Congo Attualità n. 471

IL RITORNO DELL’M23: SEMPRE GLI STESSI PROTAGONISTI, LE STESSE MOTIVAZIONI E GLI STESSI ALLEATI

INDICE

1. INTRODUZIONE
2. IL MESSAGGIO DELL’ARCIVESCOVO DI BUKAVU (SUD KIVU)
3. DICHIARAZIONI E PROVVEDIMENTI PER UNA SOLUZIONE DEL CONFLITTO
4. SUL CAMPO DI BATTAGLIA

1. INTRODUZIONE

Il 6 giugno, dopo una settimana di relativa calma, sono ripresi i combattimenti tra le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e il Movimento del 23 Marzo (M23) nella zona di Runyonyi e Chanzu, territorio di Rutshuru (Nord Kivu). L’M23 è riuscito ad occupare alcune zone, tra cui la cittadina di Bunagana, importante posto di frontiera tra la RDCongo e l’Uganda, e di alcune altre località, tra cui Chengerero, Ruvumu, Buharo e Rutokara. Particolarmente violenti sono stati gli scontri del 21 giugno a Bukenge e a Ruvumu (raggruppamento di Gisigari), dove l’M23 ha brutalmente ucciso almeno 17 persone civili. In questa situazione, l’esercito congolese ha dimostrato, ancora una volta, la sua intrinseca debolezza strutturale, soprattutto in un contesto di accuse vicendevoli tra le autorità congolesi e ruandesi: la RDCongo accusa il Ruanda di appoggiare l’M23 e il Ruanda accusa la RDCongo di collaborare con le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR).
Di fronte a tale constatazione, nel loro incontro del 20 giugno a Nairobi (Kenia), i Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), tra cui Kenia, Tanzania, Sud Sudan, RDCongo, Uganda, Ruanda e Burundi, hanno deciso l’invio, nelle prossime settimane, di una forza militare regionale, in appoggio dell’esercito congolese.
Tuttavia, molte associazioni e personalità della Società Civile vi si oppongono, perché almeno 3 dei 7 paesi membri dell’EAC (Ruanda, Uganda e Burundi) sono implicati da più di due decenni nell’invasione e nella destabilizzazione della RDC e altri 2 (Tanzania e Kenia) hanno già fornito alcune loro truppe alla Brigata di rapido intervento della Monusco (la missione dell’ONU in RDCongo).
Secondo il Dott. Dénis Mukwege, Pemio Nobel della Pace 2018 per il suo impegno a favore delle donne vittime di stupro come arma di guerra, «la creazione di una forza militare regionale composta da truppe provenienti da paesi che sono alla base della destabilizzazione della RDCongo, dello sfruttamento illegale delle sue risorse naturali e minerali e responsabili di molti crimini di guerra e di crimini contro l’umanità commessi su territorio congolese, non contribuirà né alla stabilizzazione del Paese, né al ritorno della pace e rischia di aggravare ancor più la situazione».
Da parte sua, il movimento civico Lotta per il Cambiamento (LUCHA) insiste sulla riforma delle forze armate congolesi, facendone la priorità assoluta a livello nazionale.
Piuttosto che l’arrivo di altre truppe straniere, questo movimento civico chiede che l’esercito congolese sia “riformato” e “rafforzato”, che i suoi soldati siano “ben pagati” e dispongano del vitto necessario e dei mezzi logistici e militari adeguati, che gli “ufficiali corrotti che approfittano della guerra” per arricchirsi, intascando la paga dei loro colleghi militari e praticando il contrabbando di armi e minerali, siano sostituiti, che sia facilitato il reclutamento di nuovi soldati tra i giovani, fornendo loro una formazione militare specializzata.
Inoltre, è necessario che il Governo congolese affronti una serie di questioni che richiedono una soluzione concertata, urgente e duratura: la partecipazione di tutti i cittadini allo sviluppo del paese, l’accesso alle terre e alle risorse naturali, l’esercizio del potere tradizionale, le condizioni di accesso alla nazionalità congolese, il rimpatrio dei gruppi armati stranieri verso i loro rispettivi Paesi di origine, il reinserimento degli ex membri di gruppi armati locali nella vita sociale del Paese, la presenza di rifugiati e di sfollati interni nella RDCongo e il tipo di relazioni politiche, economiche, diplomatiche e militari della RDCongo con i Paesi limitrofi.

2. IL MESSAGGIO DELL’ARCIVESCOVO DI BUKAVU (SUD Kivu)

Il 24 giugno, l’Arcivescovo di Bukavu (Sud Kivu), Mons. François-Xavier Maroy Rusengo, ha reso pubblico un suo messaggio rivolto ai fedeli della sua Arcidiocesi e a tutte le persone di buona volontà. Circa l’attuale contesto politico e sociale e il peggioramento della situazione di insicurezza e di violenza, egli ha chiesto a tutti di affrontare questa realtà con estrema serietà, come cittadini che vogliono la pace per il loro Paese in particolare e per l’intera Regione dell’Africa centrale in generale.
Sotto gli occhi di tutti
1. Un vento di guerra e di insicurezza torna a soffiare nell’Est del Paese. Sempre gli stessi protagonisti che, con le stesse motivazioni e con gli stessi alleati di sempre, esigono delle soluzioni negoziate, una ripartizione dei posti di potere e, forse, anche la spartizione del nostro Paese.
2. Tutti gli sguardi sono concentrati sulla situazione molto critica che si è creata in seguito alla recente occupazione della città di Bunagana, nel territorio di Rutshuru, da parte del gruppo armato M23, che ha ripreso le ostilità, causando un ciclo infernale di violenze, vittime umane, spostamenti di popolazioni e distruzione del nostro tessuto economico e sociale. È la storia che si ripete!
3. Curiosamente, l’appoggio esterno è sempre lo stesso, con lo stesso schema e le stesse finalità: la sottrazione di questa parte del Paese dal controllo del governo centrale e, forse, la sua pura e semplice annessione a Paesi vicini.
Il desiderio di essere liberati dal male
5. La dichiarazione di guerra e l’uso legittimo della forza per garantire la pace e la sicurezza sono funzioni sovrane che spettano esclusivamente allo Stato, tramite l’Esercito e la Polizia. Ogni altro tipo di ricorso alla forza, anche se comprensibile in alcuni casi, resta comunque illegale, immorale e non accettabile.
6. Martin Luther King diceva: “Chi accetta il male senza combattere contro di esso, collabora con esso”. È questo male che vogliamo denunciare e combattere, in primo luogo liberandoci da ogni complicità e, in secondo luogo, rifiutando di cedere alla tentazione di ricorrere a certi atti barbarici e anarchici, proposti da alcuni social network malevoli.
8. Se, nel linguaggio umanitario, si parla sempre più di “minerali del sangue”, si dovrebbe iniziare a parlare anche di “potere del sangue versato”. Infatti, è a partire dal 1996 che certi connazionali non hanno esitato a costituirsi in “signori della guerra” per arrivare al potere, camminando sui cadaveri dei loro fratelli e sorelle, spesso con l’appoggio di potenze straniere.
13. Abbiamo il dovere di amare il nostro Paese, di proteggerlo, di farlo avanzare nel cammino dello sviluppo, di assicurargli grandezza e rispettabilità. Non possiamo cadere nella trappola dell’odio etnico e della xenofobia. Sappiamo che le persone semplici del popolo non hanno alcun problema tra loro, anzi spesso disapprovano la politica dei loro dirigenti senza poter esprimersi liberamente e, a volte, esse stesse ne sono vittime. Evitiamo quindi di sostituirci alle forze dell’ordine e di aggredire degli innocenti. Cerchiamo di essere dei veri costruttori di pace. Vigiliamo anche sui nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, per non correre il rischio di stigmatizzare un intero gruppo, un’intera comunità e un intero popolo. Teniamo sempre conto del principio della presunzione di innocenza, a cui tutti hanno diritto, secondo la legge.
14. Ricordiamoci degli ultimi messaggi del Servo di Dio, monsignor Christophe Munzihirwa. Il 27 settembre 1996 scriveva: “Siamo accoglienti verso tutti, per arricchirci vicendevolmente dei molteplici valori apportati dalle differenze etniche. {…} È una follia aggredire persone pacifiche, semplicemente perché sono di questa o di quella etnia. Nessuno di noi ha scelto i suoi genitori, né quindi la sua etnia. Li accettiamo e li difendiamo”. Le ultime parole che egli ha scritto alla vigilia del suo assassinio andavano nella stessa direzione: “Dio non ci abbandonerà, se ci impegniamo a rispettare la vita del nostro prossimo, qualunque sia l’etnia di appartenenza“.
Cosa dobbiamo fare?
15. Le persone di buona volontà
Esse sono chiamate a evitare l’odio nei confronti di qualsiasi persona e a combattere il male con l’amore e la ricerca della pace.
16. I politici
Lo Stato ha il dovere primario di garantire la sicurezza interna e la pace nei confronti di paesi terzi. Per questo è chiamato a:
– prendere tutte le misure necessarie per porre fine a questo ciclo di violenze derivante dalla pratica di premiare i “signori della guerra” che spesso vengono promossi, nonostante siano responsabili di molti crimini di guerra e contro l’umanità.
– procedere alla riforma delle forze dell’ordine e della sicurezza, per costituire una forza armata repubblicana che sostituisca l’attuale conglomerato di gruppi armati ribelli mal integrati.
– evitare di firmare accordi segreti con ribellioni, partiti politici o paesi terzi, senza previa discussione e ratifica da parte del parlamento.
17. La comunità internazionale
Ad essa chiediamo più equità e giustizia nei confronti della Repubblica Democratica del Congo e del suo popolo, umiliato e sacrificato sull’altare degli interessi economici e geostrategici e ridotto a una miseria indicibile, pur vivendo in un Paese dotato di ogni tipo di risorse. Non è giusto che questo popolo vengano così calpestato, nonostante l’ospitalità che ha sempre dimostrato nel corso della sua storia passata e recente. Ad essa chiediamo di mettere fine ad ogni sua ambiguità nei confronti della sovranità nazionale e internazionale della Repubblica Democratica, assolutamente non negoziabile 62 anni dopo il suo accesso all’indipendenza.

3. DICHIARAZIONI E PROVVEDIMENTI PER UNA SOLUZIONE DEL CONFLITTO

L’11 giugno, le autorità angolane hanno riferito che i due militari ruandesi arrestati in territorio congolese sono stati rilasciati e consegnati alle autorità ruandesi. L’agenzia di stampa angolana ha precisato che la liberazione è avvenuta l’8 giugno e che è stata resa possibile grazie alla mediazione del presidente João Lourenço: «I due militari dell’esercito ruandese sono arrivati a Luanda, da Kinshasa (RDC) l’8 giugno e sono ripartiti poco dopo per il loro paese».[1]

L’11 giugno, il portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric, ha nuovamente chiesto a tutti i gruppi armati di cessare immediatamente ogni forma di violenza: «Esortiamo i gruppi armati congolesi ad aderire incondizionatamente al Programma di Disarmo, Smobilitazione, Reinserimento Comunitario e Stabilizzazione (P-DDRCS), e i gruppi armati stranieri a deporre immediatamente le armi e tornare nei loro paesi di origine». Inoltre, egli ha implicitamente riconosciuto la responsabilità di paesi terzi nella crisi: «Riaffermiamo il nostro fermo impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della Repubblica Democratica del Congo e condanniamo il ricorso a gruppi armati che agiscono per procura».[2]

Il 15 giugno, in merito alla situazione di insicurezza nell’est del Paese, il Consiglio Superiore della Difesa presieduto dal Capo dello Stato, Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo, ha chiesto al Ruanda di procedere al ritiro immediato delle sue truppe dispiegate sul suolo congolese sotto copertura del Movimento del 23 Marzo (M23). Al governo della Repubblica Democratica del Congo, ha chiesto di sospendere tutte le convenzioni e gli accordi conclusi con il Ruanda e di mettere a disposizione delle Forze di Difesa e di Sicurezza tutte le risorse necessarie per garantire la difesa e l’integrità del territorio nazionale della Repubblica Democratica del Congo.
Tra gli accordi che potrebbero essere sospesi ci sono i tre che erano stati firmati dai due presidenti della Repubblica Democratica del Congo e del Ruanda il 26 giugno 2021. Il primo riguarda la promozione e la tutela degli investimenti. Il seconda è una convenzione per evitare la doppia tassazione e prevenire l’evasione fiscale in materia di imposte sul reddito. Il terzo è un protocollo di cooperazione firmato tra la Società Aurifera del Kivu e Maniema (Sakima SA) e la società ruandese Dither LTD. Con quest’ultimo accordo, Kinshasa aveva accettato che l’oro estratto da Sakima fosse raffinato in Ruanda. Secondo diversi deputati, tutti questi accordi si sono rivelati vantaggiosi per l’economia ruandese a scapito di quella congolese. La loro sospensione potrebbe essere una forma di sanzione economica nei confronti del regime ruandese per il suo appoggio all’M23. Nel caso in cui questo appoggio continuasse, i prossimi passi potrebbero essere quelli dell’espulsione dell’ambasciatore ruandese accreditato a Kinshasa e della rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.[3]

Il 20 giugno, a Nairobi (Kenya), il 3° vertice dei Capi di Stato della Comunità dell’Africa Orientale (EAC) è stato dedicato alla situazione di insicurezza nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Vi hanno partecipato i Presidenti Uhuru Kenyatta (Kenya), Felix Antoine Tshisekedi (RDC), Yoweri Museveni (Uganda), Paul Kagame (Rwanda), Evariste Ndayishimiye (Burundi) e Salva Kiir Mayardit (Sud Sudan). La Presidente della Repubblica Unita di Tanzania è stata rappresentata dall’Ambasciatore della Tanzania in Kenya, il Dr. John Steven Simbachawene.
All’ordine del giorno di questo incontro c’era la presentazione del rapporto della riunione dei capi di stato maggiore degli eserciti dei paesi EAC, svoltosi il giorno precedente, e il rapporto del segretariato congiunto RDC-Kenya sugli incontri effettuati con i rappresentanti dei gruppi armati ancora attivi nelle province dell’Est della RDCongo.
Al termine di questo loro terzo vertice, i Capi di Stato dei paesi membri della Comunità dell’Africa orientale (EAC) hanno deciso la creazione di una forza militare regionale, per “imporre” la pace nell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Essi hanno dichiarato che questa forza militare regionale dovrebbe, in collaborazione con l’esercito e le forze amministrative della RDCongo, cercare di ristabilire la pace nell’est del Paese.
Posta sotto il comando militare del Kenya, questa forza regionale dovrebbe essere operativa a partire dalle prossime settimane. Tuttavia, nulla è stato comunicato sul mandato e sulla composizione di tale forza militare regionale, né sulla durata delle operazioni, né su altre informazioni logistiche ed operative. Secondo una dichiarazione della cellula di comunicazione della Presidenza congolese, tutti questi dettagli saranno oggetto di un’apposita comunicazione successiva. Secondo la stessa fonte, «in attesa di tale comunicazione, una fonte ben collegata al Gabinetto di presidenza del Kenia, ha confermato che le truppe ruandesi non faranno parte della forza militare regionale che sarà inviata nell’est della RDCongo».  Su quest’ultimo punto, il comunicato finale di Nairobi è rimasto completamente muto, ma è noto che la Repubblica Democratica del Congo aveva già chiesto che il Ruanda non facesse parte di questa forza regionale, a causa del suo comprovato appoggio al Movimento del 23 marzo (M23).
I Capi di Stato dell’EAC hanno chiesto “l’immediata cessazione di tutte le ostilità” nell’est della Repubblica Democratica del Congo e il ritiro dei gruppi armati, tra cui l’M23, dalle posizioni recentemente conquistate. Hanno chiesto a tutti i gruppi armati, sia stranieri che locali, di “deporre le armi immediatamente e incondizionatamente”. Il comunicato finale propone inoltre di dichiarare le province di Ituri, Nord Kivu  e Sud Kivu “zone senza armi”, in cui ogni individuo o gruppo che sia trovato in possesso di armi, eccetto i membri delle forze di difesa e di sicurezza, dovrà essere disarmato.
I capi di Stato hanno inoltre dichiarato che il dialogo politico con i gruppi armati dovrebbe essere intensificato, al fine di permettere ai cittadini congolesi di sentirsi al sicuro e di poter riprendere le loro attività sociali, culturali ed economiche nomali. Per quanto riguarda questo dialogo politico con i gruppi armati, la presidenza congolese ha fatto notare che il segretariato congiunto RDC-Kenya ha potuto consultare 56 gruppi armati e 40 personalità nell’ambito del denominato processo di Nairobi.
I Capi di Stato dell’EAC hanno elencato anche una serie di questioni che richiedono una soluzione concertata, urgente e duratura: la partecipazione di tutti i cittadini allo sviluppo del paese, la questione della nazionalità, la presenza di gruppi armati stranieri, il reinserimento degli ex combattenti nella vita sociale e lo statuto dei rifugiati e degli sfollati interni nella Repubblica Democratica del Congo.
I Capi di Stato si sono impegnati a contribuire alla ricerca di una soluzione rapida e duratura al conflitto nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nelle province del Nord Kivu, del Sud Kivu e dell’Ituri.
Hanno infine fatto notare che ogni linguaggio offensivo e ogni incitamento all’odio etnico devono cessare ed essere scoraggiati da tutte le parti e che il popolo congolese deve essere incoraggiato a lavorare insieme per assicurare la pace e lo sviluppo economico dell’est del Paese.[4]

Il 20 giugno, in un comunicato stampa, il movimento cittadino Lotta per il Cambiamento (LUCHA) si è opposto al dispiegamento, nelle prossime settimane, di una forza militare regionale in appoggio dell’esercito congolese per combattere i gruppi armati attivi nell’est del Paese.
Questo movimento della società civile ha chiesto al Presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, di rinunciare senza esitazione a questo progetto, che potrebbe peggiorare la situazione già molto critica dell’est del Paese. Secondo LUCHA, la presenza di una nuova forza militare regionale non è giustificata per 3 motivi.
In primo luogo, tutti gli eserciti della Comunità degli Stati dell’Africa orientale (EAC) sono già presenti sul suolo congolese, in una forma o nell’altra.
In secondo luogo, almeno 3 dei 7 paesi membri dell’EAC sono implicati da più di due decenni nell’invasione e nella destabilizzazione della RDC, in particolare Ruanda, Uganda e Burundi.
In terzo luogo, oltre all’esercito congolese e agli eserciti dei paesi vicini, ci sono le forze di pace delle Nazioni Unite dispiegate nell’est del Paese da più di 20 anni.
Secondo il comunicato di LUCHA, «ciò constatato, l’idea di una forza militare regionale, che comprende eserciti ostili o già presenti sul nostro territorio, pone molteplici problemi di ordine politico, strategico e operativo. E non è sufficiente escludere l’esercito ruandese da questa forza regionale: la partecipazione degli eserciti ugandese, burundese e sud-sudanese è altrettanto indesiderabile. Signor Presidente, per tutti questi motivi, respingiamo con forza il progetto di invio di una nuova forza militare regionale nel nostro Paese e la invitiamo a rinunciarvi senza esitazione».
LUCHA raccomanda che la RDC possa chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il rafforzamento della Brigata di intervento della Monusco, fornendogli altre truppe provenienti dai paesi della regione, tranne Ruanda, Uganda, Burundi e Sud Sudan.
LUCHA chiede la fine dell’operazione Shujaa condotta dagli eserciti congolese e ugandese.
LUCHA insiste sulla riforma delle forze armate congolesi, facendone la priorità assoluta a livello nazionale. Piuttosto che l’arrivo di altre truppe straniere, questo movimento civico chiede che l’esercito congolese sia “riformato” e “rafforzato”, che i suoi soldati siano “ben pagati” e dispongano del vitto necessario e dei mezzi logistici e militari adeguati, che gli “ufficiali corrotti che approfittano della guerra” per arricchirsi, intascando la paga dei loro colleghi militari e praticando il contrabbando di armi e minerali, siano sostituiti, che sia facilitato il reclutamento di nuovi soldati tra i giovani, fornendo loro una formazione militare specializzata.[5]

4. SUL CAMPO DI BATTAGLIA

Il 6 giugno, dopo una settimana di relativa calma, sono ripresi i combattimenti tra le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e il Movimento del 23 Marzo (M23) nella zona di Runyonyi e Chanzu, territorio di Rutshuru (Nord Kivu).
Secondo il portavoce delle FARDC, il tenente colonnello Njike Kaiko, l’esercito ha reagito all’attacco che l’M23 aveva lanciato contro le sue postazioni di Muhati e Bugusa, nei pressi di Jomba, verso le 5:00 del mattino.
Da parte sua, Bertrand Bisimwa, membro dell’M23, ha accusato le FARDC di aver iniziato l’offensiva contro le posizioni del suo gruppo fin dalle 2:00 del mattino.
In una comunicazione ufficiale, il portavoce del governatore del Nord Kivu, il generale Sylvain Ekenge, ha indicato che durante l’attacco dell’M23 alla postazione dell’esercito a Bugusa, almeno due militari sono stati uccisi e altri cinque feriti. Il generale Ekenge ha inoltre denunciato l’uso di cannoni di lunga portata, ciò che,secondo lui,  dimostra lì appoggio che l’M23 potrebbe aver ottenuto dall’esercito ruandese.[6]

Il 7 giugno, sono proseguiti gli scontri tra le FARDC e l’M23 sulle colline di Chanzu e Runyonyi, a oltre 70 km a nord-est di Goma. L’esercito nazionale ha affermato di aver mantenuto la sua postazione a Muhati, nonostante l’attacco del giorno precedente, da parte dell’M23 e dei suoi alleati delle Forze di Difesa Ruandesi (RDF). Fonti concordanti affermano che anche l’M23 mantiene le posizioni di Chanzu e Runyonyi, nonostante i bombardamenti dell’esercito congolese. Secondo le testimonianze degli abitanti, l’esercito sta tentando di riprendersi le due strategiche colline di Tchanzu e Runyoni, considerate come il quartier generale dell’M23 nel territorio di Rutshuru.[7]

L’8 giugno, in un comunicato, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno accusato il governo ruandese di aver inviato 500 suoi militari in appoggio dell’M23: «Per continuare ad appoggiare l’M23, il Ruanda ha dispiegato, nelle vicinanze di Tchanzu e Runyonyi, 500 militari delle sue Forze Speciali, tutti vestiti con una nuova uniforme verde-nera e con gli elmetti delle Forze Speciali». Da parte sua, Kigali ha definito queste nuove accuse come “prive di fondamento”.[8]

Il 10 giugno, dei combattimenti tra le FARDC e l’M23 sono stati segnalati tra le 11:00 e le 12:00 ora locale, a Bigega, una località a circa 7 chilometri a sud-est della città di Bunagana, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu).[9]

Il 10 giugno, l’esercito ruandese ha accusato le FARDC di aver lanciato due razzi sul territorio ruandese. Ha precisato che i due razzi, lanciati dalla zona di Bunagana (RDCongo) hanno colpito Nyabigoma, nel distretto di Musanze (Ruanda), verso le 11:55. Sebbene non ci siano state vittime, Kigali ha affermato di aver segnalato l’incidente al Meccanismo congiunto di verificazione della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi (CIRGL). Da parte sua, l’esercito congolese ha negato i fatti.[10]

Il 10 giugno, le Forze Armate della RDC (FARDC) hanno accusato l’esercito ruandese di aver lanciato, dalla collina di Muhabura, in Ruanda, nel pomeriggio, una decina di bombe, su Biruma e Kabaya, de località del raggruppamento di Kisigari, nel distretto di Bwisha del territorio di Rutshuru, in territorio congolese. Secondo l’esercito congolese, la caduta di queste bombe ruandesi ha distrutto una scuola e ucciso due alunni. Secondo un comunicato delle FARDC, «a Kabaya, le bombe sono cadute nel cortile dell’Istituto San Gilberto, uccidendo due bambini: Ishaka Mapenzi di 7 anni e Jérémie Nziuvira di 6 anni. Un altro ragazzo, non ancora identificato, è rimasto ferito ed è stato ricoverato in un ospedale locale». Dal canto suo, in un comunicato, l’M23 ha accusato l’esercito congolese di essere responsabile della morte dei due bambini, perché aveva posizionato i suoi cannoni proprio nel centro della città di Bunagana.[11]

Il 12 giugno, i combattimenti tra le FARDC e l’M23 sono ripresi nei dintorni di Bunagana, nel territorio di Rutshuru, vicino alla frontiera con l’Uganda e il Ruanda. Bunagana è una cittadina di grande importanza strategica, commerciale e militare. Il portavoce militare, il tenente colonnello N’Djike Kaiko Guillaume, ha parlato di un attacco dell’M23 che, a partire dalle colline di Chanzu e Runyoni e appoggiato da militari dell’esercito ruandese, ha preso di mira le posizioni delle FARDC a Bigega 1 e 2, vicino a Bunagana, una cittadina situata sulla frontiera con l’Uganda e molto vicina anche al Ruanda. In un comunicato stampa, l’esercito congolese ha affermato che l’obiettivo dell’M23 sarebbe quello di occupare la cittadina di Bunagana, per paralizzare e asfissiare la città di Goma e fare pressione sul governo congolese e costringerlo a negoziare.[12]

Il 13 giugno, nelle prime ore del mattino, la situazione di Bunagana era molto confusa. Difficile sapere chi abbia il controllo su questa cittadina. In mattinata, il portavoce del settore operativo Nord Kivu Sokola 2, il tenente colonnello Njike Kaiko Guillaume, ha annunciato che, fino alle 8:00 locali, Bunagana era ancora controllata dall’esercito, anche se diverse fonti locali sostenevano che alcuni elementi dell’M23 erano già entrati in città verso le 20:00 del giorno precedente. Secondo un abitante di Bunagana che aveva attraversato la frontiera con l’Uganda per sfuggire ai combattimenti, «alcuni militari delle FARDC e vari agenti della polizia che si trovavano a Bunagana hanno preso la direzione dell’Uganda verso le 8:00 di stamattina. Il capo del raggruppamento di Jomba ha attraversato il confine ieri sera. Tutte le autorità locali di Bunagana hanno già varcato la frontiera con l’Uganda».
Secondo Damien Sebusanane, responsabile di un’associazione locale della società civile, che si trovava alla frontiera con l’Uganda, le Forze Armate della RDCongo (FARDC) avevano ricevuto l’ordine di ritirarsi da Bunagana senza combattere. «L’esercito congolese si è ritirato da Bunagana. Un camion militare, quattro jeep e altri veicoli che trasportavano dei soldati hanno appena attraversato la frontiera con l’Uganda», ha egli aggiunto, stimando a circa un centinaio il numero dei militari congolesi fuggiti in Uganda.
Secondo un ufficiale delle forze di sicurezza ugandesi, Hajj Sadiq Sekandi, intervistato da Kampala, «137 soldati congolesi e 37 agenti di polizia che fuggivano dai combattimenti e cercavano protezione si sono consegnati all’esercito ugandese».
Secondo una fonte umanitaria sul posto, i militari congolesi che si trovavano a Bunagana durante gli ultimi scontri si sarebbero trovati in grandi difficoltà, senza altra via d’uscita che la frontiera. La cittadina di Bunagana è quindi passata sotto il controllo dell’M23 sin dal mattino.[13]

Il 13 giugno, in una dichiarazione ufficiale rilasciata in serata, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno affermato ancora una volta che l’M23 è appoggiato da militari ruandesi: «Dopo aver constatato le innumerevoli sconfitte subite dall’M23 sul campo di battaglia, questa volta l’esercito ruandese ha deciso di agire allo scoperto e, violando l’intangibilità delle nostre frontiere e l’integrità del nostro territorio, ha occupato la cittadina di Bunagana questo lunedì 13 giugno 2022, verso le 07:00 del mattino. Tale atto non è che un’invasione vera e propria della Repubblica Democratica del Congo e l’esercito congolese trarrà tutte le conseguenze necessarie per difenderà la Patria».
In un’altra dichiarazione rilasciata dopo la presa di Bunagana, il Movimento del 23 marzo (M23) ha affermato: «Il nostro movimento ribadisce il suo impegno per continuare a cercare la risposta alle sue richieste attraverso mezzi pacifici. Chiediamo quindi, ancora una volta, al Presidente della Repubblica, di cogliere questa occasione per porre fine alle violenze provocate da questa guerra inutile e per aprire trattative dirette con il nostro movimento, con l’obiettivo di porre definitivamente fine al conflitto».
In un’intervista, un analista politico e specialista in questioni militari, Jean-Jacques Wondo, ha affermato che l’M23 agisce per procura e rappresenta gli interessi di alcuni paesi limitrofi, in particolare del Ruanda. Jean-Jacques Wondo, ha affermato che Kigali ha sempre voluto esercitare un’influenza sulla politica e sulla sicurezza della RDCongo. «Una ribellione non può stare in piedi senza alcun appoggio esterno. Ciò che l’M23 non ha ottenuto durante i negoziati di Nairobi, ora cerca di ottenerlo con la forza delle armi, mettendo le autorità congolesi davanti al fatto compiuto», ha dichiarato Wondo, che ipotizza l’esistenza di una determinata coalizione per occupare parte del Nord Kivu. Egli ha precisato che l’M23 usa la tattica “attacca e fuggi”: l’M23 ricorre ai negoziati quando gli fa comodo e ricorre ai mezzi militari quando non riesce ad ottenere ciò che vuole attraverso i negoziati.[14]

Il 13 giugno, durante la notte, degli elementi dell’M23 hanno saccheggiato le case e i beni della popolazione che era fuggita da Bunagana a causa dei combattimenti in corso. Molti abitanti che sono tornati in città la mattina del 14 giugno hanno trovato le porte delle loro case e di varie botteghe sfondate dai ribelli dell’M23, che avevano portato via soprattutto dei viveri, tra cui sacchi di riso, di farina di manioca e di farina di mais. Sono state sfondate anche alcune porte degli uffici della dogana di Bunagana, impedendone le normali attività di importazione e di esportazione.  Secondo alcuni testimoni, in mattinata il portavoce dell’M23, Willy Ngoma, ha tenuto un comizio in cui ha chiesto alla popolazione di rientrare in città.[15]

Il 14 giugno, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno sventato un nuovo tentativo intrapreso dall’M23 per attaccare una loro postazione a Chengerero, a meno di 10 km da Bunagana, nel raggruppamento di Jomba, in territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Il portavoce del settore operativo Sokola 2 del Nord Kivu, il tenente colonnello Ndjike Kaiko Guillaume, ha affermato che le FARDC stanno inseguendo l’M23, per costringerlo ad uscire dal territorio congolese. Egli ha aggiunto che la riconquista di Bunagana da parte delle forze regolari è solo una questione di ore.[16]

Il 15 giugno, durante la mattinata, si è notata una tregua su tutte le linee del fronte. Nel pomeriggio, invece, ci sono stati degli scontri tra le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e il Movimento del 23 Marzo (M23) a Rubavu, un villaggio del raggruppamento di Busanza, in territorio di Rutshuru. Secondo le autorità locali, l’attacco di Rubavu compiuto dall’M23 a partire da Bunagana è stato sventato dalle FARDC.[17]

Il 16 giugno, nelle prime ore del mattino, le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) hanno lanciato un’offensiva contro l’M23 a Kabindi, a 12 km dalla città di Bunagana. Il portavoce delle operazioni della Sokoka 2, il tenente colonnello Guillaume Ndjike, ha affermato che «le FARDC stanno respingendo il nemico».[18]

Il 17 giugno, dalle 3:00 del mattino, nella zona di Chengerero, a una decina di chilometri a ovest di Bunagana, ci sono stati dei combattimenti tra le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) e l’M23. In seguito a questi scontri, le FARDC hanno effettuato un ritiro strategico da alcune loro posizioni, tra cui Chengerero, Bugusa, Kabindi e Rangira, località che sono passate sotto il controllo dell’M23.[19]

Il 19 giugno, si sono registrati nuovi scontri tra le FARDC e l’M23 a Kavumu e Bikenke, sull’asse Runyoni-Rumangabo, nel raggruppamento di Bweza, in territorio di Rutshuru (Nord Kivu).
Facendo uso di mitragliatrici e cannoni, l’M23 ha lanciato degli obici a partire probabilmente da Muhati e Runyoni, 18 km a sud-est del centro di Rutshuru. Almeno sei obici hanno colpito la base della MONUSCO a Shangi, situata a 15 km a sud-est del centro di Rutshuru, ma senza causare vittime. Altri obici avrebbero colpito le postazioni delle FARDC a Kakimore, Bikenge e Busumba, a 14 km a sud-est del centro di Rutshuru. Sull’asse Rutshuru-centro/Bunagana, l’esercito congolese a mantenuto le sue posizioni a Rwanguba, mentre l’M23 si trova a Tchengerero e in alcuni altri villaggi dei raggruppamenti di Jomba e Busanza.[20]

Il 20 giugno, tra le 8:00 e le 9.00, le FARDC e l’M23 si sono d nuovo scontrati a Bikenge e Shangi, nel raggruppamento di Bweza, in territorio di Rutshuru. Altri scontri sono stati segnalati nel raggruppamento di Busanza. Secondo fonti locali, l’obiettivo dell’M23 sarebbe stato quello di prendere il controllo di Kitagoma, alla frontiera con l’Uganda, a 20 km da Bunagana.[21]

Il 20 giugno, il Movimento del 23 Marzo (M23) ha annunciato la riapertura del posto frontaliero di Bunagana, da esso occupato il 13 giugno. «Oggi abbiamo riaperto la frontiera di Bunagana. La popolazione sta cominciando a ritornare, affinché i bambini possano andare a scuola», ha dichiarato il portavoce dell’M23, Willy Ngoma, in un video rilasciato alla stampa. «Sì, è vero: l’M23 ha riaperto la frontiera (…) ma mole persone che rientrano vengono a prendere alcune loro cose e poi tornano in Uganda», ha affermato Damien Sebusanane, responsabile della società civile locale.[22]

Il 20 giugno, il Governo provinciale del Nord Kivu ha vietato, fino a nuovo avviso, qualsiasi “importazione ed esportazione” di merci da parte di operatori economici e commercianti, attraverso la frontiera di Bunagana, tra la RDC e l’Uganda. Tale decisione è contenuta in un comunicato ufficiale firmato dal governatore del Nord Kivu, il tenente generale Constant Ndima, il quale ha dichiarato che «qualsiasi persona che importi o esporti qualsiasi tipo di merci, attraverso la frontiera di Bunagana sarà considerato come contrabbandiere e collaboratore del nemico e subirà il rigore della legge». Il Governatore del Nord Kivu ha chiesto ai servizi che operano alla frontiera, tra cui la DGM, DGDA, OCC e PNHF, di contattare le loro controparti ugandesi per facilitare l’esecuzione di questa misura. Questa disposizione sarà abrogata quando Bunagana ritornerà sotto il controllo delle FARDC.[23]

Il 21 giugno, fin dal primo mattino, gli scontri tra le FARDC e l’M23 si sono intensificati nella zona di Bikenge e Ruvumu, a cavallo tra i raggruppamenti di Kisigari e Jomba, nel territorio di Rutshuru. Iniziati verso le 23:00 del 20 giugno, questi scontri si sono intensificati tra le 2:00 e le 3:00 del 21 giugno e sono continuati per tutta la giornata. L’M23 ha preso di mira le posizioni delle FARDC verso Bikenke e Ruvumu sull’asse Kabaya-Rumangabo,
Secondo fonti locali, l’M23 ha attaccato e occupato i villaggi di Bikenke, Shangi, Bukima e Ruvumu, ma l’esercito regolare è riuscito a respingerli fuori da questi villaggi.
Secondo altre fonti, invece, alcune altre località limitrofe sono ancora parzialmente controllate dall’M23, tra cui Ruvumu, Buharo e Rutokara, nel raggruppamento di Kisigari dove, secondo fonti locali, sarebbero state uccise almeno diciassette persone civili. Secondo le stesse fonti, le vittime sarebbero state uccise dall’M23 e dai suoi alleati ruandesi dell’esercito ruandese, alcune con armi bianche e le altre con armi da fuoco. Nel frattempo, le cittadine di Bunagana e Chengerero sono ancora sotto il controllo dell’M23.[24]

[1] Cf Actualité.cd, 11.06.’22
[2] Cf Actualité.cd, 12.06.’22
[3] Cf Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 16.06.’22; RFI, 16.06.’22
[4] Cf Radio Okapi, 20 et 21.06.’22; Actualité.cd, 20.06.’22; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 20.06.’22; AFP – Actualité.cd, 21.06.’22
[5] Cf Merveil Molo – 7sur7.cd, 20.06.’22
[6] Cf Radio Okapi, 06 et 07.06.’22
[7] Cf Radio Okapi, 08.06.’22
[8] Cf Auguy Mudiayi – Actualité.cd, 08.06.’22
[9] Cf Radio Okapi, 10.06.’22
[10] Cf Actualité.cd, 10.06.’22
[11] Cf Auguy Mudiayi – Actualité.cd, 10.06.’22
[12] Cf Isaac Kisatiro – 7sur7.cd, 12.06.’22
[13] Cf Jonathan Kombi – Actualité.cd, 13.06.’22; AFP – Lalibre.be/Afrique, 13.06.’22; Radio Okapi, 13.06.’22
[14] Cf Auguy Mudiayi – Actualité.cd, 13.06.’22; Alphonse Muderwa – 7sur7.cd, 14.06.’22; Radio Okapi, 14.06.’22
[15] Cf Jonathan Kombi – Actualité.cd, 14.06.’22
[16] Cf Jonathan Kombi – Actualité.cd, 14.06.’22
[17] Cf Radio Okapi, 15.06.’22; Patrick Maki – Actualité.cd, 16.06.’22
[18] Cf Radio Okapi, 16.06.’22
[19] Cf Radio Okapi, 17.06.’22
[20] Cf Radio Okapi, 20.06.’22
[21] Cf Radio Okapi, 20.06.’22
[22] Cf AFP – Actualité.cd, 20.06.’22
[23] Cf Radio Okapi, 21.06.’22
[24] Cf Radio Okapi, 21-22-23.06.’22