicurezza regionale legate all’attivismo dei gruppi armati, alla questione dei rifugiati e alle tensioni intercomunitarie.
Questo rapporto fornisce alcune informazioni sull’attuale crisi di insicurezza, in particolare sulla “crisi dell’M23” (sezione 1). Il rapporto sintetizza l’evoluzione del conflitto e dell’M23, durante la sua prima insurrezione del 2012-2013 e la sua ricomparsa a partire da novembre 2021. Evidenzia poi le cause della crisi dell’M23, distinguendo le problematiche regionali e locali, in particolare il ruolo dei paesi limitrofi (questioni regionali) e le motivazioni dello stesso M23 (questioni locali).
Il rapporto mette in evidenza anche le sfide della guerra dell’M23, relative alle sue ambizioni di controllo del territorio (sezione 2) e di infiltrazione del potere locale nel Nord Kivu (sezione 3). Inoltre, esamina la questione delle entrate finanziarie  dell’M23, nel suo duplice aspetto: il finanziamento del movimento e il consolidamento della governance locale (sezione 4). Infine, il rapporto presenta l’impatto dell’attuale guerra sulla situazione di insicurezza, in particolare la comparsa di numerosi gruppi armati che si oppongono all’avanzata dell’M23 e il modo in cui l’attuale crisi di insicurezza rafforza una “milizianizzazione della governance locale” (sezione 5).

1. CONTESTO DELLA RICOMPARSA DELL’M23

1.1. Dal CNDP al 2° M23 passando attraverso il 1° M23

Originariamente, l’M23 era stato creato nel 2012, in seguito ad un ammutinamento di alcuni militari provenienti dal Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) che, dopo essere stati integrati nell’esercito nazionale / FARDC, chiedevano il rispetto degli accordi firmati precedentemente con il governo congolese il 23 marzo 2009, da cui il nome di Movimento del 23 marzo. Quegli accordi prevedevano la trasformazione del CNDP in partito politico e la reintegrazione dei suoi membri nell’esercito nazionale. Nel 2012-2013, l’M23 ha conseguito una notevole espansione territoriale, conquistando, per breve tempo. anche la città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu. Tuttavia, questa rapida ascesa è avvenuta grazie all’appoggio esterno del Ruanda.

La creazione del CNDP
Il CNDP era un gruppo armato composto da ex militari del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD) e guidato da Laurent Nkunda. Esso ha combattuto contro il governo congolese tra il 2006 e il 2009 nella provincia del Nord Kivu, in particolare a partire dai territori di Nyiragongo, Rutshuru e Masisi. Composto principalmente da membri appartenenti alla comunità tutsi, il CNDP rivendicava la protezione dei Tutsi della RDC, la neutralizzazione delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR) e il ritorno dei rifugiati congolesi dispersi negli stati vicini. Il ruolo del Ruanda si è manifestato in diversi modi. All’epoca del governo di transizione (2003-2006), Kigali incitò diversi comandanti dell’RCD a non accettare la loro integrazione nell’esercito governativo congolese. Kigali appoggiò Laurent Nkunda anche nel periodo precedente alla formazione del CNDP, ad esempio durante l’assedio della città di Bukavu (Sud Kivu) nel 2004. Infine, nel 2008, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha confermato che il regime ruandese ha continuamente fornito un appoggio militare diretto al CNDP.

Dopo aver occupato gran parte dei territori di Rutshuru, Masisi e Nyiragongo, l’M23 è stato finalmente sconfitto verso la fine del 2013 dalle FARDC, appoggiate dalla Brigata di rapido intervento della MONUSCO, sostenuta dai paesi della SADC. Questa sconfitta è stata ufficialmente  annunciata in occasione della conclusione del dialogo di Kampala (Uganda), con la firma delle Dichiarazioni di Nairobi. Attraverso queste dichiarazioni, l’M23 aveva rinunciato alla ribellione e il governo congolese si era impegnato ad adottare una legge sulle condizioni di amnistia e a procedere alla reintegrazione sociale degli ex combattenti, senza però integrarli nell’esercito congolese.
Dopo la sconfitta del 2013, alcuni membri dell’M23 si sono rifugiati in Uganda (il gruppo guidato da Sultani Makenga e Bertrand Bisimwa) e altri in Ruanda (il gruppo di Jean-Marie Runiga). Già nel mese di gennaio 2017, alcuni combattenti dell’M23 guidati da Makenga avevano lasciato l’Uganda ed erano rientrati in Congo, dove si erano stabiliti in una piccola zona del Parco Nazionale dei Virunga (Nord Kivu) e rimasti inattivi fino al 2021.
Da novembre 2021, l’M23 ha progressivamente ripreso gli attacchi. Il gruppo degli esperti delle Nazioni Unite riferiscono che i combattimenti sono iniziati dopo il fallimento di negoziati segreti tra il governo congolese e una delegazione dell’M23 sulle modalità di attuazione delle dichiarazioni di Nairobi del 2013. L’M23 aveva avanzato alcune nuove rivendicazioni – non previste nelle dichiarazioni del 2013 – circa l’amnistia, il ricupero dei beni, il ritorno nella RDC, l’integrazione nell’esercito congolese dei suoi membri e l’assegnazione di posti politici. Dopo aver constatato il fallimento di questi negoziati informali, l’M23 ha deciso di riprendere le ostilità. Tutto ciò fa pensare che si tratti di un M23 “versione 2”.

1.2. Contesto regionale e motivazioni locali

La creazione e la ricomparsa dell’M23 sono alimentate da diverse dinamiche, sia regionali che locali. Innanzitutto, ci sono dei fattori regionali, in particolare dei problemi di sicurezza per il Ruanda e un clima di grande concorrenza tra i Paesi della regione dei Grandi Laghi Africani, per quanto riguarda l’importante mercato economico che l’est della RDC rappresenta. Poi ci sono delle motivazioni locali, antiche e recenti.

1.2.1. Contesto regionale

La crisi dell’M23 è fortemente alimentata da tensioni e problematiche regionali di natura economica, politica, umanitaria e di sicurezza. Sul fronte della sicurezza, le relazioni tra il Ruanda e la RDC si sono deteriorate in seguito al genocidio ruandese del 1994 e al rovesciamento del regime del presidente congolese Mobutu Sese Seko nel 1997 da parte dell’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo (AFDL), sostenuta dal Ruanda. Le relazioni tra i due stati si sono ulteriormente deteriorate in seguito all’appoggio del Ruanda ai movimenti politico-militari della RDC, tra cui l’RCD, il CNDP e l’M23. Da parte sua, dal 1994 fino ad oggi, il governo ruandese continua a ripetere che la situazione dell’est della RDC costituisce una minaccia per il suo Paese. Secondo il presidente ruandese, Paul Kagame, lo smantellamento delle FDLR (un gruppo armato creato nel 2000 da alcuni responsabili del genocidio ruandese del 1994 e fuggiti verso il Kivu) è una priorità per la sicurezza del suo Paese. In questo senso, la protezione dei Tutsi congolesi da parte dell’M23 e la sua lotta contro le FDLR corrispondono perfettamente agli interessi di sicurezza del Ruanda. Non sorprende quindi che i rapporti del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite indichino che l’esercito ruandese stia fornendo un significativo supporto militare e operativo all’M23. Tuttavia, alcuni osservatori considerano che le preoccupazioni del Ruanda per la sua sicurezza siano solo un “pretesto per continuare a considerare l’est del Congo come propria zona di influenza”.
Inoltre, la competizione tra i paesi della regione dei Grandi Laghi Africani per l’accesso alle risorse naturali della RDC è una questione per loro molto importante, perché ruota attorno alla filiera commerciale di importazioni – esportazioni. I paesi dell’Africa orientale cercano di trarre vantaggio dalle risorse naturali della RDC sotto forma di tasse e valore aggiunto. Ogni paese della regione tenta di fare aumentare la quantità delle risorse naturali congolesi che transitano attraverso il proprio territorio nazionale, abbassando i livelli delle tasse sulle esportazioni e investendo sia nell’industria di raffinazione dell’oro e di altri minerali che in progetti di infrastrutture per i trasporti. Innumerevoli rapporti del gruppo degli esperti delle Nazioni Unite spiegano come il Ruanda, l’Uganda e il Burundi traggano enormi vantaggi dal commercio di risorse naturali estratte e prodotte nell’est della RDC, come l’oro, lo stagno, il tantalio e il tungsteno che, grazie alle condizioni più favorevoli praticate nei Paesi limitrofi, sono fatti passare di contrabbando oltre la frontiera del Congo verso quegli stessi Paesi, da dove vengono poi esportati verso i paesi industrializzati.
La concorrenza geopolitica tra i paesi vicini attorno alle filiere di esportazione dei minerali dà ai Congolesi l’impressione che il loro paese venga letteralmente sfruttato dai paesi vicini che si arricchiscono a loro spese. Nicolas Kazadi, ministro congolese delle Finanze, ha dichiarato a questo proposito che la RDC perde quasi un miliardo di dollari all’anno, a causa del contrabbando dei minerali verso il Ruanda.
Nel 2021, poco prima della ricomparsa dell’M23, il (fragile) equilibrio tra i Paesi membri della regione dei Grandi Laghi è crollato. L’Uganda e la RDC avevano annunciato una collaborazione in materia di sicurezza e un progetto di riabilitazione della rete stradale congolese. Quest’ultimo avrebbe dovuto incrementare in modo significativo il commercio transfrontaliero tra i due paesi. Ciò avrebbe irritato il presidente ruandese, Paul Kagame, poiché una di queste strade, la Rusthuru – Bunagana, che avrebbe dovuto essere riabilitata dall’Uganda, è situata in una zona molto vicina alla frontiera con il Ruanda e che Kigali considera come inclusa nella sua sfera di influenza nel Nord Kivu. Va notato che, nello stesso tempo, i precedenti accordi firmati tra la RDC e il Ruanda a proposito del commercio dell’oro e della collaborazione militare sono stati sospesi. (Vedi riquadro)

Le buone prospettive Kigali-Kinshasa, all’inizio della presidenza di Tshisekedi
Il Ruanda e la RDC intrattengono dei rapporti tesi sin dalla metà degli anni 1990. Tuttavia, nel 2018, l’arrivo al potere del presidente Félix Tshisekedi aveva portato ad una normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra questi due Paesi. In giugno 2021, a Goma, i presidenti del Ruanda e del Congo hanno firmato tre accordi di cooperazione bilaterale. Il primo accordo riguardava “la promozione e la tutela degli investimenti”; il secondo accordo aveva due obiettivi: “evitare la doppia imposizione di tasse all’esportazione e prevenire l’evasione fiscale” e il terzo riguardava un protocollo di cooperazione tra la Società Aurifera (congolese) del Kivu e del Maniema (SAKIMA) e la raffineria Rwandan Dither Ltd, per incrementare l’estrazione dell’oro nel Kivu e il suo raffinamento in Ruanda. Inoltre, i due presidenti hanno convenuto di continuare a collaborare per ridurre il livello di insicurezza nella regione.

Un altro fattore della crisi dell’M23 è la pressione demografica in Ruanda. Anche se questa questione non appare abbastanza chiara nei dibattiti sull’attuale crisi tra il Ruanda e la RDC, alcuni rappresentanti della società civile di Nyiragongo (Nord Kivu) ritengono che essa sarebbe parte integrante delle cause, non apertamente dichiarate, dell’appoggio del Ruanda a dei gruppi armati che difendono i suoi interessi in territorio congolese.
Già nel 2009, i deputati nazionali del Nord Kivu avevano espresso le loro preoccupazioni su un’immigrazione clandestina e illegale di popolazioni provenienti dal Ruanda e sulla “occupazione” del Nord Kivu da parte loro. Nella loro dichiarazione politica del 26 novembre 2009,  essi affermavano: «Noi, deputati nazionali del Nord Kivu […]; allertati dalle nostre rispettive basi a riguardo delle migrazioni clandestine e massicce di popolazioni provenienti dal Ruanda e dirette verso la RDC attraverso Kibumba, Bunagana e Ishasha; indignati nell’apprendere che queste popolazioni, gran parte delle quali arrivano con bestiame e armi da guerra, non sono sottoposte ad alcun controllo ai posti di frontiera attraverso i quali transitano; …».
Nella stessa linea, anche il Pole Institute aveva evidenziato il seguente contributo di un partecipante a un seminario organizzato nel 2010, circa i dubbi nei confronti del ritorno dei rifugiati congolesi dal Ruanda: «per superare le nostre paure, dobbiamo assicurarci che solo i veri rifugiati congolesi che vivono in Ruanda potranno ritornare in patria e che non si scarichi sul territorio congolese il sovrappiù  della popolazione ruandese». Si tratta quindi del timore di un accaparramento di terre “dal basso”, non coordinato da Kigali, ma derivante piuttosto da un continuo flusso migratorio di popolazioni ruandesi che varcherebbero le frontiere, per stabilirsi in Congo come piccoli agricoltori, modificando così l’equilibrio demografico locale.
A questi timori si aggiunge però il sospetto che il Ruanda abbia dei progetti politici “dall’alto” volti ad annettere una parte del Congo. Infatti, fin dall’indipendenza, in Congo c’è sempre stato un forte timore di quella che viene denominata balcanizzazione. Degli esponenti della comunità internazionale, e in particolare il Ruanda, sono costantemente sospettati di voler suddividere la RDC in più stati. La recente crisi dell’M23 e l’appoggio del Ruanda a questo gruppo armato hanno ancora una volta ravvivato i timori di un espansionismo ruandese verso l’est di questo Paese. Inoltre, i recenti discorsi del presidente ruandese non fanno altro che rafforzare l’ipotesi della balcanizzazione. Il presidente ruandese ha ancora recentemente sostenuto che l’attuale crisi di insicurezza è il risultato della delimitazione delle frontiere tra il Ruanda e la RDC durante l’epoca coloniale. Egli ha chiaramente affermato che «parte del Ruanda è stata concessa al Congo e all’Uganda», aggiungendo che: «le frontiere fissate durante il periodo coloniale hanno condizionato e diviso i nostri popoli». Queste dichiarazioni hanno aumentato la tensione tra i due paesi e provocato forti reazioni nella RDC.

1.2.2. Motivazioni locali

In primo luogo, le rivendicazioni dell’M23 “versione 2” si basano sulle Dichiarazioni di Nairobi del 12 dicembre 2013, senza che esse si distinguano dalle rivendicazioni originarie del 2012 (legate all’accordo dell’Hotel Ihusi, firmato a Goma il 23 marzo 2009, dal governo della RDC e dal CNDP). Tuttavia, questi vari accordi devono essere intesi nel contesto più ampio della storia conflittuale del Nord Kivu, che risale al periodo dell’indipendenza

1.2.2.1. Dichiarazioni di Nairobi

Dopo la sconfitta dell’M23 nel 2013, si sono svolti dei colloqui di pace tra il governo congolese e l’M23 con la mediazione dell’Uganda. Al termine di questi colloqui, l’M23 e il governo congolese avevano assunto degli impegni mediante due dichiarazioni separate: le Dichiarazioni di Nairobi del 12 novembre 2013. In esse, l’M23 aveva rinunciato alla ribellione, mentre gli impegni del governo congolese riguardavano:
– L’amnistia per fatti di guerra commessi dai membri dell’M23 dal 2012 al 2013;
– Il disarmo e il reinserimento sociale (ma non l’integrazione nell’esercito) dei membri dell’M23;
– Il ritorno e il reinserimento dei rifugiati congolesi all’estero e degli sfollati interni;
– La riconciliazione nazionale comprendente, tra altre cose, la lotta contro la discriminazione etnica e l’incitamento all’odio, la protezione della comunità tutsi e la risoluzione dei conflitti interetnici, tra cui i conflitti fondiari;
– La piena attuazione degli impegni presi in occasione dell’Accordo di Pace del 23 marzo 2009.
L’M23 “versione 2” ha giustificato la ripresa delle ostilità accusando il governo congolese di non avere rispettato la maggior parte degli impegni assunti nelle dichiarazioni di Nairobi del 2013. Tuttavia, l’M23 “versione 2” ha aggiunto altre rivendicazioni a livello nazionale, come “la fine della corruzione” e “la riforma dell’esercito”.

1.2.2.2. Motivazioni storiche

Le motivazioni dell’attuale guerra nel Piccolo Nord del Nord Kivu (i territori di Nyiragongo, Rutshuru, Masisi e Walikale) hanno anche delle origini lontane, risalenti a dei conflitti già esistenti prima e subito dopo l’indipendenza. Questi conflitti erano spesso legati a questioni di accesso alle terre, alle risorse naturali e al potere, ma anche a problemi di governance e alla strumentalizzazione delle identità etniche.
L’importanza del contesto storico è emersa chiaramente nel corso di interviste con degli abitanti del Nord Kivu. Spiegando le origini dell’attuale conflitto con l’M23, diverse persone intervistate hanno citato la cosiddetta guerra “Kanyarwanda” (1963 – 1965) e persino il periodo coloniale (prima del 1960). Questi riferimenti dimostrano quindi l’importanza di una buona comprensione del contesto storico locale, al fine di pervenire a delle soluzioni viabili e durature.
Se i conflitti nel Nord Kivu risalgono agli inizi degli anni 1960, le loro cause risalgono già all’epoca coloniale e alle politiche del governo coloniale belga.
Innanzitutto, negli anni 1920, nei territori di Masisi e Rutshuru, i Belgi riformarono il sistema di governo locale, raggruppando insieme diverse entità locali e riducendo, quindi, il numero dei capi tradizionali che le amministravano. In seguito a tale riforma, furono create due sole entità amministrative, quella di Bwisha e quella dei Bahunde. Le comunità che non avevano un proprio capo tradizionale, come quelle ruandofone, dipendevano dai capi delle altre comunità autoctone, soprattutto per accedere alle terre.
In seguito, tra il 1937 e il 1945, a causa della scarsità di manodopera, l’amministrazione coloniale belga fece ricorso a dei Ruandesi, affinché lavorassero nelle piantagioni del Kivu. Fu il periodo della Missione di Immigrazione dei Banyaruanda (MIB), per mezzo della quale circa 100.000 Ruandesi furono “trapiantati” nel Congo Belga. Per accogliere queste popolazioni di origine ruandese (principalmente Hutu), i coloni belgi crearono una nuova entità amministrativa, quella di Gishari, nel territorio di Masisi. Nel cuore del Buhunde (la zona occupata dalla popolazione Bahunde), Gishari era un territorio di 349 km2, gestito dal capo tradizionale dei Bahunde, ma acquistato con forza nel 1939 dalla potenza coloniale belga, per trapiantarvi la popolazione eccedente del Ruanda. Anche se abitata principalmente da popolazioni hutu, questa nuova entità amministrativa creata dall’autorità coloniale era sotto l’autorità di un capo Tutsi, Buchanayandi, a sua volta dipendente da Mwami Rudahirwa, re del Ruanda. Tuttavia, già nel 1957, il governo coloniale soppresse l’entità di Gishari, rimettendola sotto il controllo dell’autorità tradizionale Hunde, perché la decisione di creare questa nuova entità amministrativa aveva dato origine a forti tensioni tra la popolazione locale. La soppressione del Gishari ha quindi reso difficile l’accesso dei Banyarwanda alle terre e riconfermato il loro statuto di popolo “non autoctono”.
Più tardi, intorno al 1959-1962, arrivò nel Kivu un gruppo di rifugiati ruandesi (per lo più della comunità tutsi). Essi fuggivano dal Ruanda a causa delle tensioni esistenti tra Hutu e Tutsi alla vigilia dell’indipendenza del Ruanda.
Durante il periodo di instabilità politica successivo all’indipendenza del Congo (30 giugno 1960), e più precisamente nel mese di luglio 1963, nel Nord Kivu iniziò un primo conflitto tra i Banyarwanda (Tutsi e Hutu) e gli altri gruppi etnici (Nande, Hunde e Nyanga). Noto come la guerra “Kanyarwanda”, questo conflitto terminò immediatamente dopo l’ascesa al potere del presidente Mobutu Sese Seko nel 1965.
La tregua seguita alla guerra “Kanyarwanda” aveva permesso agli immigrati ruandesi di stabilirsi permanentemente nei territori di Masisi e Rutshuru e di svilupparsi economicamente.
Durante il periodo della “Zairianizzazione” degli anni 1970, i Banyarwanda ottennero vaste distese di pascoli, grazie alle nuove leggi fondiarie (ad esempio, la legge “Bakajika”) che indebolivano l’autorità tradizionale locale e rafforzavano l’autorità dello Stato come unico fornitore legale di titoli fondiari. In questo modo, i grandi imprenditori agrari tutsi riuscivano a raggirare le autorità tradizionali locali che, in passato, erano le sole a poter garantire l’accesso alle terre ai membri delle comunità etniche locali. Sebbene legali, queste operazioni erano percepite, dal punto di vista dei piccoli agricoltori, come un’appropriazione indebita delle terre ancestrali, nella misura in cui il diritto tradizionale non veniva più rispettato e le autorità tradizionali non venivano più implicate nella procedura di accesso ai titoli fondiari. A questo proposito, un capo dell’entità amministrativa dei Bashali (Masisi) ha potuto dire: «Noi autoctoni eravamo ingenui, dicevamo sempre ‘Kilima yangu’ (la mia collina), senza mai pensare a ottenere i titoli fondiari».
Dagli anni 1990 in poi, l’obiettivo dei successivi movimenti politico – militari, tra cui l’AFDL, l’RCD e il CNDP, era quello di proteggere la popolazione tutsi (e in alcuni casi hutu), ma difendevano anche importanti interessi economici, in particolare la (ri)presa e la difesa delle terre dei  grandi proprietari. Ancora all’inizio degli anni 2000, durante il periodo dell’amministrazione dell’RCD e sotto sua diretta pressione, alcuni capi Hunde e di altre comunità etniche autoctone hanno continuato a vendere terreni ai ruandofoni. Inoltre, l’amministrazione dell’RCD ha venduto ampie zone agricole di proprietà dello stato alle élite dell’RCD e ha interferito nella nomina delle autorità tradizionali (violando così le procedure tradizionali), ad esempio nell’entità amministrativa dei Bashali. (Vedi riquadro “Il caso di Kapenda Muhima a Bashali, territorio di Masisi”).

Il caso di Kapenda Muhima a Bashali, territorio di Masisi.
Uno dei casi più emblematici della designazione di autorità tradizionali è quello di Kapenda Muhima, nominato capo dell’entità amministrativa dei Bashali nel 2002 dalle autorità dell’RCD, più precisamente dal governatore Eugene Serufuli Ngayabaseka, benché non avesse alcun legame familiare con l’autorità tradizionale del lignaggio dei Bashali. Per confermare l’autorità di Kapenda e dargli una certa legittimità nella linea dell’autorità tradizionale, in un articolo intitolato “La dinastia Ndalaa”, uno storico Hunde, considerato da alcuni al servizio dell’RCD, tentò di trovare un legame familiare tra Kapenda e il lignaggio di Bashali.

La corruzione all’interno dell’amministrazione fondiaria è stato un altro fattore che ha favorito la vendita di grandi aree agricole. Secondo un testimone, «alcune personalità dell’RCD e del CNDP hanno approfittato della corruzione che caratterizza l’amministrazione fondiaria di Kinshasa per ottenere titoli di proprietà su dei terreni appartenenti ad altri abitanti». Un membro del lignaggio dei Bashali ha aggiunto: «Lo Stato aveva recuperato molte piantagioni, diventandone il proprietario. Successivamente […] dei politici le avevano acquistate quasi gratuitamente e ne avevano ottenuto i titoli di proprietà. Chi ha acquistato tutte queste piantagioni sono quelli che hanno collaborato con il governatore Serufuli, membro dell’RCD […] Successivamente, sono partiti per Kinshasa, dove hanno ottenuto i titoli di proprietà su queste piantagioni, senza previamente indagare se appartenessero o meno a qualche altro cittadino».
Secondo diverse persone intervistate, nel conflitto attuale del Nord Kivu stanno riemergendo le tensioni, già esistenti nel passato, tra gli Hutu e, soprattutto, i Tutsi da una parte, e gli altri gruppi etnici dall’altra, a proposito dell’accesso alle terre e al controllo del potere (Vedere le sezioni 2 e 3).
Nella RDC, la pubblica opinione identifica abitualmente ciascun gruppo armato con la sua comunità etnica di appartenenza, a partire dai suoi dirigenti, e l’M23 è spesso associato ai Tutsi.
Pertanto, questa tensione storica (sul controllo delle terre e del potere) è sempre presente nelle rivendicazioni dei vari movimenti politico – militari a maggioranza tutsi, tra cui il CNDP e l’M23. Nella loro narrativa, essi affermano di voler difendere il loro gruppo etnico (tutsi) dal pericolo di dovere perdere terre e potere locale e di voler facilitare il ritorno dei rifugiati tutsi dal Ruanda nel Piccolo Nord del Nord Kivu.

1.3. Le problematiche dell’attuale governance delle terre e dell’autorità tradizionale

I conflitti per il controllo delle terre e del potere fanno parte di una dimensione storica che risale, come spiegato sopra, al periodo immediatamente successivo all’indipendenza della RDC. Nella provincia del Nord Kivu, le numerose controversie e animosità interetniche non hanno ancora trovato alcuna soluzione. Queste problematiche sono state aggravate da fattori regionali già esaminati nella sezione 1.2.1. e collegati all’estrazione e al commercio delle risorse naturali, alla geopolitica regionale imperniata sull’est della RDC, considerato come importante centro di mercato per l’intera Regione dei Grandi Laghi, alla situazione di insicurezza, alla pressione demografica cui è sottoposta la regione dei Grandi Laghi e al gran numero di rifugiati in attesa di ritornare ai loro villaggi di origine.
Inoltre, nella RDC esiste un grave problema di governance, che aggrava le tensioni relative al controllo della terra e del potere locale nel Nord Kivu. In primo luogo, c’è la dualità del diritto fondiario, che si regge sia sulla legislazione scritta emanata dallo Stato, sia sul ruolo dell’autorità tradizionale nella gestione delle terre. Questa dualità giuridica crea un’enorme confusione e impedisce di garantire i diritti degli utilizzatori della terra. Ancor di più, il potere tradizionale è fortemente basato sull’appartenenza ad una comunità etnica, ciò che può contribuire ad un clima di  discriminazione nei confronti delle altre comunità. In particolare, dei capi tradizionali assumono talvolta degli atteggiamenti ostili nei confronti delle persone estranee alla loro tribù, soprattutto quando si tratta della proprietà di vaste distese di terre. Questo problema è più acuto nel territorio di Masisi, dove Hutu e Tutsi sono contestati, perché considerati come degli immigrati. Infine, si tratta anche di un problema di applicazione, da parte dello Stato congolese, della legislazione relativa all’accesso alla terra e all’ottenimento di titoli fondiari.
A causa di questi problemi, lo Stato congolese non riesce né a garantire i diritti di proprietà, né a mettere in atto delle procedure trasparenti ed eque per l’accesso alla terra. Per di più, non riesce nemmeno a reprimere i gruppi armati rivali. Questa debolezza rafforza la convinzione che l’unico modo per proteggere la proprietà e le libertà individuali sia il ricorso alle armi. Ed è a questo punto che l’M23 è intervenuto, come precedentemente hanno fatto i suoi predecessori, il CNDP e l’RCD.
Nel Nord Kivu, molti percepiscono l’attuale guerra dell’M23 come un suo tentativo di assicurarsi, a lungo termine, il controllo sul territorio in generale e sulle terre in particolare. Per fare questo, l’M23 ricorre all’infiltrazione e al controllo del potere a livello locale, perché sono i capi e le autorità locali che garantiscono l’accesso alla terra. Per questo, il primo obiettivo dell’M23 sarebbe l’indebolimento delle autorità tradizionali.
Benché le tensioni legate al controllo delle terre siano molto più forti nel territorio di Masisi che in quello di Rutshuru, le conseguenze della guerra in corso, tra cui la fuga delle popolazioni dai loro villaggi e l’accaparramento delle loro terre, sono percepibili in entrambi i territori (vedi sezione 2 sulla questione dei conflitti fondiari).
La stessa realtà riguarda anche il controllo del potere. Ciò riguarda in particolare l’indebolimento dell’autorità tradizionale, sia a Masisi che a Rutshuru,  attraverso la via dell’infiltrazione e dell’insediamento di autorità amministrative locali prossime agli ideali del M23 (Sezione 3).

2. LA QUESTIONE DELL’ACCESSO ALLA TERRA NELL’ANALISI DELL’ATTUALE CONFLITTO DELL’M23 DA PARTE DELLE POPOLAZIONI LOCALI

Essendo sempre stata una delle principali cause di conflitto nel Nord Kivu, la questione dell’accesso alle terre costituisce un importante motore dell’attuale guerra dell’M23. Tuttavia, non si può ridurre i conflitti fondiari a dei conflitti intercomunitari.
Nel Nord Kivu, infatti, si possono constatare molte altre forme di conflitti fondiari, tra cui i conflitti tra piccoli agricoltori e grandi proprietari, tra comunità rurali e società minerarie, tra allevatori e agricoltori, tra organismi per la protezione dei parchi nazionali (ad esempio il Parco Nazionale dei Virunga) e le popolazioni residenti nelle vicinanze. Poiché nel Nord Kivu i conflitti fondiari sono molto frequenti, essi influiscono anche sulle relazioni intercomunitarie.
L’accesso alle terre, e in particolare a quelle coltivabili, è quindi fonte di conflitto tra i diversi gruppi etnici, soprattutto nel territorio di Masisi. Ad esempio, gli Hutu e i Tutsi (ruandofoni) sono considerati come degli immigrati e il loro accesso alla terra è contestato dalle altre comunità che si considerano autoctone.
Una persona ha espresso in modo chiaro l’idea condivisa da molti membri delle comunità “autoctone”: «le terre che ora queste comunità [percepite come non autoctone] possiedono, sono state occupate con la forza o con l’inganno, soprattutto durante la guerra del RCD (1998-2003)».
È così che, secondo molte persone, la questione principale della guerra dell’M23 è la preservazione e la conservazione delle terre acquisite nel passato.
A questo proposito, un intervistato colloca la guerra attuale in una prospettiva storica, affermando che «le guerre di questi ultimi tre decenni sono una lotta per il controllo della terra e, perciò, sono guerre economiche. Gli autoctoni vengono cacciati ed espropriati delle loro terre a beneficio di altre popolazioni considerate come straniere o rifugiate».
In primo luogo, occorre ricordare che la terra viene ottenuta tramite acquisto legale (per contratto e pagamento, secondo la legislazione vigente dello Stato) o tramite “attribuzione in usufrutto” da parte delle autorità locali (spesso capi tradizionali). Tuttavia, ci sono anche casi di occupazione delle terre da parte di persone sfollate o di espropriazione da parte di influenti personalità del mondo dell’economia, della politica e dei servizi di sicurezza (ufficiali militari). Un intervistato ha riferito che: «nel 2006, le terre del capo tradizionale Bahati, presso Nyamitaba, un’entità amministrativa dei Bahunde, in territorio del Masisi, sono state saccheggiate dall’ex generale Laurent Nkunda, che continua a usufruirne fino ad oggi, nonostante le sentenze giudiziarie emesse a favore del capo Bahati, ma non rese effettive, a causa dell’intervento di influenti membri dell’M23».
Un altro intervistato ha dichiarato che, «durante questo ciclo di guerre, diverse persone sono state costrette a vendere i loro campi, perché erano state arrestate da membri dell’M23 che chiedevano loro delle somme esorbitanti per essere rimessi in libertà  e, quindi, hanno dovuto cedere i loro campi a prezzi ridicoli. Secondo  Bucyalimwe Mararo, il Nord Kivu è vittima di “sistematiche espropriazioni agricole effettuate mediante operazioni apparentemente legali e a vantaggio di una manciata di personalità militari e politiche». A titolo illustrativo, egli porta l’esempio del conflitto tra Emmanuel Kamanzi, un ex membro dell’RCD, e la popolazione del villaggio di Katebe Kachiri.

Emmanuel Kamanzi contro la popolazione di Katebe Kachiri
Dal 2009, un conflitto fondiario contrappone Emmanuel Kamanzi, ex membro dell’RCD, alla popolazione del villaggio di Katebe Kachiri (vicino a Sake, territorio di Masisi). Emmanuel Kamanzi sostiene di aver acquistato la concessione di Luhonga, di 300 ettari, nel 2006. Tuttavia, la popolazione sostiene che 100 ettari di questa concessione sono terreni che, secondo il diritto tradizionale, appartengono alla comunità. Un notabile locale ha dichiarato: «Quando siamo fuggiti a causa dell’avanzata del CNDP, lui [Emmanuel Kamanzi] ha iniziato a far pascolare le sue mucche sui terreni della nostra entità amministrativa. Il confine tra le sue terre e quelle nostre è la strada. Egli ha attraversato la strada, ha oltrepassato il confine e ora sta occupando le terre della nostra comunità». Questa situazione ha provocato degli scontri violenti: in ottobre 2009, quando gli agenti del servizio del Catasto sono arrivati per delimitare i confini della concessione di Luhonga, la popolazione si è dotata di machete e lance per tentare di impedire questa missione di delimitazione.

Un altro fattore di controllo delle terre è la corruzione che caratterizza l’amministrazione fondiaria. Alcune persone sono riuscite a ottenere dei titoli fondiari (contratto di affitto, locazione a lungo termine e certificati di registrazione) su vaste distese di terreni in modo irregolare, sia accaparrandosi di terre appartenenti agli autoctoni, sia falsificando i documenti esistenti. Questa situazione ha raggiunto il suo apice durante la guerra e l’occupazione della provincia del Nord Kivu da parte dell’RCD-Goma.

La proprietà della concessione di Kisuma
Un recente caso emblematico che riguarda delle accuse di accaparramento di terre (land grabbing) sulla base di documenti di cui si mette in dubbio la legalità, è quello della concessione di Kisuma, di 350 ettari, nel territorio di Masisi. All’inizio del 2020, il Ministro provinciale degli Affari fondiari del Nord Kivu ha dichiarato la nullità dei titoli di proprietà detenuti da Dunia Bakarani, operatore economico ed ex deputato nazionale e che egli aveva ottenuto sulla concessione di Kisuma l’anno precedente. Lo Stato ha così recuperato il centro agricolo per la produzione di sementi migliorate (CAPSA) di Kisuma. A sua volta, Dunia Bakarani ha reagito, sostenendo che il ministro provinciale non avrebbe potuto annullare i suoi titoli di proprietà, perché egli li avrebbe ottenuti nel rispetto di tutte le procedure legali. Ha inoltre aggiunto che, nel 2019, il ministro nazionale degli Interni, il ministro provinciale dell’Agricoltura e il Tribunale di grande istanza avevano tutti e tre riconosciuto la validità dei suoi titoli attraverso lettere ufficiali. Da quel momento in poi, Dunia Bakarani si era considerato l’unico titolare di quella concessione, ma la legalità dei suoi documenti continuava ad essere oggetto di dibattito. Jules Mugiraneza, deputato nazionale del Masisi, colloca la questione nel contesto più ampio dei conflitti fondiari esistenti nel Masisi, affermando: «Si tratta di una bomba a orologeria. I piccoli agricoltori che sono stati cacciati dalle loro terre vi tornano per uccidere le mucche degli allevatori che hanno occupato le loro terre, Questa è la desolante scena a cui assistiamo regolarmente nel Masisi. Lo Stato dovrebbe proteggere quegli agricoltori che, anch’essi, hanno bisogno di terre e campi per poter nutrire le loro famiglie».

Alcuni intervistati hanno inoltre affermato che, durante certi periodi di crisi, degli uffici dell’amministrazione (e dei capi tradizionali) vengono talvolta incendiati, per distruggere i documenti relativi ai titoli fondiari. Gli intervistati hanno portato l’esempio dell’incendio, nel 1993, degli uffici dei raggruppamenti di Bashali Mukoto (a Muhanga) e di Bashali Kaembe (a Mihanga), e della distruzione, ), all’inizio degli anni 1990, di tutti gli archivi dell’ufficio del raggruppamento di Bukombo (territorio di Rutshuru. Più recentemente, in gennaio 2022, anche gli uffici del capo località e della polizia di Mweso (nel distretto di Bashali, in territorio di Masisi) sono stati incendiati dalla popolazione locale, presumibilmente manipolata dall’M23.

3. L’INFILTRAZIONE DELLA GOVERNANCE LOCALE DIETRO L’AZIONE DELL’M23

L’accesso al potere è essenziale per ottenere e conservare le terre. Infatti, l’uso delle terre è regolato sia dalla legge scritta emanata dallo stato che dal diritto tradizionale. (Vedi paragrafo 1.3 sulla dualità del diritto fondiario). Secondo la legislazione dello Stato, sono le diverse autorità politico-amministrative che hanno la competenza di concedere dei terreni e sono dei servizi “tecnici” che hanno l’incarico di concedere, per conto dello Stato, i titoli di proprietà. Per quanto riguarda il diritto tradizionale, è il capo tradizionale, considerato custode delle terre che, in quanto tale, può concederne l’uso-frutto ai suoi amministrati, previo pagamento di contribut,i variabili a seconda delle diverse consuetudini.
“Kubusha Mwami, Buthaka bunabusha”, è un proverbio in lingua Kihunde che significa: “Non esiste un Mwami (capo) senza terra”. Inoltre, il controllo del potere, in particolare del potere tradizionale può, nello stesso modo, aumentare la legittimità di una comunità. Nel territorio di Masisi, per esempio, gli Hutu e i Tutsi non dispongono di un loro capo tradizionale che li possa amministrare. Questa situazione è fonte di ricorrenti problemi (esclusione da parte delle tribù autoctone, come gli Hunde), stereotipi e, talvolta, conflitti interetnici. È in conseguenza di questi poteri importanti delle autorità locali (e tradizionali) – che riguardano la gestione delle terre e il riconoscimento della legittimità di una comunità – che il controllo del potere è diventato una delle questioni importanti della guerra dell’M23.
Il controllo del potere da parte dell’M23 nelle zone da lui occupate, avviene, da un lato, mediante l’indebolimento delle autorità tradizionali e, dall’altro, attraverso la nomina di nuove autorità amministrative obbedienti. L’indebolimento delle autorità tradizionali è provocato mediante strategie diverse, sia a Masisi che a Rutshuru. Una strategia è quella di creare una situazione di insicurezza sul territorio, per costringere i capi tradizionali ad abbandonare le entità amministrative da essi gestite. Nel distretto di Bwisha (territorio di Rutshuru), per esempio, la maggior parte dei capi tradizionali, tra cui il capo tribù Jean-Baptiste Ndeze Rekaturebe, sono fuggiti sin dall’inizio degli attacchi dell’M23, nel mese di marzo 2022. Un altro modo per indebolire le autorità tradizionali è quello di costringere la popolazione locale a fuggire, in modo tale che il capo si ritrova senza sudditi. Un’altra strategia è la destabilizzazione dell’autorità di un capo tradizionale legittimo, creando o intensificando dei conflitti di successione al potere tradizionale all’interno dei vari gruppi etnici o clan familiari di appartenenza. In alcune altre situazioni, i capi tradizionali sono costretti a convivere con l’M23,  trovandosi bloccati in zone sotto suo controllo.
A partire da aprile 2022, l’M23 ha iniziato a istituire gradualmente una sua amministrazione parallela. Nelle zone da esso controllate, l’M23 ha nominato delle nuove autorità sulla base di considerazioni etniche: persone membri della comunità tutsi o persone appartenenti ad altri gruppi etnici ma simpatizzanti, come quelle che hanno legami stretti con l’ex RCD o l’ex CNDP. Spesso vengono nominate delle persone con ruoli e denominazioni nuove che non esistono nelle varie leggi dello Stato sulle entità territoriali decentralizzate, come “presidente del comitato per la pace, la sicurezza e lo sviluppo”, in sostituzione dei capi di raggruppamento. Per esempio, a Kiwanja e a Kitshanga questi “comitati per la pace, la sicurezza e lo sviluppo” sono stati istituiti dall’M23, nominandone anche i rispettivi presidenti: Mutudi Rukera Bienfait (a Kiwanja) e Mangunga Kibandja Patient (a Kitshanga). L’M23 ha inoltre intensificato il suo controllo sul territorio mediante la creazione di vari comitati locali (per l’organizzazione dei mercati o per la risoluzione delle controversie) e la nomina di nuovi agenti denominati “Nyumba kumi” (capi responsabili di 10 case) come, per esempio, nel villaggio di Kitovu. Questi Nyumba Kumi devono fare regolarmente rapporto alla gerarchia.
La sostituzione delle autorità tradizionali e amministrative non è un fenomeno nuovo.
Già al tempo del RCD (1998-2003), questa era una pratica molto comune e diffusa nel territorio di Masisi. Durante il periodo di Kapenda Muhima (vedi riquadro “Il caso di Kapenda Muhima a Bashali”, sezione 1.2.2.2), nominato dal RCD capo ad interim del distretto di Bashali, diversi capi locali sono stati destituiti, sospesi o sostituiti da altri. Lo storico Nkuba Kahombo fornisce un lungo elenco di capi locali vittime di questa pratica. Un intervistato ha affermato che queste strategie di indebolimento del potere tradizionale – come nomine alternative, sostituzioni di autorità locali – potrebbero provocare nuovi conflitti e, quindi, incrementare il ciclo della violenza anche dopo la fine della guerra.
Occorre ricordare che l’indebolimento del potere tradizionale non è una novità e che esisteva già prima dell’attuale guerra del M23, a causa dei conflitti esistenti tra i vari gruppi armati, del declino dell’autorità tradizionale presso le generazioni più giovani e dell’emanazione, da parte dello Stato, di leggi che sminuiscono il potere tradizionale.
A proposito di questa ultima causa, come spiegato nella sezione 1.2.2.2, varie leggi degli anni 1970 hanno proceduto alla riforma della proprietà fondiaria. Rendendo lo Stato congolese unico proprietario della terra, queste leggi hanno indebolito il ruolo delle autorità tradizionali nella gestione delle terre. Hanno così consentito ad alcune comunità, in particolare ai Banyarwanda ma anche ai Banande, di acquistare (nel  senso moderno della parola e, quindi, con regolare contratto e relativo pagamento)  molti terreni. In seguito all’acquisto di terreni sulla base di queste leggi, i nuovi proprietari si sono gradualmente rifiutati di pagare i consueti contributi ai capi tradizionali. Inoltre si sono presi il diritto di rivendere queste terre a chi vogliono, con grande malcontento dei Bahunde e dei loro capi.
Un grande allevatore membro della comunità tutsi di Kitshanga ha dichiarato: «Abbiamo ottenuto dei titoli fondiari che ci hanno dato pieni diritti su queste terre. Le autorità locali Hunde esigono dei contributi che non possiamo pagare, perché dobbiamo pagare le tasse previste dallo Stato. Non possiamo pagare delle imposte contemporaneamente allo Stato e ai capi tradizionali».
Infine, il potere delle autorità locali si è ulteriormente indebolito a causa dell’insicurezza provocata non solo dall’insurrezione dell’M23, ma anche dall’ascesa dei “Wazalendo”, una nuova coalizione di gruppi armati Mai-Mai già esistenti che si è formata per lottare contro l’M23. Molti di questi gruppi “Wazalendo” sono milizie Hutu (per esempio: i Nyatura). Il loro rafforzamento consolida la posizione delle comunità Hutu e rende più difficile l’esercizio del potere da parte dei capi tradizionali. Secondo un’autorità locale, «anche se l’M23 fosse definitivamente sconfitto, rimarrebbe ancora aperta la questione Hutu».

4. LE ENTRATE FINANZIARIE DELL’M23

Mantenere un movimento politico-militare dalle dimensioni dell’M23, che controlla vasti territori, richiede molte risorse, sia umane che materiali. Le fonti di sostenimento dell’M23 sono diverse, sia interne che esterne alla RDC. Il principale appoggio esterno proviene dall’esercito ruandese (RDF). Il secondo, soprattutto di tipo finanziario, proviene dai rifugiati tutsi residenti all’estero.
A livello interno, le diverse forme di entrate dell’M23 sono: tasse di circolazione (su mezzi di trasporto e su persone in transito) riscosse mediante erezione di posti di blocco stradali e nei posti di frontiera; tasse sulle attività commerciali e sulle famiglie; prelevamento di una percentuale sui prodotti agricoli; lavoro coatto della popolazione locale; la commercializzazione illegale delle risorse naturali e il contributo di personalità importanti.
L’M23 ha istituito una sua amministrazione parallela che gli permette di imporre delle tasse su qualsiasi tipo di attività economiche, come bar, caffetterie e negozi. A titolo di esempio, un abitante di Kitshanga (Masisi) conferma che, in quella cittadina, «ogni proprietario di un ristorante o di un bar, ogni parrucchiere o calzolaio, ogni venditore di ricariche telefoniche e ogni commerciante ambulante pagano, ciascuni, 1.000 franchi congolesi (FC) [0,5 US $] al giorno ». Un abitante di Bambu aggiunge: «A Kitshanga, […] ogni negozio deve pagare all’M23 50.000 FC ogni tre mesi».
L’M23 utilizza sistematicamente i civili per svolgere lavori coatti, in particolare per trasportare le munizioni e i beni saccheggiati o per effettuare dei lavori comunitari (salongo), come la manutenzione delle strade e delle parcelle adiacenti agli uffici amministrativi o ai centri di salute.
L’assenza dal lavoro comunitario è punibile con una multa. Alla fine del lavoro, ognuno riceve uno scontrino che deve conservare e chiunque ne venga trovato sprovvisto  viene arrestato, punito e costretto a pagare 20 dollari per il rilascio.
L’M23 tassa l’accesso alle terre. Questa tassa è accompagnata dall’emissione di uno scontrino che gli agricoltori devono conservare e presentare ad ogni posto di blocco stradale come prova del pagamento effettuato. L’M23 impone agli agricoltori anche altri tipi di tasse. Un intervistato ha affermato che, in occasione dei raccolti, i proprietari di campi devono pagare fino a 10 misure di fagioli o mais. Dieci misure di fagioli possono pesare dai 12 ai 15 chilogrammi, mentre a Goma un chilo di fagioli costa dai 3.000 ai 3.500 FC.
L’M23 è implicato anche nello sfruttamento illegale delle risorse naturali del Parco Nazionale dei Virunga (PNVi). Nel mese di luglio 2023, un consorzio di 14 organizzazioni della società civile ha inviato al Capo dello Stato una lettera, in cui accusava l’M23 di bracconaggio e di deforestazione per produzione e commercializzazione illegale di legname e carbone (makala). L’M23 riscuote dai 10 ai 30 dollari per forno di produzione di carbone a Tebero (tra Kilolirwe e Burungu, nel territorio di Masisi). A Mabenga (nel territorio di Rutshuru), degli ugandesi protetti dall’M23 abbattono vaste quantità di alberi per produrre assi che esportano di contrabbando verso l’Uganda.
Alcuni membri influenti della comunità tutsi, tra cui personalità politiche e grandi allevatori, contribuirebbero (volontariamente o meno) al finanziamento dell’M23. Si tratterebbe, in particolare, dei grandi proprietari che hanno ottenuto vaste distese di terreni nel territorio di Bashali durante il periodo della guerra dell’RCD (vedi sopra).

4.1. Il caso dei posti di blocco stradali

Il controllo delle strade è una strategia importante per ovvi motivi militari, ma anche per il finanziamento di tutti i gruppi armati, compreso l’M23.
Proprio come nel 2012, anche nel 202 l’M23 è avanzato soprattutto lungo le strade principali e ha cercato di occupare incroci, ponti e snodi commerciali chiave. In ottobre 2022, ha occupato posti di frontiera come Kitagoma e Bunagana. Nel 2023, ha occupato importanti centri commerciali, come Kilolirwe, Kitshanga e Mushaki. Ovunque, l’M23 ha eretto dei posti di blocco stradali.
Al confine con l’Uganda, l’M23 occupa il posto di frontiera di Bunagana dal 22 giugno 2022. Secondo il gruppo di esperti delle Nazioni Unite, solo per le tasse di transito imposte ai pedoni che attraversano la frontiera portando con sé delle merci, l’M23 ricava circa 27.000 dollari al mese,
L’M23 si finanzia anche attraverso la tassazione del traffico commerciale sulle diverse strade interne situate nella provincia del Nord Kivu, tra cui le strade Bunagana-Kiwanja-Rutshuru (nel territorio di Rutshuru) e Sake-Kilolirwe-Kitshanga (nel territorio di Masisi). .
Sulla strada che collega Kiwanja a Bunagana (nel territorio di Rutshuru), l’M23 impone tasse che, per un solo passaggio, variano tra 320 e 700 $ per i camion, e tra 10.000 e 15.000 FC per le moto. Gli agenti dell’M23 che presidiano queste barriere rilasciano delle ricevute. Un commerciante di Kiwanja ha riferito che i conducenti di moto che vanno da Bunagana a Rutshuru ricevono questa ricevuta a Bunagana e devono mostrarla al checkpoint dell’M23 a Tshengerero. Invece, il veicolo in arrivo da Rutshuru paga la tassa a Tshengerero e riceve la ricevuta a Bunagana.
Anche sulla strada Kitshanga-Kilolirwe-Sake (territorio di Masisi), l’M23 ha eretto delle barriere stradali. Alla barriera di Burungu, ogni veicolo (spesso chiamato Fuso, in riferimento alla marca dei camion) in transito verso Sake paga tra i 300 e i 700 dollari per ogni passaggio e una moto che trasporta delle merci paga tra i 5.000 e i 10.000 FC. Gli agenti dell’M23 rilasciano una ricevuta ai conducenti dei veicoli e moto. Alla barriera di Kilolirwe, l’M23 controlla e ritira la ricevuta. Secondo vari trasportatori, ogni settimana sono almeno 30 i veicoli grandi e 10 quelli piccoli che transitano sulla strada Sake-Kitshanga e che, quindi, attraversano la barriera di Burungu. Inoltre, in questa zona, ogni giorno passano almeno 100 moto. Tutto ciò fa pensare che le entrate  fiscali a favore dell’M23 possano essere stimate almeno sui 69.500 dollari al mese.
Durante l’occupazione della cittadina di Mushaki (sulla strada tra Sake e Masisi), l’M23 ha istituito una “tassa sul latte fresco”. Per un piccolo contenitore di 5 litri di latte, un commerciante che deve passare per il posto di blocco stradale eretto all’uscita della città deve pagare una tassa di 1.000 FC (ovvero 0,5 $).
Le barriere stradali vengono utilizzate anche per la tassazione dei prodotti agricoli. Per esempio: a Kahunga, località non lontana da Kiwanja (in direzione di Kanyabayonga), c’è una postazione militare ora occupata dall’M23. Come facevano prima i militari dell’esercito, anche l’M23 impone sistematicamente dei prelievi in ​​natura agli agricoltori che tornano dai campi la sera dopo il lavoro. Ogni agricoltore che porta con sé dei prodotti deve pagare una tassa secondo le seguenti modalità:
– 2.000 FC per ogni sacco di fagioli, mais o carbone;
– 1.000 FC per ogni fascio di legna da ardere;
– 10.000 FC per ogni bidone di bevanda locale prodotta mediante fermentazione di banane e mais.

5. CONCLUSIONE

Basandosi su interviste con abitanti rurali del Nord Kivu, questo rapporto dimostra che la ripresa delle armi da parte dell’M23 è in gran parte basata su due obiettivi principali: l’accesso alle terre e il controllo del potere locale a livello provinciale. Gli intervistati collocano  la ricomparsa dell’M23 in un contesto storico che risale al periodo immediatamente successivo all’indipendenza della RDC, quando la cosiddetta guerra “Kanyarwanda” contrappose gli Hutu e i Tutsi alle altre tribù della provincia del Nord Kivu. All’inizio di quella guerra c’erano già delle rivendicazioni relative all’accesso alle terre e al controllo del potere: essendo i Banyarwanda (Hutu e Tutsi) considerati come degli immigrati (“non autoctoni”), il loro accesso alle terre e al potere è sempre stato messo in discussione e contestato. L’attuale guerra dell’M23, così come quelle dei suoi predecessori RCD e CNDP, è percepita dalle popolazioni che si considerano autoctone come il prolungamento di una guerra di occupazione delle terre e di indebolimento del potere, in particolare delle autorità tradizionali.
Alle tensioni storiche sull’accesso alle terre e al potere, si aggiunge un problema di governance. Lo Stato non riesce a garantire i diritti degli utilizzatori delle terre, a causa di problemi inerenti alla legislazione sulla proprietà e alla sua applicazione. Inoltre, per quanto riguarda la problematica delle terre, esiste una discriminazione, da parte delle autorità tradizionali, nei confronti delle comunità classificate come “non autoctone”. Dato che, per la sua debolezza, lo Stato non riesce a proteggere in modo soddisfacente la proprietà terriera e non è in grado di combattere e sconfiggere i molti gruppi armati attivi nel Nord Kivu, tra i proprietari terrieri si è rafforzata la convinzione che l’unico modo per difendere le loro proprietà e le loro terre sia il ricorso alle armi. Gli intervistati ritengono quindi che l’obiettivo della ricomparsa dell’M23 sia l’accaparramento delle terre e il controllo del potere locale.
Nella cultura tradizionale, il controllo delle terre non può essere pienamente garantito che mediante il controllo del potere e viceversa. È per questo che l’M23 ha istituito una sua amministrazione nei territori da esso occupati. Nella sua strategia, l’M23 ha indebolito il potere tradizionale, costringendo le autorità tradizionali ad abbandonare le loro entità, provocando conflitti tra i membri dei lignaggi eredi del potere tradizionale o creando nuovi ruoli e incarichi che non esistono nell’amministrazione territoriale ufficiale della RDC. Con le nuove nomine effettuate, l’M23 starebbe preparando il terreno per altri conflitti di ordine amministrativo ed etnico. Queste strategie costituiscono una bomba a orologeria e potrebbero avere conseguenze devastanti anche dopo la fine di questa guerra.
Il contesto regionale non fa altro che alimentare queste tensioni. Gli interessi economici dei paesi limitrofi al Kivu e l’ingerenza militare, soprattutto del Ruanda, hanno suscitato grandi preoccupazioni tra il popolo congolese che, disperato, ha moltiplicato discorsi odiosi e xenofobi contro i ruandofoni, soprattutto tutsi e banyamulenge, considerati come gruppi etnici stranieri.
L’M23n strumentalizza questi atteggiamenti e comportamenti per giustificare la sua lotta contro un “genocidio imminente” della popolazione tutsi, legittimando così la sua espansione territoriale. Tuttavia, questa cosiddetta protezione delle comunità tutsi ha generato l’effetto contrario perché, a sua volta, acuisce i conflitti etnici e favorisce la rinascita di altri gruppi armati. Questa crisi ha infatti rianimato una moltitudine di gruppi armati locali raggruppati sotto il nome di “Wazalendo” che si oppongono all’M23.
Infine, di fronte all’espansione dell’M23, il governo congolese ha preferito giocare la carta militare piuttosto che quella diplomatica. A causa della debolezza dell’esercito congolese, il governo ha deciso di collaborare con i gruppi armati locali riuniti sotto il nome “Wazalendo” per combattere contro l’M23. Questa strategia ha portato alla proliferazione dei gruppi armati e ad “una milizianizzazione della governance locale”.