Il 27 gennaio 2023 a Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, un rappresentante della Società Civile di questa Provincia descrive e analizza la situazione di guerra che regna nella Provincia. [1]
Cosa state vivendo nel Nord-Kivu?
Da quasi trent’anni, qui da noi nel Nord-Kivu, viviamo una situazione di insicurezza ricorrente. Come attori della società civile, abbiamo sempre identificato quattro principali cause di insicurezza all’est:
la ricerca dell’identità
la ricerca della terra
la ricerca del potere
la ricerca di risorse naturali, compresi i minerali.
Nel caso specifico dell’insicurezza che stiamo vivendo nei territori intorno a Goma, si tratta di una guerra di aggressione. Già a luglio 2021, quando i terroristi dell’M23 avevano iniziato i loro attacchi a Sabinyo, noi, come Società civile, lo avevamo denunciato; qualche mese dopo, avevano addirittura abbattuto un elicottero della Monusco (la forza Onu nel Paese, ndr), un dramma di cui si è parlato poco. Poi hanno cominciato a conquistare spazi, cominciando da villaggi del territorio di Rutshuru: Bunagana, Rutshuru, Kiwanja… Giunti al villaggio di Kishishe, vi hanno ucciso più di duecento persone, e poi hanno continuato a Bambo, sempre nel territorio di Rutshuru, nella Chefferie di Bwito. Hanno spinto la gente a fuggire e oggi migliaia di famiglie sono nei campi profughi attorno a Goma, senza un’adeguata assistenza: bambini, madri, anziani stanno soffrendo; in alcune zone del territorio di Rutshuru, i bambini non studiano da un anno.
L’UNHCR non è intervenuto?
L’UNHCR e le altre agenzie del sistema delle Nazioni Unite intervengono al limite delle loro possibilità, ma il bisogno è enorme e cresce di giorno in giorno. Proprio ieri un grosso centro del territorio di Masisi, la città di Kitchanga, è caduto sotto il controllo dei terroristi dell’M23 con il loro alleato RDF (Rwanda Defence Force), l’esercito ruandese. Gli sfollati che avevano cercato rifugio a Kitchanga, in questo momento sono davanti alla Monusco; altri si sono diretti a Mwesso, Pinga… e sono senza alcuna assistenza. La situazione che stiamo attraversando è davvero allarmante. La città di Goma sta diventando sempre più costosa. Prima che iniziasse questa guerra, quando la strada nazionale n. 2 non era ancora bloccata dallo pseudo-M23/RDF, si potevano acquistare 100 chili di fagioli per meno di 75 $, ma attualmente il prezzo è superiore a 150 $. I prezzi sono più che raddoppiati e a risentirne è la popolazione.
Ci sono responsabilità internazionali in questa situazione?
Noi, come Società civile, diciamo che la Comunità internazionale è complice da qualche parte: come spiegare altrimenti che un piccolo Paese come il Rwanda possa concedersi il lusso di arrivare a imporci questa guerra e questa insicurezza? Tutti lo stanno condannando solo verbalmente, senza prendere le necessarie sanzioni affinché non continui a mettere nell’insicurezza altri Paesi.
La complicità della Comunità internazionale è motivata dalle multinazionali che preferiscono cooperare con il Rwanda piuttosto che con la RD Congo. A volte interroghiamo diplomatici e altri leader anche a livello mondiale: com’è possibile che un paese come il Rwanda possa essere classificato tra i paesi che producono oro o coltan, quando non possiede nessuno di questi giacimenti? Queste multinazionali, ovviamente sostenute dai loro Stati, che sono le grandi potenze, sono alla base della nostra miseria, e noi stiamo digerendo male questo.
La legge sulla tracciabilità dei minerali che l’Unione Europea si è data nel 2021 non ha avuto effetto?
Posso dire che non ha avuto effetto, perché la gente ha cominciato a frodare in modo insospettato: si sono intercettati minerali anche nelle gomme dei veicoli che attraversavano il confine; in bidoni, che si dichiarava pieni d’acqua, oltre che attraverso il lago, e dall’altra parte del confine mettevano le etichette. Era una frode organizzata. È vero, i nostri confini sono porosi… ma quello di cui diamo la colpa alla Comunità internazionale è accettare prodotti da un paese che non ne ha: diciamo che c’è una complicità da qualche parte.
C’è un legame tra i massacri compiuti nel Nord Kivu e nell’Ituri attribuiti alle ADF e la guerra che state vivendo?
Sì, c’è un legame. Hanno lo stesso modus operandi. A parte questo, quando si è cominciato a dire che gli autori dei massacri a Beni e Ituri erano gli Hutu provenienti dal Masisi o dal Rutshuru, noi che viviamo in queste zone non abbiamo mai visto una popolazione trasferirsi in massa a Beni o in Ituri. Abbiamo capito che era un gioco combinato da qualche parte: ci sono delle FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda) che vengono rimpatriate dal Congo in Rwanda con le loro famiglie: invece di restare lì, tornano di nuovo qui da noi con la missione di conquistare questi spazi. Sono queste persone a volte che si dirigono verso la Provincia orientale e il nord della provincia del Nord-Kivu, e sono loro che continuano a uccidere la popolazione nell’estremo nord.
Cercano terra, ma allo stesso tempo identità, perché devono spacciarsi per Banyabwisha, quando non lo sono: lì c’è un albero che nasconde la foresta. Stanno cacciando la popolazione dal luogo di origine affinché vada ad ammassarsi in grandi agglomerati.
Anche se abbiamo vissuto trent’anni di guerra, non avevamo mai conosciuto massacri del genere, dove le persone vengono uccise tagliandole con un machete e la stessa cosa sta iniziando a succedere anche nel Rutshuru.
Ma, in fondo, Kagame, cosa cerca con questa guerra, quando già approfittava delle ricchezze del Congo?
Non capivamo perché il Rwanda e l’Uganda a un certo punto cominciassero anche a costruire raffinerie d’oro da loro, quando non hanno oro nel loro sottosuolo. Ciò significa che si stavano preparando a rubare, ed è quello che stanno facendo: ci stanno imponendo una guerra solo per saccheggiare le nostre risorse. Oggi sono entrati nel territorio di Masisi per raggiungere i nostri giacimenti d’oro, di cassiterite, di coltan, per esportarli e creare riserve a casa loro. È quello che hanno sempre fatto.
Il saccheggio è accompagnato anche da un progetto di balcanizzazione?
Ovviamente. Hanno un paese sovrappopolato e povero: vogliono lasciarci in questa insicurezza per dominare questa parte del territorio, per balcanizzare l’est del nostro paese per approfittare della sua ricchezza.
Se avesse davanti a lei i grandi di questo mondo, cosa direbbe loro?
Consiglierei loro di smettere di cooperare con i genocidari, perché da noi in Congo abbiamo appena perso nelle guerre, che ci sono state imposte dal 1996, più di 12 milioni di abitanti. Non si è mai parlato di questo genocidio: la Comunità internazionale tace.
La Comunità internazionale deve prima di tutto sanzionare il Rwanda, perché tutti i rapporti degli specialisti, degli investigatori delle Nazioni Unite, il Rapporto Mapping, hanno sempre parlato del coinvolgimento del Rwanda nel saccheggio delle risorse naturali del nostro Paese e anche nei massacri. Se essa non lo fa, noi diciamo che effettivamente c’è una complicità. E abbiamo sempre chiesto che ci fosse un Tribunale Speciale per processare tutti questi criminali coinvolti nei massacri che stanno avvenendo nell’est del paese.
Se non si interviene, come pensa che si evolverà la situazione?
La situazione sta degenerando, più che negli anni passati. Se non si interviene, rischiamo una rivolta popolare e quando accadrà, credo che nella regione dei Grandi Laghi ci sarà un problema molto serio. Per questo chiediamo alla Comunità internazionale di prendere provvedimenti il prima possibile, prima che accada il peggio: che si fermi questa guerra di aggressione con cui il Ruanda sta attaccando il nostro Paese. Non abbiamo bisogno di un esercito di soccorso, ma di ferme ingiunzioni e sanzioni da parte della Comunità internazionale.
All’inizio dello scorso dicembre l’Unione europea ha deciso di dare 20 milioni di dollari al Rwanda: cosa ne pensa?
È un modo per continuare a mantenere la disgrazia di noi Congolesi. Se sanno che sono i Ruandesi ad attaccare il Congo, devono sanzionare il Rwanda, tagliando ogni aiuto. Continuare il partenariato con il Rwanda significa continuare a contribuire alla disgrazia dei Congolesi, al massacro dei Congolesi.
Il popolo congolese vuole che il presidente Tshisekedi dichiari guerra al Ruanda?
Credo di sì. Oggi il popolo congolese sta dicendo al governo: «Se abbiamo dei leader, perché dobbiamo continuare a essere umiliati da un piccolo stato come il Rwanda? Non ne possiamo più, le sofferenze sono al culmine, dobbiamo dichiarare guerra al Rwanda». E se il governo non lo fa, un giorno ci si sveglierà e si vedrà che il popolo congolese sta attraversando il confine per attaccare il Ruanda…
E questo si potrebbe evitare…
In effetti, questo è ciò che dovrebbe essere evitato. Non accetteremo per sempre di essere costretti a fuggire dalle nostre terre… Noi lavoriamo e gli altri vengono a saccheggiare i nostri beni; questo è ciò che sta accadendo alla popolazione sfollata: l’M23 saccheggia i prodotti dei campi, i loro beni. E oggi se fanno di tutto per entrare nella città di Goma, è semplicemente per venire a saccheggiare.
Oggi stanno isolando la città e in effetti la sua popolazione sta soffrendo molto, soprattutto perché vive di rendita giornaliera. È volerci uccidere vivi! Stiamo lanciando un grido di allarme affinché il Rwanda possa fermare la guerra di aggressione che vuole imporci. Noi, il popolo congolese, siamo un popolo ospitale, amiamo la pace, ma quando vogliono farci quello che ci stanno facendo, in noi Congolesi comincia a svilupparsi un altro spirito, che potrebbe rischiare di portare ad atti che la Comunità internazionale non sarebbe in grado di controllare.
[1] https://diogeneonline.info/fermare-la-guerra-nel-congo-orientale-le-richieste-della-societa-civile/