IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23) E GLI INTERESSI ECONOMICO / COMMERCIALI DEL RUANDA E DELL’UGANDA
INDICE
1. LE PROVE DELL’APPOGGIO DELL’ESERCITO RUANDESE AL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)
a. Un rapporto confidenziale del Gruppo di esperti dell’ONU
b. Qualche reazione
2. IL RISCHIO DI UNA GUERRA TRA IL RUANDA E LA RDCONGO COME CONSEGUENZA DELLA RIPRESA DELLE OSTILITÀ DA PARTE DELL’M23
a. Quand’è iniziata l’attuale crisi?
b. Come si spiega il ritorno del Movimento del 23 Marzo (M23)?
c. Che ruolo hanno gli interessi economici e commerciali?
d. Quali sono i rischi di un conflitto aperto tra i due stati?
e. Come disinnescare le tensioni e chi è abbastanza credibile per raggiungere questo obiettivo?
3. ABBASSARE LE TENSIONI NELL’EST DELLA RD CONGO E NELLA REGIONE DEI GRANDI LAGHI AFRICANI
a. Sintesi
b. La retorica guerriera di Paul Kagame
c. La rivalità tra il Ruanda e l’Uganda e il ritorno del Movimento del 23 Marzo (M23)
d. La necessità della diplomazia
e. Conclusione
1. LE PROVE DELL’APPOGGIO DELL’ESERCITO RUANDESE AL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)
a. Un rapporto confidenziale del Gruppo di esperti dell’ONU
Secondo un rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite per la Repubblica Democratica del Congo (RDCongo) trasmesso al Consiglio di sicurezza dell’ONU e classificato come riservato, l’esercito ruandese è intervenuto nell’est della RDCongo, direttamente e in appoggio al Movimento del 23 marzo ( M23) , da novembre 2021 fino a giugno 2022. Gli esperti indicano che durante questo periodo «l’esercito ruandese ha effettuato degli interventi militari contro i gruppi armati congolesi e le postazioni delle forze armate congolesi e ha fornito armi, munizioni, uniformi e truppe al Movimento del 23 marzo (M23) in occasione di operazioni specifiche, in particolare quando queste erano finalizzate alla conquista di città e zone strategiche».
L’M23 è un’ex ribellione a predominanza tutsi, sconfitta militarmente nel 2013 dalle Forze armate della RDC (FARDC) con l’appoggio delle truppe della MONUSCO. Ha ripreso le ostilità alla fine dell’anno scorso per chiedere, secondo le sue dichiarazioni, l’applicazione di un accordo firmato nel 2013 con Kinshasa.
Il rapporto del Gruppo di esperti dettaglia, con prove alla mano, la diretta implicazione del Ruanda, «unilaterale o congiunta in collaborazione con l’M23», nel conflitto in corso nell’est della RDCongo.
Il 13 giugno, dopo intensi scontri con l’esercito congolese, l’M23 ha conquistato la strategica cittadina di Bunagana (50 km a nord di Goma), importante crocevia commerciale al confine con l’Uganda. Immagini fornite dai droni della Monusco, video amatoriali, foto e testimonianze oculari documentano la presenza delle forze armate ruandesi sul suolo congolese e/o il trasferimento di materiale militare ruandese all’M23, dentro e intorno alla città di Bunagana, il giorno prima e il giorno stesso dell’attacco. Il Gruppo degli esperti ha aggiunto che «testimoni oculari hanno parlato anche di una certa complicità passiva da parte dell’esercito ugandese, che ha permesso ai combattenti dell’M23 di attraversare la frontiera senza alcuna difficoltà» per attaccare la città. Il rapporto afferma che, «in varie immagini aeree riprese in occasioni diverse, nei pressi delle frontiere tra la RDCongo, il Ruanda e l’Uganda si vedono delle colonne di circa 500 militari che indossavano uniformi ed elmetti militari molto simili a quelli delle forze armate ruandesi».
Secondo il Gruppo degli esperti, due settimane prima dell’assalto a Bunagana, il 25 maggio, «l’M23 aveva già attaccato il campo militare di Rumangabo insieme ad alcune truppe dell’esercito ruandese». In quell’occasione, circa 900 – 1.000 militari ruandesi bloccarono la strada nazionale n. 2 per diversi giorni, ciò che permise loro di attaccare le varie postazioni dell’esercito congolese collocate lungo questa strada che conduce a Goma.
Il rapporto aggiunge che tra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2022, quasi 300 militari ruandesi hanno effettuato delle operazioni militari in territorio congolese contro dei gruppi armati a maggioranza hutu: le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) e la Coalizione dei Movimenti per il Cambiamento / Forze di Difesa del Popolo (CMC/FDP).
Le FDLR sono un gruppo armato fondato in Congo da ex membri del regime ruandese in fuga dopo il genocidio del 1994. Presentata come una minaccia, Kigali ha usato l’esistenza di questa milizia come pretesto per giustificare i suoi passati interventi in territorio congolese e il suo appoggio alle ribellioni congolesi che l’hanno combattuta. Il Ruanda, che ha sempre negato di appoggiare l’M23, ha regolarmente accusato Kinshasa di utilizzare le FDLR come milizia sussidiaria per combattere contro l’M23.
Infine, il rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dettagliato anche l’esistenza di “coalizioni di circostanza” tra l’esercito congolese e alcune milizie locali. Quando l’M23 e le RDF hanno attaccato il campo militare di Rumangabo, «dei combattenti appartenenti a diversi gruppi armati e appoggiati da alcuni membri dell’esercito congolese hanno lanciato un contrattacco il 26 maggio 2022». Secondo il rapporto, in quel mese di maggio, sotto lo sguardo benevolo degli ufficiali dell’esercito congolese, si era formata una nuova coalizione di gruppi armati determinati a combattere contro l’M23. Contattati dal Gruppo, alcuni combattenti di gruppi armati diversi, hanno confermato che «il loro gruppo, da solo o insieme ad alcuni soldati dell’esercito congolese, aveva partecipato a dei combattimenti contro le truppe dell’M23 e/o RDF» e hanno confermato di «aver più volte ricevuto armi e munizioni da alcuni ufficiali dell’esercito congolese».[1]
b. Qualche reazione
Il portavoce del governo congolese, Patrick Muyaya, ha accolto con soddisfazione le conclusioni del rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite che confermano l’intervento “diretto” dell’esercito ruandese sul territorio congolese in appoggio dell’M23. Secondo il ministro congolese, di fronte alle molteplici prove evocate nel rapporto, il Ruanda non potrà più negare il suo appoggio all’M23 e dovrà ammettere la propria responsabilità e la propria complicità nella destabilizzazione dell’est della RDC. Kinshasa, che ha sempre accusato il Ruanda di appoggiare l’M23, ha colto l’occasione per chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di «condannare questa ennesima aggressione ruandese e trarne tutte le conseguenze, al fine di ottenere il ritiro dell’M23 da tutte le località che ha occupato durante gli ultimi mesi». È da diverse settimane, infatti, che l’M23 ha preso il controllo su diverse cittadine e villaggi del raggruppamento di Jomba, nel territorio di Rutshuru, tra cui la città transfrontaliera di Bunagana. L’M23 ha installato una sua propria amministrazione nelle entità conquistate.
Da parte sua, la portavoce del governo ruandese, Yolande Makolo, ha dichiarato di non volere commentare un “rapporto non pubblicato e non convalidato”. Ella ha aggiunto che, «nel mese di giugno scorso, un precedente rapporto del gruppo di esperti dell’ONU non conteneva nessuna di queste false accuse».[2]
Il Premio Nobel per la Pace, Dr. Denis Mukwege, ha dichiarato che «il governo congolese, le Nazioni Unite, l’Unione Africana, l’Unione europea e i partner bilaterali e regionali della RDCongo devono trarre le conseguenze di queste prove che dimostrano l’ennesima guerra di aggressione dell’est della RDCongo da parte del Ruanda: è urgentemente necessario adottare delle sanzioni contro il regime ruandese, sul piano politico, diplomatico, economico e militare, in conformità con le risoluzioni 1807 e 2293 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che prevedono una serie di sanzioni nei confronti delle persone ed entità che compiono atti che minacciano la pace, la stabilità e la sicurezza della Repubblica Democratica del Congo».
Il dottor Denis Mukwege ha insistito sul fatto che, «davanti a un conflitto che dura da oltre 25 anni e che ha provocato milioni di morti, donne violentate e sfollati, la Comunità internazionale non può più accettare passivamente che la popolazione congolese subisca ripetuti attacchi da parte di paesi limitrofi che, direttamente o per procura, commettono atrocità inammissibili, ma espressamente volute per destabilizzare l’est della RDCongo, ciò che permette loro di appropriarsi delle sue risorse minerarie e naturali in un clima di impunità generalizzata».
Secondo il Premio Nobel per la pace, «questo vasta criminalità transnazionale, di cui il Ruanda è da 25 anni uno dei principali attori, con la complicità di alcuni connazionali corrotti, deve cessare ora». Perciò, egli chiede al governo congolese di procedere alla riforma del settore della sicurezza, fornendo all’esercito i mezzi necessari per pacificare il Paese. «Non possiamo rivolgerci sempre alle Nazioni Unite, né affidare la nostra sicurezza nazionale a Stati terzi», ha insistito Mukwege, aggiungendo che «non possiamo accettare che alcuni membri dell’esercito nazionale collaborino con certe milizie che stanno destabilizzando la nazione».
Infine, secondo lui, «per porre fine al ciclo infernale della violenza e dell’impunità, è necessario adottare e attuare una strategia nazionale olistica di giustizia post-conflittuale, perché la giustizia è uno strumento essenziale per prevenire il ripetersi dei conflitti stessi».[3]
2. IL RISCHIO DI UNA GUERRA TRA IL RUANDA E LA RDCONGO COME CONSEGUENZA DELLA RIPRESA DELLE OSTILITÀ DA PARTE DELL’M23
A cura del Centro di Studi Strategici dell’Africa – 11 luglio 2022[4]
Il deterioramento apparentemente rapido della sicurezza nell’est della Repubblica Democratica del Congo RDCongo e la ripresa delle ostilità da parte del Movimento del 23 Marzo (M23) sono il risultato di rivalità regionali già esistenti da vario tempo tra il Ruanda e l’Uganda.
Per cercare di capire le cause del deterioramento della situazione d’insicurezza nell’est della RDC, il Centro di Studi Strategici dell’Africa ha raccolto le opinioni di alcuni esperti, tra cui:
– Kwezi Mngqibisa, ricercatore associato presso l’Università di Johannesburg (Sud Africa).
– Claude Gatebuke, Direttore della Rete per la Regione dei Grandi Laghi dell’Africa.
– Cedric De Coning, co-direttore dell’Istituto norvegese per gli affari internazionali ed ex consigliere presso la divisione delle operazioni di sostegno alla pace dell’Unione africana.
a. Quand’è iniziata l’attuale crisi?
Composto da Tutsi congolesi, il Movimento del 23 Marzo (M23) afferma di voler proteggere i Tutsi dagli attacchi dei gruppi armati hutu, tra cui soprattutto le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), che comprendono anche dei membri accusati di partecipazione al genocidio perpetrato nel 1994 in Ruanda.
L’attuale crisi è iniziata nel mese di novembre 2021, quando l’M23, già sconfitto dall’esercito congolese verso la fine del 2013, ha attaccato alcune postazioni militari delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) nei villaggi di Chanzu e Runyonyi, nella provincia del Nord Kivu, situati nei pressi della frontiera congolese con l’Uganda e con il Ruanda. Ciò è avvenuto nello stesso mese in cui l’esercito ugandese ha inviato alcune sue truppe nella stessa provincia del Nord Kivu, per combattere le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo di ispirazione islamica, di origine ugandese, attivo nel Nord Kivu e nell’Ituri e sospettato, dal presidente ugandese Yoweri Museveni, di essere responsabile degli attentati commessi a Kampala in ottobre e novembre 2021.
In marzo 2022, l’M23 è riuscito ad occupare alcune zone del territorio di Rutshuru, al confine con l’Uganda e il Ruanda. In maggio ha assediato la base militare di Rumangabo, la maggiore installazione militare delle FARDC nel Nord Kivu. Il 12 giugno, l’M23 ha occupato la città transfrontaliera di Bunagana, costringendo i militari congolesi a fuggire in Uganda.
Tutto ciò risulta molto strano, considerato che l’M23 era stato definitivamente sconfitto in novembre 2013 dall’esercito congolese e dalle forze della Missione dell’ONU in RDCongo (MONUSCO).
Infatti, nel mese di marzo 2013, 600 combattenti circa dell’M23 / ala Runiga erano fuggiti in Ruanda. Il loro capo militare, Jean Bosco Ntaganda, alias ‘The Terminator’, si era arreso all’ambasciata americana che lo aveva consegnato alla Corte Penale Internazionale, per accuse di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. Nel mese di novembre 2013, circa 1.400 combattenti dell’M23 / ala Bisimwa, erano fuggiti in Uganda, dove erano stati raggruppati nel campo militare di Bihanga, per la loro smobilitazione.
Nel 2017, però, senza che se ne sia ufficialmente saputo il motivo, la maggior parte di questi ex combattenti dell’M23 residenti nel campo militare di Bihanga erano fuggiti. Alcuni di loro, tra cui il “generale” Sultani Makega, erano rientrati irregolarmente nel Nord Kivu, stabilendosi nei pressi del monte Sabinyo, vicino alla frontiera con l’Uganda e il Ruanda. Già in quel tempo, la RDCongo aveva accusato il Ruanda di aver riorganizzato e armato l’M23.
b. Come si spiega il ritorno del Movimento del 23 Marzo (M23)?
La persistente rivalità tra l’Uganda e il Ruanda è un elemento essenziale dell’attuale crisi.
Secondo Claude Gatebuke, «è molto improbabile che il problema dell’M23 venga risolto in modo soddisfacente, a meno che non vengano affrontate le questioni di fondo che intaccano le relazioni tra il Ruanda e l’Uganda».
Come nota Kwezi Mngqibisa, le due fazioni dell’M23, che erano fuggite una in Ruanda e l’altra in Uganda, sono tra loro in conflitto, diventando dei facili strumenti opportunistici nelle mani del Ruanda e dell’Uganda, due paesi limitrofi che, nel Nord Kivu, hanno già combattuto varie guerre per procura (sotto copertura di gruppi armati locali), al fine di assicurarsi ciascuno una propria sfera di influenza, in una provincia ricca di molti minerali, come l’oro, la cassiterite, il coltan e il tantalio. Secondo Mngqibisa, «sin dalla fine degli anni 1990, l’Uganda e il Ruanda hanno sempre appoggiato dei gruppi armati tra loro rivali», al fine di poter assicurarsi il controllo sulle risorse naturali dell’est della RDCongo.
Anche Jason Stearns si dice convinto che la riapparizione dell’M23 nel Nord Kivu, sia la manifestazione di una nuova fase della guerra per procura tra l’Uganda e il Ruanda.
Nel 2021, oltre a permettere alle truppe ugandesi di operare nel Nord Kivu, il presidente congolese, Félix Tshisekedi, aveva firmato con il presidente ugandese anche un accordo per la riabilitazione delle strade che collegano i due paesi, la RDCongo e l’Uganda. Si tratta di una serie di progetti che faciliterebbero i collegamenti stradali tra Kasindi, Beni e Butembo da una parte, e Bunagana, Rutshuru e Goma e dall’altra. «Le operazioni [militari] e la costruzione / riparazione delle strade sono state concepite come strettamente collegate», spiega Stearns. «Le truppe dell’esercito ugandese hanno ufficialmente iniziato gli attacchi contro le Forze Democratiche Alleate (ADF) il 30 novembre 2021. Pochi giorni dopo, il 3 dicembre 2021, sono iniziati anche i lavori di costruzione / riparazione delle strade». In particolare, il protocollo d’accordo sulla costruzione delle strade ha sin dall’inizio fatto parte dell’accordo militare tra i due paesi, la RDCongo e l’Uganda, ed è quindi stato classificato segreto e non disponibile per il pubblico. Inoltre, è stato firmato dai capi di stato maggiore dei due eserciti e non dai rispettivi ministeri delle finanze o delle infrastrutture.
Il protocollo d’accordo permette inoltre all’esercito ugandese di proteggere sia i lavori stradali che il personale e le attrezzature. Il progetto di costruzione / riparazione delle strade è completamente finanziato dall’Uganda. Il 40% proviene dal budget dello stato ugandese e il resto, il 60 %, da Dott Services, la società ugandese appaltata per la realizzazione del progetto. Il dispiegamento di truppe ugandesi nel Nord Kivu e il progetto di ricostruzione di una rete stradale che, partendo dall’Uganda, arriva addirittura fino a Goma, alle porte del Ruanda, sono da Kigali considerati come atti ostili.
In febbraio 2022, in un discorso al Parlamento, il presidente ruandese Paul Kagame aveva affermato che le minacce provenienti dal Nord Kivu erano talmente gravi da giustificare un invio di truppe ruandesi, anche senza il consentimento della RDCongo: «Faremo quello che dovremo fare, con o senza il consenso degli altri».
Oltre all’accordo concluso con l’Uganda, il presidente congolese Félix Tshisekedi aveva già firmato, nel mese di marzo 2021, un accordo con il Ruanda, per la realizzazione di operazioni militari congiunte. Un simile accordo era stato raggiunto, in luglio dello stesso anno, anche con il Burundi, ciò che ha aperto la strada al dispiegamento di truppe dell’esercito burundese nel Sud Kivu, per combattere i gruppi armati burundesi presenti sul territorio congolese.
Tuttavia, mentre gli accordi di cooperazione militare con l’Uganda e il Burundi sono stati attuati secondo le previsioni, quello con il Ruanda è rimasto bloccato. A Kigali, molti credono che sia stato bloccato su istigazione di Kampala. L’incremento delle attività militari ed economiche dell’Uganda nella RDC e la percezione, da parte del Ruanda, di esserne stato escluso, hanno fomentato un clima di rivalità tra l’Uganda e il Ruanda, ciò che ha provocato la riattivazione dell’M23, dopo quasi un decennio di inattività.
c. Che ruolo hanno gli interessi economici e commerciali?
L’improvviso ritorno dell’M23 è legato anche alla sovrapposizione di interessi economici e commerciali. Secondo Mngqibisa, «il Ruanda e l’Uganda possono affermare di avere, in Congo, dei legittimi interessi relativi alla loro sicurezza. Tuttavia vi hanno anche enormi interessi economici, specialmente nel settore minerario, ciò che contribuisce alla loro rivalità».
Il territorio che va da Bunagana, al confine con l’Uganda, fino a Goma, al confine con il Ruanda, passando per Kanyabayonga, è una zona mineraria che contiene alcuni dei più grandi giacimenti mondiali di coltan, il minerale utilizzato in quasi tutti i dispositivi elettronici. La Repubblica Democratica del Congo è anche il più grande produttore mondiale di cobalto, un elemento chiave per la fabbricazione delle batterie delle auto elettriche, attualmente molto richieste.
Ci sono numerose prove che dimostrano che i gruppi armati appoggiati dall’Uganda e dal Ruanda, tra cui l’M23, controllano delle rotte commerciali strategiche, ma informali e illegali, che partono dalle miniere del Kivu verso i due paesi. I gruppi armati utilizzano i proventi del traffico di oro, cassiterite e coltan per acquistare armi, reclutare minatori artigianali che lavorino per conto loro e corrompere autorità, doganieri, militari e agenti di polizia. Queste operazioni illecite sono spesso contrassegnate anche da un grande violenza, poiché i vari gruppi armati spesso combattono tra loro per il controllo delle miniere e delle vie di trasporto dei minerali estratti.
L’esistenza dei gruppi armati e il commercio illegale dei minerali affliggono il Congo da decenni. In tale contesto, l’Uganda, il Ruanda e il Burundi esportano prodotti minerali che non producono, il che è possibile solo attraverso la pratica del contrabbando.
Tutti e tre negano questo dato di fatto, benché sia comprovato dalle statistiche relative alle loro esportazioni. Ad esempio, l’oro è ora il principale minerale esportato dall’Uganda, ma gran parte di esso proviene dalla Repubblica Democratica del Congo. Nello stesso modo, nel 2019, il 40% del coltan mondiale risultava ufficialmente estratto nella Repubblica Democratica del Congo, ma gran parte di esso veniva fatto passare di contrabbando in Ruanda, per essere poi da lì esportato in modo ufficiale. Questo schema è stato adottato anche da altri paesi della regione dei Grandi Laghi Africani. Pertanto, mentre la RDC è riconosciuta come il più grande produttore mondiale di coltan, il Ruanda, l’Uganda e il Burundi si collocano rispettivamente al terzo, nono e undicesimo posto di esportatori di coltan, anche se dispongono di un numero molto limitato di giacimenti di tale minerale.
I rapporti delle Nazioni Unite dimostrano che, mentre la maggior parte del coltan congolese viene fatta passare di contrabbando in Ruanda attraverso Goma (Nord Kivu) e Bukavu (Sud Kivu), un’altra parte viene dirottata verso l’Uganda, attraverso Bunagana e Rutshuru (Nord Kivu), mentre un’altra parte ancora finisce in Burundi, attraverso Uvira (Sud Kivu).
Secondo i rapporti citati, i Paesi limitrofi alla Repubblica Democratica del Congo, in particolare l’Uganda e il Ruanda, fanno di tutto per assicurarsi l’esclusività dell’accesso alle risorse minerarie del Kivu, ciò che, a sua volta, fomenta un tipo di violenza per procura.
In novembre 2020, Dott Services, la società ugandese che cofinanzia e realizza il progetto di riparazione delle strade che collegano l’Uganda e la RDC, ha creato una joint venture con una società mineraria parastatale congolese, la Société Aurifère du Kivu et du Maniema (Sakima), che le ha permesso di accedere alle miniere strategiche della provincia del Maniema, ricca di stagno, tantalio, oro e tungsteno.
Dott Services possiede il 70% della società, mentre Sakima possiede il 30%. Nell’ambito di questo contratto, tra i vari progetti infrastrutturali previsti, Dott Services costruirà anche un impianto per la lavorazione di minerali e metalli preziosi. Dott Services è considerata molto vicina alla famiglia del presidente ugandese Yoweri Museveni, il che dimostra la grande posta in gioco della scommessa economica dell’Uganda in RDCongo.
La stessa cosa vale anche per il Ruanda. In giugno 2021, i due presidenti del Ruanda e della RDCongo, Paul Kagame e Félix Tshisekedi, hanno firmato un accordo, secondo il quale Dither Ltd, una società mineraria considerata molto vicina all’esercito ruandese, raffinerà l’oro prodotto da Sakima. Il Ruanda si trova quindi in una posizione strategica che gli permette di controllare l’intera filiera di approvvigionamento dell’oro, cosa che ha molto indispettito l’Uganda. Tuttavia, l’accordo con Dither Ltd è stato sospeso all’inizio di giugno 2022 dalla Repubblica Democratica del Congo, dopo aver constatato che il Ruanda appoggiava il Movimento del 23 Marzo (M23).
Durante l’attacco dell’M23 a Bunagana, il 23 marzo 2022, i militari ugandesi sono intervenuti per proteggere i beni e il personale della Dott Services. A Kampala (Uganda), si afferma che l’attacco di Bunagana è stato condotto dall’ala “ruandese” dell’M23, nell’ambito di un complotto del Ruanda, il cui obiettivo sarebbe stato quello di ostacolare le attività economiche dell’Uganda nella RDCongo. Secondo Kigali, invece, l’attacco a Bunagana, una piccola città congolese alla frontiera con l’Uganda, sarebbe stato effettuato da elementi dell’M23 controllati dall’Uganda stesso, con l’obiettivo di impossessarsi di quella cittadina transfrontaliera, importante via di passaggio per i mezzi e il personale di Dott Services. Queste accuse e controaccuse evidenziano il ruolo che gli interessi finanziari ed economici stanno giocando nel ritorno in scena dell’M23, facilitato dalla rivalità esistente tra l’Uganda e il Ruanda.
d. Quali sono i rischi di un conflitto aperto tra i due stati?
L’est della Repubblica Democratica del Congo è una polveriera, poiché vi operano dei gruppi armati fuggiti sia dal Ruanda che dall’Uganda e dal Burundi. Secondo Claude Gatebuke, «gli eserciti ugandese e ruandese hanno già condotto varie operazioni militari contro i loro rispettivi gruppi armati scappati nell’est della RDCongo, L’hanno fatto a più riprese e, talvolta, anche con il permesso esplicito delle autorità congolesi, ma non sono riusciti a sconfiggerli. Ci si può chiedere se non si sia trattato di un semplice trucco per ritagliarsi alcune zone di influenza, in cui continuare a sfruttare illegalmente le risorse naturali che vi si trovano. Ciò amplifica il rischio di un conflitto anche tra gli Stati implicati.
Anche ultimamente, il Ruanda è stato molto esplicito nella sua minaccia di intervenire militarmente nell’est della RDCongo, quando ha accusato l’esercito congolese di combattere contro l’M23 servendosi delle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) presenti in RDCongo e da Kigali ancora considerate come una minaccia per la sicurezza interna ruandese. Secondo Claude Gatebuke, «senza un vigoroso impegno di ricostruzione della fiducia tra la RDCongo e il Ruanda, la possibilità di un nuovo conflitto tra i due stati è reale. In questo caso, l’Uganda e il Burundi si schiererebbero probabilmente dalla parte della Repubblica Democratica del Congo».
Le tensioni tra l’Uganda e il Ruanda sono palpabili e sono state acuite dai recenti interventi dell’Uganda nella Repubblica Democratica del Congo. Tuttavia, invece di attaccarsi direttamente l’un l’altro, i due paesi sembrano orientarsi verso un modello di guerra per procura, creando e appoggiando gruppi armati locali a loro fedeli.
e. Come disinnescare le tensioni e chi è abbastanza credibile per raggiungere questo obiettivo?
Il governo del Kenia ha dato un ulteriore impulso alla riduzione del ricorso alla violenza, proponendo il dispiegamento, da parte della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), di una forza militare multinazionale nel Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri. Tuttavia, la composizione di questa forza merita una grande attenzione, a causa dell’attrito esistente tra la Repubblica Democratica del Congo e alcuni Paesi ad essa limitrofi. In effetti, gran parte della società civile e dei parlamentari congolesi hanno espresso la loro determinata contrarietà all’intervento di una eventuale forza militare dell’EAC, a causa delle ripetute invasioni subite dalla RDCongo da parte di certi Paesi limitrofi. Il modo migliore per ottenere la fiducia dei cittadini congolesi è escludere dalla forza i paesi che hanno già partecipato, direttamente o indirettamente, ad operazioni di invasione e di occupazione di alcune parti della RDC, tra cui il Ruanda, l’Uganda e il Burundi.
Il governo congolese potrebbe egli stesso stabilire le condizioni di intervento della forza militare dell’EAC, compresi gli obiettivi, le zone di operazione e la durata. Queste condizioni dovrebbero essere presentate in Parlamento per discussione, approvazione e successivo monitoraggio.
Poiché la problematica dei gruppi armati, nazionali e stranieri, hanno anche una dimensione politica, l’EAC dovrà riconoscere che, da sole, le soluzioni militari non sono sufficienti. È necessario un processo politico inclusivo e imparziale per l’integrazione sociale, economica e politica dei membri dei gruppi armati dopo il loro disarmo. Ciò deve includere anche determinate misure capaci di garantire un monitoraggio e una gestione adeguata delle risorse naturali dell’est della RDCongo.
3. ABBASSARE LE TENSIONI NELL’EST DELLA RD CONGO E NELLA REGIONE DEI GRANDI LAGHI AFRICANI
International Crisis Group – Briefing Africa N°181 – Nairobi/Bruxelles, 25 maggio 2022[5]
Cosa sta succedendo? Il presidente Felix Tshisekedi ha autorizzato l’Uganda a inviare delle truppe per combattere dei gruppi armati basati nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) e ha tacitamente permesso al Burundi di fare la stessa cosa. Anche il Ruanda sembra minacciare la possibilità di inviare le sue truppe nell’est del Paese. Intanto un gruppo armato congolese, il Movimento del 23 Marzo (M23), è ritornato a far parlare di sé.
Con quali conseguenze? La decisione di Tshisekedi di accettare la presenza di truppe straniere potrebbe incrementare l’instabilità dell’est della RDC, il che potrebbe provocare una guerra per procura o il rafforzamento dei gruppi armati. Per anni, le rivalità tra i paesi limitrofi alla RDC hanno generato numerose insurrezioni e ribellioni che essi potrebbero usare l’una contro l’altra. L’intervento militare dell’Uganda nella RDC ha particolarmente irritato il Ruanda.
Come comportarsi? Il Presidente congolese Félix Tshisekedi dovrebbe fissare delle regole precise per gli interventi militari stranieri sul suolo congolese e fare tutto il possibile per dissuadere il Ruanda dal dispiegare le sue forze armate nella RDCongo. Con l’appoggio del Kenya, dovrebbe organizzare nuovi incontri con i Presidenti dei Paesi limitrofi, per ripensare qualsiasi nuova azione militare ed elaborare un piano generale di negoziati con i gruppi armati.
a. Sintesi
Il presidente congolese Félix Tshisekedi potrebbe aver aperto il vaso di Pandora, accettando la presenza di truppe dei paesi limitrofi per combattere i loro gruppi armati rifugiatisi nel suo Paese.
In novembre 2021, in seguito a una serie di attentati avvenuti nella capitale ugandese, Kampala, il presidente Tshisekedi ha autorizzato l’esercito ugandese ad inviare sue truppe nel Nord Kivu congolese, per combattere le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese e di ispirazione islamica. Il mese successivo, delle truppe burundesi sarebbero entrate nel Sud Kivu congolese, per combattere il gruppo ribelle burundese Resistenza per uno Stato di Diritto (RED-Tabara). Anche il presidente ruandese Paul Kagame ha minacciato di inviare il suo esercito, per combattere le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR). Questi interventi militari provocano nuovi sconvolgimenti in un Paese che ha già sofferto molto a causa delle rivalità esistenti tra i Paesi della regione. Per anni, i Paesi limitrofi alla RDCongo hanno utilizzato le milizie dell’est del paese, congolesi e straniere, come degli intermediari. In particolare, Kigali e Kampala hanno sempre tentato di esercitare una loro influenza nell’est della RDCongo, per spartirsi il controllo sulle numerose risorse minerarie che vi si trovano, per rafforzare le loro rispettive economie.
La sorprendente ricomparsa del Movimento del 23 Marzo (M23), un gruppo armato congolese rimasto inattivo per quasi un decennio, è particolarmente preoccupante, visti i suoi precedenti legami con Kampala e Kigali. In seguito all’integrazione della RDCongo nella Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) nel mese di marzo, il Kenya, il Paese che ne assicura la presidenza di turno, ha convocato un incontro dei Paesi membri a Nairobi.
Nel corso di questi colloqui, e emersa la proposta di una task force dell’Africa dell’Est per la RDCongo. Permettere un’ingerenza militare straniera sul territorio congolese potrebbe, tuttavia, generare un conflitto più ampio. Pertanto, il presidente congolese, Félix Tshisekedi, dovrebbe stabilire alcune regole chiare che riguardino le operazioni militari straniere nella RDCongo, precisandone gli obiettivi, la durata e le zone di operazione. Dovrebbe soprattutto cercare di convincere il presidente ruandese, Paul Kagame, a non rinviare le sue truppe sul territorio congolese. Una maggiore trasparenza sulle operazioni militari dell’Uganda in territorio congolese potrebbe contribuire a rassicurare il presidente ruandese Paul Kagame ma, per essere più incisivo, il presidente congolese Félix Tshisekedi dovrebbe dare delle risposte soddisfacenti ad alcune preoccupazioni di Kagame. Inoltre, Tshisekedi dovrebbe elaborare un piano globale di negoziazioni con i gruppi armati. Infine, la Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) dovrebbe continuare a raccogliere e a verificare le prove relative all’appoggio estero ai gruppi armati presenti sul territorio congolese.
b. La retorica guerriera di Paul Kagame
L’8 febbraio, in un clamoroso discorso di 50 minuti davanti al Parlamento ruandese, il Presidente Paul Kagame ha parlato di una minaccia alla sicurezza del Paese a partire dalle due province congolesi del Kivu. Egli ha rivelato presunti legami tra le Forze Democratiche Alleate (ADF), gruppo armato di origine ugandese, e le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), ciò che resta della milizia hutu ruandese responsabile del genocidio del 1994.
Kagame ha affermato che il pericolo è talmente reale da poter prendere in considerazione l’idea di un dispiegamento di truppe ruandesi nell’est della RDCongo, anche senza il previo accordo del presidente Tshisekedi. Kagame ha pronunciato questo suo discorso dopo l’inizio delle operazioni militari ugandesi e burundesi nella Repubblica Democratica del Congo. In novembre 2021, Tshisekedi aveva autorizzato l’Uganda a dispiegare delle sue truppe nell’est della RDCongo per combattere le ADF, accusate da Museveni di essere responsabili di una serie di attacchi terroristi a Kampala. Alla fine di dicembre, presumibilmente con il tacito permesso di Tshisekedi, le truppe burundesi sono entrate nel Sud Kivu per combattere la Resistenza per uno Stato di Diritto in Burundi (RED-Tabara), un gruppo armato composto da Tutsi che si oppongono al governo burundese, di tendenza hutu.
L’intervento militare dell’Uganda in territorio congolese è ben noto, ma delle dichiarazioni contrastanti hanno lasciato intendere che non c’è alcun accordo chiaro sulla sua organizzazione.
Il portavoce del governo congolese aveva inizialmente smentito la presenza delle truppe ugandesi in territorio congolese, benché avesse ammesso che il presidente Tshisekedi aveva autorizzato l’operazione. Inoltre, le autorità congolesi e ugandesi hanno parlato di un’operazione militare congiunta. In realtà, sembra che sia l’Uganda ad aver preso la guida delle operazioni. Kampala ha infatti rivendicato vari progressi sul campo di battaglia: il bombardamento di vari campi-base delle ADF, la liberazione di numerosi ostaggi e l’uccisione di decine di combattenti ribelli. Tuttavia, ci sono poche informazioni su scontri diretti tra le truppe ugandesi e le ADF.
Poche le informazioni anche sulla durata del dispiegamento delle truppe ugandesi in RDCongo.
In dicembre 2021, Félix Tshisekedi aveva dichiarato che sarebbe stata breve. Kampala invece aveva inizialmente fatto sapere che le sue truppe si sarebbero ritirate solo dopo aver annientato le ADF. In gennaio 2022, le truppe ugandesi avevano esteso la loro zona operativa oltre il Nord Kivu, arrivando fino all’Ituri, dov’erano fuggiti molti ribelli delle ADF durante la prima fase della campagna militare. Nello stesso mese, l’esercito ugandese aveva presentato al Parlamento una richiesta di fondi supplementari, basandosi sul fatto che le truppe ugandesi sarebbero rimaste nella RDCongo almeno fino a giugno 2023. In aprile 2022, il presidente ugandese Museveni ha precisato che i militari ugandesi dispiegati in RDCongo erano 4.000. Poi, in un tweet a sorpresa, del 17 maggio, il figlio di Museveni e comandante delle forze terrestri, il generale Muhoozi Kainerugaba, ha annunciato la fine dell’operazione e il ritiro delle truppe entro le due settimane seguenti. Il suo tweet sembrava apportare un chiarimento sulla durata iniziale dell’operazione, verosimilmente prevista per sei mesi. Ma poche ore dopo, il generale sembrava aver fatto marcia indietro, dicendo che Museveni e Tshisekedi avrebbero potuto prolungare la missione di altri sei mesi.
L’incursione dell’esercito burundese nel Sud Kivu è avvolta nel segreto. Alla fine di dicembre, gli abitanti del territorio di Uvira hanno dichiarato di aver visto circa 400 militari dell’esercito burundese e miliziani Imbonerakure, una milizia di giovani membri del partito al potere in Burundi, attraversare il fiume Rusizi, che marca la frontiera tra i due paesi. Questo contingente di militari e miliziani avrebbe poi stretto un’alleanza con gruppi armati locali, tra cui i Gumino / Twigwaneho e molti altri piccoli gruppi Mai-Mai, per combattere contro RED-Tabara, gruppo armato dell’opposizione burundese e a predominanza tutsi. RED-Tabara ha stretto legami con un altro gruppo armato burundese, le Forze di Liberazione Nazionale (FNL) e con le milizie congolesi Mayi-Mayi. Secondo quanto riferito, in questa operazione militare nel Sud Kivu, l’esercito burundese ha subito pesanti perdite. Da parte sua, il Burundi ha più volte smentito l’implicazione delle sue truppe in combattimenti nella RDC. Su questo tema, il governo congolese ha mantenuto un rigoroso silenzio.
Il rischio che anche il Ruanda entri nella mischia è reale. Il discorso di Kagame, in febbraio, indica il suo profondo malessere nei confronti delle operazioni militari ugandesi e burundesi nell’est della RDCongo, anche se sembra essere consapevole degli ostacoli che incontrerebbe, se ordinasse alle sue truppe oltrepassare la frontiera. I Congolesi, infatti, ricordano ancora molto bene le brutali tattiche usate dal Ruanda nelle sue precedenti campagne militari nella RDCongo e nutrono molti sospetti nei confronti di Kigali, a causa del suo storico appoggio storico alle diverse ribellioni apparse nell’est della RDCongo.
Qualunque sia la decisione che Kagame prenderà, dopo l’ingresso delle truppe ugandesi e burundesi nell’est della RDCongo, il suo rapporto con Tshisekedi è chiaramente peggiorato perché, secondo fonti ruandesi, Tshisekedi non ha permesso a Kagame di “occuparsi delle FDLR”, con cui l’esercito congolese sta addirittura cooperando.
c. La rivalità tra il Ruanda e l’Uganda e il ritorno del Movimento del 23 Marzo (M23)
Il profondo antagonismo tra Kagame e Museveni iniziò alla fine degli anni 1990.
Cresciuto in un campo profughi in Uganda, negli anni 1980, Kagame ha collaborato con Museveni e il suo esercito di resistenza nazionale per combattere contro i presidenti ugandesi Idi Amin Dada e Tito Okello. Da parte sua, Museveni ha poi fornito un appoggio militare a Kagame e al suo Fronte Patriottico Ruandese per combattere, dal 1990 al 1994, contro il regime del presidente ruandese Juvénal Habyarimana. Kagame e Museveni hanno collaborato anche per rovesciare il dittatore congolese Mobutu Sese Seko, al tempo della prima guerra del Congo (1996-1997). Tuttavia, durante la seconda guerra del Congo (1998-2003), hanno appoggiato fazioni ribelli opposte. Nel 2000, le forze ruandesi e ugandesi si sono addirittura scontrate direttamente sul suolo congolese, in particolare a Kisangani.
Le relazioni tradizionalmente tumultuose tra i due ex alleati si sono deteriorate nel 2019. Dopo mesi di accuse reciproche sempre più ostili, nel mese di febbraio 2019, Kigali ha chiuso la frontiera di Gatuna, accusando Kampala di angariare i Ruandesi residenti in Uganda. Con la chiusura della frontiera, il commercio tra i due paesi è praticamente crollato.
Le relazioni si sono finalmente migliorate a metà gennaio 2022, dopo una visita del generale ugandese Muhoozi a Kagame. La frontiera di Gatuna è stato riaperta alla fine di gennaio 2022.
Alla base dell’inimicizia tra il Ruanda e l’Uganda ci sono delle rivalità economiche. Da tempo infatti i due paesi si contendono il controllo sulle risorse naturali dell’est della RDCongo.
Oltre il 90 % dell’oro prodotto nella RDCongo viene esportato di contrabbando verso gli stati limitrofi, tra cui l’Uganda e il Ruanda, dove viene raffinato e immesso sul mercato internazionale, per poi essere “ufficialmente” esportato soprattutto verso Dubaï e gli Emirati Arabi Uniti. In tal modo, l’oro diventa, per l’Uganda e il Ruanda, la loro principale fonte di valuta estera, anche se ne producono pochissimo.
Per incrementare le loro rispettive economie, l’Uganda e il Ruanda fanno entrambi affidamento sul loro accesso all’est della RDCongo,
Un accordo tra Tshisekedi e Kagame, concluso in giugno 2021, concedeva a una società ruandese il diritto di raffinare l’oro prodotto in Congo, ma non è certo stato ben visto da Kampala.
Da parte sua, Kagame non tollera un recente accordo congolo – ugandese, relativo ad un importante progetto di riabilitazione di strade, che faciliterebbe il collegamento di tre importanti città dell’est della RDCongo con l’Uganda, favorendo rotte commerciali alternative alla frontiera di Gatuna. Kagame ritiene che almeno una di quelle tre strade sia troppo vicina al confine ruandese e che, quindi, rientri in una zona appartenente alla sfera di influenza di Kigali. Inoltre, egli sospetta che, attraverso la sua operazione militare in RDCongo, Museveni voglia soprattutto tutelare gli interessi economici dell’Uganda nell’est della RDC piuttosto che combattere le ADF. Qualunque siano le motivazioni dell’Uganda, il discorso di Kagame dimostra che l’offensiva militare ugandese nell’est della RDCongo non è affatto gradita da Kagame stesso, che ha intendere che potrebbe prendere in considerazione la possibilità di invio di truppe ruandesi nell’est della RDCongo, senza alcun previo accordo bilaterale.
I due paesi continuano a lanciarsi delle vicendevoli accuse, tra cui quella di avere dei rapporti con le ADF. Alcuni funzionari ruandesi affermano che l’Uganda le sta appoggiando o che, almeno, non sta facendo abbastanza per combatterle. Funzionari ugandesi sostengono che il Ruanda sta facendo la stessa cosa.
Inoltre, il Ruanda ha più volte accusato l’Uganda di aver permesso la presenza, sul proprio territorio, del Rwandan National Congress (RNC), un gruppo armato che, guidato da dei Tutsi disertori del governo Kagame, dispone di un’ala militare nell’est della RDCongo.
La ricomparsa dell’M23 pone un altro problema. Nel 2012, con l’appoggio del Ruanda e dell’Uganda, questo gruppo armato aveva preso il controllo sulla città di Goma e, per breve tempo, l’aveva mantenuta sotto la sua occupazione. Poi le truppe dell’esercito congolese e delle Nazioni Unite riuscirono a sconfiggerlo nel 2013. La maggior parte dei combattenti dell’M23 fuggì in Uganda; gli altri si rifugiarono in Ruanda. Secondo un accordo di pace firmato in dicembre 2013, i combattenti dell’M23 avrebbero potuto ritornare nella Repubblica Democratica del Congo, ma non fu precisato chi fosse responsabile del loro rimpatrio.
Alcuni ex combattenti dell’ex M23 ritornarono in RDCongo di loro iniziativa. Nel 2017, il “comandante” Sultani Makenga ritornò nell’est della RDCongo con circa 200 ex combattenti, stabilendosi nel settore di Mikeno, nel Parco Nazionale di Virunga, tra il Ruanda e l’Uganda. Il gruppo ha mantenuto un basso profilo fino al 7 novembre 2021, data in cui ha attaccato una postazione dell’esercito congolese nel territorio di Rutshuru, al confine con il Ruanda e l’Uganda. L’esercito congolese ha subito accusato l’M23 di aver organizzato l’attacco e ha affermato che gli aggressori provenivano dal Ruanda. Il presidente dell’ala ugandese dell’M23 ha negato ogni sua implicazione nell’attacco in questione, ma ha riconosciuto la presenza di Makenga e dei suoi uomini sul suolo congolese. Anche il Ruanda ha smentito la sua implicazione e ha accusato l’ala ugandese dell’M23 di aver compiuto l’attacco.
La ricomparsa dell’M23 è in parte legata ai termini stessi dell’accordo del 2013 e alla conseguente indecisione del governo congolese nell’applicazione di quell’accordo. Quest’ultimo prevedeva che le autorità congolesi disarmassero i combattenti dell’M23 e concedessero l’amnistia alla maggior parte delle truppe. D’altra parte, l’accordo non aveva previsto nulla sul trattamento da riservare agli autori di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui il comandante Makenga, peraltro esclusi sia dal rimpatrio che dall’amnistia.
d. La necessità della diplomazia
Il presidente congolese Félix Tshisekedi ha spesso manifestato il suo desiderio di riportare la sicurezza nell’est della RDCongo. Inizialmente si era concentrato sulla diplomazia regionale, organizzando degli incontri con i presidenti ruandese e ugandese, Paul Kagame e Yoweri Museveni. Ma il processo si è ben presto insabbiato. Ha poi cambiato tattica e ha cercato di sconfiggere i gruppi armati con la forza.
In maggio 2021, ha imposto la legge marziale nell’Ituri e nel Nord Kivu, ponendo queste due province sotto il controllo dei militari. Oltre alle operazioni dell’esercito congolese, Tshisekedi ha permesso anche alle truppe ugandesi e burundesi di intervenire nell’est della RDCongo, per combattere alcuni loro gruppi armati presenti in territorio congolese dimostrando, in tal modo, l’importanza che egli attribuisce all’approccio militare. Ma, come già dimostrato dalla natura ciclica delle guerre nella RDCongo, l’azione militare non ha condotto alla pacificazione dell’est.
In aprile 2022, il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, presidente anche della Comunità dell’Africa orientale (EAC), ha convocato un incontro a cui hanno partecipato i presidenti di Uganda, Burundi e RDCongo, Museveni, Ndayishimiye e Tshisekedi, e il ministro degli Affari esteri ruandese.
Questo incontro che si è svolto a Nairobi ha sottolineato la necessità di dialogare con i gruppi armati congolesi, in vista della loro adesione al nuovo programma di disarmo e reinserimento sociale e con i gruppi armati stranieri, in vista del loro disarmo e del loro rimpatrio nei rispettivi Paesi di origine. I partecipanti hanno inoltre proposto la creazione di una forza militare regionale per combattere i gruppi armati recalcitranti.
Tuttavia, si constata che il dialogo con i gruppi armati dell’est della RDCongo sta incontrando enormi difficoltà. Sono pochi i gruppi armati che potrebbero accettare di deporre le armi, finché i loro ex combattenti non abbiano un lavoro sicuro e sufficienti garanzie per la loro sicurezza, il che richiederebbe un piano di reintegrazione sociale più efficace di quelli messi in atto finora e la presenza sul territorio di forze di sicurezza più preparate professionalmente che quelle attuali. Nell’incontro non è stato chiarito se il dialogo potrebbe includere anche i gruppi armati stranieri. Mentre il Burundi ha dichiarato di essere pronto per un dialogo con RED-Tabara e l’FNL, non c’è nulla che suggerisca che il Ruanda e l’Uganda lo siano nei confronti delle FDLR e delle ADF. Non è inoltre chiaro fino a che punto il dialogo con i gruppi armati congolesi possa riguardare anche l’implicazione del Ruanda e dell’Uganda.
I partecipanti all’incontro di Nairobi hanno deciso di istituire una forza militare regionale con il mandato di combattere i gruppi armati attivi nell’est della RDCongo, sia per rafforzare l’approccio militare che per facilitare il dialogo con i gruppi armati congolesi, in vista del loro disarmo e reinserimento sociale. Tuttavia, il presidente Tshisekedi dovrebbe prendere una serie di misure per cercare di arginare il rischio di un’eventuale concorrenza di questi Paesi nell’est della RDCongo.
In primo luogo, dovrebbe stabilire alcune regole chiare per l’intervento militare di truppe estere nell’est della RDCongo, sia per assicurare la sicurezza della popolazione, che rischia di essere vittima di fuochi incrociati, sia per venire incontro alle preoccupazioni del presidente ruandese, Paul Kagame. Queste regole dovrebbero riguardare soprattutto gli obiettivi, la durata e il perimetro geografico degli interventi delle truppe di ogni Paese che comporranno la forza militare regionale. Senza un tale accordo tra i vari partner, l’intervento militare dei vari paesi potrebbe degenerare in una conflagrazione regionale, alimentando il risentimento locale e vanificando gli sforzi di riconciliazione con i paesi limitrofi.
Come presidente del meccanismo regionale di monitoraggio dell’attuazione dell’Accordo di Pace, Sicurezza e Cooperazione (PSC) per la Repubblica Democratica del Congo e la regione dei Grandi Laghi Africani, Félix Tshisekedi può esigere che i suoi omologhi della regione dei Grandi Laghi rispettino le disposizioni dell’accordo citato, secondo il quale i firmatari si sono impegnati a non interferire nella politica interna degli altri paesi e a non fornire alcun appoggio ai gruppi armati. L’accordo è stato firmato ad Addis Abeba il 24 febbraio 2013 da Sud Africa, Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Sud Sudan, Tanzania, Uganda e Zambia. Il Kenya e il Sudan l’hanno firmato il 31 gennaio 2014.
Nello stesso tempo, tenendo conto delle nefaste conseguenze dei precedenti interventi militari ruandesi sul territorio congolese e prendendo atto degli attuali molteplici sospetti di un reale appoggio ruandese all’M23, il presidente Tshisekedi dovrebbe cercare di dissuadere il Ruanda dall’inviare sue truppe nell’est della RDCongo, pur rimanendo parte implicata nell’attuazione dell’accordo di Pace, Sicurezza e Cooperazione (PSC) di Addis Abeba.
Il presidente congolese Félix Tshisekedi dovrebbe anche stare attento a non fare troppo affidamento sulla creazione di una forza militare dell’Africa dell’Est, come prevista dai leader regionali a Nairobi. Una forza di questo tipo, sotto un comando unificato, è certamente preferibile ad un dispiegamento non coordinato di differenti forze militari nazionali, che rischierebbero di entrare in competizione tra loro. Ma una forza regionale, peraltro già proposta qualche anno fa, potrebbe incontrare notevoli difficoltà tecniche, logistiche e finanziarie. Non è affatto certo che un progetto di forza militare regionale sia fattibile. La maggior parte dei paesi che vi contribuirebbero con l’invio di loro truppe hanno già dei loro militari nell’est della RDCongo. Per esempio, l’Uganda è già presente mediante l’operazione Shujaa, condotta in collaborazione con l’esercito congolese contro le ADF e il Kenia ha già inviato dei contingenti che fanno parte della Brigata di Intervento della Forza (FIB) della Monusco. Si dovrebbe quindi precisare come una forza militare congiunta fornita dagli Stati dell’Africa dell’Est, tra cui Kenya e Uganda, potrebbe essere compatibile con l’operazione ugandese già in corso nel Nord Kivu e con attuale contributo del Kenya alla FIB, per non parlare del dispiegamento delle truppe burundesi nel Sud Kivu. In ogni caso, inviare più truppe nell’est della RDCongo, anche sotto un comando unificato, potrebbe contribuire a generare più instabilità piuttosto che arginare le violenze. Operazioni militari straniere potrebbero, infatti, generare nuovi conflitti per procura nell’intera regione dei Grandi Laghi Africani.
e. Conclusione
Le operazioni militari intraprese dall’Uganda e dal Burundi contro i loro gruppi armati che si sono rifugiati nell’est della RDCongo potrebbero riaccendere vecchi antagonismi tra Paesi limitrofi e destabilizzare ulteriormente la RDCongo. Il fatto che il presidente congolese Félix Tshisekedi abbia autorizzato il dispiegamento di truppe ugandesi e accettato tacitamente l’incursione di truppe burundesi nell’est della RDCongo ha innervosito il presidente ruandese Paul Kagame che, avendo in febbraio dichiarato che certi gruppi armati attivi nell’est della RDCongo (FDLR e ADF) rappresentano una grave minaccia per la sicurezza del suo Paese, potrebbe aver optato di appoggiare il Movimento del 23 Marzo (M23) e, addirittura, di prendere in considerazione la possibilità di inviare le proprie truppe nell’est della RDCongo, anche senza previa autorizzazione del presidente congolese Tshisekedi. Quest’ultimo dovrebbe quindi cercare di trovare un equilibrio tra gli interessi divergenti dei Paesi limitrofi, definire chiaramente l’obiettivo delle attuali operazioni militari ugandesi e convincere il Ruanda a impegnarsi nella via della diplomazia regionale piuttosto che intraprendere una nuova guerra nell’est della RDCongo.
[1] Cf AFP – Lalibre.be/Afrique, 04.08.’22
[2] Cf Actualité.cd, 05.08.’22; Radio Okapi, 05.08.’22
[3] Cf Patrick Maki – Actualité.cd, 06.08.’22
[4] https://africacenter.org/fr/spotlight/le-rwanda-et-la-rdc-risquent-la-guerre-avec-lemergence-de-la-nouvelle-rebellion-du-m23-une-explication/
[5] Cf https://www.crisisgroup.org/fr/africa/great-lakes/democratic-republic-congo/b181-easing-turmoil-eastern-dr-congo-and-great-lakes