Congo Attualità n. 493

UNA LAVATRICE MARCA “ITSCI”

Inchiesta su un programma di tracciabilità dei minerali “3T” apparentemente implicato in operazioni di riciclaggio

Global Witness – aprile 2022 – 3ª parte su 3. [1]

INDICE

3. IL RUOLO DELL’ITSCI IN RUANDA
3.1 Riciclaggio di minerali provenienti di contrabbando dalla RDC
3.1.1 Il continuo aumento del contrabbando, nonostante l’introduzione del programma ITSCI
3.1.2 Una mancanza di trasparenza che nasconde le disparità tra la produzione mineraria del Ruanda e le sue esportazioni
3.1.3 Il commercio di minerali di contrabbando ha scoraggiato le iniziative di produzione mineraria locale in Ruanda
3.1.4 L’ITSCI ignora i minerali introdotti di contrabbando in Ruanda a partire dalla RDC
3.1.5 L’implementazione dell’ITSCI nella RDC ha ridotto il contrabbando di minerali “illegali” verso il Ruanda, ma ne ha favorito il riciclaggio in RDC
3.2 I primi beneficiari del programma ITSCI
3.2.1 Minerals Supply Africa (MSA
3.2.2 Le imprese di Chris Huber in Ruanda
4. MINERALI DI DUBBIA ORIGINE NELLE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO INTERNAZIONALI
4.1 Minerali provenienti da zone di conflitto e oggetto di traffici illegali nella RDC
4.2 Minerali congolesi introdotti illegalmente in Ruanda
CONCLUSIONE
RACCOMANDAZIONI

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3. IL RUOLO DELL’ITSCI IN RUANDA

Durante la seconda guerra del Congo (1998-2003), il Ruanda ha svolto un ruolo molto importante nel saccheggio dei minerali congolesi, poi utilizzato per finanziare la guerra di invasione.
In questo capitolo si esaminerà come grandi quantità di minerali provenienti di contrabbando dalla RDC abbiano continuato ad essere illegalmente introdotte in Ruanda, nonostante la presenza dell’Iniziativa per la Catena d’approvvigionamento dello Stagno (ITSCI) in entrambi i paesi. Secondo alcune testimonianze, il programma ITSCI ha addirittura contribuito ad incrementare queste attività illegali, soprattutto durante i suoi primi anni di attività in Ruanda. Invece di garantire la tracciabilità di minerali estratti legalmente in regioni esenti da conflitti e violazioni dei diritti umani, l’ITSCI potrebbe aver occultato la provenienza d’origine di minerali provenienti da zone occupate da gruppi armati e facilitato il loro riciclaggio, fornendo loro un’apparenza di legittimità all’operazione.

3.1 Riciclaggio di minerali provenienti di contrabbando dalla RDC

3.1.1 Il continuo aumento del contrabbando, nonostante l’introduzione del programma ITSCI

Mentre il programma dell’Iniziativa della Catena di approvvigionamento dello Stagno (ITSCI) si è diffuso lentamente nella RDC, esso è stato implementato molto più rapidamente in Ruanda. Se in RDCongo il primo progetto pilota ITSCI è stato iniziato nel 2010, presso la miniera di Kalimbi (provincia del Sud Kivu), esso è stato l’unico progetto dell’ITSCI fino alla fine del 2013. Nel Nord Kivu, un’altra provincia della RDC, dove i minerali hanno contribuito in modo significativo ad intensificare i conflitti, l’attività dell’ITSCI è iniziata solo nel 2014.
In Ruanda, il programma ITSCI era stato iniziato nel 2010. In aprile 2011, esso copriva già tutte le miniere del Paese e tutti gli esportatori di minerali “3T” vi avevano aderito. Nel 2012, il 97% di tutte le esportazioni di minerali “3T” erano etichettate dall’ITSCI.
Come nella RDC, per l’attuazione del programma ITSCI in Ruanda, l’Associazione Internazionale dello Stagno (ITA) ha collaborato con l’ONG PACT.
Global Witness ha intervistato un ex agente di PACT, uno dei responsabili del progetto ITSCI in Ruanda tra il 2011 e il 2014. In quel tempo, egli era incaricato di verificare se il numero delle etichette distribuite alle miniere dal Dipartimento ruandese di Geologia e Miniere, Partner statale dell’ITSCI, corrispondesse o meno al volume di produzione.
Spesso, quando egli si recava con la sua equipe nelle miniere per un’ispezione, quasi mai vi trovava minatori al lavoro. Tuttavia, come egli ha spiegato a Global Witness, queste miniere avevano ricevuto delle etichette dal Dipartimento ruandese di Geologia e Miniere. Sulla base delle proprie osservazioni e dei dati di produzione precedenti all’inizio dell’attività dell’ITSCI, egli ritiene che, all’inizio dell’introduzione del programma ITSCI in Ruanda, solo il 10% circa dei minerali esportati dal Ruanda fosse stato effettivamente estratto sul posto, mentre il restante 90% delle esportazioni era costituito da minerali di contrabbando introdotti in Ruanda illegalmente dalla RDC, prima della loro esportazione da parte del Ruanda. Negli anni successivi la produzione nazionale è andata aumentando, grazie all’opera di promozione dell’attività mineraria da parte del governo ruandese.
Ma, nello stesso tempo, è aumentato anche il contrabbando, al punto che, secondo l’ex agente di PACT, il volume dei minerali di origine ruandese nelle esportazioni continuava a mantenersi ancora intorno al 10% circa.
Il fatto che non ci sia stato alcun intervento per arrestare l’immissione illegale di minerali nella catena di approvvigionamento dell’ITSCI in Ruanda non ha fatto altro che incoraggiare il contrabbando di minerali dalla RDC.
Inoltre, quando nel 2012, il governo congolese ha reso obbligatoria la tracciabilità dei minerali “3T” destinati all’esportazione, la lentezza che ha caratterizzato l’implementazione del sistema ITSCI nella RDC, dato il difficile contesto, ha fatto sì che la maggior parte dei minerali non potesse più essere esportata in forma legale, il che ha ulteriormente favorito l’incremento del contrabbando dei minerali congolesi verso il Ruanda, dove venivano etichettati illegalmente prima di essere esportati.

3.1.2 Una mancanza di trasparenza che nasconde le disparità tra la produzione mineraria del Ruanda e le sue esportazioni

Global Witness e altre organizzazioni hanno regolarmente fatto notare che le cifre relative alle esportazioni di minerali da parte del Ruanda non corrispondono affatto a quelle relative alla produzione, apparentemente molto più limitata. Il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha inoltre regolarmente registrato il passaggio illegale di minerali “3T” dalla RDC verso il Ruanda e altri paesi vicini, il che spiegherebbe ampiamente queste differenze. Una panoramica dei dati di produzione conferma questa ipotesi.
Nel caso del coltan il divario tra le esportazioni e la produzione nazionale è particolarmente evidente. Un esperto del settore minerario, che ha lavorato in Ruanda e che ha visitato la maggior parte delle concessioni minerarie di quel paese, stima che la produzione totale di coltan estratto dalle miniere ruandesi sia di circa 5-7 tonnellate al mese, più un volume inferiore proveniente da miniere che non fanno parte delle concessioni ufficiali. Benché le opinioni degli esperti differiscano l’una dall’altra a proposito delle quantità di coltan estratto in Ruanda, è molto improbabile che la produzione totale di coltan si avvicini alle 1.000 – 2.400 tonnellate ufficialmente esportate ogni anno a partire dal 2012 dal Ruanda, diventato nel 2014 il principale esportatore di coltan nel mondo.
Un altro esperto del settore ha spiegato che, in discussioni informali, degli agenti del Dipartimento ruandese delle miniere hanno confermato che i dati relativi alle esportazioni ruandesi di minerali 3T superavano di gran lunga le cifre relative alla produzione locale.
Il governo ruandese nega con veemenza queste accuse, senza però fornire prove contrarie. Le autorità pubbliche ruandesi, infatti, non pubblicano nessun dato sulla produzione mineraria nazionale.
Nemmeno l’ITSCI pubblica i dati di produzione miniera per miniera, mentre molte società estrattive lo fanno, spesso con orgoglio, attraverso i propri siti web. La mancanza di trasparenza da parte dell’ITSCI sui dati di base contraddice le sue dichiarazioni del 2011 quando, in cerca di sostegno internazionale, l’ITSCI presentò alla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti un piano quinquennale, in cui prometteva di rendere pubblici tutta una serie di dati, tra cui, nel caso della RDC, i dati di produzione per ogni miniera, il numero di minatori per ciascuna miniera, le quantità acquistate e vendute in ogni centro commerciale e il prezzo medio di vendita dei minerali.

3.1.3 Il commercio di minerali di contrabbando ha scoraggiato le iniziative di produzione mineraria locale in Ruanda

Un esperto del settore ha dichiarato a Global Witness di aver fatto, nel 2016, una mappatura delle miniere di coltan in Ruanda, ma di avervi trovato pochi siti minerari e una produzione molto limitata. Secondo lui, spesso anche i siti più promettenti non erano pienamente attivi, perché era molto più economico acquistare etichette e minerali dalla RDC, piuttosto che investire in attività estrattive legali in Ruanda. L’ex gestore di una miniera ruandese ha spiegato a Global Witness che è più economico acquistare minerali di contrabbando che estrarli sul territorio ruandese, poiché ciò comporterebbe molte spese (macchinari, attrezzi di lavoro e dispositivi di protezione per i minatori, pagamento di tasse, ecc.). Da ciò si può dedurre che il fatto di aver lasciato che dei minerali di contrabbando provenienti dalla RDCongo transitassero attraverso il Ruanda per la loro esportazione ha scoraggiato le iniziative di estrazione mineraria legale in quel paese.

3.1.4 L’ITSCI ignora i minerali introdotti di contrabbando in Ruanda a partire dalla RDC

Ancora oggi, i rapporti del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite continuano a denunciare il contrabbando di minerali, tra cui il coltan, dalla RDC verso il Ruanda. In numerose occasioni, i minerali contrabbandati vengono trasportati direttamente verso centri commerciali alla periferia di Kigali, dove vengono etichettati. Il gestore di una miniera ruandese ha spiegato come funziona questo traffico: «Le etichette sono come una merce: le si compra e le si vende. Tutti i titolari di una licenza di estrazione mineraria ricevono delle etichette e possono rivenderle. In alcuni casi, le etichette vengono rivendute anni dopo».
Come ha spiegato l’ex agente dell’Ong Pact menzionato in precedenza, l’orario di lavoro dell’ITSCI era dalle 8:00 alle 17:00, ma i minerali venivano trasportati di contrabbando tra le 17:00 e le 8:00.
Egli ha aggiunto che l’ITA spesso ometteva di pubblicare le informazioni sugli incidenti in cui erano implicate delle grandi società. Egli ha precisato che egli stesso le segnalava regolarmente dei casi di contrabbando di minerali dalla RDC al Ruanda, ma che l’ITA poi selezionava i rapporti che voleva pubblicare. Secondo lui, l’ITA ha pubblicato alcuni rapporti su incidenti in cui erano implicate delle piccole società, alcune delle quali hanno successivamente dovuto chiudere. Nello stesso tempo, l’ITA ha tuttavia protetto le aziende che esportano i maggiori volumi di minerali di contrabbando, come la Minerals Supply Africa (MSA) e la Tawotin. Secondo lui, «la MSA e altre grandi società avrebbero dovuto essere chiuse», ma ciò sarebbe equivalso a chiudere l’intero Ruanda, essendo l’estrazione mineraria il più grande settore di esportazione del paese.
Sempre secondo l’ex agente di Pact, i revisori dell’ITSCI erano consapevoli delle disparità tra la produzione reale di coltan ruandese e le cifre relative alle esportazioni. Tuttavia, nei rapporti dell’ITSCI su MSA per il 2013-2014, su Tawotin per il 2014 e su Wolfram Mining and Processing (WMP) per il 2014, le tre grandi società implicate nell’esportazione di grandi quantità di minerali di contrabbando, si leggono sempre le stesse dichiarazioni: non vi sono prove che suggeriscano che la società sarebbe “implicata in […] qualsiasi dichiarazione falsa sull’origine dei minerali” o che avrebbe “appoggiato o collaborato con gruppi armati”. Tutto ciò fa sorgere la domanda: l’ITA sta prendendo sul serio la questione dei minerali oggetto di contrabbando tra la RDC e il Ruanda?

3.1.5 L’implementazione dell’ITSCI nella RDC ha ridotto il contrabbando di minerali “illegali” verso il Ruanda, ma ne ha favorito il riciclaggio in RDC

Il riciclaggio di minerali illegali “3T” provenienti dalla RDC era e, in misura minore, è ancora un’operazione molto redditizia per il Ruanda. Mentre la RDC perde molte entrate doganali, in seguito alla pratica del contrabbando e alla drastica diminuzione  di esportazioni ufficiali di minerali, il Ruanda invece vede aumentare le sue entrate doganali, grazie alle  tasse (4%) imposte sui minerali esportati. Nel 2014, le esportazioni di minerali “3T” hanno fatto entrare nelle casse dello Stato ruandese 174 milioni di dollari, ciò che rappresentava quasi un quarto delle sue entrate  nel settore delle esportazioni.
I dati sulle esportazioni ruandesi, in particolare di coltan e tungsteno, sono aumentati durante il consolidamento del sistema ITSCI in Ruanda fino al 2013-2014. Tuttavia, dopo un picco nel 2013 (per il coltan) e nel 2014 (per la cassiterite e il tungsteno), i dati sulle esportazioni sono progressivamente diminuiti. Nel 2019, le entrate generate dalle esportazioni di minerali “3T” erano scese a meno del 10% delle entrate totali registrate nel settore delle esportazioni del paese.
I volumi di minerali introdotti illegalmente in Ruanda dalla RDC sono diminuiti (anche se il contrabbando non si è fermato) da quando il sistema ITSCI è stato introdotto nella RDC, il che spiega la diminuzione osservata nelle esportazioni di minerali “3T” in Ruanda.
Tenuto conto del continuo passaggio illegale di minerali congolesi verso il Ruanda dove vengono etichettati e esportati come se fossero di origine ruandese, molti funzionari del Ministero delle Miniere della RDC hanno iniziato a utilizzare il programma ITSCI come uno strumento che consenta loro di immettere sul mercato internazionale una quota sempre più crescente di minerali “3T” congolesi (che provengano da miniere convalidate o meno), in modo tale che la RDC possa beneficiare delle entrate fiscali corrispondenti. Ciò si riflette nei dati sulle esportazioni di coltan: le esportazioni della RDC sono aumentate notevolmente tra il 2013 e il 2017, mentre le esportazioni totali da entrambi i paesi sono rimaste relativamente stabili.
Nell’est della RDC, per evitare che dei minerali 3 T congolesi fossero etichettati ed esportati dal Ruanda, gli agenti dello Stato hanno iniziato ad etichettare quanti più minerali “3T” possibili. Se questa pratica è stata percepita come un “dovere patriottico”, essa ha tuttavia permesso e facilitato l’immissione nel mercato internazionale di grandi volumi di minerali che, provenienti da miniere non convalidate, contribuiscono al mantenimento di conflitti armati. Invece di garantire la tracciabilità dei minerali esenti da qualsiasi legame con conflitti, comportamenti illegali e violazioni dei diritti umani, il programma ITSCI sembra essere stato utilizzato per riciclare, etichettare ed esportare dei  minerali che spesso contribuiscono al mantenimento di conflitti.

3.2 I primi beneficiari del programma ITSCI

3.2.1 Minerals Supply Africa (MSA)

La società MSA, il cui amministratore delegato era l’uomo d’affari britannico David Bensusan, ormai defunto, era stata costituita in Ruanda nel 2008. Per lungo tempo, MSA è stata il principale esportatore di minerali “3T” del paese. Dal 2008, la società è di proprietà di Cronimet Central Africa AG, società con sede in Svizzera. Rinominata “3T International AG” da febbraio 2020, è in liquidazione da settembre 2020. Per tutto quel tempo, 3T International AG e, prima di essa, Cronimet Central Africa AG, erano state indirettamente di proprietà della società tedesca Cronimet Holding GmbH.
Nel 2009, un anno prima dell’inizio del programma ITSCI in Ruanda, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite aveva riferito che circa il 70% delle esportazioni della MSA proveniva dalla RDC e circa il 30% dal Ruanda. Il gruppo di esperti aveva precisato che due terzi dei minerali di MSA provenienti dalla RDC non erano stati dichiarati presso le autorità doganali della RDC. D. Bensusan ha contribuito notevolmente alla creazione dell’ITSCI in Ruanda e la MSA ne è stata uno dei membri fondatori. In seguito, tra il 2011 e il 2013, le esportazioni di minerali 3T da parte di MSA sono progressivamente aumentate. Nel 2013, MSA esportava quasi un terzo di tutti i minerali “3T” esportati dal Ruanda, tutti ufficialmente etichettati come minerali ruandesi.
Durante il periodo 2009-2016, solo una parte molto piccola delle esportazioni di MSA era realmente estratta in miniere ruandesi, mentre il resto era costituito da minerali di contrabbando provenienti dalla RDC. Contrariamente a quanto affermato da MSA nel suo piano aziendale del 2014, in cui affermava di aver cessato di acquistare minerali dalla RDC da aprile 2011, una fonte ha indicato che molti camion che entravano all’interno degli stabilimenti di MSA a Kigali tra il 2011 e il 2015, per scaricare dei minerali, avevano la targa congolese.
Secondo altre fonti del settore minerario, la MSA considerava le miniere gestite dalla H&B Mining Company Ltd, nel distretto di Rwamagana, vicino a Kigali, come le più produttive. Tuttavia, secondo le stime di riferimento dell’Ong Pact del mese di ottobre 2011, queste miniere producevano solo 57 kg di coltan e 160 kg di cassiterite al giorno. Anche se i 40 minatori recensiti da Pact avessero lavorato ininterrottamente  tutti i giorni, quelle miniere non avrebbero mai potuto produrre più di circa 20 tonnellate di coltan e 60 tonnellate di cassiterite all’anno, cioè circa il 6% del coltan e della cassiterite esportati da MSA dal Ruanda nel 2012.

3.2.2 Le imprese di Chris Huber in Ruanda

Un altro negoziante che verosimilmente ha utilizzato il programma ITSCI per riciclare i minerali è Chris Huber. In Ruanda, egli ha avuto stretti rapporti con una serie di società minerarie, tra cui Ruanda Rudniki, Tawotin Ltd e Wolfram Mining and Processing (WMP).
Tra il 2007 e il 2014, C. Huber è stato implicato in una joint venture con la società mineraria Rwanda Rudniki, rappresentante della società Niotan Ltd (rinominata Refractory Metals Mining Company Limited o RMMC nel 2008), con sede a Hong Kong.
Le concessioni di Ruanda Rudniki non producevano che modeste quantità di minerali “3T”. Secondo documenti inediti di Ruanda Rudniki consultati da Global Witness, per gli anni 2012 e 2013 presi insieme, la produzione totale è stata di sole circa 15,5 tonnellate di coltan e 16,5 tonnellate di cassiterite. Tuttavia, secondo un altro documento inedito, nello stesso periodo la società ha esportato volumi molto maggiori di minerali etichettati ITSCI: quasi 120 tonnellate di cassiterite e 232 tonnellate di coltan nel 2012 e 67 tonnellate di cassiterite e 157 tonnellate di coltan nel 2013. Secondo una fonte ben informata, la Ruanda Rudniki non acquistava minerali estratti da miniere ruandesi situate al di fuori delle sue proprie concessioni. Ci si può dunque chiedere come essa riuscisse ad ottenere le etichette ITSCI per una quantità di minerali 18 volte superiore rispetto ai volumi realmente prodotti nelle proprie miniere. In realtà, secondo la stessa fonte, la maggior parte dei minerali esportati dalla Ruanda Rudniki erano minerali provenienti di contrabbando dalla RDC.
Un’altra impresa con la quale C. Huber aveva stretti legami è la Tawotin Ltd. Secondo due fonti del settore, C. Huber era l’effettivo proprietario di Tawotin, mentre Boniface Mbanza, presidente della Ruanda Rudniki, ne sarebbe stato amministratore delegato dal 2018. Nella stessa data, B. Mbanza era anche direttore generale e membro del consiglio di amministrazione di Nitora Rwanda Ltd, di cui Chris Huber era socio fondatore. Secondo i dati consultati da Global Witness, nel 2013 Tawotin aveva esportato 430 tonnellate di coltan e 42 tonnellate di cassiterite, tutte etichettate ITSCI. Nel 2016, Tawotin aveva esportato 211 tonnellate di coltan, 68 tonnellate di tungsteno e una tonnellata di cassiterite, tutte etichettate ITSCI. Solo tra gennaio e ottobre 2017, Tawotin ha esportato 250 tonnellate di coltan, 22 tonnellate di tungsteno e 5 tonnellate di cassiterite, sempre tutte etichettate ITSCI. Tuttavia, data la bassa produzione di coltan in Ruanda, sembra del tutto improbabile che tutti questi volumi di minerali siano stati estratti all’interno del paese. A questo proposito, una fonte ben informata ha riferito a Global Witness che vedeva dei commercianti arrivare periodicamente sul sito di Tawotin con del coltan e che, tra quei commercianti, ne aveva riconosciuto alcuni che erano congolesi.
La terza società che ha stretti legami con C. Huber è Wolfram Mining and Processing (WMP), di cui egli è membro del consiglio di amministrazione, secondo un documento del registro del commercio ruandese del 2021. Secondo i dati consultati da Global Witness, WMP ha esportato 84 tonnellate di cassiterite e 110 tonnellate di tungsteno nel 2012, 154 tonnellate di cassiterite e 36 tonnellate di tungsteno nel 2013, 57 tonnellate di cassiterite e 40 tonnellate di coltan nel 2016 e 98 tonnellate di tungsteno e 27 tonnellate di cassiterite tra gennaio e ottobre 2017, tutte etichettate ITSCI.
Secondo le previsioni di Pact a proposito della cassiterite, le miniere di WMP potevano produrre circa 79 kg al giorno, cioè meno di 29 tonnellate all’anno nelle migliori condizioni.
A conferma del sospetto di riciclaggio di minerali che questi dati fanno sorgere, una fonte del settore minerario ha rivelato a Global Witness che persone ben informate sulla situazione le avevano riferito che WMP stava acquistando minerali di contrabbando.
Questa stessa fonte, un ingegnere delle miniere, ha spiegato a Global Witness che, per giustificare la sua pretesa elevata produzione di minerali in Ruanda, Chris Huber aveva creato una serie di “miniere fittizie”, cioè inattive o poco attive, alle quali l’ITSCI attribuiva i minerali provenienti di contrabbando dall’est della RDC.  La stessa fonte ha dichiarato che, per raccogliere dati e prove dell’attività estrattiva di quelle miniere “fittizie”, ogni due mesi veniva organizzata una parodia di visita di controllo, alla quali erano convocate delle persone della zona, vestite da minatori e con elmetti protettivi, per dare l’impressione che le miniere fossero attive. Una volta scattate alcune foto di circostanza, le persone convocate venivano rimandate a casa. La fonte, che ha partecipato a una di queste “visite di supervisione”, ha notato che le miniere visitate erano in realtà delle cave di ghiaia, o di pegmatite, o di granito utilizzato per la produzione di mattoni. Secondo la fonte, nessuna delle miniere visitate produceva minerali “3T”.

4. MINERALI DI DUBBIA ORIGINE NELLE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO INTERNAZIONALI

Come dimostrato in questo rapporto, grandi volumi di minerali sono oggetto di contrabbando e di altri tipi di traffici illegali e contribuiscono alla persistenza di conflitti armati e di gravi violazioni dei diritti umani.  Nello stesso tempo, esistono prove convincenti che, in seguito ad operazioni di riciclaggio, quei minerali entrano nella catena di approvvigionamento di ITSCI nella RDC e in Ruanda e continuano poi il loro percorso sui mercati internazionali.

4.1 Minerali provenienti da zone di conflitto e oggetto di traffici illegali nella RDC

Secondo il database del Ministero delle Miniere consultato da Global Witness, nel 2020 e nel 2021 le società di esportazione Établissements Rica (Éts Rica), CDMC, SOGECOM e Congo Jia Xin (CJX) hanno acquistato minerali etichettati a Lubuhu, gran parte dei quali provenivano dalla miniera di Lukoma, occupata da milizie.
Nel 2020, SOGECOM e Éts Rica hanno acquistato dei minerali a Nzibira, dove si etichettavano dei minerali provenienti  dalle miniere di Lukoma e di Luyuyu, occupate da gruppi armati e dalla miniera di Chigubi, dove si sfruttava il lavoro minorile.
Nel 2020 e nel primo trimestre del 2021, CDMC ha inviato i suoi minerali del Sud Kivu alla Star Dragon Corporation Ltd (Hong Kong), SOGECOM a Halcyon Inc. (Dubai) e CJX a Noviva DWC LLC (Dubai). Secondo i dati delle autorità della RDC, Ets Rica ha spedito i suoi minerali del Sud Kivu alla Thaisarco (in Tailandia) tra gennaio e luglio 2020 e a MSC (in Malesia) tra luglio 2020 e marzo 2021. MSC e Thaisarco sono tra le più grandi fonderie che acquistano minerali 3T nella regione africana dei Grandi Laghi e molti marchi internazionali hanno riconosciuto che queste due fonderie fanno parte della loro catena di approvvigionamento in minerali 3T. Tesla, Motorola, Apple e Intel, ad esempio, hanno citato MSC e Thaisarco tra i loro fornitori nel 2020.
Dal 2018 e dal 2019 rispettivamente, CDMC e SOGECOM hanno acquistato grandi quantità di minerali estratti nella concessione della SMB di Rubaya e trasferiti illegalmente nella concessione della SAKIMA. Occorre ricordare che nel 2019 e nel 2020, la concessione SMB è stata teatro di gravi incidenti mortali e di altre violazioni dei diritti umani. Come nel caso dei minerali Lubuhu, nel 2018-2020, CDMC ha nuovamente esportato i suoi minerali inviandoli alla Star Dragon Corporation Ltd. Secondo le statistiche del governo, nel 2019 e nel 2020, SOGECOM ha esportato il suo coltan inviandolo alla Halcyon Inc., ad eccezione di una piccola quantità destinata alla società Giangzhou, con sede a Dubai. Nel 2020, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha riferito che, nonostante le violenze commesse sulla sua concessione, la SMB aveva esportato dei minerali inviandoli a Jiujiang Jinxin Non-ferrous Metals Co Ltd, a Cheng Du Metallic Materials Co Ltd e a Kalon Resources Limited.
Secondo il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite, nel 2019, i minerali estratti nelle miniere di Biholo e di Kamatale, nel territorio di Masisi (Nord Kivu), dove l’estrazione mineraria ha contribuito al finanziamento di gruppi armati, sono stati regolarmente venduti a SAKIMA, per essere poi rivenduti a CDMC. Ancora una volta, nel 2019, i minerali della CDMC provenienti dal Nord Kivu sono stati venduti alla Star Dragon Corporation di Hong Kong, che ha legami con John Crawley e Chris Huber.

Le società sono tenute a valutare e a ridurre i rischi constatati nelle loro catene di approvvigionamento, come stabilito nella Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza. L’OCSE considera le fonderie come un punto di controllo fondamentale nella catena di approvvigionamento di minerali e metalli, per il fatto di avere una visione globale, una influenza sulla catena di approvvigionamento a monte e la possibilità di influire sui propri fornitori.
Se le società identificano dei rischi, devono mettere in atto delle misure per ridurre tali rischi, o addirittura, sospendere i rapporti con i propri fornitori, se esiste il rischio che i minerali immessi nella loro catena di approvvigionamento contribuiscano a conflitti armati o a gravi violazioni dei diritti umani.
La Guida dell’OCSE sul dovere di Diligenza  raccomanda alle fonderie e alle società a monte di effettuare valutazioni periodiche sul campo e di consultare le varie fonti di informazione esistenti (contatti locali, pubblicazioni dell’ONU, del settore finanziario, dei media e delle ONG).
Tenuto conto delle carenze del sistema dell’ITSCI nell’applicazione del principio del dovere di diligenza, queste precauzioni sono ancora più importanti per le società che acquistano minerali “3T” da fonti che aderiscono al programma ITSCI.
Tuttavia, un’analisi dell’OCSE effettuata nel 2018 ha rilevato che molte fonderie si affidano esclusivamente all’ITSCI e non ne mettono in discussione le valutazioni. Molte società a valle si fidano del Responsible Minerals Assurance Process (RMAP), una guida emessa per le fonderie e le raffinerie dalla Responsible Minerals Initiative (RMI), che si basa anch’essa in larga misura sull’ITSCI. Infatti, l’RMI riconosce l’ITSCI come meccanismo di garanzia a monte, per permettere alle fonderie e alle raffinerie di dimostrare la loro conformità alla normativa dell’RMI quando si approvvigionano di minerali provenienti da zone di conflitto o ad alto rischio.
Questa dipendenza dai meccanismi di garanzia a monte è estremamente problematica, dato che ITSCI non è in grado di offrire un servizio affidabile di tracciabilità e di diligenza ragionevole, come dimostrato in questo rapporto.

4.2 Minerali congolesi introdotti illegalmente in Ruanda

In Ruanda, tra il 2011 e il 2017, le tre società legate a Chris Huber: Rwanda Rudniki, Tawotin e Wolfram Mining and Processing (WMP), avrebbero tutte e tre esportato minerali, verosimilmente oggetto di contrabbando, vendendoli alla Malaysia Smelting Corporation (MSC) e alla East Rise, la società di J. Crawley, con sede a Hong Kong.
Nel caso di Ruanda Rudniki e della WMP, come acquirente viene menzionata anche la Wolfram Bergbau und Hütten (WBH), con sede in Austria.
Quando operava in Ruanda, la Minerals Supply Africa (MSA) inviava quasi tutti i suoi minerali esportati alla sua società madre, Cronimet Central Africa AG, cosa che le permetteva di nascondere il vero acquirente dei minerali, poiché i documenti delle esportazioni ruandesi non precisano che l’acquirente diretto. Tuttavia, un documento del governo ruandese consultato da Global Witness cita la Malesia come “rotta” nel 2011 e nel 2012, il che lascia intuire che la Malaysia Smelting Corporation (MSC) potrebbe aver ricevuto grandi quantità di questi minerali. Il documento cita anche lo stabilimento metallurgico di Ulba, in Kazakistan, come acquirente di minerali nel 2012. Due fonti del settore minerario hanno riferito a Global Witness che MSC ha acquistato minerali da MSA tra il 2010 e l’inizio del 2015, come pure le società cinesi Ningxia Orient Tantalum Industry Co, Ltd (OTIC) e Yunnan Tin Company.
Molti marchi internazionali hanno indicato di avere avuto come loro fornitori MSC, WBH, OTIC e Yunnan Tin Company, nel periodo dal 2013 al 2017. Hewlett-Packard, ad esempio, ha riferito di essersi approvvigionata da MSC tra il 2013 e il 2017.  Nokia e Blackberry hanno citato WBH come principale fonderia della loro catena di approvvigionamento di stagno nel 2013.  Ciò significa che questi quattro marchi  possono essersi procurati dei prodotti contenenti dei minerali “3T” provenienti da una delle società collegate a C. Huber.
Nonostante la pubblicazione di numerosi elementi di prova che dimostrano che grandi quantità di minerali congolesi sono stati introdotti in Ruanda  di contrabbando e, quindi, illegalmente per molti anni, vari rapporti sul dovere di diligenza redatti dalle diverse società e consultati da Global Witness, rivelano che quelle stesse società hanno omesso di identificare, ridurre e segnalare gli eventuali rischi, come richiesto dalla normativa dell’OCSE.
Due fonti del settore minerario hanno riferito a Global Witness di aver costantemente avvertito, già a partire dal 2013, le delegazioni delle società internazionali, tra cui Apple e Intel, di aver calcolato che circa il 90% dei minerali esportati dal Ruanda proveniva dal contrabbando e di averne fornito loro gli elementi di prova. Tra le altre società a cui erano state fornite delle informazioni sul rischio di vedersi consegnare dei minerali provenienti di contrabbando dalla RDC, qualora acquistassero minerali in Ruanda, le due fonti citano le società Motorola e Samsung e i produttori di componenti elettronici KYOCERA AVX Component Corporation (KAVX, ex AVX Corporation) e Kemet. Queste stesse fonti hanno aggiunto di aver incontrato MSC, Ningxia Orient Tantalum Industry Co Ltd e Yunnan Tin Company e di aver detto loro che era noto che esse acquistassero minerali di contrabbando.
Nel 2013, Apple affermò per iscritto che stava effettuando una mappatura della sua catena di approvvigionamento, per identificare tutti i minerali di conflitto, e aggiunse che i suoi “fornitori utilizzavano fonti di tantalio esenti da conflitti”. Nello stesso anno, Intel dichiarò per iscritto che non intendeva smettere di acquistare minerali provenienti da zone di conflitto e che stava piuttosto cercando di acquistare i suoi minerali da fonti che non finanziassero, direttamente o indirettamente, dei gruppi armati. Eppure Apple e Intel, due società ampiamente considerate leader dell’approvvigionamento responsabile, hanno continuato a rifornirsi di minerali “3T” dal Ruanda e, nei loro rapporti annuali, non hanno segnalato alcun rischio di acquistare dei minerali provenienti di contrabbando dalla RDC.

CONCLUSIONE

Global Witness ha dimostrato come il programma ITSCI, che svolge un ruolo centrale nella certificazione dei minerali nella regione dei Grandi Laghi Africani, sembra non aver raggiunto il suo obiettivo, che sarebbe quello di assicurare la tracciabilità di minerali provenienti da fonti responsabili. In effetti, grandi quantità di minerali provenienti da miniere congolesi non convalidate e  che spesso sono alla base di conflitti armati, di violazioni dei diritti umani e di lavoro minorile, entrano facilmente nelle catene internazionali di approvvigionamento di minerali 3T, a causa del mal funzionamento del programma ITSCI. Inoltre, molti minerali sono stati introdotti nel programma ITSCI, nonostante siano oggetto di contrabbando tra la RDC e il Ruanda.
I controlli effettuati dall’ITSCI non riescono ad impedire questo fenomeno e, in alcuni casi, l’ITSCI nega addirittura l’esistenza di minerali di origine illegale all’interno del suo sistema, anche se ciò è ben documentato da anni.
Esiste un chiaro conflitto di interessi all’interno delle associazioni commerciali dello stagno e del tantalio, che rappresentano alcuni dei più potenti commercianti di questi metalli e che, nello stesso tempo, gestiscono un programma avente come obiettivo quello di impedire la vendita, sui mercati internazionali, di minerali di contrabbando estratti e commercializzati in modo poco etico o illegale. In un contesto in cui sono gli esportatori della regione dei Grandi Laghi che pagano la maggior parte dei costi del programma ITSCI, la struttura finanziaria dell’ITSCI crea delle condizioni perverse che non fanno altro che minarne la funzione di controllo. Poiché  l’ITSCI è riconosciuta come un programma ufficiale che offre un servizio di tracciabilità dei minerali, i suoi membri riescono a continuare ad acquistare tranquillamente dei minerali “3T” di dubbia origine, che non sarebbero in grado di rivendere senza l’esistenza del sistema ITSCI.
Questa vasta iniziativa internazionale era stata istituita per migliorare la gestione del settore minerario nella regione dei Grandi Laghi e per creare catene di approvvigionamento responsabili per i minerali della regione, con l’implicazione delle Nazioni Unite, dell’OCSE, dell’ONU e della CIRGL, ma sembra sia stata boicottata sin dall’inizio. Fonti del settore minerario fanno notare che, quando il programma ITSCI fu istituito, era già evidente che avrebbe finito per approvare in fretta e furia dei minerali di dubbia origine, abusando così della fiducia che la comunità internazionale aveva riposto nella coalizione riunita attorno ad ITA, nonostante molti dei suoi membri avessero spesso in passato fatto ricorso a pratiche irresponsabili.
Il fallimento dei servizi di tracciabilità e dell’applicazione del dovere di diligenza dell’ITSCI mostra chiaramente che, nella gestione della catena di approvvigionamento, la procedura di autocontrollo è destinata al fallimento. Quando si chiede al lupo di vegliare sull’ovile, non ci si deve poi stupire delle conseguenze. Invece di fare affidamento sull’autoregolamentazione, occorre esigere che i responsabili delle varie filiere rendano conto della loro gestione, sulla base delle regole precise relative al dovere di diligenza ragionevole e imporre loro delle sanzioni in caso di violazioni.
Tuttavia, questo fallimento non è solo dell’ITSCI. Minerali di dubbia provenienza entrati nella sua catena di approvvigionamento sono stati acquistati da grandi fonderie e sono presenti in prodotti di grandi e noti marchi. Nonostante i segnali che avrebbero dovuto allertarli, i cosiddetti “leader” dell’approvvigionamento responsabile non hanno reagito. Risultato: i consumatori mancano di informazioni e non hanno altra scelta che continuare ad acquistare dei prodotti, la cui produzione ha tuttavia un impatto disastroso sulle popolazioni locali presso le quali i minerali 3T vengono illegalmente estratti e commercializzati e sul pianeta intero.
Il fatto che l’ITSCI non sia riuscita a gestire efficacemente un sistema di tracciabilità non significa che il principio stesso della tracciabilità dei minerali provenienti da zone di conflitti sia destinato al fallimento. Una gestione da parte di un attore terzo indipendente darebbe senza dubbio risultati migliori, ma l’esperienza degli ultimi dieci anni mostra chiaramente che alcuni problemi sono inerenti all’approccio finora adottato. Un sistema di tracciabilità dei minerali può funzionare bene solo con l’appoggio o delle autorità pubbliche e delle altre parti interessate situate lungo tutta la catena di approvvigionamento dei minerali, nella RDC, in Ruanda e nei paesi produttori e utilizzatori. Inoltre, la gestione delle catene di approvvigionamento richiede senza dubbio la formalizzazione delle miniere artigianali e la promozione di uno sviluppo economico sostenibile delle comunità minerarie e delle popolazioni dei paesi produttori più in generale. Anche i costi del sistema devono essere distribuiti equamente, anziché essere sostenuti principalmente dai più poveri. Vale anche la pena chiedersi cosa si dovrebbe fare con i materiali esclusi dalle filiere dei minerali prodotti in modo responsabile, questione purtroppo spesso ignorata dal sistema attuale.

RACCOMANDAZIONI

Associazione Internazionale dello Stagno e Centro studi internazionali per il Tantalio e il Niobio:
> Riformare la struttura di gestione del sistema ITSCI, per evitare conflitti di interesse tra i suoi membri e le funzioni di tracciabilità dei minerali e del dovere di diligenza inerenti al sistema;
> Pubblicare i dati dettagliati, miniera per miniera, sulla produzione di minerali etichettati ITSCI e rendere note altre informazioni che ITSCI ha promesso di rendere pubbliche;
> Cooperare con le inchieste indipendenti relative ai limiti strutturali e sistemici del programma ITSCI.

Governo della Repubblica Democratica del Congo:
> Effettuare una valutazione approfondita e indipendente dell’attuazione del programma ITSCI e, sulla base delle sue conclusioni, prendere in considerazione la possibilità di interrompere la collaborazione  con il programma ITSCI, a favore di un altro programma, gestito da un’istituzione indipendente;
> Sanzionare gli agenti che introducono illegalmente dei minerali nei programmi di tracciabilità;
> Migliorare i legami tra le procedure di tracciabilità e di dovere di diligenza da un lato e la regolarizzazione delle miniere artigianali e lo sviluppo economico locale sostenibile dall’altro, per incoraggiare le varie parti a monte a favorire le catene di approvvigionamento responsabili;
> Incoraggiare il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento sociale dei membri dei gruppi armati;
> Sanzionare i membri dell’esercito, in particolare gli ufficiali più graduati, che traggono profitto illegalmente dal commercio dei minerali;
> Garantire l’applicazione della normativa relativa ai rapporti delle società minerarie in materia di applicazione del dovere di diligenza ragionevole.

Governo del Ruanda:
> Garantire l’applicazione di misure adeguate per intercettare i minerali di contrabbando che entrano illegalmente nel territorio nazionale e restituirli al Paese di origine;
> Smantellare le reti del contrabbando;
> Pubblicare i dati chiave di ciascuna miniera, tra cui i dati di produzione, il numero di minatori, l’ubicazione e il titolare della licenza mineraria;
> Favorire la diffusione delle tecnologie analitiche mediante impronte digitali che consentano di determinare l’origine dei minerali “3T”.

Esportatori di minerali 3T nella Repubblica Democratica del Congo e in Ruanda:
> Esercitare la dovuta diligenza come richiesto dalle Linee Guida dell’OCSE sul Dovere di  Diligenza, identificando e riducendo i rischi e segnalando dettagliatamente in un rapporto annuale, come richiesto dalla legge, i rischi individuati e le misure adottate per ridurli e limitarli;
> Utilizzare le varie fonti informative secondarie disponibili e completarle con informazioni derivate dai propri controlli sul campo nelle rispettive catene di approvvigionamento.

Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi:
> Valutare criticamente l’attuazione del meccanismo regionale di certificazione dei minerali e reagire contro ogni abuso.

Iniziativa sui minerali responsabili:
> Ridurre il ricorso a ITSCI e a altri meccanismi di garanzia a monte, richiedendo alle fonderie di applicare le proprie misure di diligenza dovuta, andando oltre la semplice consultazione dei dati provenienti dai meccanismi di garanzia a monte;
> Affermare chiaramente e pubblicamente, in modo molto visibile sul loro sito web, la responsabilità delle società in materia di dovere di diligenza e i limiti dei programmi settoriali;
> Rendere pubblici i documenti che dettagliano le linee guida di audit.

Governo degli Stati Uniti:
> Garantire l’applicazione della sezione 1502 del Dodd-Frank Act per quanto riguarda le società che acquistano dei minerali dalla regione africana dei Grandi Laghi;
> Esaminare attentamente i rapporti sui minerali di conflitto presentati dalle società e sanzionare quelle che presentano rapporti falsi, incompleti o fuorvianti.

Commissione Europea:
> Controllare attentamente le società che sono state oggetto di audit e le società che sono membri di programmi settoriali e metterle di fronte alle loro responsabilità, per assicurarsi che rispettino tutti i requisiti previsti dal Regolamento sui minerali e non si limitino solo alla loro adesione a un programma o a un audit per dimostrare la loro conformità agli obblighi pertinenti;
> Riesaminare l’attuazione del regolamento sui minerali, colmare le sue lacune e garantirne l’applicazione imponendo delle sanzioni.

Stati membri dell’UE:
> Effettuare dei controlli di prevenzione sugli importatori di minerali 3T, per evitare che si considerino esenti da controllo per il fatto che hanno aderito a un determinato programma di tracciabilità o si riforniscono da fonderie o raffinerie che figurano sulla lista bianca;
> Rivelare il nome degli importatori.

Unione Europea:
> Garantire che la direttiva sul dovere di diligenza ragionevole da parte delle società minerarie diventi un meccanismo efficace, per obbligare le società a rendere conto del proprio approvvigionamento in minerali e assicurarsi che la direttiva in questione non venga compromessa dal ricorso a sistemi di controllo inefficaci offerti da parti terze o dalla mancanza di trasparenza e di impegno da parte delle stesse società.

Paesi senza norme relative al dovere di diligenza per quanto riguarda i minerali provenienti da zone di conflitto o ad alto rischio:
> Implementare un regolamento che imponga delle misure di diligenza dovuta per una catena di approvvigionamento responsabile di minerali, in conformità con i requisiti della Guida OCSE SUL Dovere di Diligenza e sanzionare le società che non lo rispettano.

Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico:
> Rivalutare l’ITSCI e altri programmi settoriali, effettuando una valutazione sul campo per verificare che l’attuazione del programma soddisfi pienamente i requisiti dell’OCSE.

Società a valle:
> Esigere rapporti di qualità da parte dei fornitori, studiare i rischi identificati, monitorarli e segnalarli nei loro rapporti annuali di diligenza dovuta;
> Esercitare il proprio dovere di diligenza ed evitare il più possibile di fare affidamento esclusivamente sulle garanzie offerte dai programmi settoriali.

[1] [1] https://www.globalwitness.org/fr/itsci-laundromat-fr/