LE VIOLENZE DEI GRUPPI ARMATI (TRA CUI ADF, CODECO E M23) NON CESSANO / IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA RICORRE ALLA COMUNITÀ DELL’AFRICA DELL’EST (EAC)
INDICE
1. INTRODUZIONE
a. In un anno di legge marziale, il numero delle persone assassinate è raddoppiato
b. La ripresa delle ostilità da parte del Movimento del 23 marzo (M23)
c. Il presidente Tshisekedi gioca la carta di un dialogo consultativo con i gruppi armati
2. LA LEGGE MARZIALE
a. L’approvazione della 22ª proroga in assenza dei deputati del Nord Kivu e dell’Ituri
b. Un progetto di legge per mettere fine a un provvedimento di tipo eccezionale
3. I NUOVI SCONTRI TRA L’ESERCITO E IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)
4. IL DIALOGO CONSULTATIVO CON I GRUPPI ARMATI
a. Il vertice dei Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC)
b. Il dialogo consultativo tra la delegazione della Presidenza e i rappresentanti di alcuni gruppi armati
1. INTRODUZIONE
a. In un anno di legge marziale, il numero delle persone assassinate è raddoppiato
Il Nord Kivu e l’Ituri sono sotto il regime della legge marziale dal 6 maggio 2021. Questo provvedimento ha conferito pieni poteri agli ufficiali dell’esercito e della polizia, incluso nella gestione ordinaria dell’amministrazione, in vista di operazioni militari più consistenti nei confronti di quel centinaio di gruppi armati ancora attivi nell’est della RDCongo.
Sotto il regime della legge marziale, secondo le statistiche degli esperti del Kivu Security Tracker (KST), l’esercito ha intensificato le offensive contro i gruppi armati: tra maggio 2021 e aprile 2022, sono stati registrati circa 600 scontri tra le forze armate e i vari gruppi armati, 200 in più rispetto ai circa 400 constatati tra aprile 2020 e maggio 202 .
«Le Forze Democratiche Alleate (ADF) sono state cacciate da molte loro roccaforti, in cui esse organizzavano addestramenti, indottrinamento e attacchi contro le popolazioni civili e le postazioni dell’esercito», ha dichiarato il capitano Anthony Mualushayi, portavoce dell’esercito congolese nella regione di Beni (Nord Kivu). Ma questo ottimismo non è assolutamente condiviso.
Secondo gli esperti del Kivu Security Tracker (KST), nelle due province dell’est della RDCongo poste sotto il regime della legge marziale, nell’ultimo anno si è registrato quasi il doppio delle uccisioni di civili perpetrate durante l’anno precedente, quando ancora non era in vigore la legge marziale.
Secondo Reagan Miviri, membro del KST, nel Nord Kivu e nell’Ituri, tra aprile 2020 e maggio 2021, sono state uccise 1.374 persone civili, in attacchi attribuiti principalmente alle Forze Democratiche Alleate (ADF) e alla Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (Codeco) mentre, da maggio 2021 ad aprile 2022, ne sono state uccise almeno 2.563.
Alla fine di novembre 2021, truppe dell’esercito ugandese sono entrate nella RDCongo per appoggiare l’esercito congolese nella lotta contro le ADF.
Tuttavia, sempre secondo Miviri, del KST, «invece di ridurre le violenze, le operazioni militari congiunte degli eserciti congolese e ugandese non hanno fatto altro che respingere le ADF verso altre zone dove non erano mai state presenti, contribuendo così ad ampliare il loro perimetro di azione, che ora va dal confine ugandese fino ad ovest della strada nazionale n. 4». Infatti, oltre che nel territorio di Beni, loro zona abituale, le ADF hanno commesso dei massacri anche nei territori di Djugu e Irumu nell’Ituri.
Infine, secondo Jules Masumbuko, un abitante di Beni, «è da tre mesi che gli eserciti ugandese (UPDF) e congolese (FARDC) hanno cessato di attaccare le posizioni delle ADF».
Di fronte a questa situazione, il deputato Grégoire Kiro, eletto a Beni, ha affermato: «Dopo un anno di scarsi risultati, non è più necessario mantenere i militari alla guida delle nostre due province», rimproverando alle attuali autorità militari di dare priorità alla riscossione delle tasse, invece di assicurare la sicurezza della popolazione civile.[1]
b. La ripresa delle ostilità da parte del Movimento del 23 marzo (M23)
In un contesto di tensioni tra l’Uganda e il Ruanda per il controllo dell’est della Repubblica Democratica del Congo RDCongo), l’ex Movimento 23 marzo (M23) ha ricominciato ad attaccare alcune posizioni dell’esercito congolese. Kinshasa accusa Kigali di aver fomentato la ripresa delle ostilità da parte dell’M23, ciò che il Ruanda smentisce. Contemporaneamente, da novembre 2021, l’esercito ugandese sta intervenendo a fianco dell’esercito congolese per combattere le Forze Democratiche Alleate (ADF) nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri.
Pierre Boisselet, coordinatore del gruppo di studio sulla violenza presso l’Istituto Ebuteli, presenta il contesto in cui si svolgono gli attacchi dell’M23 contro l’esercito congolese.
Il Movimento del 23 marzo (M23) era stato sconfitto militarmente nel 2013. I suoi combattenti erano fuggiti in Uganda e Ruanda ma, dal 2017, alcuni di loro, tra cui il loro leader, Sultani Makenga, avevano lasciato l’Uganda e si erano ristabiliti nell’area dei Virunga (Nord Kivu). All’inizio, la loro presenza era rimasta discreta. Ma tutto è cambiato il 7 novembre 2021, quando l’M23 ha attaccato tre postazioni dell’esercito congolese. Da allora, il Kivu Security Tracker ha registrato altri nove scontri che hanno provocato diverse decine di morti tra le file dell’esercito regolare e dell’M23. Perché questa ripresa delle ostilità?
In primo luogo, occorre tener presente la situazione degli stessi combattenti dell’M23. dopo la sconfitta del 2013, quando essi si erano rifugiati in Ruanda e in Uganda. Dopo vari anni di esilio, gran parte di loro non hanno ancora potuto ritornare in RDCongo secondo le condizioni negoziate nel 2013 e, successivamente, nel 2019. È possibile che abbiano ripreso le armi per fare pressione sul governo centrale, per ottenere l’attuazione di quelle condizioni.
Ma anche il contesto regionale sembra aver contribuito a peggiorare la situazione. La RDCongo è al centro di una guerra latente tra il Ruanda e l’Uganda per il controllo economico dell’est del Paese.
Dopo aver compiuto una serie di gesti di buona volontà nei confronti del Ruanda all’inizio del suo mandato, nel 2021, il presidente congolese, Félix Tshisekedi, si è avvicinato maggiormente all’Uganda, a cui ha affidato la riabilitazione di alcune strade congolesi, tra cui il tratto Goma-Bunagana, ciò che potrebbe deviare verso l’Uganda gran parte delle rotte commerciali che oggi contribuiscono all’incremento dell’economia ruandese.
Inoltre, lo scorso novembre, il presidente Tshisekedi aveva accettato l’intervento dell’esercito ugandese nell’est della RDCongo per combattere, insieme, le Forze Democratiche Alleate (ADF). Proprio mentre questa operazione era ancora in fase di discussione, l’M23 ha effettuato, il 7 novembre, il suo primo attacco. Man mano che i rapporti di Félix Tshisekedi con l’ugandese Yoweri Museveni si intensificavano, quelli con il ruandese Paul Kagame diventavano sempre più tesi.
L’8 febbraio, il presidente ruandese aveva affermato che alcuni gruppi armati ostili a Kigali erano ancora molto attivi sul territorio congolese e che, se necessario, sarebbe stato pronto ad agire senza consultare nessuno.
Il 24 febbraio, a differenza di sei suoi omologhi della regione, Paul Kagame non si era recato a Kinshasa per il vertice sull’accordo quadro di Addis Abeba, relativo alla cooperazione regionale.
Il 28 febbraio, in un incontro con alcuni diplomatici presenti a Kinshasa, Félix Tshisekedi ha accusato il Ruanda, senza citarlo esplicitamente, di voler destabilizzare la RDCongo: “È irrealistico e improduttivo, persino suicida, che un Paese della nostra sottoregione pensi di ottenere dei vantaggi e consensi, intrattenendo conflitti e tensioni con i Paesi suoi vicini”.
Vari agenti della sicurezza congolese affermano che sia stato il Ruanda a favorire la ripresa delle ostilità da parte dell’M23 a partire da novembre 2021. È possibile, anche se finora non ci sono prove evidenti. Indipendentemente dal fatto che tale ipotesi sia vera o meno, questa nuova crisi ha assunto una dimensione regionale. In ogni caso, il presidente Tshisekedi ha già chiesto e ottenuto che il contingente keniano della Brigata di intervento della Monusco sia associato alla lotta contro l’M23.[2]
Il primo fattore della ripresa del conflitto tra l’M23 e l’esercito congolese è il fatto che i combattenti dell’ex M23, sconfitti militarmente nel 2013, erano fuggiti alcuni in Ruanda e altri in Uganda e non sono mai stati arrestati o reintegrati nella società congolese, perché il programma di disarmo e reinserimento, che avrebbe dovuto consentire loro di rientrare in Congo, non ha mai funzionato.
A partire dal 2017, alcuni di loro hanno quindi ripreso le armi e, illegalmente, sono ritornati in patria. Ricorrendo a sporadici attacchi contro l’esercito, hanno tentato di negoziare con il governo congolese, ma senza alcun esito. Da novembre 2021, gli scontri sono ripresi in maniera molto più violenta, con i primi attacchi contro l’esercito regolare e le guardie del Parco Nazionale dei Virunga, per intensificare la pressione sul governo congolese e per procurarsi armi e viveri.
Un secondo fattore che può spiegare la ripresa delle ostilità è rappresentato dalle tensioni esistenti tra l’Uganda e il Ruanda. I due paesi sono in stretta competizione per accaparrarsi, per motivi economici, l’influenza politica e militare sull’est della RDCongo. Dal 2021, il presidente congolese Félix Tshisekedi si è avvicinato al presidente ugandese Yoweri Museveni, concedendogli il diritto di intervenire militarmente nell’est del Paese, per combattere le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo armato di origine ugandese e di ispirazione islamica. Questa decisione del presidente congolese ha certamente irritato il governo ruandese. In ogni caso, alcune autorità congolesi sono convinte che questo ritorno dell’M23 sia stato fomentato da Kigali. Non ci sono prove evidenti di questo appoggio ruandese all’M23. Tuttavia, sulla base dei forti legami esistiti in passato tra il regime ruandese e l’M23, tale ipotesi non può essere esclusa.
Il terzo fattore è il tentativo di controllo sulle rotte commerciali congolesi, legali o illegali, da parte dell’Uganda e del Ruanda. L’est della Repubblica Democratica del Congo è ricco di risorse naturali, soprattutto minerarie e, nonostante l’insicurezza e l’instabilità politico-sociale, rappresenta un importante snodo commerciale. Esso è una zona molto popolata, ma isolata. Ciò significa che per accedere ai porti dell’Oceano Indiano si deve passare attraverso i paesi limitrofi, il Ruanda e l’Uganda. Per comprendere l’attuale crisi, è utile ricordare che uno degli elementi di riavvicinamento tra i presidenti congolese e ugandese è stato il progetto di riabilitazione delle strade che collegano l’est della RDCongo all’Uganda, ciò che permetterà di raggirare il Ruanda. In particolare, la riabilitazione della strada tra Bunagana e Goma favorirebbe il controllo dell’Uganda sulle rotte commerciali congolesi a scapito del Ruanda.[3]
c. Il presidente Tshisekedi gioca la carta di un dialogo consultativo con i gruppi armati
Con una legge marziale che non sta dando i frutti attesi e la ripresa delle ostilità da parte del Movimento del 23 marzo (M23), il presidente Félix Tshisekedi sembra non avere altra scelta che affidarsi ai Paesi limitrofi per ripristinare la sicurezza nell’est del suo stesso Paese.
Dopo un anno di legge marziale instaurata nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri per sconfiggere i gruppi armati, i risultati sono ancora molto scarsi. In seguito al fallimento della legge marziale, il presidente Tshisekedi aveva chiesto, in novembre 2021, all’esercito ugandese di partecipare alla lotta contro le Forze Democratiche Alleate (ADF). Dopo una prima fragorosa offensiva di artiglieria, l’esercito ugandese è ormai molto discreto e silenzioso sul fronte della lotta contro le ADF. Le organizzazioni della società civile accusano l’Uganda di essere ritornato in RDCongo per impossessarsi delle ricchezze del suo sottosuolo. Al momento del suo ingresso in RDCongo, l’esercito ugandese si era infatti affrettato a riabilitare le infrastrutture stradali, ufficialmente per facilitare l’accesso alle sue truppe ma, ora, la società civile lo sospetta di utilizzare queste strade per ogni tipo di commercio, legale e illegale.
Inoltre, verso la fine di marzo 2022, i miliziani dell’M23, accusati di essere appoggiati dal Ruanda, sono usciti dal loro letargo e sono passati all’offensiva contro l’esercito congolese. Questo nuovo fronte, innescato in piena legge marziale, ha costretto il presidente congolese a fare appello ai Paesi vicini della Comunità degli Stati dell’Africa Orientale (EAC).
La situazione di insicurezza in cui si trova l’est della RDCongo è stata presto messa all’ordine del giorno della riunione, a Nairobi (Kenia), dei Capi di Stato membri dell’EAC. In quell’occasione, i presidenti della RDCongo, del Kenia, dell’Uuganda e il ministro degli Affari esteri ruandese, hanno deciso di avviare un processo politico di consultazioni tra i gruppi armati locali e le autorità congolesi. Sul versante militare, gli Stati dell’EAC hanno proposto “la creazione di una forza militare regionale, per aiutare la RDCongo a contenere e, se necessario, a combattere le forze negative”.
Impotente di fronte all’insicurezza endemica dell’est del Paese, Felix Tshisekedi si è quindi affidato alla collaborazione dei Paesi vicini che hanno proposto una strategia in due fasi: una consultazione dei gruppi armati e, in secondo luogo, un’offensiva militare con la partecipazione di truppe dei Paesi membri dell’EAC. Sulla carta tutto sembra chiaro, ma sul campo la realtà è più fluida.
Nel primo incontro di consultazioni che si è già svolto a Nairobi hanno preso parte una dozzina di gruppi armati: le due ali dell’M23 di Jean-Marie Runiga e Sultani Makenga, l’FPDC, il FPRI dell’Ituri, i Maï-Maï René, l’UCL Kinjangala, i Raïa Mutomboki, alcuni Nyatura, la NDC-Rénové e pochi altri.
Ma molto rapidamente, la principale formazione dell’M23, quella di Sultani Makenga, è stata immediatamente esclusa dalle consultazioni, per aver ripreso i combattimenti contro l’esercito congolese, nonostante la tregua. Mancavano i gruppi armati più violenti, tra cui la CODECO dell’Ituri, le ADF, i Mai-Mai Yukutumba, i burundesi Red Tabara e molti altri. È quindi molto improbabile che le consultazioni di Nairobi riescano a contribuire in maniera significativa al ripristino di una sicurezza duratura. In seguito a tali consultazioni, alcuni gruppi armati potranno deporre le armi ma, per sradicare definitivamente le principali “forze negative”, si dovrà ancora una volta ricorrere ad operazioni militari, a cui parteciperebbero delle truppe africane fornite dai paesi dell’EAC, tra cui il Ruanda, l’Uganda e il Burundi, le cui malefatte in territorio congolese sono già note. L’improvvisazione dell’iniziativa di Nairobi assomiglia a quella constatata in occasione dell’instaurazione della legge marziale: mal pianificata, mal finanziata e senza approccio politico. Ma senza il dialogo politico con l’M23, la Codeco o le ADF, accompagnato certamente da azioni militari, sembra molto difficile ottenere un qualche risultato minimamente accettabile.[4]
2. LA LEGGE MARZIALE
a. L’approvazione della 22ª proroga in assenza dei deputati del Nord Kivu e dell’Ituri
Il 18 aprile, i deputati nazionali hanno approvato il progetto di legge sulla proroga della legge marziale nel Nord Kivu e nell’Ituri. Questa 22ª proroga entra in vigore il martedì 21 aprile 2022 per un periodo di altri 15 giorni. Su 317 deputati presenti, 314 hanno votato a favore, 2 hanno votato contro e 1 si è astenuto. I deputati del Nord Kivu e dell’Ituri erano assenti, avendo deciso di sospendere la loro partecipazione a tutte le sedute relative alla proroga della legge marziale. Hanno preso questa decisione perché, nonostante che la legge marziale sia in vigore da quasi un anno, la situazione sul campo non è affatto migliorata. Credono che, per ristabilire la sicurezza nell’est del Paese, si debba pensare ad altri meccanismi alternativi.
Questo progetto sulla proroga della legge marziale è stato approvato anche dai senatori. Sui 109 senatori che compongono la camera alta del parlamento, ne erano presenti 89, di cui 81 hanno votato sì, 2 hanno votato no e 6 si sono astenuti. Dopo la sua approvazione da parte delle due Camere del parlamento, il testo sarà trasmesso al Capo dello Stato, in vista della sua promulgazione.
Da parte sua, il Senato ha deciso di condizionare la prossima proroga della legge marziale a una sua valutazione in collaborazione con i membri del Governo interessati.[5]
I deputati nazionali dell’Ituri e del Nord Kivu hanno deciso di boicottare la seduta dedicata alla proroga della legge marziale ancora in vigore nelle loro due province. Essi hanno inoltre deciso di non partecipare più ad alcuna seduta parlamentare su ulteriori proroghe di questa misura eccezionale.
A nome dei deputati di queste due province, il deputato Singoma Mwanza ha giustificato questa loro decisione per il fatto che, sul posto, la situazione della sicurezza non sta affatto migliorando: «Da diversi anni, nel Nord Kivu e nell’Ituri abbiamo questo gravissimo problema dell’insicurezza. Ogni giorno troppe persone vengono uccise: le nostre madri, le nostre sorelle e i nostri figli vengono brutalmente assassinati dai vari gruppi armati. Tutti avevamo accolto con favore la decisione del Capo dello Stato di decretare la legge marziale, il cui obiettivo era quello di assicurare la sicurezza e la pace nel Nord Kivu e nell’Ituri. Purtroppo, nonostante l’instaurazione della legge marziale, ogni giorno continuiamo a piangere un’infinità di morti.
Ci poniamo allora la seguente domanda: davvero la legge marziale riuscirà a porre fine a queste innumerevoli stragi? … Le nostre autorità continuano a ripetere che la legge marziale è l’unica soluzione ma, sfortunatamente, constatiamo che le autorità militari che stanno attualmente sostituendo quelle civili si dedicano maggiormente a riscuotere le tasse, invece di concentrarsi sulla sicurezza e sulla pace. Perciò abbiamo deciso di non partecipare più alle sedute parlamentari in cui si discuterà di successive proroghe della legge marziale. Non vi parteciperemo più finché le nostre voci non siano ascoltate, perché siamo convinti che le nostre voci siano le voci delle nostre popolazioni che sono vittime di continui massacri».[6]
b. Un progetto di legge per mettere fine a un provvedimento di tipo eccezionale
Il 19 aprile, 24 ore dopo l’ennesima proroga della legge marziale da parte dell’Assemblea nazionale e del Senato, cinque deputati nazionali hanno inoltrato al presidente della Camera dei Deputati, Christophe Mboso, un progetto di legge che intende porre fine a questa particolare misura di sicurezza.
I deputati nazionali Mumbere Mukweso Rémy, Kambale Musemo Daniel, Kambale Muhasa Alexandre, Katembo Kambere Thadée e Jackson Ausse, eletti rispettivamente a Butembo, Beni, Lubero e Irumu, fondano la loro proposta sull’articolo 163 del regolamento interno dell’Assemblea nazionale e sull’articolo 144 della costituzione che stabilisce che “l’Assemblea nazionale e il Senato possono, attraverso una legge, porre fine alla legge marziale in qualsiasi momento, trattandosi di una situazione eccezionale”.
Questi parlamentari ricordano che la legge marziale è un provvedimento eccezionale e non una modalità permanente di governo e che non può continuare ad essere l’unico mezzo di gestione delle operazioni, tanto più che l’esercito ha come ruolo sovrano la difesa dell’integrità del territorio nazionale, anche al di fuori della legge marziale. In nome anche degli altri quattro suoi colleghi, il vice Katembo Thadée ha dichiarato: «la legge marziale fu instaurata quando non erano ancora state messe in atto altre strategie. Oggi assistiamo alla collaborazione tra l’esercito congolese e quello ugandese che conducono operazioni militari congiunte contro i vari gruppi armati, in particolare contro le ADF. Ciò significa che oggi è possibile continuare a gestire le operazioni anche senza un regime di legge marziale».[7]
3. I NUOVI SCONTRI TRA L’ESERCITO E IL MOVIMENTO DEL 23 MARZO (M23)
Il 21 marzo, il portavoce delle operazioni militari Sokola 2, il colonnello Njike Kaiko, ha affermato che, dal 19 marzo, l’esercito congolese sta effettuando delle operazioni militari “mirate” contro le postazioni dell’Esercito Rivoluzionario del Congo (ARC), braccio militare del Movimento del 23 marzo (M23), nel raggruppamento di Jomba, del territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Egli ha dichiarato che l’M 23 stava cercando di riorganizzarsi in territorio congolese e, più precisamente, nella zona riservata al Parco Nazionale dei Virunga, Secondo le sue dichiarazioni, l’esercito regolare ha preso il controllo di quasi tutte le postazioni dell’M23 localizzate nel territorio di Rutshuru, tra cui quelle di Sabinyo, Visoke e Mikeno. Otto combattenti dell’M23 e quattro soldati dell’esercito regolare sono caduti sul campo di battaglia.[8]
Il 25 marzo, l’M23 ha rilasciato una dichiarazione in cui smentisce qualsiasi offensiva da parte sua e accusa l’esercito nazionale di aver attaccato per primo. L’M23 sostiene di aver inviato diverse lettere al Presidente della Repubblica e al Coordinatore del Meccanismo Nazionale di Monitoraggio dell’attuazione dell’Accordo di Addis Abeba, nelle quali presentava “la sua resa incondizionata” e prometteva di “sottomettersi agli ordini del Capo dello Stato”. L’M23 ha aggiunto di aver inviato a Kinshasa anche alcuni suoi delegati, per “accelerare la materializzazione della nostra resa incondizionata”. Secondo la dichiarazione, questi delegati dell’M23 sono rimasti a Kinshasa 14 mesi, durante i quali hanno avuto vari incontri con differenti autorità a livello nazionale, ma poi si è chiesto loro di “ritornare presso la loro base, in attesa dell’inizio delle operazioni relative alla resa, secondo quanto discusso a Kinshasa”.
L’M23 accusa l’esercito congolese di atti di provocazione: “Con nostra grande sorpresa, due settimane dopo, l’esercito ha preso l’iniziativa di attaccare i nostri combattenti costringendoli alla difensiva (…). Queste operazioni militari che l’esercito ha intrapreso contro i nostri combattenti rispecchiano indubbiamente la scelta definitiva del Governo della Repubblica di combattere contro l’M23, invece di accettare la resa senza condizioni dei suoi combattenti. La nostra Organizzazione che, per nove anni, ha pazientemente atteso l’attuazione del processo di pace, deplora questa opzione del Governo per la violenza, il cui obiettivo è quello di mantenere l’instabilità e il sottosviluppo nell’est del Paese”.[9]
Il 28 marzo, verso l’una di notte, dei miliziani dell’M23 hanno attaccato le postazioni dell’esercito regolare a Chanzu e a Runyonyi, nel raggruppamento di Djomba, del distretto di Bwisha, nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). Il capo raggruppamento di Djomba, Katchuki Jackson, ha affermato che, dopo intensi combattimenti, le due colline di Chanzu e Runyonyi e diversi altri villaggi, come Mugingo, Gasiza, Chengerero, Rugamba, Kibote, Baseke e Kabindi, erano passati sotto il controllo dell’M23. Secondo la società civile, diverse famiglie hanno attraversato la frontiera per trovare rifugio in Uganda e altri abitanti dei dintorni di Tchanzu e Runyonyi sono arrivati a Rutshuru.
Le colline di Chanzu e Runyonyi erano state brevemente occupate dall’M23 lo scorso mese di novembre 2021, ma erano poi state riconquistate dall’esercito congolese. Secondo quest’ultimo, i responsabili degli attacchi di novembre erano dei combattenti dell’M23 provenienti dal Ruanda ciò che le autorità ruandesi avevano smentito.[10]
Il 28 marzo, l’esercito congolese ha accusato l’esercito ruandese di avere appoggiato l’M23 nell’attacco alle sue postazioni di Tchanzu e Runyoni. Come elemento di prova, in un comunicato stampa diffuso a Goma, il generale di brigata Sylvain Ekenge, vice portavoce dell’esercito congolese, ha riferito che l’esercito congolese ha arrestato due soldati ruandesi. Si tratterrebbe dell’ufficiale Habyarimana Jean-Pierre, numero AP 27779, e del soldato Uwajeneza Muhindi John, alias ZAJE, entrambi membri del 65° battaglione della 402a brigata delle forze di difesa del Ruanda. Nel comunicato, il generale di brigata Sylvain Ekenge ha precisato che il 65° battaglione e la 402° brigata comandati rispettivamente dal tenente colonnello Rurindo Joseph e dal generale Nkubito Eugène hanno la loro sede a Jarama, presso il campo militare di Kibungo, in Ruanda.[11]
Il 29 marzo, il Ruanda ha “categoricamente” smentito le accuse secondo cui le sue truppe abbiano appoggiato l’M23, come affermato dall’esercito congolese. Secondo le autorità ruandesi, queste affermazioni sono “infondate”. In un comunicato stampa, il governatore della provincia occidentale del Ruanda, François Habitegeko, ha affermato che i nomi delle due persone presentate dall’esercito congolese come catturate negli ultimi combattimenti, erano già stati citati dalla delegazione congolese il 25 febbraio 2022, a Kigali, durante un incontro bilaterale tra i servizi di intelligence dei due Paesi. Secondo lui, «le due persone citate dall’esercito congolese non sono membri dell’esercito ruandese. Si tratta di un tentativo di manipolazione dell’opinione pubblica, presentando due individui arrestati in circostanze oscure più di un mese prima, come elementi catturati durante gli ultimi combattimenti del 28 marzo 2022».[12]
Il 29 marzo, otto caschi blu sono deceduti nello schianto di un elicottero della MONUSCO, mentre sorvolavano la zona di Tshanzu e Runyoni per una missione di ricognizione. Si tratta di sei membri dell’equipaggio pakistani e di altri due soldati, un Russo e un Serbo. L’esercito congolese e l’M23 si accusano a vicenda di essere responsabili di questo attacco.[13]
Il 1° aprile, in un comunicato firmato dal suo portavoce, l’M 23 ha dichiarato che «l’attuale tensione militare constatata nel territorio di Rutshuru fa parte di un’iniziativa offensiva orchestrata dalle forze armate congolesi» alla quale «l’Esercito Rivoluzionario Congolese (ARC) ha risposto con un’appropriata azione difensiva». In quel comunicato, l’M23 ha annunciato di impegnarsi per un cessate il fuoco unilaterale, per «consentire alle autorità del Paese di avviare un dialogo, in vista di una soluzione pacifica ad una crisi che perdura da più di un decennio». Tuttavia, l’M23 minaccia di vendicarsi in caso di prossimi attacchi contro le sue postazioni.[14]
Il 5 aprile, in una dichiarazione rilasciata a Goma, la società civile del Nord Kivu ha fatto il punto sulla situazione: 14 civili uccisi, 37.789 sfollati interni e 13.000 rifugiati in Uganda (distretto di Kisoro).[15]
Il 6 aprile, l’esercito congolese ha lanciato nuove offensive contro l’M23. Il colonnello Muhindo Lwanzo, membro del gabinetto dell’amministratore del territorio militare di Rutshuru, ha dichiarato che l’esercito ha recuperato l’ospedale di Bugusa, la parrocchia cattolica di Kinyamahura, le colline di Tchengerero, Cheya e Mbuzi, che erano state assediate dai ribelli.[16]
L’8 aprile, gli scontri tra l’M23 e l’esercito sono proseguiti nei dintorni delle colline di Tchanzu e Runyoni, nel territorio di Rutshuru, particolarmente a Gasiza, Bugusa, Bikenke e Rwambeho.[17]
Il 9 aprile, nella mattinata, sono ripresi gli scontri tra l’esercito e l’M23, nei pressi del ponte di Rwanguba, a una quindicina di chilometri dal centro di Rutshuru. Secondo Nestor Bazirake, portavoce delle organizzazioni della società civile del raggruppamento di Jomba, «oltre Runyoni e Tchanzu, l’M23 occupa ormai anche Gisiza, Gasiza, Bugusa, Bikende-Bugusa, Kinyamahura, Rwambeho, Tshengerero, Rubavu e Basare». Da parte sua, l’esercito controlla la città di Bunagana e il ponte Rwanguba, Secondo diverse fonti, l’esercito sta cercando di respingere i ribelli che, il giorno prima, avevano rioccupato diverse località del raggruppamento di Jomba. Questa ripresa delle ostilità ha provocato ancora una volta un massiccio spostamento della popolazione che stava ritornando nei propri villaggi dopo l’annuncio, da parte dell’esercito, della riconquista di varie zone prima sotto controllo dell’M23.[18]
Il 10 aprile, l’M23 ha attribuito la responsabilità degli ultimi combattimenti all’esercito congolese che, a suo parere, avrebbe violato il cessate il fuoco unilateralmente decretato il 1° aprile, aggiungendo di non avere mai avuto intenzione di conquistare spazi per amministrarli.
L’M23 ha inoltre annunciato la sua decisione di «ritirarsi, ancora una volta, sulle sue posizioni difensive che occupava prima del 6 aprile 2022», per «consentire al governo congolese di tener conto delle loro richieste, mediante l’organizzazione di un dialogo franco e fruttuoso». Fonti concordanti della società civile confermano infatti il ritiro dell’M23, nella notte tra il 9 e il 10 aprile, da alcune postazioni, tra cui Kabindi, Chengero, Mungo e Cheya, per dirigersi verso il villaggio di Bugusa. Sempre secondo le stesse fonti, mentre durante la loro ritirata, i miliziani dell’M23 hanno sistematicamente saccheggiato case e negozi.[19]
Il 22 aprile, durante la riunione del Consiglio dei ministri, il ministro della Difesa, Gilbert Kabanda, ha rivelato che l’autore dell’abbattimento, lo scorso marzo, di un elicottero della Monusco è stato una guardia del corpo di Sultani Makenga, capo militare dell’M23: «Tre membri dell’M23 catturati dall’esercito hanno confermato che l’elicottero della Monusco è stato abbattuto da un certo Mujambere, una delle guardie del corpo di Makenga».[20]
Il 23 aprile, nel pomeriggio, dopo quasi due settimane di relativa calma, dei combattenti dell’M23 si sono scontrati con dei militari dell’esercito, in alcuni villaggi del raggruppamento di Jomba (territorio di Rutshuru, Nord Kivu). Secondo fonti locali, i combattimenti si sarebbero svolti nei pressi della collina di Bugusa. L’esercito congolese accusa l’M23 di aver attaccato le sue postazioni. Da parte sua, l’M23 smentisce questa versione e afferma di aver agito per legittima difesa, dopo l’assalto subito da parte dell’esercito. Il presidente della società civile del raggruppamento di Jomba a Rutshuru, Damien Sebuzanane, ha fatto sapere che, in serata, l’esercito è riuscito a prendere il controllo sulla collina di Bugusa, fino ad allora occupata dall’M23.
Questi combattimenti sono scoppiati poche ore dopo l’apertura, a Nairobi, di una serie di consultazioni dei gruppi armati da parte di alcuni delegati del presidente Felix Tshisekedi, con la mediazione del presidente keniota Uhuru Kenyatta.[21]
Il 25 aprile, è stata una giornata di tregua in cui non si è udito alcun colpo sulla linea del fronte.[22]
4. IL DIALOGO CONSULTATIVO CON I GRUPPI ARMATI
a. Il vertice dei Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC)
Il 20 aprile, il ministero degli Affari esteri del Kenya ha confermato che il 21 aprile, a Nairobi, si terrà un incontro tra i Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), per affrontare ancora una volta la questione della sicurezza nell’est della RDCongo, con particolare riferimento alla riattivazione dell’M23 nel territorio di Rutshuru (Nord Kivu). La RDCongo ha ufficialmente aderito all’EAC il 7 aprile scorso. In quella data, Felix Tshisekedi, Paul Kagame, Yoweri Museveni e Uhuru Kenyatta avevano già accennato alla necessità di trovare una soluzione alle rivendicazioni dell’M23.
Da parte sua, l’Associazione Congolese per l’Accesso alla Giustizia (ACAJ) ha raccomandato al capo di stato congolese di non firmare alcun accordo che possa permettere l’integrazione dei combattenti dell’M23 nelle forze di difesa e di sicurezza (esercito e polizia) e di chiedere all’Uganda e al Ruanda l’immediata estradizione verso la RDCongo dei dirigenti dell’M23, perché ritenuti responsabili di gravi reati.
L’EAC è composta di sette paesi, tra cui Burundi, Kenya, Uganda, Ruanda, Sud Sudan, Tanzania e Repubblica Democratica del Congo, che è appena entrata ufficialmente quest’anno.
Félix Tshisekedi spera che l’adesione della RDCongo all’EAC costituisca un’opportunità sia per rafforzare la pace e la sicurezza nell’Africa centrale e, in particolare, nell’est della RDCongo.[23]
Il 21 aprile, a Nairobi (Kenya), i Presidenti Félix Tshisekedi (RDC), Yoweri Museveni (Uganda), Uhuru Kenyatta (Kenya) e Evariste Ndayishimiye (Burundi) hanno partecipato a una riunione di Capi di Stato membri della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC), per discutere sulla sicurezza nell’est della RDCongo. Paul Kagame, del Ruanda, era rappresentato dal suo ministro degli Affari esteri, Vincent Biruta. Secondo il presidente del Kenia, le discussioni si sono svolte in un clima franco e cordiale. Il comunicato finale evoca discussioni fruttuose.
I Capi di Stato hanno approvato un programma imperniato sulla rinuncia volontaria alla lotta armata, affinché i gruppi armati locali si impegnino ad aderire al Programma di Smobilitazione, Disarmo, Reinserimento Comunitario e Stabilizzazione (P-DDRCS) e i gruppi armati stranieri accettino di rientrare nei rispettivi Paesi. In caso contrario, si procederà alla loro neutralizzazione mediante l’intervento di una forza militare internazionale che verrà istituita con la collaborazione dei Paesi membri dell’EAC.
In questo contesto, i Capi di Stato presenti a Nairobi hanno chiesto al presidente congolese di avviare un’iniziativa di consultazioni (dialogo consultivo) dei gruppi armati locali attivi nell’est del Paese. L’attuazione di questa iniziativa sarà seguita in modo particolare dal presidente kenyota, Uhuru Kenyatta. I capi di Stato membri dell’EAC hanno chiesto a Felix Tshisekedi di presiedere una riunione consultiva con i delegati dei diversi gruppi armati il 22 aprile 2022. Il Presidente keniota ha accettato di fornire la struttura e il supporto logistico. Infine, i Capi di Stato hanno deciso la costituzione di una forza militare internazionale per aiutare a contenere e, se necessario, combatterei vari gruppi armati attivi nell’est della RDCongo. Questa forza militare regionale sarà guidata dalla RDC. In questa fase, questo progetto è solo agli inizi.[24]
b. Il dialogo consultativo tra la delegazione della Presidenza e i rappresentanti di alcuni gruppi armati
Il 22 aprile, contrariamente a quanto annunciato, il Presidente congolese, Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo, non ha potuto incontrare, a Nairobi (Kenya), i rappresentanti dei gruppi armati attivi nell’est della RDCongo, a causa di certe difficoltà logistiche, tra cui l’impossibilità di far arrivare a Nairobi i delegati dei gruppi armati in un tempo così stretto. Tuttavia, il presidente Tshisekedi ha riaffermato la necessità di questa iniziativa tesa alla resa incondizionata dei vari gruppi armati e considerata come ultima possibilità loro offerta, per deporre immediatamente le armi e aderire al programma di disarmo e reinserimento sociale, In caso contrario, si ricorrerà all’intervento di una forza militare internazionale per sconfiggerli definitivamente. Secondo Félix Tshisekedi, questa iniziativa di dialogo consultivo non è una tavola rotonda di negoziati con i gruppi armati, ma una proposta di adesione al Programma DDR-CS.[25]
Il 23 aprile, a Nairobi, è finalmente iniziato il dialogo consultativo tra la delegazione della Presidenza della Repubblica e i gruppi armati. Tra i gruppi armati già presenti ci sono l’M23/Makenga e l’M23/Runiga. I rappresentanti degli altri gruppi armati dei due Kivu e dell’Ituri non sono ancora arrivati. In apertura della conferenza, il rappresentante della facilitazione keniota ha ricordato la volontà del presidente Tshisekedi, appoggiata dai cinque Capi di Stato dell’EAC, di trovare una soluzione definitiva al problema dell’insicurezza nell’est della RDCongo.
La delegazione governativa è guidata da tre esperti scelti dal presidente Félix Tshisekedi: Serge Tshibangu, rappresentante speciale del Capo dello Stato, Claude Ibalanky, membro del meccanismo nazionale di monitoraggio dell’attuazione dell’accordo di Nairobi, e il generale François Kabamba, consigliere militare del Presidente della Repubblica. I lavori si svolgono alla presenza di due delegati di ciascun Paese dell’EAC firmatario del comunicato finale del 21 marzo. Ci sono anche alcuni osservatori inviati dall’UA e dall’ONU.
Appena avviato, questo dialogo consultivo sta già subendo alcuni intoppi. La delegazione governativa ha annunciato che l’M23/Makenga ha ripreso le ostilità e che, perciò, essa ha chiesto ed ottenuto dal facilitatore del dialogo, il presidente del Kenia, la sua espulsione dal dialogo consultivo, i cui lavori proseguiranno solo con l’M23/Runiga, ancora esiliato in Ruanda.
Secondo alcune informazioni, l’ala Bisimwa/Makenga è rappresentata da due delegati, Benjamin Mbonimpa, segretario esecutivo del movimento e Lawrence Kaniyuka, responsabile degli affari esteri all’interno del movimento. Essi potranno riprendere i lavori solo dopo la cessazione delle ostilità e il ritorno dei loro combattenti alle loro posizioni pre-dialogo.[26]
Tra i rappresentanti dei gruppi armati del Nord Kivu attesi a Nairobi si possono citare:
Désiré Ngabo Kisuba e Fidèle Mapenzi Mike, per il Nduma Defense of Congo-Rénové (NDC/R) di Guidon Shimirayi Mwissa, gruppo armato attivo nei territori di Walikale, Masisi, Lubero e Masisi.
Eliya Mwango e Mapenzi Léonard, membri dell’Alleanza dei Patrioti per un Congo Libero e Sovrano (APCLS) di Janvier Kalahiri.
Kakule Masivi, leader dell’Alleanza delle Forze di Resistena Congolese (AFRC).
Kambale Sikuli Luther e Kasereka Syaghalira Levis, per il Fronte dei Patrioti per la Pace / Esercito del Popolo (FPP/AP ) guidato dall’autoproclamato generale Kasereka Kabido, attivo nel sud del territorio del Lubero.
I delegati dell’Unione dei Patrioti per la Difesa del Congo (UPDC) di Maachano e Bilikoliko;
quelli delle Forze di Difesa dei Diritti Umani (FDDH/Nyatura) di Dusabe Gashamira e
quelli del Gruppo Armato di Volontari (GAV) di Matata Suleiman.
Tra i delegati dei gruppi armati del Sud Kivu si possono ricordare:
l’autoproclamato colonnello Olivier Murindangabo, del gruppo Ngumino;
M’munga M’shaleke Justin, membro del gruppo Ebwela Mtetezi e coordinatore della coalizione delle Forze dei Patrioti per la Difesa del Congo (FPDC), una coalizione di oltre 65 gruppi armati locali.
Matendo Bushiri, membro dell’UPSP del gruppo René Itongwa e Alida,
Lewis Kibuki, membro dell’UCL del gruppo Kijangala,
Kamasa Ndakize Welcome, coordinatore del gruppo Twirwaneho di Makanika.
I delegati del gruppo Android/Twirwaneho di Gakunzi.
Yakutumba si è ritirato all’ultimo minuto. Aveva chiesto e ottenuto un versamento per le spese di viaggio in un jet privato invece del volo collettivo con gli altri delegati perché, secondo il suo portavoce, non voleva viaggiare insieme con i delegati dell’M23, da lui considerato come un gruppo armato straniero che, nonostante ciò, sta negoziando con Kinshasa.
I leader dei gruppi armati dell’Ituri si sono detti pronti a partecipare alle consultazioni di Nairobi, ma hanno deplorato il fatto che il governo non abbia ancora fatto qualcosa per facilitare il loro viaggio per Nairobi. Tra i gruppi armati attivi in Ituri ci sono, tra altri: l’Unione dei Rivoluzionari per la Difesa del Popolo Congolese / Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (URDPC/CODECO), le Forze Patriottiche e Integrazioniste del Congo (FPIC) e le Forze Patriottiche di Resistenza dell’Ituri (FRPI).[27]
Il 27 aprile, si è conclusa a Nairobi (Kenya) la prima fase delle consultazioni tra i gruppi armati locali e il governo. Secondo un comunicato del servizio di comunicazione della Presidenza congolese emesso al termine dei lavori, i Presidenti keniota e congolese hanno esortato i gruppi armati dell’Ituri, del Nord Kivu e del Sud Kivu a favorire la via della pace deponendo le armi.
I delegati dei gruppi armati dell’Ituri, del Nord Kivu e del Sud Kivu che hanno partecipato alle consultazioni di pace erano un trentina circa. I lavori si sono svolti alla presenza di osservatori inviati dall’ONU e dalla CIRGL o provenienti da Ruanda, Uganda, Burundi, Stati Uniti e Francia. Ciascun gruppo armato ha presentato all’equipe di facilitazione un suo proprio memorandum contente proposte di risoluzione dei conflitti ancora in corso nell’est del Paese. I delegati dei gruppi armati che non hanno potuto o voluto partecipare a questa prima fase dei lavori di Nairobi potranno farlo in un prossimo incontro che sarà indetto prima del prossimo incontro di valutazione da cui parteciperanno i Capi di Stato della Comunità dell’Africa dell’Est (EAC) previsto per fine maggio.[28]
[1] Cf AFP – Actualité.cd, 28.04.’22
[2] Cf Pierre Boisselet – 7sur7.cd, 26.03.’22
[3] Cf Cyril Bensimon – Le Monde – Congovirtuel.com, 03.04.’22
[4] Cf Christophe Rigaud – Afrikarabia.com, 29.04.’22
[5] Cf Actualité.cd, 18.04.’22
[6] Cf Berith Yakitenge et Clément Muamba – Actualité.cd, 18.04.’22
[7] Cf Carmel Ndeo – Politico.cd, 19.04.’22; Radio Okapi, 20.04.’22
[8] Cf Radio Okapi, 22.03.’22
[9] Cf Actualité.cd, 26.03.’22; Carmel Ndeo – Politico.cd, 27.03.’22
[10] Cf Jonathan Kombi – Actualité.cd, 28.03.’22; Radio Okapi, 28.03.’22
[11] Cf Claude Sengenya – Actualité.cd, 28.03.’22
[12] Cf Actualité.cd, 29.03.’22
[13] Cf Radio Okapi, 30.03.’22
[14] Cf Isaac Kisatiro – 7sur7.cd, 01.04.’22
[15] Cf Alphonse Muderwa – 7sur7.cd, 06.04’22
[16] Cf Alphonse Muderwa – 7sur7.cd, 06.04.’22; Radio Okapi, 06.04.’22
[17] Cf Radio Okapi, 08.04.’22
[18] Cf Jonathan Kombi – Actualité.cd, 09.04.’22; AFP – Actualité.cd, 10.04.’22
[19] Cf Actualité.cd, 10.04.’22; Radio Okapi, 10.04.’22
[20] Cf Clément Muamba – Actualité.cd, 23.04.’22
[21] Cf Actualité.cd, 23.04.’22; AFP – Actualité.cd, 24.04.’22
[22] Cf Radio Okapi, 25.04.’22
[23] Cf Actualité.cd, 20.04.’22; Carmel Ndeo – Politico.cd, 20.04.’22
[24] Cf Actualité.cd, 21.04.’22; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 21.04.’22
[25] Cf Radio Okapi, 22 et 23.04.’22; Jephté Kitsita – 7sur7.cd, 22.04.’22
[26] Cf Actualité.cd, 23.04.’22
[27] Cf Radio Okapi, 25.04.’22
[28] Cf Radio Okapi, 28.04.’22