MOBILITÀ DEGLI HUTU IN ITURI: TRA ACCETTAZIONE E DIFIDENZA (3ª Parte)
Pole Institute – Ottobre 2020[1]
INDICE
4. CAPITOLO 4: PRATICHE E INIZIATIVE PER LA CONVIVENZA E LA COESIONE SOCIALE TRA MIGRANTI HUTU E COMUNITÀ AUTOCTONE
4.1. Pratiche e iniziative intercomunitarie di riconciliazione e di gestione dei conflitti
4.2. Il ruolo della società civile e delle chiese locali: iniziative di pace e controversie ideologiche
4.3. Il ruolo dello Stato: tra azione e indecisione
5. CAPITOLO 5: ALCUNE PISTE PER PROMUOVERE LA COESIONE SOCIALE E LA PACE TRA LE COMUNITÀ AUTOCTONE E I MIGRANTI HUTU IN ITURI
5.1. Per un cammino di pace e coesione sociale
5.2. Azioni concrete per la coesione sociale e la convivenza pacifica tra popolazioni autoctone e migranti hutu nell’Ituri
5.3. La trasformazione dei conflitti come meccanismo di prevenzione e di risoluzione dei conflitti
4. CAPITOLO 4: PRATICHE E INIZIATIVE PER LA CONVIVENZA E LA COESIONE SOCIALE TRA MIGRANTI HUTU E COMUNITÀ AUTOCTONE
Di fronte ai conflitti persistenti e ricorrenti tra i migranti hutu e le comunità autoctone dell’Ituri, sia gli abitanti stessi che le varie entità locali, nazionali e internazionali hanno intrapreso dei comportamenti di natura strutturale e delle iniziative locali di coesione sociale, riconciliazione e gestione dei conflitti.
4.1. Pratiche e iniziative intercomunitarie di riconciliazione e di gestione dei conflitti
L’insediamento degli migranti hutu a Boga, Geti e Tchabi ha certamente modificato gli equilibri già esistenti tra le comunità autoctone, in particolare a livello politico, economico e socio-culturale. Tuttavia, l’arrivo dei migranti hutu ha, nel corso degli anni, creato e rafforzato nuovi sistemi di relazioni interpersonale e intercomunitarie.
4.1.1. Pratiche strutturali di coesione sociale
Le pratiche più comuni di coesione sociale nelle relazioni intercomunitarie sono la solidarietà intercomunitaria, i matrimoni misti, la multiculturalità dei luoghi di educazione e di preghiera, la frequentazione comune dei mercati, il rispetto e la legittimazione dell’autorità tradizionale costituita. Le comunità autoctone e i migranti hutu di Boga, Geti e Tchabi dimostrano la loro vicendevole solidarietà nei vari eventi della vita sociale, in particolare in quelli tristi, come la morte (cerimonie funebri) e la malattia e in quelli felici, come le nascite e i matrimoni (matrimoni misti).
La convivenza e la coesione sociale si manifestano anche negli spazi multiculturali per l’educazione (scuole), il culto (chiese) e l’assistenza sanitaria (infermerie e ospedali).
Al di là del loro aspetto economico, i mercati rurali sono frequentati da tutte le comunità e sono opportunità di relazioni interpersonali e intercomunitarie. L’autorità tradizionale è rispettata e accettata da tutte le comunità, soprattutto per il suo ruolo di mediazione e arbitrato in caso di conflitti e come fattore di coesione sociale.
4.1.2. Spirito associativo locale e coesione sociale
Oltre ai meccanismi strutturali sopra illustrati, la coesione sociale tra le comunità autoctone e i migranti hutu è rafforzata da iniziative associative intercomunitarie. Nelle zone di Boga e Tchabi, ci sono diverse associazioni (TIAMATA: agricoltori; IPV: Intensificazione dei Prodotti Alimentari; ATM: Associazione dei Taxi-Moto; MUSO: Mutualità Solidaria di risparmio e credito; ecc.) a cui partecipano membri di tutte le comunità . Queste associazioni si interessano dei diversi ambiti della vita sociale: agricoltura, commercio, trasporti, tempo libero, ecc.
4.2. Il ruolo della società civile e delle chiese locali: iniziative di pace e controversie ideologiche
In Ituri, la società civile locale e le chiese sono attori importanti nei processi di riconciliazione e di coesione sociale.
4.2.1. Iniziative di pace intraprese dalla società civile
Da oltre un decennio, la società civile dell’Ituri ha fatto della migrazione degli hutu e del loro insediamento a Boga, a Tchabi e a Geti uno degli assi principali della sua azione, optando per una strategia di risoluzione dei conflitti (mediazione) e di difesa dei diritti umani (advocacy e denuncia). Tra le ONG locali, membri della società civile, si possono citare l’Unione delle Associazioni per lo Sviluppo dell’Ituri (UNADI), l’Appoggio alla Comunicazione Interculturale e all’Autopromozione Rurale (ACIAR), la Rete Haki na Amani (Giustizia e Pace), la Caritas, ecc. Ma, secondo alcuni osservatori, queste ONG locali non sono ancora riuscite ad applicare, in modo esplicito e diretto, la strategia di risoluzione dei conflitti ai conflitti intercomunitari esistenti tra i migranti hutu e le popolazioni autoctone, tra cui quelli di ordine fondiario (accesso alle terre) e di ordine politico (accesso al potere).
Per quanto riguarda le confessioni religiose, i migranti hutu frequentano in maggioranza la Chiesa avventista, mentre le altre comunità autoctone frequentano maggiormente le chiese anglicana, cattolica e protestante. Pur essendo spazi di riconciliazione e di coesione sociale, la bipolarizzazione di natura religiosa rischia di favorire tra le comunità delle diversità conflittuali, ma sta crescendo una coscienza collettiva della necessità di appianare queste differenze e di fare delle confessioni religiose dei “ponti” piuttosto che “barriere” tra le comunità.
A questo proposito, si possono citare alcune iniziative avviate da alcune Chiese. La Chiesa anglicana ha istituito un programma di riconciliazione denominato “Pace e Riconciliazione”. La Chiesa protestante CE39 ha svolto diverse missioni per la pace, a cui hanno partecipato membri di diverse comunità. La Chiesa cattolica, attraverso la sua Commissione Giustizia e Pace, ha svolto diverse missioni per la riunificazione delle comunità.
4.2.2. Polemiche ideologiche
La strategia di denuncia della presenza dei migranti hutu nell’Ituri adottata da certe organizzazioni della società civile e da alcune chiese locali, ha in qualche modo rallentato le iniziative delle organizzazioni non governative locali, intraprese nell’ambito della strategia di gestione e risoluzione dei conflitti, i cui risultati di riconciliazione e coesione sociale potrebbero sembrare una legittimazione dell’insediamento dei migranti hutu in Ituri. Alcune organizzazioni della società civile hanno infatti intrapreso una campagna per forzare il ritorno dei migranti hutu nei villaggi del Nord Kivu da cui essi dicono di provenire.
Ma questa prospettiva non è unanimemente accettata all’interno della società civile e degli ambienti religiosi. Alcuni difensori dei diritti umani considerano qualsiasi respingimento forzato come una violazione dei diritti umani che calpesterebbe le leggi nazionali e il diritto internazionale.
Pertanto, essi si dicono piuttosto favorevoli ad azioni di prevenzione e di trasformazione dei conflitti, svolte da organizzazioni non governative con l’appoggio dello Stato congolese e della comunità internazionale.
4.3. Il ruolo dello Stato: tra azione e indecisione
Per quanto riguarda la risoluzione dei conflitti esistenti tra i migranti hutu e le comunità autoctone dell’Ituri, si nota una certa assenza dello Stato. «Lo Stato non fa nulla» , si sente spesso dire.
A livello locale, a Boga, Tchabi e Geti, lo Stato è presente attraverso i servizi della polizia e della giustizia, ma il loro ruolo nella risoluzione dei conflitti tra individui o tra gruppi sociali è minimo e, spesso ambiguo. A livello provinciale e nazionale, l’impegno dello Stato in iniziative che favoriscano la riconciliazione, la convivenza pacifica e la coesione sociale è quasi nullo.
Tuttavia, la prevenzione e la trasformazione dei conflitti sarebbero da considerarsi come provvedimenti necessari e prioritari, per una coesione sociale tra le diverse comunità etniche di Boga, Tchabi e Geti.
5. CAPITOLO 5: ALCUNE PISTE PER PROMUOVERE LA COESIONE SOCIALE E LA PACE TRA LE COMUNITÀ AUTOCTONE E I MIGRANTI HUTU IN ITURI
La coesione sociale e la convivenza tra i Banyabwisha e gli autoctoni sono una necessità urgente per rafforzare la pace e promuovere lo sviluppo economico delle aree interessate in particolare e dell’Ituri in generale. Il ritorno alla pace dipende prima di tutto e inevitabilmente dalla capacità dello Stato di porre fine all’attivismo di tutti quei gruppi armati che permanentemente creano insicurezza ricorrendo a violenze di ogni tipo.
La pace passa anche attraverso la risoluzione dei persistenti problemi irrisolti che esistono tra alcuni gruppi etnici, in particolare tra Lendu e Hema, Nande e Hema, Nande e Hutu, autoctoni e Hutu.
A tal fine, si dovrebbe far ricorso a diversi approcci, affrontati simultaneamente, a tutti i livelli (locale, provinciale e nazionale) e in modo sia settoriale che trasversale.
Queste forme di approccio dovrebbero essere anche multidisciplinari, perché i problemi da risolvere riguardano una pluralità di ambiti: sociale, economico, politico, territoriale, culturale e demografico.
Questo capitolo delinea le aspettative di pace espresse dalle diverse comunità; individua alcune azioni concrete capaci di costruire la coesione sociale attraverso la prevenzione dei conflitti; propone infine dei meccanismi di attuazione attraverso il metodo della trasformazione dei conflitti.
5.1. Per un cammino di pace e coesione sociale
Le popolazioni autoctone e i migranti hutu di Boga e Tchabi hanno espresso diverse proposte per favorire la pace e la coesione sociale.
5.1.1. Proposte emesse dagli autoctoni
– L’organizzazione, da parte delle autorità locali, di incontri intercomunitari regolari, per sensibilizzare la popolazione sulla cultura della pace, della tolleranza e della non violenza attiva.
– L’istituzione di una commissione comunitaria mista permanente, incaricata di riflettere sui temi della coesione sociale e della riconciliazione.
– L’aggiornamento delle autorità tradizionali locali sulle leggi fondiarie in vigore nella RDC.
– L’affitto dei terreni agricoli, invece della loro vendita.
– La mappatura dei villaggi e la delimitazione precisa delle entità amministrative locali da parte delle autorità provinciali e nazionali.
– La divulgazione, da parte delle autorità provinciali e nazionali, di una lista completa delle tribù costituenti la RDC, con l’indicazione delle rispettive province, territori, raggruppamenti e località.
– Un maggior impegno per la pace da parte delle autorità civili e militari, sia provinciali che nazionali.
5.1.2. Proposte avanzate dai migranti Hutu
– La creazione, da parte delle autorità locali, di una commissione mista intercomunitaria, per approfondire i temi della coesione sociale e della convivenza pacifica tra le diverse comunità.
– La concessione di un’autorizzazione che permetta agli Hutu di organizzarsi internamente e di avere un loro capo, che deve essere subordinato a un’autorità locale.
– L’aggiornamento dei capi dei distretti, dei raggruppamenti di villaggi e delle località sulla legge fondiaria e sulle tribù costituenti la RDC.
– La sensibilizzare dei membri delle comunità locali sull’esistenza di Hutu congolesi.
– L’impegno, da parte delle autorità di Kinshasa, di adottare delle misure volte a bandire l’odio nei confronti degli Hutu.
– La costruzione di nuove strade, per facilitare il trasporto dei prodotti alimentari verso i mercati.
– La costruzione di altre scuole, per favorire la scolarizzazione dei bambini.
– L’organizzazione di eventi sportivi regolari, per favorire le relazioni tra le diverse comunità.
– La promozione di iniziative locali che incrementino la coesione sociale e sviluppo economico.
5.2. Azioni concrete per la coesione sociale e la convivenza pacifica tra popolazioni autoctone e migranti hutu nell’Ituri
5.2.1. A livello locale
Secondo le diverse raccomandazioni, è essenziale costituire una commissione intercomunitaria permanente, per affrontare i vari temi della coesione sociale e della convivenza pacifica tra le diverse comunità.
La sua missione potrebbe essere quella di identificare e divulgare i valori culturali e tradizionali (usi e costumi) delle varie comunità etniche e di smantellare gli stereotipi e i pregiudizi che le dividono.
Un altro aspetto potrebbe essere quello dalla promozione di un sistema locale di mediazione e arbitrato che si occupi dei conflitti fondiari. Quindi, si dovrebbe intraprendere una campagna di sensibilizzazione e di informazione sul regime di proprietà fondiaria in vigore nella RDC e sulle diverse competenze, tra cui quelle delle autorità tradizionali. La Costituzione, nel suo articolo 34 comma 2 stabilisce che “La proprietà privata è sacra. Lo Stato garantisce il diritto alla proprietà individuale o collettiva, acquisito secondo la legge o l’usanza tradizionale”. Inoltre, la legge conferisce alla tradizione uno statuto di diritto positivo pari a quello della legge, perché la costituzione non esige che la tradizione si conformi alla legge, ma semplicemente all’ordine pubblico e al buon costume. Nello stesso tempo, l’usanza riconosce alle comunità locali tradizionali un loro diritto fondiario e questa situazione de facto non è contraria all’ordine pubblico, purché non sia contraria alla proprietà fondiaria dello Stato.
Vanno inoltre incoraggiati e appoggiati tutti i meccanismi e gli organismi attivi, a livello locale, per la convivenza pacifica e la coesione sociale inter e intracomunitaria.
Occorrerebbe poi analizzare le modalità di coordinamento delle iniziative esistenti. Risulta, infatti, che le relazioni tra organismi locali e internazionali sono spesso segnate da rivalità e mancanza di cooperazione, il che contribuisce a ridurre l’efficacia delle loro iniziative.
Per quanto riguarda gli aspetti economici dei conflitti, tra cui la questione fondiaria, la produzione del legname, l’estrazione dell’oro e del petrolio, occorrerebbe fomentare le attività sociali ed economiche che promuovono le relazioni interpersonali intra e intercomunitarie e gli incontri tra le comunità, come possono essere i mercati agricoli rurali, ecc.
Infine, si dovrebbe incoraggiare la partecipazione dei migranti hutu al potere locale, in particolare negli incontri intercomunitari in cui si prendono le decisioni e gli orientamenti che riguardano la sicurezza, l’economia e la vita sociale in generale. Questa forma di partecipazione ridurrebbe le frustrazioni o i sentimenti di esclusione.
5.2.2. A livello del governo provinciale dell’Ituri
A questo livello, si potrebbero implementare le seguenti misure:
– Identificare e registrare i migranti hutu presenti nell’Ituri. A seconda della situazione personale di ciascuno, si applicano le leggi e le convenzioni nazionali pertinenti, per permettere a tutti di essere trattati con dignità e rispetto dei diritti umani. Questa operazione dovrebbe svolgersi in collaborazione con il governo del Nord Kivu.
– Organizzare, all’attenzione dei capi di distretto, di raggruppamento di villaggi e di località, delle giornate di aggiornamento sulla legge fondiaria in vigore nella RDC.
– Determinare i limiti territoriali tra i distretti, tra i raggruppamenti di villaggi all’interno di un distretto e tra i villaggi all’interno dei raggruppamenti. Con la divulgazione di GPS, questo lavoro potrebbe essere svolto a livello locale, con l’assistenza degli enti di cooperazione bilaterale e multilaterale o delle ONG internazionali.
– Mappare e delimitare le singole proprietà individuali, per ridurre il numero dei contenziosi fondiari e le vendite multiple.
– Rilasciare dei titoli di proprietà a qualsiasi persona che abbia ottenuto una proprietà terriera in modo regolare. A tal fine, sarà necessario organizzare delle operazioni di misurazione e di demarcazione, secondo le modalità definite dalla legge fondiaria. In mancanza di ciò, occorrerebbe ricordare che, sempre più, in altre province congolesi, come il Sud Kivu, le organizzazioni della società civile, accompagnate da partner internazionali, sono riuscite a creare un sistema di registrazione delle proprietà individuali e collettive, attraverso il rilascio, da parte delle autorità tradizionali, di titoli di proprietà intermedi e legittimi, rendendo così possibile far valere i propri diritti di proprietà, anche in assenza di titoli legali, la cui acquisizione richiede costi esorbitanti, che la maggior parte dei contadini non può permettersi. Questi titoli intermedi sono infatti accessibili a basso prezzo e la loro acquisizione tiene conto anche delle esigenze dei vicini.
– Istituire una commissione intercomunitaria incaricata di assicurare la coesione sociale tra i gruppi etnici presenti nell’Ituri. Questa commissione dovrebbe essere composta dai rappresentanti di tutti i gruppi etnici che vivono in Ituri. Essa sarebbe uno spazio di dialogo permanente per prevenire i conflitti tra le comunità e per difendere i valori del multiculturalismo, dell’unità e della pace. Il suo ruolo sarebbe quello di attenuare le tendenze etnocentriche.
– Elaborare e promulgare un editto provinciale sul regime di diritto tradizionale. In attesa di un decreto presidenziale sul diritto di proprietà delle terre acquisite mediante atto dell’autorità tradizionale locale, redigere e promulgare un editto provinciale che regoli i rapporti tra i capi tradizionali, i proprietari delle terre e i contadini, in tutto ciò che riguarda la gestione delle terre tradizionali. Questo tipo di editto è già stato promulgato nel Nord Kivu.
5.2.3. A livello del governo nazionale:
– Fare tutto il possibile per ristabilire la pace e la sicurezza nell’est del Paese, in particolare nell’Ituri e nel Nord Kivu.
– Restaurare l’autorità dello Stato, ponendo fine al fenomeno dei gruppi armati che, in molti casi, si cercano degli alleati tra i vari gruppi etnici, creando un clima di sfiducia reciproca e di diffidenza che può portare a comportamenti violenti degli uni verso gli altri, in nome di una presunta o reale autodifesa.
– Sensibilizzare le popolazioni e le autorità locali sul sistema di proprietà fondiaria del Paese e sulle diverse competenze in questo settore.
– Effettuare una mappatura di tutte le proprietà terriere dell’intero paese, al fine di chiarirne lo statuto.
– Elaborare e attuare una politica che permetta a tutti i Congolesi di avere accesso alla proprietà di terre, agevolando un progressivo equilibrio tra zone densamente popolate e territori meno abitati.
– Promuovere una giustizia equa e sensibile ai conflitti, capace di far rispettare il diritto di ciascuno alla proprietà privata, applicando la legge senza discriminazioni.
– Incrementare la sorveglianza delle frontiere con i Paesi limitrofi, in particolare quelle dell’Ituri, dove si registrano ingressi incontrollati che rafforzano sospetti di invasione dell’Ituri da parte di popolazioni straniere e che, nello stesso tempo, suscitano odio e diffidenza.
– Organizzare una campagna di informazione (storia, cultura …) sui gruppi etnici dell’est del Paese, con particolare riferimento a quelli che abitano su entrambi i lati delle frontiere con i paesi limitrofi, come il Ruanda, l’Uganda e il Burundi.
5.3. La trasformazione dei conflitti come meccanismo di prevenzione e di risoluzione dei conflitti
La trasformazione del conflitto è una strategia per costruire la pace dal basso. La sua attuazione comprende tre fasi complementari, ovvero: la ricerca-azione partecipativa, l’istituzione di strutture locali di dialogo e l’attuazione di azioni di sviluppo locale.
La Ricerca-Azione Partecipativa (RAP) consente di determinare, con le comunità locali e attraverso una ricerca partecipativa, i conflitti, le loro cause e le loro conseguenze da un lato e le azioni e strategie di trasformazione dei conflitti e di sviluppo locale dall’altro.
In vista dei risultati della ricerca, è importante definire due aree prioritarie di analisi e di intervento: la proprietà delle terre e gli stereotipi identitari.
La RAP dovrebbe coinvolgere i rappresentanti delle seguenti diverse componenti sociali:
– le comunità locali
– le organizzazioni della società civile
– le confessioni religiose presenti sul territorio
– le organizzazioni giovanili e femminili
– le autorità locali e tradizionali
– i servizi locali di sicurezza
La metodologia prevede i seguenti passaggi:
– La formazione del gruppo di ricerca
– La raccolta dei dati.
– L’analisi dei dati.
– La redazione di un rapporto preliminare.
– L’organizzazione di un workshop di restituzione dei risultati intermedi.
– L’elaborazione e la pubblicazione del rapporto finale.
– La trasmissione del rapporto finale alle autorità competenti
– L’elaborazione di un meccanismo di attuazione, di monitoraggio e di valutazione.
L’istituzione di strutture locali di dialogo e di mediazione rafforza l’impegno delle comunità nell’affrontare e risolvere i conflitti tra loro esistenti.
Le decisioni e le conclusioni, soprattutto quelle relative alle questioni fondiarie e identitarie, saranno maggiormente valorizzate attraverso l’attuazione di azioni di sviluppo e di progetti sociali, come la costruzione e manutenzione di scuole, centri sanitari, ospedali, strade, acquedotti, mercati comunitari, parchi sportivi, ecc.
[1] Texte complet: https://www.pole-institute.org/sites/default/files/pdf_publication/Pole_etude_mobilite_hutu_version_finale%2010Nov18112020.pdf