UNA LAVATRICE MARCA “ITSCI”
Inchiesta su un programma di tracciabilità dei minerali “3T” apparentemente implicato in operazioni di riciclaggio.
Global Witness – aprile 2022 – 2ª parte su 3.[1]
INDICE
2. RICICLAGGIO DI MINERALI PROVENIENTI DA MINIERE NON CONVALIDATE NELLA RDC: UN PROBLEMA SISTEMICO
2.1. Contaminazione delle catene di approvvigionamento di ITSCI a Nzibira, Lubuhu e Chaminunu
2.1.1. Minerali etichettati a Nzibira
2.1.2. Minerali etichettati a Lubuhu
2.3. Contaminazione delle catene di approvvigionamento di ITSCI a Rubaya
2.3.1. Rivalità e intimidazioni sul mercato della tracciabilità
2.3.2. Traffico di minerali da una concessione ad un’altra
2.3.3. Gli uomini d’affari internazionali che controllavano il coltan di Rubaya
2.3.4. Una personalità ben posizionata in ITSCI avrebbe tratto profitto dal contrabbando di minerali
2.4. Lacune del sistema di tracciabilità ITSCI nella RDC
2.4.1. Monitoraggio insufficiente e disfunzioni in materia di cooperazione e attuazione
2.4.2. Riciclaggio di minerali: una politica ufficiosamente approvata
2.4.3. Complicità dell’ITSCI e conflitti di interessi
2.5. Lacune nel sistema di implementazione del “dovere di diligenza ragionevole” da parte dell’ITSCI
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2. RICICLAGGIO DI MINERALI PROVENIENTI DA MINIERE NON CONVALIDATE NELLA RDC: UN PROBLEMA SISTEMICO
Questo capitolo presenta due casi in cui la missione di tracciabilità propria dell’Iniziativa della Catena di approvvigionamento dello Stagno (ITSCI) è gravemente ostacolata dai funzionari dello stato e da suoi stessi agenti incaricati della corretta attuazione del programma. Abitualmente, questi agenti etichettano anche i sacchi di minerali provenienti da miniere non convalidate e, così facendo, determinano l’introduzione di minerali di dubbia origine, ma etichettati come “puliti”, nelle catene di approvvigionamento internazionali. In altre parole, lungi dal garantire che i minerali provengano da miniere esenti da conflitti, le prove raccolte suggeriscono che il programma ITSCI viene utilizzato per riciclare su larga scala dei minerali estratti e commercializzati illegalmente.
Il primo caso oggetto di studio dimostra che, nelle miniere di Nzibira, Lubuhu e Chaminunu (Sud Kivu) sono state etichettate grandi quantità di minerali provenienti da miniere non convalidate, alcune delle quali occupate da gruppi armati. Altri esempi illustrano problemi simili nel Sud e nel Nord Kivu.
Il secondo caso oggetto di studio dimostra che ITSHI ha tentato di danneggiare una società mineraria che aveva deciso di aderire ad un altro sistema di tracciabilità, una manovra che ha scatenato una lunga serie di violenze. Nello studio di questo caso, si sono raccolte delle prove che dimostrano anche come dei minerali estratti dalla concessione di questa società venivano poi trasferiti in una concessione vicina, dove venivano “riciclati” dall’ITSCI, per essere esportati da altre società suoi membri. Tra le persone che traggono enormi profitti da questo tipo di operazioni c’è anche un membro ben noto dell’ITSCI.
Questo capitolo analizza infine alcune lacune del sistema di tracciabilità e del del dovere di diligenza come implementati dall’ITSCI nella RDC.
2.1. Contaminazione delle catene di approvvigionamento di ITSCI a Nzibira, Lubuhu e Chaminunu
2.1.1. Minerali etichettati a Nzibira
La cittadina di Nzibira, nel territorio di Walungu (Sud Kivu), è un importante centro di trasformazione iniziale e di commercio di minerali 3T della provincia. Secondo le statistiche ufficiali, nel 2020 vi sono state etichettate più di 270 tonnellate di minerali 3T, ovvero quasi il 10% di tutti i minerali etichettati dall’ITSCI nel Sud Kivu in quell’anno.
Secondo il programma ITSCI, i minerali grezzi estratti nei siti minerari classificati come verdi vengono insaccati e sigillati con l’etichetta “miniera d’origine”. In seguito, dei commercianti trasportano questi sacchi dalle miniere verso i centri commerciali di Nzibira dove, dopo una prima trasformazione iniziale, possono essere insaccati una seconda volta e sigillarli con un’etichetta “commerciante” ITSCI, per essere venduti alle società esportatrici.
Tuttavia, questa ricerca ha permesso di identificare delle significative disparità tra il volume dei minerali etichettati e il volume dei minerali realmente prodotti nelle miniere “verdi” della zona di Nzibira. Sono sette le miniere (Mahamba, Kanyungu, Mushangi D8, Zola-Zola D23, Chembeke, Chaminyago e Tshosho) che, nell’area di Nzibira, sono state convalidate come “verdi” dal Ministero delle Miniere.
Secondo le previsioni dei rappresentanti del settore minerario, nel primo trimestre del 2021, la produzione mensile sarebbe stata inferiore a 5.400 kg, ma le statistiche ufficiali del ministero delle miniere riportano una produzione mensile di oltre 27.600 kg di minerali 3T per le stesse miniere e nello stesso periodo. Queste ultime statistiche sulla produzione emanate dal Ministero delle Miniere si basano su dati estratti dai registri dell’ITSCI.
A proposito di tale differenza, varie fonti indicano che, spesso, gli agenti dello stato incaricati dell’etichettatura attribuiscono delle etichette di miniere classificate come “verdi” a dei minerali provenienti da miniere non convalidate o classificate come “rosse”. I dati sopra citati sembrano indicare che meno del 20% dei minerali etichettati a Nzibira all’inizio del 2021 provengono effettivamente da miniere classificate come verdi. Il restante 80% sarebbe stato quindi introdotto illegalmente nella filiera (catena di approvvigionamento) dell’ITSCI.
Fonti locali hanno confermato che grandi volumi di minerali estratti in miniere non convalidate vengono trasportati a Nzibira per etichettatura. Secondo un agente del Ministero delle Miniere, “tutti i commercianti di Nzibira acquistano dei minerali provenienti anche da siti non convalidati”. Le cifre riportate sotto tendono a confermare che questi minerali sono stati etichettati e annotati nei registri ITSCI come estratti da miniere situate nei dintorni di Nzibira e classificate come verdi, sebbene non siano più attive. Altri minerali provengono dalla miniera di Lukoma, molto produttiva ma non convalidata e situata nella zona di Nindja.
Miniere classificate verdi Minerali etichettati, in Kg Produzione prevista, in Kg
nel settore di Nzibira (gennaio – marzo 2021) (gennaio – marzo 2021)
Mahamba 5.250 438
Kanyungu 4.575 1.050
Mushangi D8 11.307 6.852
Zola-Zola D23 16.028 1.710
Chembeke 22.825 348
Chaminyago 8.012 1.920
Tshosho 14.862 3.810
Total 82.859 16.128
Fino a maggio 2021, Lukoma è stata occupata da un gruppo armato dei Raia Mutomboki denominato “Forza popolare per la pace” e guidato da Mabuli Shabadeux. Nel periodo dello svolgimento di questa inchiesta, i minatori di Lukoma erano costretti a lavorare da una a tre ore settimanali per questo gruppo armato e i commercianti dovevano pagargli una tassa di 10.000 franchi congolesi per ogni sacco di 50 kg di cassiterite.
Alcuni minerali etichettati a Nzibira provenivano anche dal territorio di Shabunda, a ovest di Nzibira, in particolare dalle miniere dei dintorni della cittadina di Luyuyu. Fino a metà giugno 2020, queste miniere erano state occupate da una fazione dei Raia Mutomboki che,guidata da Bitota Bikambi, era riuscita a fare pressione sul dipartimento locale del Servizio di Assistenza e di Supervisione delle Miniere Artigianali e di Piccola Dimensione (SAEMAPE), affinché gli versasse il 15% delle tasse prelevate sui minerali, Altri minerali provenivano dalle miniere di Burhinyi, nel territorio di Mwenga. Tra esse, la miniera di Chigubi era molto produttiva ma non convalidata, a causa del lavoro minorile che vi era stato constatato.
L’Associazione Internazionale dello Stagno (ITA) è da tempo pienamente consapevole del rischio che, nell’area di Nzibira, dei minerali provenienti da zone di conflitti possano infiltrarsi nella catena di approvvigionamento dell’ITSCI. Almeno dal 2015, le Nazioni Unite e le organizzazioni della società civile mettevano in guardia sulle conseguenze reali di questi rischi. Secondo un rapporto della ONG congolese Max Impact, che ha visitato la zona nel mese di luglio 2015, le quattro miniere classificate all’epoca come verdi e i cui minerali avrebbero dovuto essere etichettati a Nzibira, non davano quasi alcun segno di attività. Secondo Max Impact, è quindi sorprendente che, nell’arco dell’ultima settimana di giugno 2015, quasi 1.800 kg di cassiterite etichettati possano essere stati attribuiti a una sola di queste miniere, quella di Chembeke.
Le conclusioni di Max Impact sono state successivamente confermate dal rapporto di un consulente reclutato da Pact. In occasione di una sua ispezione a fine marzo-inizio aprile 2016 in queste quattro miniere classificate come “verdi”, egli aveva stimato una produzione mensile di cassiterite compresa tra 250 kg e 1.200 kg. Si tratta di cifre vertiginosamente diverse dai 41.000 kg e dai 38.000 kg di minerali 3T etichettati come provenienti da queste miniere nel solo mese di marzo 2016, dichiarate rispettivamente dagli agenti del SAEMAPE e della divisione delle Miniere, Facendo alcuni calcoli, si deduce che non più del 3% dei minerali etichettati dall’ITSCI nel mese di marzo 2016 (periodo della missione del consulente) sono stati effettivamente estratti dalle miniere a cui erano stati attributi. Il consulente di Pact ha inoltre identificato le zone di origine dei minerali introdotti illegalmente nel programma ITSCI attraverso il suo sistema di etichettatura a Nzibira, zone che corrispondono a quelle identificate nel 2021:
> I dintorni della miniera di Lukoma, all’epoca controllata da una fazione dei Raia Mutomboki. Parte della produzione era inviata a Bukavu e il resto a Nzibira;
> Le miniere del territorio di Shabunda, che erano sotto il controllo di cinque diverse fazioni dei Raia Mutomboki. Una parte della produzione veniva trasportata a Bukavu per via aerea, ma la maggior parte dei minerali veniva inviata a Bukavu su strada via Nzibira.
2.1.2. Minerali etichettati a Lubuhu
Nel settore di Luhago, Kachuba e Muhinga, nella zona di Nindja (territorio di Kabare – Sud Kivu), le due miniere convalidate verdi sono quelle di Kachuba e di Muhinga. Queste due miniere sono le uniche due miniere di minerali 3T convalidate verdi nel settore di Luhago e i cui minerali possono quindi essere legittimamente etichettati presso il centro commerciale di Lubuhu, ma non sono molto produttive. Secondo stime ufficiali confermate da un esperto del settore, nel primo trimestre 2021 vi si sarebbe dovuto estrarre circa due tonnellate di cassiterite. Tuttavia, secondo i dati ufficiali, nello stesso primo trimestre 2021 vi sono comunque state etichettate quasi 30 tonnellate di cassiterite. Oltre il 90% dei minerali etichettati a Lubuhu all’inizio del 2021 sono quindi stati introdotti illegalmente nella catena di approvvigionamento dell’ITSCI.
Fonti ufficiali hanno confermato questa conclusione, dimostrando che i minerali etichettati a Lubuhu provenivano, in realtà, da miniere non convalidate di Nindja, soprattutto dalla miniera di Lukoma e da altre miniere del territorio di Shabunda. “Una volta avevo dichiarato una quantità di una tonnellata e mezza [di minerali] provenienti da Lukoma come se fossero stati estratti a Kachuba, ma tutti sanno che la miniera di Kachuba non è ormai più produttiva da più di un anno”, testimonia un commerciante.
Miniere classificate verdi Minerali etichettati, in kg Stima della produzione, in kg
nel settore di Luhago (gennaio – marzo 2021) (gennaio – marzo 2021)
Kachuba 15.186 870
Muhinga 14.730 1.152
Totale 29.916 2.022
2.3. Contaminazione delle catene di approvvigionamento di ITSCI a Rubaya
Secondo il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite, nel territorio di Masisi (Nord Kivu), ci sono alcune delle miniere di coltan più grandi nel mondo, tanto da ricoprire almeno il 15% della produzione mondiale. Le principali concessioni di coltan si trovano nei dintorni della cittadina di Rubaya e sono di proprietà di due società: la Società Mineraria di Bizunzu (SMB) e la Società Aurifera del Kivu e del Maniema (SAKIMA).
Un tentativo, da parte di ITSCI, di danneggiare un suo concorrente (il programma di tracciabilità Better Mining di RCS Global) avrebbe esacerbato le tensioni già esistenti tra la SMB e i minatori della Cooperativa dei Minatori Artigianali di Masisi (COOPERAMMA), che estraggono i minerali sulle concessioni appartenenti alle due società. Queste tensioni hanno successivamente contribuito a fomentare degli atti di violenza nel 2019 e nel 2020.
2.3.1. Rivalità e intimidazioni sul mercato della tracciabilità
In seguito alle tensioni etniche esistenti tra la direzione della SMB e i minatori della COOPERAMMA e alla frequente incapacità della SMB di pagare puntualmente i minatori della cooperativa, alla fine del 2018 i rapporti tra la SMB e la COOPERAMMA si deteriorarono notevolmente.
Nel mese di gennaio 2019, la SMB uscì dal programma di tracciabilità dell’ITSCI e aderì a un altro programma alternativo, il programma Better Mining di RCS Global. LA SMB aveva annunciato pubblicamente la propria decisione in dicembre 2018, esprimendo delle preoccupazioni relative al dovere di diligenza. In una lettera al Ministero delle Miniere consultata da Global Witness, SMB spiegava che, a suo avviso, l’ITA non disponeva di un numero sufficiente di agenti che potessero garantire una tracciabilità efficace. L’uscita di uno dei suoi maggiori clienti non piacque affatto all’ITSCI. Secondo la SMB, quando essa decise di abbandonare il programma a metà dicembre 2018, l’ITSCI avrebbe immediatamente e unilateralmente interrotto i suoi servizi, senza rispettare il preavviso di un mese previsto nel contratto.
Tuttavia, il giorno successivo all’invio della lettera di fine contratto da parte di SMB, l’ITSCI pubblicò quattro incidenti riguardanti la SMB, di cui due di livello 1. Tre di questi incidenti riguardavano eventi accaduti due mesi prima. Secondo un rappresentante di SMB, ITSCI avrebbe inviato notifiche di questi incidenti a tutti i suoi membri, tra cui le fonderie e le società a valle della filiera, senza avviare alcuna discussione preventiva con SMB – ciò che tuttavia sarebbe stata la procedura normale – e senza informare SMB dell’esistenza di questi incidenti. Queste notifiche di ITSCI avrebbero finito per scoraggiare i clienti internazionali di SMB, improvvisamente riluttanti a correre il rischio di acquistare dei minerali di dubbia provenienza.
La SMB, dei funzionari statali e un funzionario locale dell’ITSCI avevano concordato come gestire gli incidenti rimasti sospesi dopo la cessazione dell’appartenenza della SMB all’ITSCI ma, secondo SMB, l’ITSCI non avrebbe rispettato tale accordo. La controversia aveva causato il blocco per oltre un anno di due container di coltan e mezzo container di cassiterite, tutti etichettati, appartenenti a SMB e destinati all’esportazione, per un valore complessivo di circa 2 milioni di dollari.
Dopo il ritiro di SMB dal programma, l’ITSCI ha continuato a segnalare degli incidenti che implicavano la SMB. SMB ha dichiarato a Global Witness che queste segnalazioni di incidenti le hanno impedito di vendere almeno 120 tonnellate di minerali.
Già nel 2019, l’utilizzo di segnalazioni di incidenti da parte dell’ITSCI contro società che, come la SMB, avevano optato per un altro sistema di tracciabilità, aveva suscitato l’intervento del Ministero delle Miniere. In una lettera indirizzata a ITA, Pact e RCS Global, il ministero delle miniere aveva insistito affinché ciascun programma si limitasse a rendere pubblici solo gli incidenti relativi alla propria filiera, al fine di evitare qualsiasi forma di concorrenza sleale.
Non era la prima volta che l’ITSCI veniva richiamata all’ordine. In una e-mail di aprile 2018 inviata all’ITA, il segretario generale del ministero delle miniere aveva già disapprovato le segnalazioni, da parte dell’ITSCI, di incidenti avvenuti al di fuori della sua catena di approvvigionamento. Questa e-mail si riferiva a una segnalazione relativa alla miniera di Kachuba (territorio di Kabare, Sud Kivu), inserita nel Better Sourcing Program (BSP) (poi ribattezzato Better Mining di RCS Global).
Queste segnalazioni apparentemente abusive e volte a danneggiare RCS Global suggeriscono che ITSCI è più interessata a mantenere la sua posizione dominante sul mercato della tracciabilità che a raggiungere il suo obiettivo di creare delle catene di approvvigionamento responsabile di minerali che non contribuiscano al mantenimento di conflitti e di violazioni dei diritti umani.
2.3.2. Traffico di minerali da una concessione ad un’altra
Secondo i dati forniti dal Ministero delle Miniere e relativi alla produzione mineraria di Rubaya nel periodo 2017 – 2020, la produzione di coltan da parte della SMB è diminuita, passando da circa 800 tonnellate a 175 tonnellate mentre, nello stesso periodo, la produzione di SAKIMA è aumentata, passando da appena 100 tonnellate a 660 tonnellate.
Questo divario nei volumi di produzione avrebbe dovuto caratterizzarsi da un maggiore afflusso di manodopera sulla concessione di SAKIMA e dall’incremento di altri segni di attività mineraria, come zone di lavaggio e frantumazione dei minerali, costruzioni di capanne per i minatori e apertura di piste per raggiungere le miniere. Nulla di tutto questo.
Secondo testimoni oculari intervistati dal Gruppo di esperti delle Nazioni Unite, nel 2020, la miniera di Nyagisenyi (la più produttiva di quelle appartenenti a SAKIMA) produceva ufficialmente quasi 210 tonnellate di coltan e c’erano solo tra i 70 e i 150 minatori artigianali.Nello stesso anno, la miniera di Gakombe, di proprietà SMB e dove lavoravano quasi 1.000 minatori, registrava una produzione poco inferiore alle 100 tonnellate.
Le immagini satellitari relative a un periodo di due anni e analizzate dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite non rivelano alcun segno di attività mineraria a Nyagisenyi, né in altre miniere della concessione SAKIMA, sebbene la produzione ufficialmente registrata sia sempre più aumentata.
Diverse fonti mettono in dubbio i dati ufficiali sulla produzione delle miniere di SAKIMA.
I minatori locali stimano che il rendimento di tre delle miniere più produttive, che rappresentano oltre il 55% della produzione totale ufficiale di coltan della concessione di SAKIMA, ammonti a circa 6-7 tonnellate al mese. Fonti Onu stimano una produzione ancora più bassa, tra le 2 e le 3 tonnellate al mese. Secondo queste stime e la fonte utilizzata, le tre miniere insieme produrrebbero solo 72 / 84 tonnellate all’anno, o addirittura 24 / 36 tonnellate all’anno, Si è quindi molto lontani dalle 402 tonnellate registrate dal Ministero delle Miniere nel 2020.
Va notato che ciò che il Ministero pubblica come “produzione” corrisponde, in realtà, al volume di minerali registrati nei programmi di tracciabilità (ITSCI nel caso di SAKIMA e, dal 2019, Better Mining nel caso della SMB).
Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha documentato il traffico di minerali tra le concessioni SMB e SAKIMA almeno dal 2018, appoggiandosi sulle testimonianze di minatori artigianali che ammettevano la propria implicazione in queste transazioni. L’ITSCI è a conoscenza di questo passaggio di minerali da una concessione all’altra e, secondo quanto riferito, ha adottato delle “procedure di etichettatura migliorate, tra cui dei controlli supplementari”, a partire dal mese di settembre 2019.
Una forma di controllo applicata dall’ITSCI è stata quella di limitare la distribuzione delle etichette, sulla base delle stime di produzione prevista. Questo provvedimento avrebbe dovuto assicurare che il numero di etichette consegnate corrispondesse allo stesso ordine di grandezza dei volumi realmente prodotti nella miniera. Tuttavia, nella concessione di SAKIMA, queste stime non corrispondono affatto a quelle dell’ONU e di altre fonti (vedi tabella sotto), sebbene siano state aggiornate nel 2019, come parte delle “procedure di etichettatura migliorate”.
Confronto delle previsioni di produzione mensile delle miniere di SAKIMA (concessione Rubaya) da parte dell’ITSCI, dei minatori artigianali e di fonti ONU:
Miniere ITSCI Minatori Fonti ONU
. (tonnellate) (tonnellate) (tonnellate)
Nyagisenyi 19,8 5-6 1-2
Birambo 4,7 1 1
Mululu 6,8 0 0
Total 31,3 6-7 2-3
Per le tre miniere di SAKIMA, nel 2020 l’ITSCI aveva stimato una produzione superiore a 31 tonnellate al mese, dieci volte superiore alle stime delle Nazioni Unite. Ciò significherebbe che l’ITSCI distribuisse una quantità di etichette almeno dieci volte superiore a quella necessaria per contrassegnare la produzione effettiva di queste tre miniere. L’eccedenza delle etichette veniva utilizzata per etichettare, a nome di queste tre miniere di SAKIMA, i minerali estratti, in realtà, nella vicina concessione di SMB.
Il forte calo dei livelli di “produzione” ufficialmente registrati nella concessione di SMB è stato in gran parte compensato dall’aumento della produzione nella concessione di SAKIMA, in modo che la produzione totale registrata nelle due concessioni è rimasta relativamente stabile. A ciò vanno aggiunte le numerose segnalazioni e testimonianze su potenziali furti di minerali nella concessione di SMB, successivamente etichettati come prodotti nella concessione di SAKIMA. Tutto fa pensare che la maggior parte del coltan etichettato illegalmente sotto il nome di SAKIMA provenga in realtà dalla concessione di SMB.
2.3.3. Gli uomini d’affari internazionali che controllavano il coltan di Rubaya
Dietro il coltan di Rubaya, c’erano l’imprenditore britannico John Crawley, che intratteneva rapporti privilegiati con l’ITSCI, e il suo socio di lunga data, lo svizzero Chris Huber.
John Crawley possedeva o gestiva una serie di società minerarie e commerciali, tra cui la società East Rise di Hong Kong, le società congolesi Tantalum Mining Katanga SARL e Kisengo Mining Company SARL e altre società registrate negli Stati Uniti, in Brasile, in Sud Africa e, fino al 2020, in Svizzera.
Da parte sua, dal 2018 Chris Huber è oggetto di un’indagine penale svizzera per “sospetto di saccheggio” nella RDC, un crimine di guerra secondo la legge svizzera.
Secondo la Ong Trial International e la Open Society Justice Initiative, che hanno avviato la denuncia, la società di Huber, la Medivals Minerals Ltd, avrebbe ottenuto quattro concessioni minerarie dall’RCD-Goma, un movimento ribelle che, sostenuto dal Ruanda, aveva occupato vasti territori nell’est della RDCongo e massacrato migliaia di Congolesi tra il 1998 e il 2003.
Nel 2009, il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite aveva segnalato che, in quell’anno, Huber aveva acquistato dei minerali provenienti da miniere congolesi controllate da ufficiali dell’esercito nazionale e che manteneva frequenti rapporti con il Fronte Patriottico Ruandese (RPF), il partito al governo in Ruanda.
Per più di un decennio, le attività di Crawley e Huber nella regione dei Grandi Laghi sono state indissolubilmente legate. Nel 2009, Huber era stato assunto come consulente in Ruanda e nella RDC dalla Refractory Metals Mining Company Ltd (RMMC), di cui Crawley era uno degli amministratori. Nello stesso anno, Huber aveva lavorato come consulente anche per African Ventures Ltd, una società fondata dal padre di Crawley, finanziata da RMMC e descritta dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite come una società fittizia di cui Huber si sarebbe servito. Quest’ultimo è stato anche uno dei primi investitori e amministratori della Niotan Inc., società americana di trasformazione del tantalio, acquistata nel 2012 dalla Kemet Corporation, di cui Crawley era amministratore delegato.
Huber e Crawley erano tra loro collegati anche attraverso un’altra società fittizia basata a Hong Kong, la Star Dragon Ltd, che condivideva non solo la sua segreteria legale, la Strategy Consultants Ltd, con East Rise Corporation Ltd, una società di Crawley, ma anche un indirizzo con RMMC e African Ventures.
Nel 2009, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha rivelato che RMMC e African Ventures Ltd si erano procurate dei minerali provenienti da zone di conflitto congolesi. Lo stesso rapporto rivela che, all’inizio degli anni 2010, anche la East Rise Corporation Ltd aveva acquistato in Ruanda quantità significative di minerali provenienti di contrabbando dalla RDCongo.
2.3.4. Una personalità ben posizionata in ITSCI avrebbe tratto profitto dal contrabbando di minerali
A differenza di SMB, che esportava i minerali direttamente dalla sua concessione di Rubaya, i minerali etichettati nella concessione di SAKIMA venivano esportati da altre società. Nel 2020, questi esportatori erano la Cooperativa dei Minatori Artigianali del Congo (CDMC) e la Società Generale del Commercio (SOGECOM).
I volumi di “produzione” di coltan di SAKIMA sono aumentati allo stesso ritmo delle cifre delle esportazioni delle due società. In assenza di altre grandi miniere di coltan nel Nord Kivu, le due società sembrano aver approfittato del coltan rubato dalla concessione della SMB per diventare i maggiori esportatori del Nord Kivu.
Coltan esportato dal Nord Kivu (in tonnellate):
ANNO SMB CDMC SOGECOM Altre società
2017 944 0 0 49
2018 503 488 0 75
2019 319 339 35 8
2020 217 392 490 0
Il passaggio di minerali tra differenti concessioni è stato denunciato dal Gruppo di esperti delle Nazioni Unite e dall’ITSCI almeno dal 2018. CDMC e SOGECOM non possono quindi affermare di non essere stati a conoscenza del problema.
La CDMC è strettamente legata a due personalità del settore: John Crawley, che è stato suo presidente, e Chris Huber, che ha lavorato con essa nel 2020.
Negli ultimi dieci anni, Crawley e Huber hanno svolto un ruolo chiave nel commercio del coltan di Rubaya. Almeno tra il 2014 e il 2017, la società basata a Hong Kong, la East Rise Corporation Limited, di cui Crawley era amministratore, aveva ricuperato la maggior parte del coltan della SMB. Due esperti del settore minerario hanno dichiarato che Huber aveva finanziato gli acquisti di coltan della SMB e che queste transazioni erano state effettuate tramite East Rise Corporation.
Nel 2017, tuttavia, i rapporti tra la SMB e il duo Crawley-Huber hanno cominciato a deteriorarsi. Lo stesso anno, la CDMC aveva aperto un suo sportello nel Nord Kivu e, prima del 2018, essa stava quasi raggiungendo i livelli di esportazione della SMB. Da parte sua, la CDMC vendeva tutto il suo coltan del Nord Kivu alla Star Dragon Corporation Ltd, una società fittizia di copertura di cui Crawley e Huber si servivano.
L’etichettatura illegale, da parte dell’ITSCI, dei minerali provenienti di contrabbando dalla concessione della SMB, aiutava Crawley e Huber a mantenere il controllo sul coltan di Rubaya, nonostante la rottura della loro collaborazione con la SMB.
Crawley aveva un rapporto speciale con ITSCI; tra il 2017 e il 2018 era stato presidente del Centro Internazionale del Tantalio (TIC), il cui direttore faceva parte del comitato di amministrazione dell’ITSCI. È rimasto membro del comitato esecutivo del TIC almeno fino al 2020.
Nel 2019-20, la CDMC, Crawley e Huber avevano ampliato il loro controllo sul coltan della regione di Rubaya. Nel 2019, la CDMC aveva acquisito tre nuove concessioni dal Ministero delle Miniere. In dicembre 2020, la società è diventata membro, con SAKIMA, di una joint venture denominata Congo Fair Mining, posseduta al 70% dalla CDMC e al 30% da SAKIMA. Il contratto di joint venture prevedeva che Congo Fair Mining ereditasse il controllo sulla concessione di SAKIMA a Rubaya e tutta la sua produzione.
2.4. Lacune del sistema di tracciabilità ITSCI nella RDC
2.4.1. Monitoraggio insufficiente e disfunzioni in materia di cooperazione e attuazione
In linea di principio, sono gli agenti dello stato che dovrebbero monitorare e controllare la filiera dei minerali prima che essi siano immessi nel sistema ITSCI. Tuttavia, si constata che minatori e commercianti riescono a riciclare grandi quantità di minerali senza alcuna difficoltà. Molti fattori facilitano queste operazioni di riciclaggio.
A causa della mancanza di personale sufficiente, è molto frequente che il SAEMAPE, ente pubblico partner dell’ITSCI, non sia permanentemente presente nelle miniere classificate come verdi, nonostante abbia l’incombenza di etichettare i minerali. Nel 2020, un’inchiesta di IPIS ha rivelato che quasi il 40% delle miniere ITSCI, oggetto dell’inchiesta stessa, erano state visitate dal personale del SAEMAPE meno di una volta al mese. Di conseguenza, i minerali venivano spesso conservati sia in magazzini all’interno del sito minerario, sia in siti di stoccaggio situati all’esterno dell’area estrattiva o presso i commercianti, in attesa dell’arrivo degli agenti del SAEMAPE incaricati di effettuare l’etichettatura. Un altro studio del 2019 ha indicato che, nel 42% delle miniere visitate dall’IPIS, i sacchi di minerali venivano chiusi all’esterno del sito minerario. Inoltre, l’IPIS aveva constatato che i commercianti ottenevano le etichette da agenti del Ministero delle Miniere e che, spesso, erano essi stessi che etichettavano i loro sacchi pieni di minerali. Questa procedura, che infrange le regole ITSCI, è all’origine di molti abusi.
Tutte queste irregolarità aumentano il rischio che dei minerali provenienti da miniere non convalidate o classificate come rosse entrino nel sistema ITSCI.
Gli agenti dello stato incaricati dell’etichettatura dei minerali sono pagati molto poco, se non addirittura per nulla. Questo fattore non fa altro che peggiorare la situazione, spingendo gli agenti a vendere il numero maggiore possibile di etichette o a pretendere di essere pagati per l’etichettatura.
A Numbi, per esempio, invece di uno stipendio regolare, la maggior parte degli agenti statali ricevono solo un’indennità mensile (bonus) basata sulle entrate fiscali generate dalla loro attività.
A Nyabibwe, gli agenti del SAEMAPE ricevono un bonus di soli 50-100 dollari mensili e alcuni continuano a lavorare come “tirocinanti”, anche se lavorano per il SAEMAPE da molti anni. Spesso gli agenti della Divisione delle Miniere congolesi vengono pagati ancora meno; a Nyabibwe il loro compenso è di soli 30 dollari al mese.
La gestione del sistema di etichettatura ITSCI rappresenta un significativo carico di lavoro per il SAEMAPE e la Divisione Miniere. Tuttavia, pur effettuando la maggior parte del lavoro, questi servizi non ricevono alcun compenso finanziario da parte dell’ITSCI. Un funzionario ha spiegato a Global Witness che lui e i suoi colleghi si sentivano come sfruttati dall’ITSCI, poiché sono loro che svolgono il lavoro richiesto dal programma, ma senza ricevere alcun compenso finanziario. Altri funzionari del Ministero delle Miniere hanno fatto notare che, spesso, gli agenti dell’ITSCI non rispettano l’ordine gerarchico delle autorità pubbliche. Al contrario, essi distribuirebbero i materiali per l’etichettatura direttamente agli agenti delle filiali locali, senza nemmeno informare i loro superiori, minando in tal modo la loro autorità. Un alto funzionario provinciale del SAEMAPE ha dichiarato che Pact generalmente non lo informa degli incidenti registrati e che preferisce comunicare le informazioni solo al Segretario generale del Ministero delle Miniere.
Inoltre, l’ITSCI non fornisce agli agenti dello stato le sue stime di riferimento, che sono il mezzo principale per controllare se i livelli di produzione mineraria, che le quantità sottomesse all’etichettatura lasciano supporre, siano realistici o meno.
Anche l’Ong Pact dispone di un numero molto limitato di agenti e i suoi rappresentanti sono raramente presenti sui siti minerari. Secondo un’inchiesta di IPIS condotta nel 2020, su un campione di miniere aderenti al programma di ITSCI, più della metà di esse sono state visitate da un agente dell’ITSCI meno di una volta al mese.
2.4.2. Riciclaggio di minerali: una politica ufficiosamente approvata
Nelle zone visitate da Global Witness, gli agenti statali incaricati dell’etichettatura dei minerali sembrano particolarmente desiderosi di iniettare quanti più minerali possibili nella catena di approvvigionamento dell’ITSCI, indipendentemente dalla loro origine. Questa pratica sembra ormai essersi diffusa ufficiosamente e beneficiare dell’appoggio di alti funzionari, per evitare che i minerali non accettati in RDC diventino verdi sull’altra sponda del lago Kivu, in Ruanda.
In effetti, una posizione che sembra essere diventata molto comune tra i rappresentanti del Ministero delle Miniere, delle cooperative, dei commercianti e persino della società civile è che i minerali che non vengono etichettati in RDC, molto probabilmente saranno etichettati in modo illegale in Ruanda.
2.4.3. Complicità dell’ITSCI e conflitti di interessi
Lo studio di Global Witness ha rivelato che i rappresentanti dell’ITSCI sono complici di alcuni casi di abusi relativi al sistema di tracciabilità.
Nel territorio di Kabare, due persone intervistate da Global Witness hanno indicato che le varie organizzazioni minerarie, la cooperativa mineraria locale e l’agente ITSCI stavano collaborando per immettere dei minerali nella catena di approvvigionamento dell’ITSCI. In un altro territorio, un agente statale ha detto che gli stessi agenti dell’ITSCI ben sapevano che le statistiche da loro dichiarate sulla produzione di alcune miniere non rispecchiavano la realtà, ma non erano disposti a mettere in discussione quelle cifre dichiarate. Un altro funzionario statale ha spiegato che l’agente locale dell’ITSCI prelevava una parte della tassa illegalmente imposta dagli agenti statali per il loro lavoro di etichettatura, come riconoscimento del suo “aiuto” nel fare entrare dei minerali nella catena di approvvigionamento dell’ITSCI.
Per valutare se le quantità di etichette emesse siano realistiche o meno, l’ITSCI sembra basarsi principalmente sulle sue stime di riferimento relative alle previsioni di produzione mineraria.
A Rubaya, le stime di riferimento dell’ITSCI circa la produzione di tre miniere di SAKIMA per l’anno 2020 e pubblicate dal gruppo di esperti dell’ONU erano più di 10 volte superiori alle stime dell’ONU stessa (vedere sezione 2.3.2), il che permetteva un enorme margine di manovra per poter effettuare una moltitudine di operazioni di riciclaggio di minerali.
La parte di minerali etichettati benché di origine illecita, che sarebbe superiore al 90% nel settore di Luhago (vedi paragrafo 2.1.2) e intorno all’80% in quello di Nzibira (vedi paragrafo 2.1.1) nel primo trimestre del 2021, dimostra le grandi lacune inerenti all’ITSCI.
La portata del fenomeno dell’etichettatura illegale di minerali lascia presupporre che l’ITSCI e i servizi dello stato siano ben consapevoli del problema, ma che continuino ad ignorarlo.
Uno dei maggiori problemi all’interno dell’ITSCI è che l’etichettatura del maggior volume possibile di minerali è in realtà nel suo interesse. Il programma ITSCI è finanziato principalmente attraverso le tasse imposte agli esportatori di minerali etichettati “3T” e provenienti dalla regione dei Grandi Laghi. Secondo un rapporto finanziario dell’ITSCI, nel 2019 il 97% del suo finanziamento proveniva da entità a monte della sua catena di approvvigionamento. Secondo l’Ong Pact, “più ampia è la portata del sistema e maggiore è la produzione che vi transita, minore sarà il costo di partecipazione [che l’ITSCI può offrire ai suoi membri]”. Questa struttura di finanziamento incita a massimizzare la quantità di minerali etichettati, relegando in secondo piano l’obiettivo dell’ITSCI che è quello di selezionare i minerali che entrano nelle sue catene di approvvigionamento.
Il conflitto di interessi inerente all’ITA e al TIC è un problema chiave del programma ITSCI e l’origine di molti dei problemi evidenziati. Infatti, si tratta, da un lato, di gestire un programma volto a bloccare l’entrata di minerali “3T” di dubbia provenienza sui mercati internazionali e, d’altro lato, di rappresentare numerose società annoverate tra i maggiori acquirenti di minerali “3T”. Inoltre, il comitato di direzione dell’ITSCI è composto esclusivamente da rappresentanti di organismi del settore dello stagno e del tantalio che, tra i loro membri, includono alcune delle società più influenti in questo settore. Infine, le strutture di governo dell’ITSCI appaiono poco soddisfacenti: solo due persone fanno parte del comitato di amministrazione, una delle quali è responsabile del programma ITSCI all’interno dell’ITA, e il programma non ha alcun consiglio di amministrazione, né un comitato di monitoraggio a cui il direttore del programma dovrebbe rendere conto.
2.5. Lacune nel sistema di implementazione del “dovere di diligenza ragionevole” da parte dell’ITSCI
ITSCI raccoglie e pubblica informazioni dettagliate sui rischi di situazioni d’insicurezza e di violazioni dei diritti umani che potrebbero danneggiare le sue catene/filiere di approvvigionamento, e sulle misure adottate per gestire tali rischi. Finora, l’ITSCI ha denunciato pubblicamente un totale di più di 2.500 incidenti nel Nord Kivu (da gennaio 2014) e nel Sud Kivu (da luglio 2012).
Secondo il suo sito web, ogni mese l’ITSCI invia ai suoi membri delle sintesi degli incidenti rilevati, anche se esse vengono rese pubbliche solo in seguito. Al momento della pubblicazione di questo rapporto, gli ultimi rapporti pubblici che segnalano incidenti nel Nord Kivu e nel Sud Kivu risalgono alla fine di dicembre 2020.
La segnalazione degli incidenti può essere un importante strumento di attuazione del “dovere di diligenza ragionevole”, a condizione che venga effettuata in modo dettagliato ed entro un arco di tempo ragionevole. Essa consente infatti al grande pubblico, ai clienti, agli investitori e agli azionisti di valutare le informazioni sulle misure adottate dalle varie società per identificare e gestire i rischi nei differenti contesti in cui operano.
Il sistema ITSCI di segnalazione degli incidenti è stato citato come esempio in un rapporto dell’OCSE per le sue buone pratiche. Tuttavia, la presente ricerca evidenzia una serie di casi in cui l’ITSCI sembra aver abusato del proprio sistema di segnalazione degli incidenti.
In primo luogo, l’ITSCI sembra minimizzare gli incidenti gravi, dando l’impressione che la maggior parte degli incidenti siano di piccola entità. Global Witness ha identificato varie situazioni in cui dei minerali collegati a gruppi armati erano entrati o erano fortemente sospettati di essere entrati nella catena di approvvigionamento dell’ITSCI e che l’ITSCI non aveva segnalato quando, invece, avrebbe dovuto farlo. In molti altri casi, in cui la tracciabilità dei minerali non era affatto chiara, l’ITSCI ha segnalato gli incidenti solo dopo che erano stati segnalati da altre organizzazioni, come il gruppo di esperti delle Nazioni Unite. È questo il caso dei rapporti ITSCI sulle miniere di Nzibira, Kamatale e Biholo. In tutti questi casi, l’ITSCI ha erroneamente classificato gli incidenti nella categoria “2” e non nella categoria “1”, attribuita agli incidenti più gravi, come avrebbe dovuto fare, proprio secondo i suoi criteri di valutazione.
In secondo luogo, spesso l’ITSCI sembra aver deliberatamente ignorato gli incidenti che hanno implicato attori chiave nel settore “3T”. Un ex manager dell’Ong Pact, responsabile del programma ITSCI in Ruanda, ha dichiarato a Global Witness che l’ITSCI non ha pubblicato nessun incidente grave in cui erano implicate alcune grandi società, anche se lui stesso aveva segnalato tali incidenti alla segreteria dell’ITSCI. Inoltre, secondo fonti del settore, un influente membro dell’ITSCI ha abusato del sistema di segnalazione degli incidenti per danneggiare dei suoi concorrenti.
In terzo luogo, mentre l’ITSCI sembra aver chiuso gli occhi su alcuni incidenti in cui erano implicate delle grandi società aderenti al suo programma, nello stesso tempo essa ha emesso delle informazioni dettagliate riguardanti una società che era già passata a un sistema di tracciabilità concorrente. L’obiettivo apparente era di tentare di screditare la società in questione e il programma concorrente.
Questi esempi dimostrano come il sistema di segnalazione adottato dall’ITSCI per rendere noti gli incidenti contro il “dovere di diligenza ragionevole” possa generare degli abusi. Se la segnalazione degli incidenti è un elemento importante di qualsiasi sistema di diligenza ragionevole, tuttavia essa può diventare un potente strumento per controllare chi può e chi non può accedere al mercato minerario internazionale.
Si tratta di un aspetto particolarmente problematico, quando questo sistema è gestito da un organismo come l’ITSCI, caratterizzato da disfunzioni nelle sue strutture di governance e composto da membri con interessi commerciali.
[1] [1] https://www.globalwitness.org/fr/itsci-laundromat-fr/